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Autore: ClaryWonderstruck    15/05/2017    2 recensioni
[ Il cielo sembrava un’estesa massa di luci vorticanti, di scie circolari che si inondavano le une sulle altre in un concatenarsi quasi eterno. Vigilavano sulla cittadina mercantile che dormiva quieta, nel silenzio della notte, accompagnando i loro sogni con il brillare delle stelle che vi si specchiavano ... ]
[ ... Marinette avrebbe potuto osservare quel dipinto per ore, per giorni, rimanendone rapita come la prima volta]
E se i dipinti di Van Gogh non fossero stati l'unica fonte di luce, quella notte ? Si sa, la luna è compagna dei felini che si aggirano in cerca di compagnia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Alya, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Azioni e reazioni






Ad ogni azione corrisponde una reazione.

E’ così che la fisica lavora, no?

Una molla tirata potrebbe deformarsi, così come i gli alisei potrebbero collidere a formare una tempesta. Una volta che accade, che il danno è fatto, riavvolgere il nastro e fingere che tutto sia passato non serve a niente. Marinette era abbastanza scarsa in fisica, ma la termodinamica l’aveva sempre affascinata. Forse quella costante immutabile, quel punto fisso nello spazio che delimita le reazioni, le dava la certezza che magari non tutte le cose sfuggono alla ragione, ma spesso dipendono esattamente da come si agisce.

Se per esempio quella mattina non avesse speso ore sotto la doccia, magari avrebbe avuto il tempo per scegliere qualcosa di carino con cui fare un giro. Non un look particolarmente elegante, ma sicuramente diverso dalla tuta che si era infilata nello zaino prima di uscire di casa.
E invece si era trovata a fissare qualche fogliaccia sparsa a terra nei pressi di un parchetto semi abbandonato vicino il quartiere residenziale. Era bagnata di pioggia, come del resto l’intera piazza, e puzzava di erba fresca, quella piena zeppa di insetticidi nauseabondi. Seduta a quattro di bastoni sentiva il peso del suo corpo fradicio gravare le condizioni della panchina, che gonfia d’acqua sopportava blandamente il peso del suo zainetto colorato.

Come si era cacciata in quella situazione? Non lo sapeva nemmeno lei, ma aveva una sua teoria.

Non una teoria fisica, non era la sua materia dopotutto, ma una essenzialmente psicologica.

Era iniziato alcuni giorni dopo Natale, quando i suoi le avevano concesso del tempo libero al di fuori della pasticceria di gestione familiare. Ovviamente la prima cosa che le era balzata in mente ( a parte organizzare una serata con Alya e qualche film deprimente ) era stata quella di fare qualche ricerca sul conto di Finn.
Aveva tentato invano di contattare il maestro Fu, ma apparentemente si trovava in qualche caverna thailandese a provare qualche diavoleria hipster per affrontare il suo stress interiore.

Traduzione: non voleva essere trovato, né figuriamoci parlare di segreti oscuri.

Sapeva che la biblioteca, o qualsiasi altra forma di comune indagine, non l’avrebbe portata da nessuna parte, perciò l’unica via d’uscita consisteva nell’analizzare a fondo la routine di quel criminale che abitava nella dimora del sindaco. Spiare un membro “onorabile” della famiglia politica più famosa di Francia le era costato fatica e ore su fogliacci per valutare qualsiasi contrattempo e passo falso, ma alla fine ce l’aveva fatta. Ladybug, violando la promessa fatta al proprio partner in crime, stava tenendo sott’occhio il suo target da un paio di giorni, verificando dove spendesse il suo tempo e cosa facesse per colmare tutte quelle ore di solitudine.
Fu folle scoprire che in realtà non ammazzava gattini sul ciglio della strada.

 Non faceva granché, a dirla tutta.

Se ne stava rintanato nella sua stanza a leggere e la maggior parte del tempo chiamava qualche gentile ragazza che chiaramente si faceva abbindolare con la scusa del romanticismo patetico. Ovvio, a loro non dispiaceva affatto e lui apprezzava di buon grado.
Se Marinette avesse potuto vomitare, sarebbe corsa via lontano da quella casa notti e notti prima della seconda settimana ufficiale di spionaggio. Durante quei tempi morti senza alcuna prova valida, lei e Chat si erano visti più volte tanto nei panni di Marinette, quanto in quelli di Ladybug. Papillon e i suoi servi cercavano come sempre di rovinare la quiete cittadina, però venendo sopraffatti dal duo più affiatato di Parigi.

Peccato che malgrado il lavoro scivolasse liscio, le ricerche non procedessero di un passo. Senza contare il fatto che Chat Noir stava decisamente iniziando a trattarla in modo più freddo nel momento in cui indossava quella stra benedetta maschera.

Assurdo a pensarlo, ma sentiva che il suo legame, quello tra Marinette e il super eroe,  potesse surclassare facilmente quello creatosi con la sua controparte eroica.

Era già accaduto, veramente. Solo che non le andava di pensarci su.
Non le andava di ammettere molte cose ultimamente.

Durante la seconda settimana di spionaggio le lezioni erano persino ricominciate, costringendola a dover frequentare Chloé e quel branco di idioti che si ostinava a definire compagni di classe. L’unica nota positiva era stare insieme con la sua banda di amici inseparabili, tuttavia anche lì la fortuna sembrava proprio volerle ridere in faccia. Alya e Nino non facevano altro che isolarsi, mentre Adrien spariva per intere ore facendo chissà cosa in compagnia di chissà chi.
Non che lei avesse il diritto di giudicarlo, ma le faceva comunque male. In più, quando riuscivano a frequentarsi, riusciva meramente a salutarlo e scambiarci due parole.
Marinette era stanca e sola.
Persino mentre sedeva sul tetto della villona di Chloé non poteva evitare di pensare a quanto si sentisse sola.
Tutte quelle ore, quei giorni, buttati nel cestino le montavano una rabbia deprimente e incontenibile. 
Possibile che non riuscisse a cavarsela persino nei panni di una supereroina ? 
Certe volte quando fissava le macchie nere che le chiazzavano il costume rosso fuoco poteva perdersi completamente nel buio, facendo sì che il colore dei pois le invadesse completamente le pupille ed i pensieri. 

Finn sembrava la sua identica copia al maschile, spalmato però su un letto di piume d'oca e con una fedina penale più che allarmante.  
Leggeva sempre lo stesso romanzo tutte le notti, accendendo l'abat-jour solo quando i domestici avvisavano l'arrivo della dormita obbligatoria. 
Se ne stava rintanato nel suo personale inferno a riempire i secondi nel modo meno produttivo possibile, incastrato in una stanza che possibilmente costava più dell'intero appartamento di Marinette. 

Nulla di fin troppo sospetto. 
 
Poi il martedì seguente le cose si complicarono parecchio, rivelando le motivazioni che si celavano dietro quell'apparente calma. Finn era stato confinato dalle autorità per essersi azzuffato con un tipo alla festa di Alya, perciò secondo il provvedimento restrittivo avrebbe dovuto scontare tre settimane piene chiuso nella sua bellissima dimora nel cuore parigino.

Una punizione proprio insostenibile che solo i veri ricchi potevano permettersi di comprare senza passare grandi ripercussioni. 
Sta di fatto che Marinette lo seguì per la prima volta fuori dalla villa, balzando per i tetti delle case tutte le volte che svoltava inaspettatamente direzione. Una parte di lei credeva che lo stesse facendo a posta per complicarle la vita, mentre l'altra era solo curiosa di capire cosa gli passasse per quella testa vuota. 
Marinette aveva capito che uno dei modi per mantenerlo costantemente nel suo campo visivo era quello di seguire il tintinnio che le sue chiavi emettevano sbattendo contro la cintura di cuoio marrone. Quello, sommato al rumore degli stivali da motociclista e lo stridio della pelle, indicava una pista più o meno certa. 
Vestiva sempre in modo impeccabile sebbene leggermente tendente al dark. 
Non che indossasse catene o strani anelli in parti delicate del corpo, piuttosto preferiva andarsene in giro come se fosse stato la star di qualche pellicola vecchio stile.
 
E le persone parevano accorgersene.
 
Lo studio sociologico che aveva inaugurato dopo tutto quel tempo in sua "compagnia" stava dando dei frutti particolarmente interessanti. 
 
Nessuno poteva togliergli gli occhi di dosso. Finn era come un'irresistibile gemma rara capace di attrarre la curiosità altrui solo passeggiando blandamente per le strade. Nemmeno gli serviva aprire bocca per scatenare conversazioni riguardo la sua persona tra i passanti che incrociava durante i suoi giri. 
 
Dopo alcuni minuti di percorso senza meta, Finn sembrò finalmente deciso a raggiungere il suo obiettivo principale. Camminava non più con totale disinvoltura, ma affondava i passi a terra quasi calciando l'asfalto duro. 
Benché alla super eroina borbottasse lo stomaco rumorosamente, simulando il rumore di una ciminiera in azione, riuscì comunque ad appostarsi dietro il primo vicoletto disponibile. 
 
Con un balzo energico, saltò dal tetto dell'appartamento, atterrando magicamente su una cassa di legno contenente qualche rifiuto disgustoso. 
La stradina che aveva scelto come punto d'osservazione era stretta e fatiscente : l'odore acre di spazzatura, assenzio e carcasse quasi le spezzò il respiro già affannato dal lungo depistaggio che sembrava non finire mai; in più si trovava nei pressi di una zona periferica malfamata nella quale orientarsi le avrebbe costato la sparizione del ragazzo in un batter d'occhio. 
 
Trattenendo il respiro di tanto in tanto, aiutandosi premendo il lattice della tuta sul naso, mantenne lo sguardo proiettato verso un Finn ormai fermo contro la superficie di un muretto in pietra. 
 
Stagliava nel bel mezzo di una galleria abbandonata dove prima passavano le vecchie linee tranviarie della città, o meglio, dove il progetto iniziale le aveva inserite all'interno della cartina. Nessuno veniva a ficcanasare da quelle parti a meno che non cercasse brutti guai. 
Spacciatori, truffatori, poco di buono bazzicavano per quelle vie, nascondendo sacche nere piene di materiale da contrabbando. 
 
Finn non avrebbe potuto sentirsi più a suo agio in quelle condizioni, assumendo una posa talmente determinata che definirlo il re del quartiere sarebbe stato un banale eufemismo. 
"Santo cielo " si disse premendo le labbra sulla tuta. Una permanenza prolungata lì dentro le sarebbe costata caro considerando che il suo naso faceva fatica a distinguere odori che si discostavano da quello di marciume decadente. 
 
Pregò qualche istante che chiunque stesse aspettando in modo così sospetto entrasse in scena velocemente, scoprendo delle informazioni utili alla ricerca. 
 
Peccato che la persona in questione non rientrasse affatto nelle previsioni di Marinette. 
Non era un ladro, o un mafioso, ma una ragazza incappucciata che teneva una piccola ventiquattr'ore tra le mani. 
La faccenda si faceva intrigante.
 
Questa gli passò la valigetta senza far storie, gettandogli le braccia al collo non appena ebbe finito di controllare il suo contenuto. Era chiaro come l'acqua che non gli importava un fico secco di quella poveretta. 
Come del resto non gliene fregava qualcosa delle ingenue fanciulle pronte ad accompagnarlo durante il suo divieto restrittivo. 
Diciamo che l'odore nauseabondo del quartiere non riusciva a superare il crescente disgusto che Marinette provava nei suoi confronti. 
 
Dopo qualche bacio poco casto, il ragazzo abbassò il cappuccio che copriva il volto della fanciulla, rivelando un volto pieno e caramellato. Delle ciocche rossicce le scendevano sulle spalle, incorniciandole un viso tipicamente latino con qualche tratto somatico misto. 
 
Nel riconoscerlo Marinette quasi cadde sulle sue stesse ginocchia. 
 
" Diavolo!"
 
Si schiacciò contro la facciata grigiastra dell'edificio fatiscente cercando di non tradirsi nuovamente, per poi scivolare oltre il vicoletto e sbucare oltre una piazza mai vista prima d'ora. Le ombre scure che le nuvole cariche di pioggia proiettavano su quel posto creavano figure simili ad un teatrino delle marionette, rendendo spettrale persino l'unico alberello spoglio che stagliava al centro della piazza.
 
Aveva il cuore che le rombava nel petto, gridando e scalpitando come un folle in preda a qualche attacco epilettico. I suoi super poteri non l'avrebbero mai salvata da certe visioni. 
Avrebbe preferito cavarsi le orbite e offrirle a qualche casa di cura piuttosto che affrontare le conseguenze di ciò che aveva appena visto.
Boccheggiò qualche istante, stringendo lo yo-yo tra le mani manco fosse stato una reliquia immersa nell'acqua santa, decidendo successivamente di allontanarsi una volta per tutte dal quartiere in questione. 
 
Forse sfrecciare a tutta velocità non l'avrebbe fatta sentire meglio, ma fisicamente le riempiva la testa di altri pensieri che sicuramente risolvevano temporaneamente il problema. 
 
Durante quella corsa spericolata verso un’oasi di pace, Marinette si lasciò ritrasformare da Tikki, mostrandosi in tutta la sua umana fragilità. Sbandava per le strade affollate, per il cuore della sua città, scontrandosi con qualche turista che spesso e volentieri la spingeva sua volta come risposta.
La testa prosciugata di qualsiasi emozione seguiva l’andamento della massa che risaliva fin sopra il Louvré, dirigendosi verso stradine tipiche e gremite di ristorantini. Non si era mai sentita così assente in tutta la sua vita e non riusciva a capire come uscirne fuori indenne.
Poi il grigiume sovrastante prese a condensarsi in masse sempre più ampie e dense che diedero vita ad un bell’acquazzone di quelli forti e ingestibili persino muniti di ombrelli.

La pioggia scrosciava e schizzava dappertutto: allagando tombini, marciapiedi, scalette e persino gli ingressi della storica metro francese dove moltissimi avevano scelto di ripararsi.

L’unica persona in grado di gestire perfettamente tutta quell’acqua fredda era proprio Marinette, che semplicemente aveva scelto di non fuggire da essa, ma camminarci praticamente in mezzo. Si stava zuppando dalla testa ai piedi, compromettendo definitivamente quel velo di trucco che era riuscita ad applicarsi sul viso in modo del tutto fortuito.

La pioggia le cadeva lungo il corpo, lungo le gote e fin sotto le punte dei piedi mischiandosi con qualche lacrima che si era concessa di versare. Non sapeva più distinguere da dove provenisse l’acqua: se pioveva solo dentro di lei o solamente fuori.
Se non fosse stato per Tikki, che cercava di guidarla in un posto più isolato e tranquillo, forse Marinette sarebbe svenuta davanti all’intero gruppo di giapponesi schiacciati sulle pareti coperte dei bistrot.

Fu proprio in quel dannatissimo parco alle spalle del centro che Marinette pensò alla fisica. Quando la pioggia cessò il suo scrosciare impellente e nel cielo si intravedeva un misero spiraglio di sole, lei rifletteva come un automa senz’anima, paragonando la sua attuale situazione ad una teoria scientifica. Probabilmente perché era il solo modo utile di gestire la cosa senza distruggere tutto.

Tikki non la reputava melodrammatica, anzi, capiva perfettamente che una scoperta del genere avrebbe avuto un impatto notevole nella vita della sua padrona, così come in quella della sua cerchia di amici. Se Marinette avesse aperto bocca, avrebbe rischiato di mandare all’aria la sua amicizia con due delle persone più care al mondo, eppure le sembrava così ingiusto dover mentire. Non poteva semplicemente cancellare il passato e riscriverlo a parole sue.

<< Marinette, dovresti calmarti. Prendi un bel respiro >> le suggerì il kwami, seduto sulle gambe della giovane. La ragazza rispose con un’alzata di spalle vuota e sconnessa, continuando a guardare il nulla sempre più concentrata e presa.
<< So quello che pensi Tikki. E’ inutile che mi guardi così >> disse infine, strizzando entrambi gli occhi gonfi e rossi dal pianto. Le faceva male la gola tanto il freddo che quella scappatella le aveva afflitto.
<< Non sono qui per giudicarti, è una scelta difficile. Io tifo per l’assoluta verità, ma capisco che vada moderata questa volta. Potresti provare a parlarle prima di affrontare lui ? La vita è fatta di malintesi e fraintendimenti … >>

Marinette tossì così forte che le si sconquassò lo stomaco vuoto << Si, perché c’era tanto da fraintendere, vero ? Si stavano praticamente divorando la faccia, Tikki! Cosa vuoi che le chieda? Negherà tutto! E se anche non lo facesse, mi chiederebbe di stare al suo gioco. Non so se sarei capace di farlo >>

<< Mi sembra che tu abbia già preso una decisione, allora >> commentò a bassa voce.

La ragazza si guardò la pelle umida, screpolata e martirizzata delle mani, desiderando con tutto il cuore di poter sbattere il capo contro un muro oppure insabbiarlo completamente sotto terra.

<< E se fosse sbagliata? Potrei perderla per sempre >>
Tikki le sorrise dolcemente << E se fosse giusta? Fare nulla sarebbe un po’ come mentire, no? Ti consiglio di parlarne con qualcuno di vicino a entrambi, magari potresti trovare pace al cuore >>

Aveva capito a chi si riferisse il suo kwami, solo che non comprendeva come tirarcelo dentro potesse risolvere qualcosa. Renderlo consapevole del fattaccio non era simile allo “scarica” barile? E poi conciata in quel modo sembrava Cenerentola prima di incontrare il principe, mentre ripuliva il caminetto dalla fuliggine . Doveva però pensare alla soluzione più giusta. E per farlo correttamente, era necessario chiedere aiuto a qualcuno con un giudizio meno annebbiato del suo, che potesse ragionarci sopra a mente fredda senza dare in escandescenze o gettarsi in mezzo alla folla sotto un temporale invernale.  
Quel qualcuno abitava a pochi passi dall’area residenziale dove lei stessa si trovava, appena superata la salita che collegava le prime vilette aristocratiche con le grandi magioni dalle mille e una notte.

<< Da quando Finn è in città sta andando tutto a rotoli. Credi sia una coincidenza ? >>
<< Credo che non esistano coincidenze. E sono convinta che se non fili subito al caldo ti ammalerai in un batti baleno!>> rispose picchiettandole leggermente sulla spalla destra.
<< Va bene mommy, mi sto preparando per la figuraccia più grande della mia vita. Dici che se mi lego i capelli sembro una barbona più chic ? >> commentò alzandosi la chioma zuppa.

<< Cammina Kate Moss, su! >>
 
 



***
 
<< Mi passeresti lo zucchero Adrien?>>
 
Era la prima volta in mesi di silenzio e latente punizione che Adrien poteva finalmente pranzare in "famiglia" invece che sgranocchiarsi degli snack in compagnia di Plagg. 
Definirlo pranzo domenicale non era proprio accurato, però ci si approssimava leggermente, o comunque provava ad avvicinarsi il più possibile a quella che era una normale tradizione comune. 
Certo, non c'era nessuno che scorrazzava avanti e indietro per la cucina alle prese con i fornelli, oppure qualcuno addetto alla pulizia del tavolo una volta consumato il pasto. In primis perché la sala occupata contava un lungo tavolo apparecchiato solamente alle estremità ( fatto proprio con l'obiettivo di limitare qualsivoglia tentativo di conversazione ); in più i cibi erano stati posizionati su un'alzata d'argento da uno dei più grandi chef francesi del momento. 
Nessun odore di casa, di pasticciato, che potesse stuzzicare l'olfatto e trascinare Adrien direttamente in cucina.
Quando era bambino si infiltrava sempre mentre la madre preparava piatti sfiziosi, finendo puntualmente con la faccia spalmata su qualche torta al cioccolato appena sfornata. 
Adesso lo stomaco gli si era chiuso completamente. Gettata via la chiave, sembrava passivo e poco incline all'atto del mangiare. 
Non riusciva a rilassare i nervi nei paraggi del padre, nemmeno se questo gli domandava semplici curiosità che non avevano nulla a che fare col suo lavoro. Temeva la possibilità di un'ipotetica discussione, perciò preferiva defilarsi ed ignorarlo blandamente piuttosto che affrontarlo apertamente col rischio di sbatterci il muso in malo modo. 
 
<< Adrien ? >> 
 
Di nuovo quella voce calda e dura. Il ragazzo alzò lo sguardo dalla poltiglia che stava torturando con le posate, incontrando gli occhi severi di un padre palesemente stanco. Malgrado provasse a nasconderlo, i cerchi che gli segnavano le palpebre sottolineavano quanto il suo fisico stesse cedendo sotto il peso del lavoro. 
 
<< Lo zucchero, per favore >> ribadì Gabriel, mantenendo un tono rilassato e tagliente. Adrien, perso com'era nel mondo delle sue riflessioni, capì solo in un secondo momento la richiesta del padre.
" Strano, pensavo preferisse le cose amare" si disse allungandogli il contenitore dello zucchero. 
Ed era vero, Gabriel Agreste non s'inscriveva esattamente nella categoria dei padri modello amorevoli e devoti alla famiglia. Il più delle volte si rintanava nel suo studio d'artista a creare collezioni d'alta moda, evitando il figlio così come il ragazzo cercava disperatamente di fare con lui. 
Le rare volte che intavolavano conversazioni serie finivano sempre per discutere sull'inettitudine di Adrien, sulla sua immagine e gli obblighi che doveva alla società in quanto modello professionista. Ecco, la maggior parte del tempo Adrien non era suo figlio, ma un qualunque stipendiato sotto il suo controllo. 
E come qualsiasi dipendente teme il proprio capo, anche Adrien chinava il capo all'autorità paterna, sebbene riuscisse a svignarsela da professionisti persino sotto la vigilanza dei bodyguards. 
 
In quel momento avrebbe voluto davvero trovare un argomento di conversazione che prescindesse da qualsiasi tipo di discussione, ma la mente gli ricadeva puntualmente su temi delicati. Erano cose che si teneva dentro a ribollire nella delusione, permettendone una fuoriuscita solo in casi eccezionali: Adrien era una pentola a pressione piena di esplosivi. 
Prima o poi avrebbe trascinato tutto con sé spargendo cenere lungo i suoi passi.
Considerando la consistenza oramai molliccia e poco invitante di quella bistecca, forse la cenere sarebbe stata un condimento più saporito. 
 
<< Ho parlato con le aziende italiane che ti dicevo l'altra volta, Adrien. Sarebbero liete se tu partecipassi ad una loro sfilata >> disse poi, passandosi un fazzolettino ricamato sulle labbra sottili << Ne sarei grato >> aggiunse in tono più marcato.
 
Come se già non bastassero le sue richieste a complicargli la vita, ad aggravare il peso c'era pure quel tono sentenzioso e critico che lo metteva costantemente con le spalle al muro. 
Non sapeva e non poteva dirgli di no. Quieto vivere? Arrendevole accettazione?  Ormai neppure lui ne capiva il senso. 
 
<< È lavoro, sono tenuto a farlo >> rispose a mezza bocca, distanziando finalmente quella poltiglia da sotto il naso. L'odore di patate gli stava perforando le cavità nasali.
Così come quella risposta secca e scocciata perforò la sensibilità del padre. 
 
<< Bene, sono contento di sentirtelo dire, perché sta sera ci verrà a trovare il sindaco e qualche vecchio collega. Massima concentrazione >> 
 
"Ancora con queste cene strategiche..." borbottò tra sé e sé, alzando gli occhi verso un soffitto blandamente illuminato. La sala da pranzo era stata ristrutturata pochi mesi prima, diventando il perfetto prototipo di moderno-chic: vetrate gigantesche gettavano sul giardino dove si scorgeva il centro della città, mentre il mobilio interno di cristallo creava dei magnetici riflessi a intermittenza. Qualche volta investivano le pareti, altre invece il volto di chi stesse usufruendo del tavolo. 
 
<< Si, e massima sincerità. Ah no, quella l'ho persa circa trenta incontri fa >> sibilò spontaneamente, non volendo iniziare una nuova ed entusiasmante polemica trita e ritrita. Fortunatamente Gabriel non aveva sentito una parola, o quantomeno si sforzava di passare oltre. 
 
<< Ti consiglio caldamente di migliorare quel sorriso, o gli ospiti si spaventeranno >> commentò alzandosi dal posto. Il completo color grigio scuro lo rendeva più spettrale e temibile del solito, senza contare la posa essenzialmente dura e incorruttibile. 
 
Adrien ingoiò una buona dose d'orgoglio per mostrare un falsissimo sorriso a trecentosessanta gradi << Farò pratica >>
 
Poteva benissimo considerarsi il re del monosillabo, delle conversazioni impossibili da portare avanti. Tanto più voleva riallacciare i rapporti, tanto più gli era difficile accettare il modo in cui farlo.
Obbedire sempre e comunque non poteva rientrare nelle forme di relazione sana, anzi, rimarcava quanta distanza separasse padre e figlio. 
Una distanza ora fisica, dato che Gabriel Agreste s'era lasciato alle spalle la sala da pranzo per ritirarsi nella sua caverna - a detta di Adrien - degli orrori. Non si sarebbe certo stupito se avesse trovato qualche cavia da laboratorista o in una delle sue maison pregiate.
 
Ancora seduto a guardare oltre la finestra, ricevette una piacevole sorpresa proveniente dalla sala immediatamente adiacente. La segretaria del padre aveva aperto la porta, seguita alle sue spalle da una minuta ragazza zuppa come un pulcino sotto la pioggia. 
Malgrado l'acqua le avesse incollato delle ciocche al volto, non c'era niente di meno attraente in una Marinette Dupain-Chang avvolta in t-shirt aderente. 
Persino mentre arrancava, appesantita dalla pioggia abbondantemente assorbita dalle vesti, non perdeva quella particolare luce negli occhi.
 
<< Eilà !>> esordì la giovane, salutando il ragazzo timidamente. Guardarla crogiolarsi nel panico così conciata, fece nascere in lui l'istinto naturale di coprila con qualcosa. Magari avvolta tra le sue braccia. Ma questo rientrava in un sogno lungi dall'essere reale. 
 
<< Dimenticato l'ombrello?>> 
 
Di tutte le cose che avrebbe potuto dire, Adrien sputò fuori la frase meno adatta. Solo perché il cuore gli si divincolava dal petto, non era giustificato a comportarsi come un bambino. 
 
<< Ti porto sù, vediamo se ho qualcosa da darti come ricambio. >> aggiunse poi, cercando di rimediare all'uscita pessima di prima.
 
Durante il percorso non le domandò il reale motivo della sua visita, né tantomeno perché fosse completamente bagnata di pioggia, così mentre l'aspettava fuori la porta del bagno, provò ad immaginarsi per quale caspita di motivo si fosse precipitata di corsa proprio da lui. 
Soprattutto mettendo in conto il suo imbarazzo nell'accettarlo. 
 
Era stata coraggiosa, forte, ed anche super incosciente.
 
Quando uscì dal bagno degli ospiti, quello in fondo al corridoio del secondo piano arredato come un'imbarcazione, sembrava una piratessa pronta all'arrembaggio. 
Indossava questa lunga camicia bianco latte, stirata e semplice, che Adrien le aveva prestato, e dei pantaloncini neri che l'inserviente aveva lasciato prima di concludere il servizio. 
Ai piedi, invece, spuntavano due pantofole di morbido velluto che ricordavano tanto le tipiche ciabatte messe a disposizione dagli alberghi di città. 
I capelli, ora asciutti ed alzati in uno chignon disordinato, le davano un'aria di piena disinvoltura e sicurezza, malgrado le si leggesse in faccia che avrebbe desiderato mangiarsi un'intera scatola di cioccolata piuttosto che affrontare un'imbarazzante conversazione con lui. 
 
Adrien le sorrise dolcemente, assicurandosi che fosse completamente asciugata e nelle condizioni fisiche per poter parlare. Le faceva solo un po' male la gola, e ne era decisamente sollevato. 
<< Come mai nei paraggi ?>> le domandò finalmente, dando voce a tutte quelle ipotesi che si era creato in testa. 
 
Mentre s'incamminavano verso la sua camera, Marinette prese a parlare a ruota libera, come se le avessero conferito una scarica elettrica da mille volt in corpo. Qualche volta balbettava e faceva fatica a mantenere un tono comprensibile, ma tutto sommato fu abbastanza chiara. 
 
Fin troppo chiara. 
 
<< Non sapevo cosa fare. Ero fusa, sai? Ho rischiato di farmi tutte le Champs D'Elysees di faccia >> continuò seguendo Adrien fino al divanetto antecedente al letto. Il ragazzo cercava di rimanere calmo.
Ci provava con tutto se stesso a dare una parvenza di ordine, d'altronde se era finita proprio in casa sua l'ultima cosa che le serviva era una bella dose di agitazione extra. Peccato che dentro sentisse un'amarezza sconquassante, di quelle che ti inacidiscono i pensieri inondandoli di inchiostro nero. 
 
Come era potuto accadere ? 
 
<< Sei sicura al cento per cento di ciò che hai visto? >> le chiese candidamente << Te lo dico perché potrebbe veramente distruggere un rapporto >> 
 
Marinette lo guardò talmente sconvolta, che Adrien dovette mordersi la lingua per non dire cose sconvenienti. O fare cose sconvenienti. 
 
<< Non ci posso credere. Cristo Santo, l'hanno drogata o qualcosa, non è possibile >> esordì Marinette mettendosi le mani nei capelli. 
 
<< È pazzesco. Non so se essere più deluso o scioccato >> disse il ragazzo a mezza voce, perso nei meandri delle sue considerazioni. << Nel dubbio dobbiamo parlarne con entrambi presenti >> 
Adrien aveva l'obiettivo di darsi una parvenza di lucidità.
Gli sembrava la soluzione migliore, vero, eppure c'era qualcosa di molto sbagliato in tutto ciò. Primo, perché la rabbia che gli si montava nel petto sembrava continuare a gonfiarsi in modo spropositato, secondo perché tutto il peso di quella scelta sarebbe ricaduto sulle spalle di Marinette e non voleva che si ritenesse responsabile della rottura dei suoi migliori amici. 
 
Nino e Alya erano sempre stati anime affini, viaggianti sullo stesso binario, come era possibile che lei avesse deviato il suo treno verso una destinazione che prevedeva solo l'inferno? 
Inferno e sofferenza seguivano Finn ovunque passasse lo sguardo. 
 
E questo l'aveva capito non solo ripensando ai ricordi che condivideva col ragazzo, ma in particolare modo tramite le varie ricerche eseguite durante le settimane passate. Se ne stava sempre chiuso in casa, o almeno era quello che aveva creduto di primo impatto. 
 
Scavando più affondo nell'oscurità, aveva scoperto che sotto casa Bourgeois si snodava un articolato tunnel sotterraneo che collegava i maggiori punti della città. Come il parassita che era, serpeggiava sotto terra facendo chissà che cosa ed incontrando chissà chi. Addirittura durante ore scolastiche Adrien si era ritrovato a spiarlo nei tunnel, sparendo per ore dall'accademia senza che nessuno se ne accorgesse ( senza contare Marinette ovviamente ). 
 
Non pensava che spacciasse, ma c'era comunque qualcosa di estremamente losco nelle sue scappatelle. In assenza di prove, gli era rimasta solo una cosa da fare per capirci qualcosa: prendere il toro per le corna e parlare con quel maledetto criminale. 
Una scelta che si stava cementando nei suoi pensieri proprio mentre osservava Marinette così distrutta e ripiegata in se stessa. Non gli importava se di fatto avesse clamorosamente violato il patto con Chat Noir ( se lo aspettava dopotutto che non se ne sarebbe rimasta con le mani in mano) anzi, quella sua informazione aveva aggiunto altra carne al fuoco. 
 
<< Bene, allora mi toccherà fare il messaggero della morte. Ma perché non me ne sto mai tranquilla per gli affaracci miei ?>> 
 
Adrien osservò attentamente la linea delicata che il suo collo snello formava accordandosi alle scapole sottostanti: sinuoso e pallido, sembrava un fragile cigno. 
 
<< Perché ti preoccupi per gli altri. A costo di rimetterci anche >> disse Adrien sconsolato. 
<< Non è così come credi ... >> 
 
Adrien la guardò di bieco, inarcando volontariamente un sopracciglio. 
 
<< Ok, è spesso così, ma è più forte di me! Sono testarda e codarda me una bambina. E non cercare di farmi stare meglio, perché so che è vero >> rispose a mezza voce, mettendo a nudo un piccolo pezzo di se stessa. Adrien lo vedeva perfettamente il grigio burrascoso invaderle palpebre: Marinette era come una lente perfettamente calibrata e lucida quando si trattava del dovere, eppure si faceva attraversare da emozioni così intime più profondamente di qualsiasi persona conoscesse. Proprio per questo graffio in fondo alla lente, quello che frantumava il vetro spaccando il campo visivo in più porzioni della realtà, sentiva un costante peso sulle spalle. 
 
Attorno a lui, ad esempio, quella lente si scheggiava, così come accadeva in situazioni particolarmente dolorose. Forse poteva essere cambiata grazie a Ladybug, ma in fondo rimaneva sempre quella ragazza dalla sensibilità fragile. 
 
Anche adesso, che stava cercando di darsi un contegno ingoiando dosi di orgoglio sovrumane, Adrien immaginava quanta rabbia si tenesse dentro. Avrebbe voluto esserci di più per lei, in un modo che solo Chat Noir sarebbe stato capace di fare. 
Confinato nei suoi panni umani, certo gli era concesso ben poco. La loro amicizia non era abbastanza forte per concedergli il lusso di comportarsi da gatto. 
 
<< Non lo farò, se è questo quello che vuoi. Però dovrai provarmelo >> 
 
Marinette si rannicchiò in fondo al divano, dove si incontravano gli assi terminali. 
 
<< Che sei una "bambina codarda" >> seguitò indicando il televisore al plasma proprio di fronte ai loro occhi. Marinette continuava a non capire una parola, così Adrien fu costretto ad afferrare il joystick incastrato accanto l'x-box. 
 
Non appena i suoi occhi azzurri incontrarono l'oggetto stretto nelle mani del ragazzo, quasi scoppiò in una risata buffa. In mezzo a tutto quel disastro, Adrien doveva cavarci qualcosa di positivo per lo meno. 
 
<< Vuoi giocare adesso? >> 
 
Adrien si rigirò il joystick tra le dita, assumendo un'espressione più che maliziosa << Perché? Hai paura? >> 
<< No! Cioè, non è per questo ...>> 
Schioccando la lingua contro il palato, sperava di spingerla ad accettare la sfida << Mhh, sento odore di pollo arrosto qui >> 
 
Vide un guizzo elettrico balenarle nello sguardo. Persino la più calma delle coccinelle può trasformarsi in un predatore se accuratamente minacciata. 
 
<< Metti play, ma ti avverto. Gioco pesante e divento un tantinello competitiva >> 
Le sorrise caldamente << Non vedo l'ora >>
 
 
Dopo circa sei partite e cinque sconfitte incassate, Adrien spense l'x-box umiliato, chiedendosi dove caspita avesse preso lezioni di videogiochi. Marinette non sembrava proprio il tipo da zombie mangia cervelli che invadono le strade di Beverly Hills, eppure l'aveva completamente devastato partita dopo partita, diventando sempre più competitiva mano mano che le lancette segnavano le ore. Ardita, incredibilmente concentrata, si era mostrata un degno avversario. 
 
<< Wow, sono sconvolto >> ammise gettando il joystick sul divano. Si trovavano entrambi seduti a terra, vicini tanto da potersi sfiorare le spalle e percepire i respiri al tatto. 
 
<< Direi che brutalmente sconfitto sia più adatto >> 
Lo disse a bassa voce, nascondendosi il volto fra le maniche larghe della sua camicia, con quell'aria imbarazzata che le provocava sempre un certo rossore alle gote.
 
"Dio se le sta bene la mia camicia" 
 
<< Ouch. Sai come colpire un uomo nel profondo >> rispose battendosi una mano contro il petto. Marinette arricciò su col naso << Mh, so come colpire zombie affamati, questo te lo concedo. Anni e anni di pratica con un padre più che ossessionato >> 
 
Adrien avrebbe desiderato dire molto altro, palesando il fatto che lui si sentisse costantemente e piacevolmente trafitto in sua presenza. Gli ci erano voluti alcuni mesi per capirlo e forse non lo aveva compreso ancora del tutto, ma sapeva con certezza che Marinette gli rimaneva incisa dentro come una freccia spezzata ed incastrata fra le costole. 
 
<< Già che ci siamo, daresti a questo povero sconfitto un'ultima grazia ? >> 
Pochissima distanza. Pochissimo autocontrollo. E decisamente altrettanto scarsa capacità di continuare ciò che stesse proponendo. 
 
<< Mi spiace, sono una giocatrice senza pietà. Tra l'altro che ti sta invadendo casa da fin troppo tempo >> esordì la giovane stiracchiandosi un po' la schiena provata dopo ore di gioco. La camicia era decisamente abbondante per la sua struttura fisica, dunque di tanto in tanto le scendeva inevitabilmente al di sotto delle scapole, lasciando un tratto di pelle scoperta. 
Adrien la fermò prima che provasse ad alzarsi. 
 
<< Resta per cena. Abbiamo il pudding e qualche altro cibo commestibile, lo giuro >> 
Marinette reagì con sorpresa << Non è che vuoi vendicarti della sconfitta ? >> 
Una smorfia gli si dipinse sulle labbra << Beccato. >> 
 
La ragazza lo osservò più attentamente, così analiticamente che ad Adrien parve proprio avesse riconosciuto in lui qualche tratto che le era familiare. 
 
Se prima al tatto Adrien sentiva una certa pelle d'oca da parte sua, adesso i suoi muscoli si rilassavano sotto la mano calda del ragazzo che le avvolgeva il polso delicatamente. 
Stava cedendo? O forse aveva finalmente capito ? 
 
<< Da quando in qua sei diventato così ... >> le mancavano le parole. Evidente che le galoppassero sulla punta della lingua, pronte ad essere servite nella conversazione. 
 
<< Meravigliosamente sarcastico ?>> suggerì in vero stile Chat Noir, strizzando l'occhio teatralmente. Adrien si disse che probabilmente ciò che stava vedendo fosse solo frutto dei suoi desideri irraggiungibili, e che quindi quello sguardo reso dolce e perso non dipendeva da lui. Però ci sperava. Diavolo se ci sperava. 
 
Non l'aveva mai guardato così prima. 
 
<< Mi ricordi qualcuno, sai? >> sputò fuori Marinette d'un tratto. 
Le pupille del ragazzo si fecero sottili come due fessure << Ah si? Dev'essere qualcuno molto speciale allora >> 
<< Sì, lo è. >> 
 
Non pronunciò quelle parole in modo impacciato, piuttosto, sembrava risoluta e lucida. 
<< C-comunque, dovrei avvisare i miei della situazione. Ho lasciato il telefono in camera >> 
 
Diciamo che dopo tutto quel trambusto, poteva perfettamente capire che avesse direttamente abbandonato il cervello a casa. Le prestò il cellulare subito dopo.
 
La chiamata che seguì fu uno schiamazzo di sollievo misto a grida isteriche che la madre di Marinette aveva giustamente accumulato nell'arco di ore passate aspettando uno straccio di chiamata. 
Le aveva urlato cose in cinese, cose che neppure Marinette capiva. 
Proprio mentre la situazione sembrava sfociare e degenerare nell'apoteosi di una reclusione in casa di lungo periodo, Adrien si fece cautamente passare la cornetta. Era il miglior cliente della pasticceria, nonché rinomato bravo ragazzo sempre adorato da qualsivoglia famiglia, doveva pur tentare. 
 
<< Si, Signora è qui al sicuro. No, non è un disturbo per noi, si figuri. Anzi, le volevo chiedere se fosse possibile sequestrarla per cena... i vestiti devono asciugarsi e l'aria fredda potrebbe nuocerle >> 
Impiegò un tono più che pacato ed educato: rasentava la reverenza con quella sua strategica persuasione. 
 
Adrien sapeva il fatto suo quando si trattava di parlare alle masse. 
 
<< Fatto >> asserì poi infilando il telefono nella tasca dei pantaloni. Soddisfatto si crogiolò nello sguardo stupefatto della ragazza, che incredula prese a camminare avanti e indietro per la stanza. 
<< Svelami il tuo segreto. L'hai minacciata? Era statisticamente impossibile che mi lasciasse andare così >> 
 
Adrien ridacchiò << Se te lo dico, poi dovrei ucciderti >> 
 
<< Ti stai forse vendicando dell'umiliazione subita ? >> 
 
Il giovane si rese conto che finalmente Marinette aveva adottato un atteggiamento quasi normale nei suoi confronti. 
 
<< Nah, è solo un modo per darti fastidio. Sei molto semplice da stuzzicare, fattelo dire >> 
Marinette gli lanciò un'occhiata fulminante, per poi slacciarsi la coda muovendo alcune ciocche con i polpastrelli. Nel farlo adocchiò una carta arrotolata ed infilata nel portaombrelli. Prima che Adrien potesse avvisarla del contenuto di tale reperto magico, le dita delle ragazza si mossero più velocemente, puntando alla scoperta del poster segretamente nascosto.
 
 Era una gigantografia di Ladybug in piena azione. 
 
Adrien sentì per la prima volta un imbarazzo opprimente. Fosse stata una persona qualunque probabilmente avrebbe reagito con fierezza, ma lei era tutta un'altra storia. Tenere un poster con quella che credeva fosse proprio la sua faccia lo rendeva uno stalker coi fiocchi. Che poi l'avesse comprato anni prima nei periodi di buia adolescenza non importava affatto, perché ancora lo custodiva, incapace di gettarlo via. 
 
<< E poi sarei io quella facile da prendere in giro >> borbottò osservando attentamente il poster. 
Adrien percepì un senso di timida gratificazione nei suoi occhi, come se ne fosse di fatto lusingata. Un'ennesima prova della sua identità segreta. 
 
<< In mia discolpa posso dire che avevo sedici anni >> 
<< Perché non l'hai buttato allora?>> replicò a bassa voce, cercando di mantenere una certa compostezza.
 
Non era proprio il suo forte. 
 
<< Touchè. Ok, lo ammetto, ero decisamente ossessionato. Però se non ricordo male, anche qualcun altro qui è un piccolo fan dei supereroi >> 
 
La guardò intensamente, mettendo in quella connessione tutte le parole che non aveva il coraggio di dire. Sperava davvero che capisse. 
 
<< Non rigirare la frittata! Stavamo parlando di te qui, il mio rapporto con Chat Noir non c'entra nulla >> 
 
"Furba Marinette"
 
<< Perché, hai un rapporto con lui?>> 
 
"Ma io lo sono di più"
 
<< Ohh sei davvero bravo. Davvero davvero bravo. >> 
Adrien si compiacque così tanto di se stesso che per dimostrarle quanto il suo ego avrebbe potuto crescere, simulò un leggiadro inchino. 
 
Pateticamente teatrale, ma al punto giusto per strapparle un sorriso. Uno di quelli sinceri e fugaci che le donava al volto un'aria fresca. 
 
<< Modestamente ho migliorato le mie abilità convivendo con un padre assente e pretenzioso. È il caso controlli i tuoi vestiti, altrimenti sarebbe sconveniente presentarti così >> 
Malgrado gli piacesse da impazzire, a intendersi.
<< Troppo scandaloso aver accolto una barbona in casa ? >> asserì ridacchiando.
 
<< Nope. Vestita con la mia camicia penserebbero ad altro, credimi >> 
 
Quando uscì dalla stanza tutto pavoneggiato, Adrien era consapevole di aver appena sganciato una bomba. Non era rimasto per godersi il volto paonazzo di Marinette, ma immaginava perfettamente le sue gote chiazzarsi di rosso denso. Come i dipinti dalle pennellate vorticose che custodiva nel corridoio, anche dentro di sé poteva percepire un senso di lento e piacevole sbandamento. 
Bastava guardarlo in faccia per capire quanto quella situazione lo rendesse felice. Poi tutta la felicità fu risucchiata da un semplice promemoria della segretaria paterna. 
 
<< Spero che conserverai questa gioia anche per la cena di stasera con i Bourgeois >>
 
"Merde"















ANGOLO AUTRICE 
... Stavate per chiamare "Chi l'ha visto?", non è vero? Ebbene, probabilmente la mia università mi ha rapita, o forse la grande pigrizia che il caldo trascina con sé in sessione mi ha impedito di scrivere. Anyways, i'm back, e questo è il papiro che la mia mente è riuscita a sfornare. Ancora non so bene come procedere con certe cose, forse prenderà una direzione man mano che scrivo. Sta di fatto che lentamente alcuni tasselli verranno alla luce, promesso!
Grazie per la pazienza <3
Clary_Wonderstruck
 
  
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