Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    20/05/2017    6 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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UNA DELOREAN PER DUE
 
 
Due giorni dopo la chiacchierata di Pete e Midori sulla spiaggia, nel calore di un tardo pomeriggio di inizio giugno, Fabrizia pedalava a rotta di collo sulla vecchia mountain-bike, in piedi sui pedali, dirigendosi alle scuderie. Ripensava a quello che Pete le aveva raccontato la sera prima riguardo a Midori mentre, sulla terrazza, cercavano un po' di respiro dall'ondata di afa. Non era una cosa facile da mandare giù, pareva ai limiti dell’assurdo anche solo ipotizzarla una cosa del genere, figurarsi crederci! Tuttavia, se anche una persona pratica e razionale come Pete non aveva escluso la possibilità che davvero Midori venisse da un altro pianeta, ecco che le probabilità che fosse vero si alzavano in modo esponenziale. Ormai la prova che gli alieni esistevano l’avevano avuta, pure troppo! Dove stava scritto che gli Zelani dovessero essere gli unici nell’universo?
Briz non era riuscita a vedere la sua amica e a parlarle, anche se in realtà non sapeva bene cosa avrebbe potuto dirle: ci si era arrovellata tutta la notte, senza riuscire a digerire la faccenda. Lasciare Sanshiro le era sembrata una mossa a dir poco folle, eppure non riusciva ad essere in collera con lei e le perdonava anche il fatto di non averla scelta come confidente: pur faticando a farsi una ragione di ciò che Pete le aveva riferito, si chiedeva cosa avrebbe fatto, lei, nei panni di Midori.
Era solo tremendamente triste all'idea di separarsi da lei, se tutta quella storia fosse stata vera; era arrivata persino a sperare che Midori fosse solo stanca e stressata al punto di soffrire di allucinazioni, ma poi si era vergognata di quel pensiero e aveva deciso, almeno per il momento, di provare a non pensarci, anche se non le riusciva molto bene.
Superò in velocità il cancello aperto, notando la moto di Pete e, da bravo maschiaccio, si fermò bruscamente con una sgommata di traverso che lasciò un solco nella ghiaia.
Si sentiva, come sempre, nervosa eppure eccitata all'idea di vederlo. Le bastava pensare a lui per tornare, con la mente, a quei magici istanti passati tra le sue braccia, sotto alle foglie verdi dell'Albero, non molti giorni prima; ma sapeva anche che per Pete quei baci erano solo un piacevole diversivo, ed era sicura che lui pensasse la stessa cosa riguardo a lei. Meglio così: le cose non potevano, non dovevano superare quel limite, altrimenti sarebbe stato un casino.
Dio, cosa avrebbe fatto quando la guerra fosse finita e tutti loro fossero tornati alla vita di prima? Si chiese come avrebbe fatto ad andare avanti e a tornare a un'esistenza normale.
Bah, ma che viaggi si faceva? Non ci sarebbe mai più stato niente di normale in futuro, né per lei, né per nessuno di loro, dopo quel difficilissimo, avventuroso e orribile periodo.
E poi… quale futuro? Se l'Orrore Nero li avesse sconfitti, nessuno ne avrebbe più avuto uno.
E a quel punto, pensò di nuovo a Midori: le mancava proprio, la prospettiva di perdere anche la sua migliore amica. Però… le venne da pensare che, se fosse davvero stata un’aliena e se ne fosse andata, almeno lei si sarebbe tolta da questa guerra schifosa…
"Chiudila qui, con 'sti pensieri, o ne esci pazza" si disse, determinata a concedersi un po’ di tregua con i suoi animali, mollando la bici contro il muro e raggiungendo il recinto sul retro.
I cavalli erano lì entrambi; il vecchio stereo diffondeva le colonne sonore dei suoi film preferiti, ma non c'era traccia di Pete.
– Dove sei, Capitan America, ti sei perso? – chiese, rientrando nel corridoio interno.
Per tutta risposta, ci fu qualche rumore sopra di lei, proveniente dal piccolo fienile situato sopra ai box, e una leggera pioggia di fieno profumato le cadde sulla testa e sulla t-shirt nera con il logo dei Linkin Park.
– Ahahah, molto divertente! – brontolò lei, alzando lo sguardo verso l’alto e spazzolandosi con le mani i capelli e le spalle, prima di arrampicarsi agilmente sulla scaletta.
– Allora, che succede: Regression Time? Ti è tornata voglia di fare il bel tenebroso scorbutico e solitario? – chiese guardandosi intorno, nella penombra.
Da una piccola finestrella, posta sul soffitto di legno spiovente, filtrava una lama di sole, dentro alla quale danzavano minuscoli granelli di polvere; Pete era seduto su una balla di fieno, chinato in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e la testa bassa: sollevò appena lo sguardo, quando si trovò la ragazza davanti.
Briz notò le sopracciglia contratte, la ruga verticale tra di esse e l'espressione turbata; non aveva ancora detto una mezza parola, era evidente che fosse accaduto qualcosa.
– Che ti ho fatto, stavolta? – gli chiese, inginocchiandosi di fronte a lui.
Non ricevendo risposta, aggiunse sottovoce: – Qualunque cosa sia, mi dispiace.
– Perché dovrebbe essere colpa tua? – disse finalmente Pete.
– Ohi, il Muto di Portici ha ritrovato la voce! È che di solito sono io che ti faccio arrabbiare: sono la rompicoglioni, no? Per quanto, se non ricordo male, mesi fa mi hai concesso il solo un po'.
– Non è colpa tua, rassicurati. E poi non sono arrabbiato: se ci pensi, è un po' che non mi succede, soprattutto con te – le rispose con un mezzo sorriso, senza riuscire a mascherare l’incertezza che gli incupiva l’azzurro degli occhi.
– Anche questo è vero. Quindi? Hai qualcosa da dirmi, o posso andarmene per i fatti miei, a fare una passeggiata a cavallo? Che poi, sai che puoi venire anche tu, se vuoi.
Pete di nuovo non rispose, ma scosse la testa: era evidente che non fosse giornata. Afferrò una busta bianca posata vicino a lui sulla balla di fieno, e gliela porse; Briz prese la lettera e lesse il mittente: la Marina Mercantile degli Stati Uniti. Ma che cosa diavolo…? Stava per chiedergli del contenuto, quando si rese conto che era ancora sigillata.
Sospirò e gli si sedette accanto; guardò di nuovo la lettera, poi lui.
– Non l'hai aperta… E se fosse qualcosa che… riguarda tuo padre? – disse, esitante.
Pete sbottò, in tono canzonatorio: – Però, un intuito che nemmeno Horatio Caine di C.S.I. quando si toglie gli occhiali!1 E che altro potrebbe mai essere, Briz? Mio padre è l'unico anello di congiunzione che può esserci tra me e la Marina Mercantile! È proprio per questo… che non ho il coraggio di aprirla – ammise a malincuore.
– Ah, questa è proprio bella! L'eroico e intrepido pilota del Drago Spaziale che ha paura di qualche parola scritta su un foglio di carta! E dai, Pete!
Lui le strappò la lettera dalle mani.
– Al diavolo, lo sapevo che non avrei dovuto dirtelo! – esclamò, facendo per alzarsi.
Briz allungò un braccio, lo afferrò per il lembo della camicia a quadretti che gli usciva dal di dietro dei jeans e lo ritrascinò a sedere.
– Ma dove accidentaccio vai? Lo so, che questo argomento ti fa regredire allo stato di Neanderthal, ma dovrai affrontarlo, in qualche modo!
– Sì, divento un Neanderthal, va bene?! Il pensiero di mio padre e di quello che ha fatto riesce… a farmi venire il magone. Vado ai matti e non capisco più niente.
– Maaa… e il tuo glaciale autocontrollo, dov'è finito?
– Boh, non so… Un giorno è piombata nella mia vita dall'Italia una fanciullina selvatica e mezza matta che… ha letteralmente buttato nel cesso tutte le mie convinzioni!
– Meraviglioso: avrei dovuto immaginarlo che sarebbe stata colpa mia anche questo! Comunque, tornando dove eravamo: sei stato il confidente perfetto per Midori che, scusa se te lo dico, mi pare alle prese con qualcosa di ancora più grave! E sei riuscito a tranquillizzarla e a darle tutti i consigli giusti, compreso quello di affrontare a testa bassa il suo problema… e poi tu non vuoi farlo? – finì con più dolcezza.
– No, non credo. Forse ha ragione Midori, che mi ha detto che predico bene e razzolo male…
– Su cos'altro, razzoleresti male?
– Niente, niente, lascia stare… – la chiuse lì Pete, più confuso che mai.
– Vuoi… che la apra io? – gli chiese Briz all'improvviso, senza altri giri di parole.
Pete la osservò qualche secondo, valutando la cosa. Lei sperò che rispondesse in fretta, perché se avesse continuato a guardarla così, gli sarebbe saltata addosso, e non certo per picchiarlo.
Senza parlare, Pete annuì: le diede la lettera e chinò di nuovo la testa, sentendosi ai limiti della frustrazione.
Briz lacerò la busta, tirò fuori il foglio e cominciò a leggere, portandosi con le dita la ciocca bianca dietro all'orecchio. Pete la guardò in silenzio, scrutando le espressioni del suo viso man mano che procedeva nella lettura; a un certo punto la vide spalancare gli occhi e portarsi una mano alla bocca, in un gesto di incredulità.
La ragazza deglutì e sbatté le palpebre, infine, con un sospiro, ripiegò il foglio in due e glielo porse; gli sorrise.
– Credo proprio… che dovresti leggerla.
Pete prese il foglio e, con gesti lenti e incerti, lo riaprì e cominciò a scorrere le righe. Giunto alla fine si lasciò sfuggire un sospiro; alzò gli occhi al basso soffitto di legno e si appoggiò all’indietro, contro la parete.
– Non riesco a crederci – mormorò, mentre il foglio cadeva ai loro piedi.
– A me non pare una brutta notizia, Pete – commentò semplicemente Briz.
La lettera annunciava che George Robert Blackwood, l'Ufficiale in seconda sulla Blue Princess – la nave mercantile comandata da William Richardson e quasi naufragata a causa sua, quasi sette anni addietro – da circa tre anni era uscito dal coma, causato dal colpo in testa di un pesante gancio da carico.
Purtroppo George, al momento del risveglio, non ricordava nulla della notte della tragedia e di gran parte della sua vita: il suo fisico e la sua mente debilitati avevano necessitato di mesi e mesi di terapia per tornare a una parvenza di normalità. Per recuperare la memoria poi, e ricordare anche solo ciò che riguardava la sua vita privata, c'era voluto ancora di più. Ma poche settimane prima, improvvisamente, anche gli ultimi ricordi erano tornati, tutti quanti. E ora, George chiedeva insistentemente di essere messo in contatto con i figli del Comandante William Richardson, sulla cui memoria pendevano pesanti accuse di negligenza, naufragio, lesioni e omicidio colposo plurimo.
– Pete, non sei contento che Blackwood sia vivo e stia bene? Tom disse che gli eravate affezionati – gli chiese Briz, vedendolo così assorto e posando una mano su quella di lui, stringendola appena. Pete si riscosse e la guardò.
– Sì, certo che sono contento! George era un amico di famiglia, per me e Tom era quasi uno zio, ci voleva bene. Quello che mi chiedo è… perché questa urgenza di parlarmi? Io… io non credo di essere pronto per ascoltare altri orribili particolari di quella notte! Lui ha ricordato, mentre io… vorrei solo dimenticare.
– Io ti capisco… ma magari quei particolari non sono così orribili. Potrebbero essere solo… un altro punto di vista.
– Sì, per confondermi ancora di più le idee! Non so cosa fare, Briz! Non so se faccio bene a mettermi in contatto con lui! Lo ammetto, ho paura di peggiorare le cose… ne ho già abbastanza, di pensieri, io… non ce la faccio!
Oh, Dio, povero Pete! Così forte, determinato e coraggioso quando si trattava di scendere in battaglia per difendere la Terra, e così incredibilmente vulnerabile quando si toccava la sfera dei sentimenti e delle emozioni.
– Senti… mi rendo conto che questa eventualità ti inquieti, ma… – cominciò Briz.
– So cosa stai per dirmi – la interruppe lui – Che dovrei farlo e fine. È solo che… mi piacerebbe avere la certezza che è la cosa giusta da fare, capisci?
– E che cosa vorresti, sentiamo! Una bella centuria di Nostradamus personalizzata? Oh, no, aspetta, magari un segno dall'alto dei Cieli: l'Arcangelo Gabriele con la spada infuocata che ti annuncia che George Blackwood ha solo buone notizie da darti!
A Pete sfuggì, suo malgrado, un sorriso e scosse la testa: solo Briz era capace di allentare la tensione in quel modo, con le sue battute spiazzanti e i suoi fantasiosi esempi. 
– Ti diverti a prendermi in giro, eh, Bri? È ovvio che non è questo che intendo… In realtà, non so nemmeno io cosa voglio, lo ammetto.
Così, con un gesto che gli venne del tutto spontaneo, chinò la testa sbuffando appena e le appoggiò la fronte su una spalla; si sentiva profondamente stanco, le tempie gli pulsavano e gli bruciavano gli occhi. Briz gli passò una mano sulla folta capigliatura, non tanto per consolarlo, quanto perché le piaceva farlo: adorava i suoi capelli, di quel biondo scuro dai riflessi rosso-dorati, e la consistenza delle morbide ciocche che le scivolavano tra le dita, anche ora che avrebbero davvero avuto bisogno di un taglio decente.

 
Briz-e-Pete-fienile

Rimasero zitti per un po', ascoltando la musica che proveniva da sotto: la colonna sonora di “Transformers” di Steve Jablonsky si spense lentamente, lasciando il posto a un'altra traccia, decisamente più datata. Riconoscendola, Briz sollevò la testa di scatto; lui fece altrettanto, staccando la fronte dalla sua spalla.
– Pete! Volevi un segno? Senti questa musica!
Il giovane obbedì e ascoltò per diversi istanti.
– È la colonna sonora di “Ritorno al Futuro”: quale segno dovrei mai vederci?
– Una volta hai detto che avresti voluto una macchina del tempo: beh, ora che ce l'hai, non la vuoi più!?
Pete la guardò come se stesse dando i numeri, e lei fu costretta a spiegarglielo: lo prese per le spalle dandogli una scrollata.
– Ma non capisci? Questa musica ti sta dicendo che George Blackwood… è la tua DeLorean!
– La mia DeLo… – il giovane si interruppe di botto, mentre capiva il ragionamento della sua amica.
– Dio, Briz, probabilmente hai ragione! Non somiglia granché a Nostradamus e nemmeno all'Arcangelo Gabriele, ma potrebbe davvero essere un segno.
– Certo che lo è! Ed è meglio che ti sbrighi e non ci metta una vita per deciderti a contattare George: a volte le occasioni si perdono… – disse lei, alzandosi.
Pete la tirò di nuovo a sedere, come aveva fatto lei poco prima, tirandola per il cinturone di cuoio e facendosela quasi cadere in braccio. Le fece una carezza sul viso, e appoggiò la fronte alla sua; in un attimo l’aria, già calda, diventò rovente.
Oh, Signore, era inequivocabile: quella di Pete era la faccia da voglio baciarti… E adesso? Fabrizia ci pensò un attimo e lo anticipò, lasciandogli un piccolo, insulso bacio, all’angolo della bocca, prima di alzarsi in piedi bruscamente, allontanandosi di un paio di passi.
 – Tutto qui? – si lamentò lui, che effettivamente si era aspettato qualcosa di più.
– Non voglio che succeda come le ultime volte; non qui – esclamò Briz, decisa, con le mani aperte davanti a sé, come per tenerlo a distanza.
Lui rimase seduto sulla balla, ma sfoderò il tono da presa in giro.
– Strano, avevo avuto l'impressione che baciarmi come si deve ti fosse piaciuto.
– Oh, ma buongiorno! Dici davvero? – sbottò Briz ricambiando l'ironia – Certo che mi è piaciuto, come a te, del resto. E proprio per questo, ti invito a renderti conto di dove ci troviamo e dell'atmosfera che si respira qui! – gli disse, indicando con un gesto circolare della mano il piccolo fienile, la penombra, la lama di sole, l'odore piacevole del fieno e la sensazione di calda intimità che quel posto evocava.
Pete non fu capace di darle torto: gli balenò nella mente l'immagine di loro due abbracciati, distesi sul fieno, con le bocche fuse una nell'altra, a baciarsi perdutamente… E di lì, al pensiero delle loro mani che cominciavano a frugare sotto agli abiti, il passo fu breve. 
Stoppò perentorio i suoi pensieri prima che partissero per lidi altamente pericolosi. Col cuore in gola la guardò, in piedi davanti a lui: era più che palese che stava pensando anche lei alla stessa identica cosa. La sensazione di essere in bilico su qualcosa ad alto tasso di rischio, fu tangibile; sensazione che venne immediatamente rafforzata dalle parole di Briz.
– Parliamoci chiaro, Richardson: rubarci qualche bacio ogni tanto, per gioco, può anche capitare, ma qui… non va bene. Non voglio che succeda qualcosa di cui potremmo pentirci – e così dicendo, si infilò giù per la scaletta.
Aveva i piedi solo sul secondo piolo, con le anche appoggiate al bordo del fienile, che lui la chiamò per bloccarla e andò a inginocchiarsi di fronte a lei per guardarla in viso.
– A volte sembri persino saggia, lo sai? – le disse a voce bassa.
– Ma saggia dove…? Sono stupida, altroché… – replicò Briz in un soffio, chiudendo gli occhi.
Gli mise una mano tra i capelli e gli scoccò un bacio rovente sulla bocca, mordicchiandogli le labbra con dolcezza e sensualità, facendogli quasi girare la testa. E poi… aveva appena cominciato a fare la stessa cosa anche lui, che… Puf! Era tutto finito: Briz lo aveva lasciato e aveva sceso la scaletta in un lampo.
Lui ebbe appena il tempo di vederla scomparire, mentre gli gridava:
– Contatta Blackwood, Pete! Non sei mai stato un fifacchione, non vorrai diventarlo proprio ora, quando il destino ti sta dando l'occasione per pareggiare i conti col tuo passato!
Pete rimase lì, seduto sul bordo del fienile con le gambe penzoloni, a guardare il punto in cui Briz era sparita. Altro che stupida, era una furbacchiona! Aveva avuto voglia anche lei di baciarlo, ma per paura che le cose potessero degenerare, prima di farlo si era messa in posizione di sicurezza! E tutto sommato, aveva fatto bene.
Per quanto potessero desiderarlo, non potevano permettere che il loro strano rapporto passasse, da un punto di vista fisico, su un altro piano.
“Un bacio ogni tanto…” Cavoli, neanche avessero avuto quindici anni! Tuttavia, sapeva già che se lo sarebbe fatto bastare, perché ormai… sentiva che senza nemmeno quello, sarebbe morto!
L'esortazione di Briz continuava a risuonargli nella mente: "Contatta Blackwood". Gli serviva un po' di tempo per racimolare quel po' di determinazione in più, proprio come Midori, ma sapeva che lo avrebbe fatto. Come spesso accadeva, Briz aveva avuto ragione: George era davvero la sua DeLorean!
Pensò che, ultimamente, le ombre del passato si accanissero su lui e Midori ma, almeno da un po', sembrava avessero smesso di prendere di mira la sua povera fanciullina. Di problemi e pensieri ne aveva sicuramente molti, non ultimi quello della sua amica e tutto ciò che era legato alla NGC… ma, almeno per quel che riguardava i suoi tormentosi trascorsi, gli sembrò che avesse trovato un po’ di equilibrio e serenità.
Ovviamente, non sapeva ancora quanto si sbagliasse.
 
***
 
Il pomeriggio successivo, portando due bottigliette di aranciata, Briz andò a trovare Midori nella sala di guardia a bordo del Drago; l’amica era impegnata nello studio di alcuni codici di comunicazione zelani, trovati nel dischetto che Yock e Lyra avevano consegnato loro. Midori, solo guardandola, aveva capito che Briz sapeva già tutto; d'altra parte, lei stessa aveva detto a Pete che poteva parlargliene.
Briz non disse una parola, posò le bibite sul tavolo, si sedette sulla sedia accanto a lei e le passò un braccio attorno alle spalle. Midori si lasciò abbracciare con un sospiro avvilito.
– Perdonami… non volevo confidarmi con te per non caricarti anche di questo pensiero, ne hai già tanti. Ma alla fine… ho detto a Pete di farlo lui. Sono dannatamente codarda in questo periodo.
– Shh, zitta! Non ho la più pallida idea di come potrà andare a finire questa faccenda; so solo che non prevedo niente di buono, e che sarà una cosa che ci schianterà tutti. Avevamo proprio bisogno anche di questo! Eppure, in qualche modo, quando ne parlerai con Doc ti starò vicina, insieme a Pete.  
– Tu dovresti stare insieme a Pete in un mucchio di altri sensi, ma lasciamo perdere…
– Ecco, brava: credo tu abbia ben altro di cui preoccuparti, ora! – la rimproverò Fabrizia; poi aggiunse, più dolcemente: – Dori, se dovessi andare a finire anche oltre i confini dell'Universo, e non ci dovessimo vedere mai più, tu resteresti, sempre e comunque, la migliore amica che abbia mai avuto. Ti è chiaro il concetto?
– Cristallino: sarà così anche per me – mormorò Midori, sull'orlo delle lacrime.
In quel momento entrò Pete, seguito a poca distanza da Sanshiro che, però, non sapeva niente dei tormenti di Midori. Il giovane ebbe la tentazione di andarsene quando la vide, ma un'occhiata di Pete lo convinse a restare. Il Capitano non aveva tutti i torti: il fatto che loro due si fossero lasciati, non voleva dire che non potessero più stare contemporaneamente nella stessa stanza, soprattutto quando ci fosse stato anche qualcun altro a fare da cuscinetto.
Pete e Sanshiro erano reduci da un paio d'ore di addestramento e Briz da un turno di guardia, e indossavano ancora tutti le uniformi.
Pete e Fabrizia si sorrisero fugacemente e Sanshiro pensò: "Ma guardali: gli innamorati perfetti! E nemmeno prendono l'idea in considerazione, questi due scemi atomici! Per non parlare degli altri due, i super-ingegneri astrofisici: che se ne fanno Sakon e Jamilah di tutta la loro intelligenza, se ancora non hanno trovato il modo per mettersi insieme? Che tre coppie di sfigati, che siamo, tra tutti e sei!"
In quel momento, sul monitor principale, apparve il viso di Nagai, il militare che, insieme al suo collega Leiji, montava di guardia al cancello principale della base.
– Comunicazione per il Comandante Cuordileone.
– Sono qui: dimmi, Nagai.
– C'è una persona che chiede di lei.
– Di me? Ma sei sicuro? Io non conosco nessuno qui in Giappone, che possa cercarmi di persona.
– Beh… non è giapponese.
– Non è…? E da dove viene?
– Dall'Europa, Comandante, per la precisione dalla Spagna.
– Gli hai chiesto i documenti? – domandò Pete a Nagai, incuriosito da quella stranezza, mentre il cuore di Briz dava un balzo e si sentiva improvvisamente la bocca secca: fu costretta a bere un po' di aranciata, per non ritrovarsi con la lingua appiccicata al palato, mentre Nagai rispondeva.
– Sì, Signore, ho controllato il suo passaporto, è tutto in regola: si chiama Santana. Diego Santana Da Silva.
Il silenzio che si manifestò fu quasi assordante.
A Briz andò di traverso l'ultimo sorso di aranciata e cominciò a tossire; Midori le diede qualche pacca sulla schiena finché le passò.
Sanshiro non aveva mai sentito quel nome in vita sua, ma Midori e Pete si guardarono sconcertati; poi guardarono la loro amica, sul cui volto il rossore per l'accesso di tosse lasciava il posto a un pallore malsano. L'aranciata le ribollì nello stomaco e, per un attimo, Briz temette di vomitare l'anima.
Diego in Giappone? C'era un'unica spiegazione: dormiva e stava avendo un incubo, e il peggio era che non riusciva a trovare il modo di svegliarsi! In cerca di aiuto, affondò gli occhi immensi in quelli del Capitano Richardson che, stupito quanto lei, poté solo scuotere la testa e allargare le braccia, in un gesto impotente. Nemmeno lui aveva la più pallida idea di cosa pensare, ma la sua espressione sembrava dirle che, no, non era un incubo.
– Opporca puttana di una miseriaccia infame! Non è un incubo? – realizzò all'improvviso, in un sussurro appena percettibile, per poi sbottare con voce stridula: – Ma che cazzo ci fa qui, quello stronzo?!
Nel vedere l'espressione sconvolta della ragazza, Pete si sentì quasi torcere il cuore: si sentì male per lei… Ma era mai possibile? A quanto pareva, il destino aveva deciso che non ne avessero avuto ancora abbastanza, di pensieri e problemi. Solo il giorno prima aveva sperato che almeno Briz avesse finalmente trovato un po' di pace – per quanto fosse possibile aver pace mentre si combattevano gli alieni – e invece… le ombre del passato colpivano ancora!
Fabrizia si alzò in piedi, si avvicinò al monitor con spavalda sicurezza di sé e, premendo il pulsante delle comunicazioni, disse nel microfono:
– Nagai, spostati un po' per favore, e fammi vedere che faccia ha questo tizio.
Il militare obbedì e la telecamera di sorveglianza inquadrò un giovanotto che poteva avere un paio d'anni più di Briz: probabilmente in altezza non la superava, anche se ciò non ne faceva un nanerottolo, e la camicia scura metteva in risalto un fisico tutt'altro che scarso. Aveva il colorito olivastro e i capelli lisci di un nero corvino, come le sopracciglia e le ciglia che orlavano un paio d'occhi di un blu intenso e torbido. Nel vederlo, Pete pensò che, in effetti, non ci volesse molto perché mezza popolazione femminile di una scuola superiore si infatuasse di un tipo così.

 
Diego-Santana

Anche Briz lo osservò: poteva essere un maledetto bastardo, anzi lo era senz'altro, ma Diego era sempre bellissimo; anzi lo era di più che a diciannove anni. Il cuore le perse colpi e si accorse di tremare leggermente, non certo per l'avvenenza del suo ex ragazzo, ma piuttosto per la rabbia che le ispirava il ricordo di ciò che era successo tra loro.
Prese un respiro e, insieme ad esso, una decisione: alzò la voce, affinché anche Diego potesse sentirla.
– Fallo allontanare, Nagai: non l'ho mai visto prima d'ora – disse poi, fredda e sicura.
La telecamera le rimandò l'immagine di Nagai che si voltava verso Diego per eseguire l'ordine.
– Mi spiace, signore, ma deve andarsene. Ha sentito: il Comandante Cuordileone non la conosce.
E allora il giovane fece una cosa imprevedibile: si avvicinò alla telecamera, in modo che le sue parole passassero attraverso il microfono posto sotto di essa e arrivassero a Briz, e parlò in italiano.
– Se vuoi me ne vado, ma conosco ancora la tua voce. E so che anche tu mi hai riconosciuto, Fabry!
– Aargh! Non chiamarmi mai più così, brutto stronzo!
Era stato un urlo rabbioso, nella stessa lingua. Non era riuscita proprio a resistere: quel diminutivo, pronunciato dalla sua voce, l'aveva mandata letteralmente fuori dai gangheri, facendo sì che si tradisse.
– Visto che sei tu? Hai tutte le ragioni per cacciarmi via, ma ho fatto diecimila chilometri per vederti, e ti cerco da una vita. Voglio solo parlarti, ti prego, Fabrizia! – concluse Diego in tono accorato.
Nagai non sapeva che fare, visto che il comandante Cuordileone e lo sconosciuto parlavano una lingua che lui non capiva, ma era ovvio, dal tono, che si conoscessero, e anche piuttosto bene.
Intanto la mente di Briz macinava, più confusa e agitata che mai, sopraffatta da quella marea di emozioni. Diego la pregava di poter spiegare… come quella maledetta mattina di cinque anni prima, quando lei non gliene aveva lasciato la possibilità, fuggendo e uscendo dalla sua vita.
– Gesù, mi sento male…
Guardò Midori, poi Pete, infine Sanshiro, che fu l'unico a dire qualcosa.
– Chi diavolo è questo Diego?
– Il mio ex – rispose semplicemente Briz.
– Eh? Il tuo ex… fidanzato?
– Meh, una specie… Ho un passato anch'io, che ti credi? O anche per te sono l'ingenua, innocente tredicenne? Va bene, Nagai – cedette poi – Fallo entrare dal cancello, ma non nell'edificio, non ce lo voglio, qua dentro. Sanshiro, saresti tanto gentile da andare da lui e accompagnarlo alle scuderie? Vi raggiungo tra un po'… appena sarò riuscita a metabolizzare il fatto che non sto facendo un brutto sogno.
– Okay… Non so cosa ti abbia fatto, ma se vuoi fargliela pesare così, non credo che vi siate lasciati molto bene – disse il pilota del Gaiking.
– Ha! Dire che non ci siamo lasciati molto bene è come dire che sul Sole c'è un po' di tepore – commentò lei – Ho bisogno di fargliela cascare dall'alto; il nostro ultimo, orribile confronto è accaduto nel suo territorio: nello specifico, casa sua. Adesso sono io, quella che gioca in casa, devo fargli capire che non ha più a che fare con la stupida Fabry-Froggy e prendermi questo vantaggio. E soprattutto qualche minuto per decidere come comportarmi: sono troppo allibita e frastornata, da questa… enormità.
– Fabry…Froggy…? Ma che… – chiese Sanshiro, confuso.
– Un orrendo nomignolo con cui la chiamavano al liceo – spiegò sbrigativa Midori; era la prima volta che gli rivolgeva la parola, dal giorno in cui si erano lasciati.
Si scambiarono uno sguardo carico di… che cosa? Delusione? Rancore? Speranza? Non lo sapevano nemmeno loro.
Sanshiro uscì, per eseguire la richiesta dell'amica e ansioso di allontanarsi da Midori: starle vicino gli procurava un dolore quasi fisico. Aveva capito che la ragazza aveva confidato il suo problema a Pete e Fabrizia, i quali gli avevano soltanto detto che, presto, Midori avrebbe spiegato a Doc e a tutti loro cosa la tormentasse.
Il giovane già mal sopportava che, avendo un problema, la ragazza si fosse fidata degli amici e non di lui, ma quello che, proprio, non riusciva a mettere da nessuna parte, era il fatto che lo avesse preso in giro fingendo di amarlo, e soprattutto che lui, nonostante tutte le reticenze di Midori, non lo avesse capito. La odiava per come lo aveva ferito e per come ci stava male solo a incrociare il suo sguardo e, allo stesso tempo, moriva dal desiderio di stringerla ancora a sé, e di convincerla a forza di baci a spiegargli i motivi del suo comportamento.
La verità era che la amava ancora disperatamente, ma gli aveva fatto troppo male: non sarebbe mai riuscito a perdonarla, concluse con sé stesso arginando lì i suoi pensieri, mentre andava a raggiungere questo bellimbusto, spuntato chissà come dalle nebbie del passato della sua amica Fabrizia, che ormai era una vera e propria telenovela vivente.
Nel frattempo, la telenovela vivente continuava ad essere nella confusione più totale.
– Merda! Cosa faccio, Pete? – chiese, crollando a sedere su una sedia.
– Mi sembra che tu abbia già deciso, Bri: lo affronti, esattamente come farò io col mio problema e Midori col suo – rispose l'interpellato, lanciando un'occhiata a Midori che annuì, d'accordo con lui.
Era vero, aveva già deciso, altrimenti non avrebbe detto a Nagai di lasciare che Diego oltrepassasse i cancelli del Centro di Ricerche; eppure si sentiva ancora insicura sul fatto di aver preso la decisione giusta, e Pete se ne accorse.
– Ehi, fanciullina, non so se ti rendi conto, ma stavolta la DeLorean parcheggiata qui fuori, è per te – le disse in tono gentile.
Lei non poté fare a meno di annuire con solennità, guardandolo intensamente.
– Se pensi che una mano possa servirti, io sono qui – aggiunse Pete.
Midori li guardava allibita: una DeLorean parcheggiata fuori? Ma di che diavolo parlavano questi due?
– Dio, altro che una mano… un miracolo, mi serve! – esclamò Briz, passandosi le dita tra i capelli.
Poi ebbe come un'illuminazione, sollevò il viso e fece un sorriso birichino.
– In realtà, più che un miracolo, mi serve… un fidanzato!
Pete afferrò al volo: trovava più che giusto che Briz volesse far credere a Diego di avere qualcun altro. Era sicuro che la ragazza non avesse passato gli ultimi anni a rimpiangerlo, ma di certo non voleva che quel fedifrago potesse anche solo pensarlo.
Ripensò alla frase che lei aveva rivolto a Sanshiro: "Mi credevi l’ingenua, innocente tredicenne?" Avrebbe potuto significare tutto e niente, ma… e se la storia tra lei e Diego fosse davvero stata qualcosa di più, che una stupidaggine tra adolescenti? Forse stava per scoprire il suo ultimo segreto, quello che più di tutti Briz si era ostinata a nascondere: questo, per lei, era l'ennesimo momento della verità. Beh, lui l'avrebbe aiutata, questo era poco ma sicuro; se era un fidanzato, che le serviva, un fidanzato avrebbe avuto: in fondo era un ruolo che avevano già recitato, e pure in modo convincente. Certo, avrebbero alimentato altre battutine salate degli amici, ma ormai si erano abituati.
Le si avvicinò e le tese una mano.
– Sono tutto tuo, amore mio. Vogliamo andare?
Nonostante sapesse che era solo una recita, sentirsi chiamare amore mio da Capitan Richardson, fece fare al suo cuore due o tre capriole, per non parlare di quel “Sono tutto tuo”
Prese la sua mano e si alzò, guardandolo negli occhi di quell'azzurro meraviglioso e profondo, così diverso dal blu tenebroso e cupo di quelli di Diego. C'era un che di esaltante e soddisfacente, nel presentarsi davanti al suo ex al fianco di un uomo altrettanto bello, ma così diametralmente opposto, sia nell'aspetto fisico che in tutto il resto.
Pete le fece un sorriso rassicurante, poi le offrì il braccio con un gesto teatrale; Briz infilò il braccio sotto quello di lui, sorridendogli a sua volta. Un sorriso decisamente tremolante, notò il giovane.
– Allora? Pronta per salire sulla DeLorean? – le chiese.
– Neanche un po'! Ma andiamo, tesoro. 
 
> Continua…
 
 
 
Note:
Questa mi è venuta da una frase su C.S.I. (telefilm che credo tutti, a grandi linee, conosciate, anche se io non l’ho mai seguito) che mio figlio ha trovato su Internet, a proposito di quando il protagonista ha le intuizioni geniali: “Quando Horatio Caine si toglie gli occhiali, sono cazzi amari per tutti!”
 
Voglio dirvi una cosa: nel giro di pochi giorni, oltre a Robin ho racimolato altri due nuovi recensori che hanno messo la storia tra le seguite. Cosa posso dire? Ringrazio The Blue Devil, che è appena all’inizio, ma già ha voluto dirmi la sua, spero che arriverà fino qui… e anche oltre.
E soprattutto ringrazio in ginocchio Morghana, i motivi sono nella risposta che le ho dato alla recensione nel precedente capitolo, se vi interessa. Sappiate solo che anche lei è una fan di Gaiking, le piace questa storia, ma soprattutto… è l’autrice grazie alla quale ho conosciuto Efp!
Io gongolo felice… e non aggiungo altro, se no mi commuovo e poi le lacrime sulla tastiera non vanno bene… ^^’
 
  
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