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Autore: time_wings    21/05/2017    0 recensioni
[High School!AU]
La scuola è appena ricominciata e, numerose e spiazzanti novità, non tardano a palesarsi. Il cammino di un adolescente, si sa, può essere tortuoso e pieno di pericoli. Un anno scolastico servirà a mettere a posto antichi conflitti? L’amore tanto atteso sboccerà per tutti? I sette della profezia che avete tanto amato trapiantati nell’impresa più difficile di sempre: la vita di tutti i giorni fino all’estate successiva. Mettetevi comodi e buona lettura.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Esperanza Valdez, I sette della Profezia, Nico di Angelo, Sally Jackson, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo dell’autrice: Buooona domenica, cari lettori. Il capitolo di quest’oggi è l’unione del secondo e del terzo perché, detto fra noi, mi sembravano davvero troppo miseri e privi di eventi presi da soli. Per fortuna ne ho altri da parte, ma non so per quanto dureranno ancora dato che, vista l’imminente fine della scuola, ho davvero poco tempo per scrivere, sigh. Ma questo non vi interessa, quindi perché lo sto dicendo? Chissà. Vi lascio al capitolo, dove piccole cose ci faranno conoscere di più i nostri personaggi. Ah, Jason in questo capitolo sembra stare in due posti contemporaneamente, ma l'episodio con Leo accade ad ora di pranzo, dopo quello successivo nella storia con Piper. Ci tengo a chiarirlo perchè anch'io, rileggendolo, mi sono chiesta cosa diavolo avessi scritto. Va bene, adesso vado, lo giuro. BUONA LETTURAAA!
T­­_W

 
BISCOTTI BLU E CAPITANI IMBARAZZATI
 
Frank continuava a pensare a come per Hazel fosse naturale prendere coraggio ed andare a parlare con un ragazzo. Certo, per lei era sempre stato facile: aveva sempre saputo di essere una bella ragazza, i suoi occhi erano misteriosi ed interessanti, i suoi capelli ricci profumavano di vaniglia. Frank si era sempre sentito fuori luogo e la sua stazza non l'aveva mai aiutato a nascondersi nella folla. Faceva di tutto per non attirare l'attenzione su di sé; andava in giro vestito in modo semplice, colori scuri come il nero, il grigio, il blu erano gli unici presenti nel suo armadio. I suoi capelli gli conferivano un aspetto anonimo e, nonostante l'aria da duro che cercava e ci teneva a mostrare a tutti, era sempre stato un ragazzo fragile, come un magro legnetto che arde.
Per di più la sua migliore amica non lo aiutava per niente ad accettarsi. Hazel e Frank erano amici da anni, ma Hazel era sempre stata troppo interessata a cercare lontano qualcuno che l'amasse piuttosto che notare che qualcuno pronto a sostenerla e ad apprezzarla ce l'aveva sempre avuto davanti. Ebbene sì, Frank aveva sempre valutato la loro come un po' più di una semplice amicizia, ma lei era sempre stata troppo cieca per notarlo.
Frank camminava per le strade di Manhattan, con le cuffiette nelle orecchie e la musica a palla, ma non riusciva a non pensare a Hazel ed alla sua inadeguatezza.
Svoltò nel vicolo di casa di sua nonna e bussò al grande portone rosso fuoco che stonava nel paesaggio di case omologate che lo circondavano.
"Fai!" Sbraitò sua nonna aprendogli la porta: "dove sei stato per tutto questo tempo?" Frank prese il cellulare dalla tasca e notò, con sua sorpresa, che si erano già fatte le undici di sera.
"Al bar" rispose distaccato il ragazzo. Aveva proprio la testa altrove.
"Non rispondermi così!" Lo rimproverò nonna Zhang: "Ti rendi conto che ti ho aspettato per un'ora per cenare?"
"Scusa" si limitò a rispondere Frank: "vado in camera mia." Sentenziò salendo di corsa le scale e, prima che sua nonna potesse ribattere, entrò nella sua stanza e lanciò il cellulare sul letto. Prese il pc dalla scrivania e scrollò la home di Instagram annoiato. Una foto di una ragazza bellissima, dai capelli lisci e scuri e la pelle olivastra attirò la sua attenzione: "Piper McLean..." sussurrò leggendo il suo nome sopra la foto: "Perché ti conosco?". In quel momento lo schermo del suo cellulare si illuminò distogliendolo dai suoi pensieri e rivelando un messaggio di Hazel: “Frank? Puoi parlare?” Il solito ragazzo che le ha dato buca pensò seccato Frank. Collegò il cellulare all'alimentatore e prima che potesse fare altro si rese conto che il sonno si stava lentamente impossessando del suo corpo.
 
33 ore.
Dopo quattro ore di auto Leo era sfinito come se avesse appena corso la maratona a New York. Per di più sapeva che il fuso orario, seppur di due ore, l'avrebbe presto destabilizzato. Per lui erano ancora le nove di sera, ma sapeva che a New York erano già le undici. Dove si trovava di preciso? Bella domanda: non ne aveva idea. Che ore fossero? Probabilmente ancora le nove, era sicuro di essere ancora in messico. Le tre ore successive le passò a riguardare le foto dell'estate passata con i suoi amici, poi si rese conto che tutto ciò non faceva altro che renderlo più nostalgico della sua vecchia casa ed optò per un po' di musica rock. Staccò un fil di ferro preso dalle strane decorazioni che aveva applicato al suo zaino ed iniziò a giocherellarci sovrappensiero dandogli lentamente una strana forma.
Per il suo orologio biologico era già mezzanotte, ma Leo non si sentiva affatto stanco. Iniziò ad interrogarsi su cosa stessero facendo i suoi futuri amici in quel momento. Probabilmente si erano già addormentati da un pezzo, ma Leo confidava che qualcuno di loro fosse iperattivo come lui e magari anche un po' insonne e che quindi passasse la notte sveglio e non avesse la minima idea del fatto che il suo futuro migliore amico stesse già pensando a lui.
Le tre ore successive le passò un po' sonnecchiando, un po' giocando a scacchi sul cellulare (attività che trovava molto da nerd, ma che adorava e lo mandava in fissa da un po')
Mancavano 27 ore per l’arrivo a New York quando Esperanza Valdez, sua madre, annunciò che si sarebbero presto fermati per la notte.
 
Hazel non si era mai sentita così. Era rimasta al bar con il suo fratellastro, come spesso accadeva quando Frank aveva da fare il giorno dopo e si avviava a casa prima per non addormentarsi tardi, ma questa volta era totalmente diverso: da quando Frank era andato via sentiva una sensazione di vuoto allo stomaco, come quella che spesso si avverte sulle montagne russe. Sembrava che le mancasse qualcosa e non era in vena di conoscere persone. Hazel non era una ragazza facile, non voleva andare a letto con i ragazzi che amava conoscere al bar, non voleva neanche baciarli, in realtà. Hazel era cresciuta con sua madre e non aveva avuto un'infanzia felice. Sua madre l'aveva sempre trattata male, finché un giorno era tornata a casa da scuola ed aveva trovato un biglietto sul tavolo: “Me ne sono andata. Scusa.” Hazel si era sempre sentita odiata da tutti ed era semplicemente in cerca d'affetto. Frank non bastava, Nico neanche, ne voleva sempre di più.
Dopo essersi annoiata abbastanza al bancone tornò a sedersi accanto a Nico.
"Niente?" Domandò il ragazzo senza alzare gli occhi dal suo drink.
"Non sono in vena. Penso andrò a casa."
"Ehm..." in quel momento Nico iniziò a chiedersi se avesse effettivamente messo tutto in ordine dopo l'incontro con Will. "Vengo con te".
Una passeggiata muta li condusse a casa e, quando passarono per il vicolo in cui abitava Frank, Hazel non poté fare a meno di esitare con lo sguardo su quel portone rosso.
Arrivarono a casa e Nico si affrettò ad aprire il portone e fiondarsi in casa. Mentre Hazel entrava sentì suo fratello tirare un sospiro di sollievo.
"Che c'è?" Domandò sua sorella una volta entrata.
"Niente, devi essere stanca. Vai a dormire"
Hazel avrebbe davvero voluto chiedere cosa ci fosse di strano, ma il richiamo del sonno era troppo forte e si appuntò mentalmente di ricordarsi di indagare.
"Buonanotte" disse, avviandosi verso il letto.
"'Notte." Rispose frettoloso il ragazzo.
 
"Piper!" Urlò Annabeth al telefono facendo sobbalzare l’amica: "Hai presente quando ti innamori degli sconosciuti per strada?"
"Sono le otto del mattino! Stavo dormendo!" Si lamentò la ragazza infastidita: "e poi mi sorprende una chiamata così frivola da parte tua!" aggiunse sorridendo. "Allora chi è?"
"Non lo so" rispose Annabeth dall'altra parte del telefono: "ma devo concentrarmi sullo studio. Domani iniziamo."
"Non me lo ricordare. Devo godermi quest'estate fino all'ultimo giorno." Ribatté abbattuta Piper. "Ora devo scendere con Luke. A dopo!" Aggiunse con rinnovata felicità.
"Ciao!" Salutò Annabeth.
Nonostante la noia di rimettersi a studiare, Annabeth non poteva fare a meno di pensare che quattro giorni dopo sarebbe stato il suo compleanno. Come ogni anno, sapeva che le avrebbero organizzato una festa a sorpresa, ma Piper si ostinava ad organizzarla ogni anno sperando che Annabeth non fosse tanto furba da capirlo di nuovo.
Ovviamente ogni tentativo di Piper era sempre stato, anno dopo anno, vano, ma Annabeth l'aveva sempre apprezzato ed il pensiero di un’altra quasi-sorpresa da parte dell’amica le fece spuntare un sorriso speranzoso: magari quello sarebbe stato l’anno della svolta nella sua vita, forse la monotonia dei suoi giorni avrebbe lasciato il posto a nuovi amici, avventure indimenticabili, ricordi duraturi. Annabeth non vedeva l’ora di scoprirlo.
 
A Jason piaceva andare in bicicletta nel viale sotto casa sua. Era una delle poche cose che faceva per le quali non si sentiva costretto a dare il massimo, sforzandosi di essere un modello da seguire in tutto. Con i suoi capelli biondi, gli occhi azzurri ed un fisico perfetto doveva sempre essere all'altezza delle aspettative. Oltre ad essere il capitano della squadra di football aveva anche voti eccellenti a scuola, però qualche volta pensava che violare le regole sarebbe stato bello, gli avrebbe donato un brivido, l'avrebbe fatto sentire vivo. In quel momento un ragazzo della sua età, con i capelli scuri e spettinati e gli occhi verde mare gli passò davanti sfrecciando nella direzione opposta alla sua con il suo skate.
"Ciao, Jackson." Salutò con una punta di invidia nella voce. Lui si che era un ribelle e Jason trovava che fosse un perfetto idiota, ma faceva cose da capogiro. Peccato che si odiassero a morte. Percy Jackson era nella sua squadra di football e voleva, più d'ogni altra cosa, essere il capitano al posto di Jason. Tra loro, la competizione era alle stelle.
"Ciao, Grace" ricambiò il moro rallentando con un sorriso di sfida.
"Percy, spero..." ma l’altro era già sfrecciato via. "Che quest'anno andremo d'accordo. O almeno, che ci proveremo." Disse sottovoce Jason affranto.
 
24 ore.
 
Per la prima volta dopo tanto tempo il rumore assordante della sveglia di Annabeth si insinuò nei suoi sogni. Ci mise un po' prima di capire che quel suono proveniva dal mondo reale. Aprì gli occhi, ma subito dopo una luce accecante proveniente dalla finestra glieli fece di nuovo chiudere.
Dopo cinque minuti buoni riuscì ad alzarsi dal letto con la testa che girava e le labbra secche. Si sedette a tavola pronta per fare colazione, ma dopo aver scrollato la home di Instagram per un po' si rese conto che quei famosi 'cinque minuti buoni' erano stati, in realtà, venti.
Corse verso il bagno a prepararsi, si dimenticò di truccarsi e prese i primi vestiti che trovò nell'armadio.
Annabeth non era quel tipo di ragazza che teneva più di tanto al suo aspetto. Al contrario della sua amica Piper, Annabeth non aveva passato tutto il giorno precedente a cercare qualcosa da indossare per il giorno dopo: non ci teneva a dare una buona impressione il primo giorno di scuola visto che, come al solito, quello dopo tutti sarebbero ritornati i soliti sacchi appisolati e vestiti di stracci di sempre. 
Appena il citofono bussò, Annabeth si precipitò a dire che sarebbe scesa dopo due minuti e cercò in tutti i modi di preparare lo zaino e di infilarsi le scarpe in quel breve lasso di tempo.
"Alla buon'ora!" Esclamò Piper appena Annabeth si fece viva.
"Scusa, andiamo." Si affrettò a rispondere la bionda trafelata.
"E non ti sei neanche messa qualcosa di elegante addosso!" La rimproverò affranta l'amica.
"Piper, non è il momento." E insieme si avviarono a scuola parlando delle cose di cui parlavano da anni. Le solite vecchie cose che non finivano mai.
"Quindi vi siete lasciati?" Domandò Annabeth che non era riuscita a seguire a dovere il lungo monologo dell'amica a quell'ora del mattino.
"Ma mia ascolti? No! Abbiamo solo litigato. Solo che questa volta è diverso."
"Lo dici ogni volta" rispose scocciata Annabeth.
"Ma questa volta lo dico sul serio: è proprio diverso."
"Dici ogni volta anche questo" ribatté l'amica.
"Per fortuna siamo arrivate!" Esclamò Piper seccata: "non potevo sopportarti più!"
"Figurati io." rise Annabeth.
Si diressero nelle loro classi e la giornata che tutti temevano iniziò.
 
Leo non poteva crederci: era finalmente arrivato a New York. Per il suo orologio biologico erano ancora le sei del mattino, ma si sentiva troppo carico per avvertire il minimo sintomo del sonno.
La città gli passò davanti rapidamente e Leo si ripromise di farsi un bel giro per conoscerla meglio. L'auto virò in un vicolo, i palazzi in mattoni non permettevano alla luce di farsi troppa strada ed i lampioni posti ad intervalli regolari per il viale gli conferivano una luce inquietante: "è... è qui che vivremo?" Domandò Leo sperando in una risposta che negasse i suoi dubbi. Esperanza Valdez non ebbe neanche il tempo di rispondere, perché fermò la macchina facendo capire al figlio che quella sarebbe stata la loro nuova casa. "So che non è il massimo" ammise lei spegnendo il motore: "ma ci troveremo bene!" Leo sorrise poco convinto, ma non voleva che il suo entusiasmo fosse frenato da una notizia così sciocca.
All'interno la casa si presentava anche peggio di come ce la si potesse aspettare guardandola da fuori.
Qualche ora dopo, Leo e sua madre avevano già aperto qualche scatolone: "è ora di fare una pausa" annunciò Esperanza passandosi il dorso di una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore.
"Va bene, vado a farmi un giro."
"Ah Leo!" Lo fermò sua madre. Il ragazzo aveva già infilato la felpa rossa che usava come giubbino quando si bloccò girando il viso quanto bastava per vedere sua madre: "dopodomani inizierai la scu..."
"Mamma!" L'interruppe Leo: "ma dai! Sono appena arrivato! Dammi il tempo di ambientarmi!" Si lamentò lui.
"Ne abbiamo già parlato. Non rendere questo trasferimento ancora più stancante, ti prego." Leo ne era certo: sua madre si stava giocando la scusa della stanchezza e degli occhioni dolci per bloccare la sua parlantina.
"E va bene" rispose lui cedendo e regalandole un sorriso dolce. Esperanza iniziò a chiedersi quante ragazze avrebbe conquistato con quello sguardo vispo ed il sorriso sincero e soffocò una risata.
"Che c'è?" Domandò Leo confuso: "che ho fatto?"
"Niente, adesso vai!"
Qualche minuto dopo Leo si aggirava per le strade di New York cercando di non perdere il senso dell'orientamento e memorizzando punti di riferimento.
Una pasticceria dai colori sgargianti attirò la sua attenzione e ci entrò senza pensarci troppo.
"Salve!" Urlò Leo cercando di farsi sentire dato che non aveva visto nessuno.
Una donna coperta di farina sbucò da sotto il bancone: "Oh, ciao, dolcezza" gli disse con un sorriso a trentadue denti: "cosa desideri?"
"Io... beh..." solo in quel momento Leo si accorse di essere entrato senza una richiesta ben precisa. Per fortuna trovò qualche spicciolo nelle sue tasche ed iniziò a leggere i cartellini dei dolci, cosa che gli fu parecchio difficile essendo dislessico. "Leggi pure i nomi dei dolci che ti interessano di più" lo incalzò la donna.
"Ehm... questi blu sembrano..."
"Oh, si! Mio figlio li adora, ottima scelta!" Disse estraendo dei biscotti glassati di blu dalla vetrina.
Leo pagò, prese il biglietto da visita che la pasticciera gli mise tra le mani e lo ripose nella tasca della felpa. Fece, poi, per andarsene quando sentì di nuovo la voce della donna: "Sei nuovo qui, eh? Non ti ho mai visto da queste parti, sai, vedo tante persone!"
"Oh, si, sono appena arrivato." rispose imbarazzato il ragazzo.
"Bene! Allora ci vediamo, a presto!"
"A presto!"
Leo uscì dalla pasticceria aprendo la busta e scartando i biscotti: erano buonissimi, chiunque fosse il figlio di quella pasticciera Leo era sicuro dovesse essere parecchio fortunato.
Trovare la via di casa richiese un po' di tempo, ma Leo riuscì a rientrare per ora di pranzo.
"Ciao mamma!" Urlò chiudendosi la porta alle spalle. Un uomo biondo, alto e molto muscoloso lo salutò con un cenno della mano, al suo seguito un ragazzo altrettanto biondo, che doveva avere più o meno la sua età lo seguiva con aria scocciata senza degnarlo di uno sguardo. "Mamma?" Chiamò Leo quando i due furono passati.
"Oh, ciao Leo!" Lo salutò lei appena lo vide: "ho chiamato l'elettricista, abbiamo già qualche problema. Metti a posto questo?" Gli disse tutto d'un fiato mettendogli uno scatolone tra le mani ed allontanandosi: "hai comprato i biscotti? Offrine qualcuno al ragazzo". Leo storse il naso. Li aveva appena comprati e non voleva certo condividerli con uno sconosciuto, ma era troppo stanco per obiettare, così, dopo aver messo in ordine il contenuto dello scatolone si accasciò su una sedia in cucina e scartò la busta di biscotti. In quel momento il ragazzo biondo spuntò dal salotto e Leo si ritrovò costretto ad offrirgliene qualcuno.
"Ne vuoi uno?" Domandò timidamente.
"Oh, grazie!" Accettò il ragazzo. Leo non ne fu troppo felice.
"Certo, tu sei..." iniziò il messicano che non riusciva proprio a starsene zitto.
"Jason"
"Leo!" Trillò il ragazzo porgendogli una mano.
Cinque minuti dopo erano ancora seduti lì in silenzio a mangiare biscotti.
"Ehi amico, vacci piano" disse Leo per rompere il silenzio.
Jason non dovette gradire molto la battuta, perché gli rifilò un'occhiataccia e se ne andò.
"Oppure puoi piantarmi in asso così, certo!" Gli gridò dietro Leo che odiava essere ignorato.
Per ora di New York gli piacevano solo i biscotti.
 
Hazel uscì dalla sua classe e cercò istintivamente Frank nella folla di ragazzi che si era riversata fuori pronta per distribuire volantini di qualunque attività o festa che quei ragazzi che Hazel non aveva mai sopportato si affettava ad organizzare già il primo giorno di scuola.
"Levesque!" La salutò una ragazza bellissima andandole incontro.
"Piper, ciao!" Ricambiò Hazel sorridendo appena.
"Tra tre giorni ci sarà il compleanno di Annabeth e sto organizzando una festa a sorpresa." Iniziò felice Piper. A Hazel non era mai andata particolarmente a genio, non c'era mai stato un motivo preciso, Piper non era neanche una ragazza particolarmente popolare a scuola, nonostante fosse bellissima e solare, cosa che Hazel apprezzava, ma per qualche inspiegabile motivo la metteva un po' a disagio. Mentre questi pensieri le affollavano la testa, Hazel quasi si dimenticò dell'invito di Piper che però non si era accorta di nulla perché troppo presa a parlare: "Allora? Verresti? Puoi portare anche tuo fratello ed il tuo ragazzo."
"Il mio... ragazzo?" Tentennò Hazel pur sapendo a chi Piper si riferisse.
"Sì, quello lì che ti fissa non è il tuo ragazzo?" Indicò con gli occhi la ragazza.
Hazel si girò a guardare: "oh, no, siamo solo amici. Comunque ci saremo." L'imbarazzo che trapelava dalla sua voce e la velocità con cui pronunciò quelle parole fecero spuntare un sorriso sul volto di Piper che, però, decise di lasciar correre ed andare a cercare il capitano della squadra di football, Jason, per invitarlo alla festa di Annabeth.
"Ciao Jason!" Salutò Piper da lontano avvicinandosi a lui.
"Oh, ciao." Ricambiò lui arrossendo vistosamente: "volevi chiedermi qualcosa?" Domandò cercando di controllare le sue reazioni.
"Ehm... si" rispose la ragazza iniziando ad imbarazzarsi a sua volta e riprendendosi dopo qualche secondo di insostenibile silenzio: "Tra qualche giorno sarà il compleanno di Annabeth. Tu verresti alla sua festa a sorpresa?"
"Oh, tu mi stai... Sì!" sorrise entusiasta Jason guardandola negli occhi per troppo tempo. 
"Va bene, allora ci vediamo?" Domandò Piper che iniziava ad arrossire di nuovo.
"Sí, ciao." Rispose Jason riscuotendosi e scappando via.
A Piper non mancava più nessuno da invitare, così si decise a cercare Annabeth per passare del tempo con lei e non farla insospettire.
"Ciao!" Salutò Piper quasi urlando.
"Shh" la zittì la bionda avvicinandola a sé senza staccare gli occhi dal ragazzo che aveva davanti: "Quasi non ci credo. È lui!"
"Lo sconosciuto in strada?" Si informò Piper.
"Sì, devo sapere chi è. Non posso credere stia a scuola nostra!"
"Calma. Lo scoprirò."
Annabeth si riscosse ricordandosi di dover correre in classe e se ne andò salutando l’amica velocemente. Intanto Piper era rimasta a guardare il ragazzo davanti a lei mentre un'assurda idea iniziava ad insinuarsi nella sua mente.
   
 
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