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Autore: emmegili    13/05/2017    1 recensioni
- Hai intenzione almeno di dirmi come ti chiami o dovrò tirare ad indovinare?
- Hai intenzione di smettere di interrompermi mentre leggo o devo imbavagliarti?
- D’accordo, tirerò ad indovinare.
- D’accordo, mi toccherà imbavagliarti.
- Sei davvero adorabile, te l’hanno mai detto?
- Sei davvero un rompipalle, te l’hanno mai detto?
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Ma Oliver... Oliver non muove un muscolo, nemmeno gli occhi. Mantiene lo sguardo fisso nel mio, come un salvagente nel mare in tempesta. Ogni volta che sto per affogare, mi aggrappo alla sua sicurezza.
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Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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59. – Sofia
 
Dopo che Diana ha pronunciato la frase che probabilmente si stava preparando a dire da ore, il silenzio cala sulla stanza.
Il viso pallido, stanco, struccato, privo di ogni traccia di emozioni della donna si contorce in una piccola smorfia, mentre il marito, accanto a lei, la stringe a sé. Sembrano sostenersi a vicenda, per non crollare a terra.
- Cristo. –John emette un lungo sospiro, passandosi la mani sulla barba.
Degli altri presenti, nessuno pare intenzionato a reagire. Lancio un’occhiata a mia sorella, seduta sul bracciolo del divano. Si rigira tra le dita il crocifisso d’oro che porta al collo.
- Come... Come fanno ad esserne certi? –domanda Jay, guardando i genitori di Rachele con occhi grandi. Accanto a lui, Scott fissa sconvolto il pavimento.
- L’autopsia. –risponde schiarendosi la voce Enrico, per poi farla morire man mano che continua a parlare – Siccome è... è morta durante un intervento chirurgico, volevano accertarsi della causa e...
- Il funerale è oggi pomeriggio. –ricorda flebile Arianna –Cosa... Voglio dire, non se n’è andata solo lei. E’ morto anche un bambino.
Gli occhi le si riempiono di lacrime.
- Per la legge, non era ancora un bambino. Era solo un embrione. –la risposta di Diana è vuota, ridondante, meccanica.
- Ma lo sarebbe diventato. –ribatte Scott con rabbia, alzandosi e dirigendosi verso la porta della stanza.
Allison sospira tremante, chiamandolo indietro. Una, due, tre volte. Invano. Alla quarta, si alza e lo raggiunge in corridoio.
- Dobbiamo dirlo ad Oliver. –ricordo, cercando di sovrastare i singhiozzi di Scott nella stanza accanto.
- Sì. –conviene Luisa, annuendo.
- Vado io. Così mi assicuro che sia pronto per le tre. –mormoro, arraffando la borsa.
Diana soffoca un singhiozzo affondando il viso nel petto del marito.
 
Quando varco la soglia della casa sulla spiaggia –si dà il caso la porta fosse aperta – la cosa che mi colpisce di più è il fatto che tutto faccia pensare ad una normalissima casa, dove tutti sono felici e disordinati.
Effettivamente, mi dico, è impossibile che Oliver sia anche solo riuscito a toccare le cose di Rachele, figuriamoci a metterle a posto.
- Oliver –lo chiamo, dondolandomi sui talloni –Sono la zia. Tesoro, ci sei?
Non ricevendo risposta, decido di passare attraverso il soggiorno per andare a cercarlo. Lo trovo nella terza stanza, quella che capisco subito essere di Rachele.
E’ raggomitolato sul letto, gli occhi vitrei.
Mi si spezza il cuore e devo guardare per qualche secondo al soffitto per non scoppiare a piangere.
- Ehi. –sussurro, avvicinandomi. Mi siedo sul bordo del materasso, accarezzandogli i capelli.
Mi lancia un’occhiata. Gli sorrido dolcemente.
Contorce il volto in una smorfia, poi mugugna qualcosa. L’occhio mi cade sul foglio di carta che stringe nel pugno della mano destra, poi sulla busta a terra.
- Vieni qui. –dico solo, allargando le braccia.
Come in un disperato bisogno di essere cullato, Oliver scatta a sedere e scoppia a piangere, come un bambino, gettandosi tra le mie braccia.
Gli carezzo la nuca, chiudendo gli occhi.
- Era incinta. –singhiozza, aggrappandosi al mio cappotto –Rachele aspettava un bambino.
Sospiro piano, tentando di non lasciarmi andare.
- Lo so, piccolo. Mi dispiace tanto.
 
Mentre Oliver è sotto la doccia, cerco di dare una sistemata.
Liscio la lettera che lei gli aveva scritto e la rimetto ordinatamente nella busta che poi appoggio in salotto.
Quando torno in camera e vedo il buco nel muro, resto imbambolata a fissarlo per due minuti abbondanti. Mi avvicino, sconsolata.
Come hanno anche solo potuto pensare che lasciarlo qui da solo fosse una buona idea?
Però, forse, anche io mi sarei sentita meglio senza essere circondata da persone morbose continuamente in attesa di un mio crollo emotivo...
Tra i pezzi di parete sbriciolata, c’è qualcosa.
Stropicciata, tiro fuori la foto che Arianna ha scattato ad Oliver e Rachele il giorno del compleanno.
Sono felici. Innamorati.
Sospirando, cerco di sistemarla alla buona e meglio e la ripongo nella stessa busta della lettera.
Quando mi volto, Oliver è in piedi, nel bel mezzo della stanza. Indossa un completo elegante, nero, e mi guarda con gli occhi rossi e i capelli umidi.
- Non voglio andarci. –pigola piano, strascicando la voce.
Lo guardo, mortificata.
- Poi te ne pentiresti. –dico solo, abbracciandolo stretto.
Lui ricomincia a piangere.
 
Nessuno pare ascoltare. C’è chi fissa il cielo, chi l’erba verde. Qualcuno guarda malinconico la bara, qualcun altro singhiozza sommessamente.
Al mio fianco, Oliver tiene gli occhi chiusi, picchiettando le dita sulla gamba.
Non ha voluto vederla. Io sì.
Indossava un grazioso vestito azzurro. Le stava bene. I capelli erano puliti e ordinati, il viso sereno. Le ho carezzato la testa.
Sembrava dormire.
Nessuno pare ascoltare fino a quando Arianna non si avvicina alla bara di legno, invitata dal prete.
Deglutisce un singhiozzo, portandosi le dita alle labbra. Poi sfiora appena il legno freddo, tremante.
Si schiarisce la gola, fissa per qualche secondo il foglio a righe stropicciato che stringe tra le mani.
- Sì, be’, non sono io quella brava con le parole. –borbotta, lanciando un’occhiata alla bara –Ma qua qualcuno ha optato per il mutismo, quindi direi che tocca a me.
La voce le si spezza e ha bisogno di qualche secondo per riprendersi. Si asciuga le lacrime e prosegue.
- Volevo fare un elogio funebre normale, serio, qualunque. Ma lei non è mai stata nessuna di queste tre cose, quindi ho lasciato perdere le belle intenzioni.
Prende un respiro profondo, osservando tutti i presenti. Incrocia il mio sguardo, poi si sofferma su Oliver.
Il viso le si contorce in una smorfia, scuote la testa, piangendo. Mi guarda.
Le faccio un piccolo sorriso, annuendo rassicurante.
Arianna continua a fissare Oliver, al mio fianco, mentre le lacrime le scorrono a fiumi sulle guance.
No, no. Fa di no con la testa. Non può fargli questo, continua a ripetersi.
- Oliver. –sussurro, posando la mano sulla sua gamba.
Lentamente, lui apre gli occhi e si volta verso di me. Ha un’espressione che prega di lasciarlo stare, che urla che non può superare tutto questo restando vigile.
- Arianna ha bisogno di te. –bisbiglio, accennando alla ragazza che se ne sta là, in piedi, fragile, vicino alla bara della sua migliore amica.
Oliver sposta lo sguardo su di lei. Una lacrima gli scende dall’occhio sinistro. Poi, quasi impercettibilmente, annuisce.
Arianna pare ricominciare a respirare. Si asciuga le guance e riprende a parlare.
- Ho… mi sono ricordata del giornalino della scuola. Rachele aveva iniziato a pubblicarci qualcosa ogni mese. Aveva scoperto l’amore per la scrittura e non sembrava intenzionata a smettere più. –fa un piccolissimo sorriso, poi lancia un’occhiata ad Oliver. Ma lui si è chiuso di nuovo in sé stesso.
Nonostante ciò, la ragazza continua.
- Quindi ho preso il primissimo paragrafo che aveva scritto. Ho pensato si sarebbe adattato fin troppo alla situazione. –soffoca un singhiozzo –Rachele descriveva la morte, l’effetto che ha sulle persone che ti stanno vicino. Diceva: Una fitta allo stomaco, che ti toglie il respiro, impedendoti anche solo di lanciare un ultimo grido disperato, che ti punge agli occhi come migliaia di piccoli aghi e che però ti impedisce di piangere, che soffoca i tuoi singhiozzi quasi fossero la cosa più proibita del mondo.
-Cassie, ti senti bene? –un sussurro lontano, dalla voce ancora rotta dal pianto.
Scuoto la testa. O almeno è quello che vorrei fare.
Le gambe cedono, e mi ritrovo a terra, rannicchiata su me stessa, aggrappata ai miei stessi vestiti, trafitta da un dolore disumano.
- Cassie? Cassie! –ancora quella voce, anche se questa volta è un po’ più decisa dell’ultima volta. Ancora stravolta, ma un po’ più umana. Preoccupata?
Qualcuno mi si accuccia accanto, cingendomi le spalle con un braccio. Ho gli occhi appannati dalle lacrime, che ancora non si decidono a lasciarsi andare.
Alzo la testa tremante sulla persona accanto a me. E’ mia sorella Lana. Ha i capelli disordinati, quasi non ci fosse stato tempo di pettinarli. Il volto stravolto, arrossato dalle lacrime.
Non riesco a piangere. Eppure è tutto quello che vorrei fare: scoppiare in un lungo, lunghissimo, ininterrotto pianto liberatorio.
La fitta allo stomaco mi prende tutto il corpo, invadendolo di paura e terrore. Inizio a tremare per il freddo.
Caccio un urlo lacerante, che squarcia l’aria, che mi deruba i polmoni di tutto l’ossigeno al loro interno, che mi fa accasciare a terra scossa dai singhiozzi, accompagnati dalle lacrime che finalmente si sono decise ad arrivare.
Nessuno si muove, nemmeno il prete. Siamo tutti stregati da ciò che Arianna, in lacrime, ha appena finito di leggere.
La mano di Oliver, sulla sua gamba, si è stretta in un pugno. Ha le nocche bianche da quanto stringe. Ma a parte questo, pare impassibile.
- Ci sono tanti modi diversi di amare qualcuno. –continua la ragazza, quasi in un sussurro –Posso dire che Rachele li ha provati tutti. Era circondata da persone che la amavano, ognuna in modo diverso. Io la amavo perché era la mia migliore amica, perché potevo contare su di lei sempre e comunque. La amavo perché senza di lei la mia vita non avrebbe avuto senso. –sospira, chiude gli occhi –Ora scusate, ma devo andare a dare un nuovo senso alla mia vita.
 

 
 
 
   
 
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