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Autore: Lucius Etruscus    19/05/2017    1 recensioni
Boyka e il maggiore Dunja, dopo la disfatta dell'ultima missione, accettano l'accoglienza della Casata Yutani, offerta non certo per bontà di cuore. C'è un importante torneo da vincere, il DOA (Dead Or Alive), dal cui esito dipende il futuro della vasta famiglia. Molti sono i contendenti, molte sono le prove, ma Boyka e Dunja hanno un asso nella manica, anzi... una Regina! Eloise, la xeno-ginoide creata in laboratorio da DNA alieno: è in tutto e per tutto una donna, ma con la forza e la violenza di uno xenomorfo.
Genere: Azione, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fuoco rischiarava la zona e rendeva Dunja visibile a chilometri di distanza. Mentre si scaldava le mani il maggiore si chiese se non stesse esagerando, ma ormai era decisa ad andare fino in fondo.

Aveva ripulito i due soldati che aveva ucciso, prendendo loro un pulse rifle e tutte le munizioni che poteva. Se si considerava anche il suo inseparabile coltello, questo formava un arsenale irrisorio, se davvero voleva affrontare un Predator. Forse se avesse avuto il suo vecchio fucile da cecchino, o meglio ancora il potente fucile datole dal dottor Lichtner, magari se ne poteva discutere, ma con quel semplice fucile d’ordinanza era come se fosse nuda davanti ad uno Young Blood yautja. Non a caso aveva lasciato il pulse rifle a pochi passi da lei, bene in vista, a sottolineare il fatto che in quel momento fosse disarmata.

Un ramo spezzato in lontananza la fece raggelare. Se era il giovane yautja che si stava avvicinando, voleva dire che era un incapace e questo poteva essere pericoloso: poteva essere l’equivalente di un ragazzino terrestre che gioca con armi da adulto. Forse quello non era un buon piano, forse Dunja doveva salire sul mezzo militare con cui i soldati l’avevano portata fin lì: in fondo aveva memorizzato il percorso attraverso le curve e i rumori, probabilmente sarebbe riuscita a tornare alla Casata... ma per fare cosa?

Era da sola contro la Yutani. Tutti la credevano un’eroina ma nessun abitante della città l’avrebbe aiutata contro la Casata stessa. E non poteva affrontare Eve con un semplice fucile. No, aveva bisogno di qualcosa di più potente...

un fruscio sulla destra

... aveva bisogno di qualcuno più potente...

un sibilo di laser che carica potenza

... aveva bisogno di un’alleanza che nessuno avrebbe potuto sospettare.

un lampo di luce nella notte

Dunja si gettò in avanti saltando sopra il fuoco, e schivando per un soffio il fascio laser che colpì la pietra dove era seduta. Gran brutto segno, un Predator che spara a tradimento su una preda umana disarmata: più che un giovane guerriero desideroso del battesimo del sangue questo sembrava un assassino maldestro.

Il maggiore atterrò con una capriola e fu subito in piedi, fissando i cespugli intorno: alcuni si muovevano in modo diverso, come se ci fosse qualcuno nascosto dietro. Altro pessimo segno, un Predator incapace di nascondersi...

«Sono tua amica!» gridò Dunja nella lingua yautja: il cespuglio smise di muoversi. Aveva stupito l’avversario e non doveva perdere l’occasione. «Siamo finiti in un gioco più grande di noi: unisciti a me e combatteremo chi ha tradito la nostra antica alleanza.»

Era innegabile che dopo tanti anni la sua conoscenza della lingua yautja era molto arrugginita, così pensò a frasi brevi e non complesse, per evitare qualche sfondone. Nella Yutani in cui era cresciuta gli Yautja erano stimati come valorosi guerrieri e l’antica alleanza delle due casate si esprimeva nello studio reciproco. Da troppo tempo non le capitava più di parlare quella lingua, ma averla studiata bene da giovane le tornava utile.

Il silenzio però fu l’unica risposta che ottenne, così provò ancora. Alzò le mani lentamente in aria. «Sono disarmata. Non voglio combattere contro di te. Non sono tua nemica.» Niente, nessun tipo di reazione. E se fosse una trappola? Fingersi incapace per far abbassare la guardia al nemico? Dunja ne sapeva qualcosa...

Si chinò di scatto, guidata esclusivamente dall’intuito militare, proprio mentre una rete metallica cercava di imbrigliarla. Non era stata lanciata dal cespuglio, quindi la sceneggiata del Predator incapace era solo un trucco. Non sapeva se gioirne o meno...

Rotolò da un lato e afferrò il pulse rifle, solamente per alzarlo in aria e lasciarlo cadere. «Non voglio combattere con te. Non sono tua nemica», ripeteva il maggiore, confidando almeno nella curiosità del suo avversario. Un tonfo davanti a lei fu il segno che la curiosità aveva fatto effetto.

Uno sfrigolio di scariche elettrostatiche accompagnò la “comparsa” del Predator, che disattivò la sua invisibilità. Aveva capito le intenzioni di Dunja o semplicemente non la reputava un avversario così pericoloso da rimanersene nascosto?

«Le nostre casate sono state ingannate», si affrettò a dire ad alta voce il maggiore. «Yutani e Yautja sono sempre stati amici. Io sono tua amica.» I suoni acuti le venivano malissimo ma sperò che il senso della frase fosse comunque comprensibile.

Il Predator fissò a lungo la donna prima che un suo verso risuonasse nel silenzio. «Il tuo accento fa schifo.» E si scagliò contro Dunja.

~

«Fammi capire», disse l’asiatico con fare sarcastico. «Tu sei il migliore lottatore dell’universo e vuoi che la tua allieva combatta per la nostra Casata?»

Boyka annuì. Non era stato facile rapire un soldato e farsi trasportare fino allo stadio dov’era in corso il torneo DOA. Non era stato facile trovare la Casata con meno possibilità di vincere – la cinese Jingtì Lóng – e spiegare che il campione della Yutani, Testa di Cuoio, era ben noto a Boyka e la sua allieva poteva batterlo quando voleva, una volta superati i vari gironi ad eliminazione.

«Se questa tua allieva è così brava», chiese sorridendo l’uomo asiatico, «perché non andate dalla Yutani a proporre di lasciar combattere lei al posto del loro Testa di Cuoio?»

L’uomo rideva, ma Boyka no. «Ci abbiamo già provato, ma ci hanno riso in faccia. Volevo offrire la vittoria alla Yutani ma non l’hanno voluta, così ora la offro a voi.»

L’uomo continuava a sghignazzare. «Perché mi fai questi discorsi quando sai benissimo che non mi convincerai mai?»

Boyka scosse le spalle. «Perché così non mi sento in colpa a fare questo.» Fece un cenno e l’uomo asiatico, incuriosito, si voltò nella direzione a cui il cenno era indirizzato, voltando la testa nel momento esatto in cui Eloise faceva volare via il lottatore della Jingtì Lóng con un calcio.

Si trovavano negli spogliatoi e non era stato facile accedervi: ne avevano dovuti picchiare di buttafuori. Non c’era molto spazio per volare così il lottatore colpito sbatté contro una parete e crollò a terra: almeno quella sera non avrebbe potuto combattere. Forse neanche rinvenire.

«Ma voi... siete pazzi...» bisbigliò l’asiatico, rimasto a bocca aperta, tornando a guardare Boyka. «Io vi denuncio a...»

«Lasciamo stare le stupidaggini», lo interruppe il lottatore. «Puoi chiamare il giudice di gara e fare un gran chiasso, ma rimane il fatto che stasera la vostra Casata non ha nessuno da far salire sul ring. Se invece accetti la mia allieva, quella che ha appena fatto volare il vostro miglior lottatore attraverso la stanza, ti garantisco la vittoria in tutti gli incontri. Compreso quello contro Testa di Cuoio.»

L’uomo era scandalizzato ma pensava anche in fretta. «Come fa quella ragazza a picchiare così duro?»

«Ha sangue e muscoli alieni in corpo», rispose onestamente il lottatore, «ma io non lo andrei a dire al giudice.»

L’asiatico fissò Boyka per diversi secondi. «Tutti i lottatori sono potenziati in qualche modo, non sempre lecito: nessuna Casata chiederà un’indagine che potrebbe smuovere troppo le acque.» D’un tratto allungò una mano verso il lottatore. «Affare fatto, ma se quella tipa perde vi ammazzo entrambi e dico ai giudici che mi avete ricattato. Il che è anche vero.»

Boyka sorrise e strinse la mano. «Preparati a vincere il DOA.»

~

Il garage era avvolto nella semi-oscurità. L’unica luce era quella che rischiarava il motore della Ford Mustang su cui Lucas stava lavorando.

La mattina dopo sarebbe iniziato il DOA Race, il motivo per cui la sua vita era stata completamente stravolta, e non poteva negare di essere teso. Non per l’esito della gara, ma per ciò che ne sarebbe seguito: cos’aveva in serbo per lui la Yutani? Niente per cui dormire sonni tranquilli, malgrado le tante promesse di Eve.

«Non dovresti andare a riposare?»

Era stata proprio Eve a parlare, senza che Lucas alzasse lo sguardo. «Ho quasi finito», si limitò a rispondere. Aveva smontato e rimontato quell’auto chissà quante volte, ma voleva che fosse perfetta per la gara. Qualunque sarebbe stato il suo destino, comunque l’auto doveva risplendere.

Eve si avvicinò e si mise a guardare anche lei il motore dell’auto, senza dire niente.

«Vuoi controllare che non stia nascondendo qualcosa nel motore?» chiese Lucas con tono indifferente, sempre senza voltarsi.

La donna rispose dopo qualche attimo di silenzio. «Stasera ho mandato a morire una persona che non lo meritava. Sono tenuta a compiere atti spregevoli, ma non vuol dire che io sia spregevole.» Lucas non rispose. «Mi piacerebbe essere il robot che tutti pensano che io sia, perché allora sarei priva di sentimenti e sarebbe un sollievo.»

«Io sono una persona semplice», disse l’uomo armeggiando con degli strumenti, «e se una persona si comporta da assassino, per me è un assassino.»

Immobile, Eve rispose dopo qualche secondo. «Ti va di essere un po’ gentile con me, almeno stasera?»

Lo disse quasi in un bisbiglio, ma Lucas sentì benissimo e alzò di scatto il busto dal motore dell’autore, piantandosi a pochi centimetri dal volto della donna. «E tu? Sarai gentile con me e mi lascerai andare?»

Eve sostenne lo sguardo. «Sai che non posso...» mormorò.

«Però hai il coraggio di chiedermi gentilezza nei confronti del mio carnefice, eh?» Lucas cominciò ad urlare e a pressare la donna. «Domani rischierò la vita per colpa tua e mi chiedi gentilezza?»

L’uomo gridava mentre la donna indietreggiava, finché Eve si ritrovò con le spalle al muro, spinta indietro da Lucas, con gli occhi furenti. La guardava come quel giorno della gara di prova, come nel momento in cui la mandò fuori strada. La guardava come quando la uccise. La guardava... come lei aveva scoperto che le piaceva. «Uccidimi...» bisbigliò la donna, e Lucas perse il controllo.

Afferrare il collo della donna e stringerlo, premendo con ogni muscolo del proprio corpo quel collo contro la parete, non fu una scelta dell’uomo: fu come un riflesso condizionato impossibile da contrastare. Con gli occhi offuscati dalla rabbia e i denti digrignati, Lucas rilasciava ogni briciolo di energia nell’esecuzione del suo sogno: uccidere quella donna mostruosa. Sapeva benissimo che era impossibile, sapeva benissimo che era esattamente quello che lei voleva, ma non era più in grado di pensare lucidamente.

Eve non respirava più e sentiva la testa gonfiarsi. Sentiva le vene ingrossarsi sulle tempie e negli occhi, sentiva la violenza riversarsi in lei e riempire tutto il suo essere. Fissava gli occhi omicidi dell’uomo e ne godeva la forza distruttiva: lui la odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo, e quell’odio la faceva impazzire.

L’aveva scoperto quel giorno, in cui era morta in auto. In tanti le avevano sparato, aveva perso il conto di quante volte era morta per la Yutani, ma quello era diverso. Quello era dannatamente personale. Lucas non voleva colpire la Casata, non voleva combattere un nemico o altro: Lucas voleva uccidere lei, in persona, non come simbolo. Quando l’uomo l’aveva vista rialzarsi dalle macerie dell’auto era quasi impazzito dalla frustrazione, tanto che Eve cercò di consolarlo nell’unico modo che conosceva: donandogli la propria morte. «Uccidimi ancora», gli aveva detto quando ancora il suo corpo era fumante dell’incendio dell’auto, e Lucas le era saltato addosso. La donna non aveva opposto resistenza quando l’uomo aveva afferrato una sbarra dell’auto e aveva cominciato a trapassare il suo corpo già devastato. Piangendo e gridando, Lucas aveva scoperto un insano piacere nell’infierire sul corpo di Eve... e la donna aveva scoperto di amare quella furia distruttrice.

La bocca della donna ora si aprì e il suo corpo rimase molle tra le mani di Lucas: l’aveva uccisa di nuovo. L’aveva posseduta nell’unico modo in cui Eve poteva essere posseduta. Allentò la presa al suo collo e la tenne lo stretto necessario per sostenere il corpo della donna, che ora lo guardava con occhi vitrei. Lucas si strinse a lei e baciò le labbra aperte, morte, e premette forte. Voleva che il primo respiro di Eve risorta lo prendesse da lui.

La sentì tornare il vita fra le sue labbra, odiandola per questo: non bastava tenerlo in ostaggio come pilota, ora era invischiato anche come uomo. Mai aveva provato un piacere simile, e poteva averlo ancora solo da Eve... Per questo la odiava ancora di più.

Quando le labbra si separarono, Eve non aveva sul volto alcun segno della passata esperienza. Solo il broncio di una donna che ha goduto in un modo illecito.

«Un giorno mi dirai di cosa sei fatta?» chiese Lucas ansimando, vergognandosi di aver ceduto a quell’insana passione.

«Ora come ora», mormorò Eve, «sono fatta del tuo odio per me...»

   
 
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