Titolo:
Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero,
romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 3.079 (Fidipù)
Note: Buon lunedì! E una nuova settimana ha nuovamente inizio!
Bene, bene. Non abbiamo nemici a questo giro, ma molti fili - due in
special modo - verranno tirati: voi l'avete compreso dallo scorso
capitolo, i nostri eroi ci arriveranno in questo ma intanto abbiamo
l'identità di uno dei Generali di Dì Ren (al secolo Kwon) e se ne svela un
altro, rimasto un po' in disparte rispetto a Taowu o agli altri due. E,
nel mentre, quando si lascia finalmente andare...
E non mi sembra di aver nient'altro da dire...ah no! Nel gioco ho citato i
picross, per chi non lo sapesse, il nome ufficiale è Nonogram oppure Paint
by Numbers (dipingere con i numeri) o griddlers, e sono dei rompicapi
logici grafici in cui le celle di una griglia devono essere colorate o
lasciate in bianco in base a dei numeri a lato della griglia utili a
svelare un'immagine nascosta. In questo tipo di rompicapo, il numero
indica quante celle consecutive devono essere riempite, o in riga, o in
colonna.
E posso affermare che sono una droga, io stessa passo veramente molte ore
a risolverli.
Ma passiamo agli aggiornamenti di questa settimana! Mercoledì verrà
aggiornata La
sirena, giovedì invece sarà il turno di Laki
Maika'i e venerdì, come di consueto, ci sarà un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3. Infine, sabato
sarà il turno di Scene.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati.
Detto ciò, come sempre vi ringrazio tantissimo: grazie a tutti voi che
leggete, commentate e inserite questa storia in una delle vostre liste.
E noi ci vediamo al prossimo aggiornamento!
Bridgette sospirò, tamburellando la penna
sul blocco e guardando il disegno che aveva appena concluso, cercando così
di ignorare l’uomo in piedi dall’altra parte della scrivania: «Sì,
Maxime?» domandò, dopo un po’: sapeva benissimo cosa sarebbe successo da
quel momento in poi.
Maxime non le avrebbe fatto passare liscia l’ennesima sparizione,
soprattutto quando c’era un magnate cinese che voleva comprare parte delle
azioni del suo marchio e lui non poteva decidere da solo: «Dove sei stata
stavolta? Nuovamente in Tibet?»
«Sono stata via solo per pochi giorni…»
«Dove eri?»
«A casa» pigolò la donna, sorridendo poi alle due parole: casa. Già, era
là da pochi giorni ma aveva iniziato a considerare l’appartamento di Felix
casa, molto più di quello dove viveva da quando era giunta a Parigi;
rituali comunissimi come la colazione avevano assunto una sfumatura
differente: chiacchierare con Xiang, tentando di convincerla ad andare a
fare shopping assieme, mentre Felix leggeva le notizie sul tablet era
diventato uno di quei tanti, piccoli, tasselli che la facevano sentire a
casa.
Amata e protetta.
«Non eri a casa. Ci sono passato da casa tua, Willhelmina, e non c’eri»
dichiarò Maxime, incrociando le braccia e fissandola serio: «Voglio sapere
dove eri: mi sono rotto di non sapere più dove poterti rintracciare o per
quanto tempo sarai assente.»
«Lo so, lo so. Ti chiedo scusa, ma…»
«Ma cosa, Willhelmina? Un tempo non eri così! Un tempo pensavi solo ed
esclusivamente al tuo lavoro!»
«Forse perché un tempo avevo solo il mio lavoro, Maxime» dichiarò la
donna, sfidando il suo assistente con lo sguardo, alzandosi e posando
entrambe le mani sulla scrivania: «E’ forse un male che, dopo tanto tempo,
io abbia qualcosa all’infuori del marchio Hart?»
«Se questo non ti distrae dal tuo lavoro sì, è un bene» decretò l’uomo,
lisciandosi il completo grigio: «Ma, Willie, sei andata in Tibet per
parecchi mesi, sei tornata e non sei mai con la testa – e alle volte anche
con il corpo – dove devi essere…»
«Io voglio solo disegnare i miei abiti, Maxime.»
«Un tempo volevi fare soldi, Willie» la riprese l’assistente: «E mi
piaceva la Willie di quel tempo: faceva il suo lavoro e mi aveva assunto
per fare il mio, non anche quello che spettava a lei. Sei cambiata,
Willhelmina.»
«Anche tu.»
«Ma non so dirti se in meglio o peggio.»
«Maxime» la donna incrociò le braccia, studiandolo: «Per quanto io abbia
sempre accettato i tuoi pensieri, adesso stai andando troppo oltre.»
«Ah. Davvero?»
«Sì, davvero.»
L’uomo assentì, sistemandosi la cravatta e fissandola, prima di voltarle
le spalle: «Sulla scrivania c’è l’agenda con i tuoi impegni» dichiarò,
superando la porta e chiudendola dietro di sé, sotto lo sguardo di
Bridgette: sì, Maxime era cambiato. Era diventato fin troppo sicuro di sé
e sembrava che avesse il potere nelle sue mani.
Era successo mentre lei era in Tibet?
O forse aveva sempre sottovalutato il suo assistente?
Manon era intenta a completare gli esercizi di matematica, tanto che non
si accorse dell’ombra che si era fermata davanti la sua finestra, almeno
fino a quando un lieve bussare non la fece sobbalzare: tirò su la testa
dai libri di matematica e vide Hawkmoth al di là del vetro: «E’ successo
qualcosa?» domandò, non appena ebbe aperto e lasciato entrare il giovane
eroe parigino in camera sua.
«In verità no.»
«E allora…»
«Mia madre è al lavoro e mia sorella ha invitato il suo attuale ragazzo a
casa e…» si fermò, sganciando la spilla e ritornando a essere
semplicemente Thomas: «…beh, non volevo stare a casa e sentire. Sentire
cose.»
«Oh…»
«Non posso andare da Jérèmie e quindi…»si fermò, allungando il collo e
osservando i compiti della ragazzina: «Problemi?»
«Un po’.» mormorò Manon, scuotendo il capo: «Penso che prenderò un’altra
insufficienza in matematica.»
«Oh. Matematica. Spiacente, faccio schifo anch’io a matematica.»
«Ci avevo quasi sperato…»
Thomas alzò le spalle, abbozzando un sorriso e andando a curiosare nella
libreria dell’amica, recuperando alcuni volumi di un manga che non aveva e
lo ispirava: «Ah, però se vuoi posso presentarti un mio amico…»
«E’ uno del gruppo di supereroi?»
«Quasi. In ogni caso, ogni tanto mi da una mano con matematica ed è
veramente bravo…»
«Pensi che dirà qualcosa?»
«Basterà non dire che tu sai e sarà tutto ok!»
«Vuoi dire che…»
«Non ho ancora avuto il modo di informarli che sei a conoscenza di questa
piccola cosa che mi trasformo. Ecco.»
«Thomas!»
Sarah sorrise alla donna al di là dello schermo, muovendo lentamente la
mano in segno di saluto: «Ciao, mamma» mormorò, mentre una sua versione
più vecchia ricambiava il sorriso di rimando: «Come va?»
«Come sempre, tesoro. Se vuoi ti racconto della mia magnifica mattinata in
ospedale!» dichiarò Bethany Davis, spostando un poco il cellulare e
inquadrando parte del personale medico: «Salutate la mia bambina!»
Sarah salutò tutti, osservando le facce familiari dei colleghi della madre
e anche l’ambiente dell’ospedale dove la donna lavorava: era tutto
esattamente come ricordava, quasi come se il tempo si fosse fermato
dall’ultima volta che c’era stata.
Mancava solo l’albero di Natale in un angolo e poi era identico.
«Finito il trasloco?»
«Sì.»
«Quindi posso finalmente conoscere la tua coinquilina?»
Lila entrò nello schermo, sorridendo allegramente: «Salve, signora. Sono
Lila!» dichiarò allegra, parlando tranquillamente inglese: «Non si
preoccupi mi prenderò ottima cura della sua bambina! E con me ci saranno
anche Marinette e Xiang!» continuò, prendendo le altre due ragazze per i
polsi e tirandole nel raggio della camera: «Dite good afternoon,
ragazze!»
«Mi sembra che sei in buone mani.»
«Lo sono.» dichiarò Sarah, guardando Lila e vedendola con un sorriso
zuccheroso in volto: «Allora…»
Bethany sorrise, abbassando poi lo sguardo e sbuffando: «Ah, tesoro.
Rimarrei davvero a parlare con te ma la pausa pranzo è finita e devo
tornare.» le spiegò, inclinando la testa: «Mi raccomando: comportati bene,
studia e...» si fermò, accentuando maggiormente il sorriso: «…la prossima
volta vorrei conoscere il ragazzo con cui sei andata a vivere e non la tua
finta coinquilina. Ti voglio bene, tesoro.»
«Cavolo!» sbottò Sarah, fissando lo schermo mentre al suo fianco Lila e
Marinette ridacchiavano: «Non c’è niente da ridere.»
«Davvero? Pensavi di fregarla così?»
«Ci speravo!»
«Sarah, tu sai mentire esattamente come sa farlo Marinette.» decretò
l’italiana, poggiando un fianco contro il tavolo e incrociando le braccia:
«Ovvero non sai farlo.»
«Ehi!»
«Marinette, ti voglio bene ma, davvero, anche Xiang è più brava di te a
mentire: basta vedere come si era rigirata Alex.»
«Ma, io non volevo rigirare Alex.»
«Di che state parlando?» domandò Alex, entrando nella stanza con una pila
di cartoni della pizza fra le mani e dirigendosi verso la cucina, con gli
altri tre ragazzi dietro, tutti e quattro interessati alla conversazione:
«Allora?»
«Di un meraviglioso paio di stivaletti che ho visto ieri in negozio»
iniziò l’italiana, vedendo l’interesse scemare subito nello sguardo dei
ragazzi: «Erano in pelle pitonata e avevano dei graziosi
«Scarpe…» mormorò Alex, perdendo completamente ogni attrattiva al discorso
fra le ragazze e venendo imitato anche dagli altri tre: «…comprare.»
«Ma che?»
«Se non vuoi che s’interessino a quello che dici…» Lila si piegò verso
Marinette, rimasta basita dal comportamento dei ragazzi: «…inizia a
parlare di scarpe: con Wei funziona sempre quando gli devo dire degli
elettrodomestici difettosi. Questo e poi…beh, ha un certo interesse per i
babydoll, soprattutto se me li toglie.»
«Babydoll?» domandò Adrien, alzando la testa e diventando improvvisamente
interessato: «Di pizzo?»
«Precisa, per favore» aggiunse Rafael, osservandole una per una: «Che
c’è?»
«In questo preciso momento mi sto domandando perché non sono dalla parte
di Dì Ren» decretò Lila, sospirando poi pesantemente: «E’ arrivata la
pizza?»
«Sia chiaro, nessun commento sulla pizza» borbottò Rafael, iniziando ad
aprire i cartoni: «Lo sappiamo tutti che quella italiana è la migliore, ma
qui siamo a Parigi quindi accontentati.»
«Fra l’altro siamo andati a prenderla in una trattoria italiana» precisò
Adrien, incrociando le braccia: «Quindi…»
«Quindi avrà sicuramente qualcosa che non va» decretò l’italiana,
avvicinandosi e studiando le pizze: «Infatti sembra focaccia!»
«Quand’è che mangerai senza lamentarti?»
«Quando, mio caro piumino, qui in Francia capirete che mettere ‘italiano’
sull’insegna non significa cucinare italiano. Semplice.»
«Lila…»
«Perché non lo dici alla controparte americana qua?» domandò Rafael,
indicando il ragazzo accanto a lui: «A loro non dici niente?»
«Loro sono il male fatto nazione per quanto riguarda la cucina» sentenziò
l’italiana, posando un fianco contro il tavolo e guardando le tre ragazze
che stavano sistemando il tavolo: «Ehi, micetto.»
«Che vuoi, volpe?»
«Cos’ha il boss? Sembra stanca.»
Adrien sospirò, finendo di tagliare la pizza e spostò lo sguardo sulla
moglie, scuotendo il capo: «Non sta dormendo bene da alcuni giorni…»
«Adrien!»
«Non è colpa mia!»
«Boss non dorme. Gatto perennemente in calore…» buttò lì Rafael,
ridacchiando: «E’ normale che facciamo due più due.»
«Dice che sente la presenza di qualcuno che la spia.»
«Uno stalker?»
«Non so dirti, pennuto» Adrien sospirò, incassando la testa nelle spalle:
«Io non avverto niente, ma so per certo che le sensazioni di Marinette
sono sempre corrette: ricordi la prima volta che sei stata akumatizzata da
mio padre?» si fermò e aspettò che l’altra annuisse: «Beh, fu Marinette ad
accorgersi di tutto, se fosse stato per me sarei cascato come un idiota
nella tua trappola.»
«Ecco perché ho riconosciuto Marinette come mio boss e non tu.»
«In ogni caso, sono caduta anch’io nelle illusioni di Volpina, all’epoca»
dichiarò Marinette, introducendosi nella conversazione: «Soprattutto
quando scappò portandosi dietro una copia di Adrien…»
«Già, mi hai quasi dato i tuoi orecchini…»
La mora annuì, osservando il gruppo che la fissava a sua volta: «Che c’è?
Sto bene, davvero. Sono solo…» si fermò, sospirando: «Stanca
dall’inquilino non voluto nel nostro appartamento. Tikki e Plagg pensano
sia una delle ombre di Dì Ren e…»
«Sto iniziando a pensare che non possa più utilizzare le ombre» mormorò
Xiang, poggiandosi al tavolino con gli avambracci e studiando il contenuto
nei cartoni: «Il fatto che stia mandando queste creature di Quantum…»
«Dici che non può più fare il giochetto del ‘appaio dal nulla e vi uccido
tutti’?» domandò Alex, annuendo e sbuffando: «Ma perché non ci sono i
cattivi di una volta?»
«Perché come erano i cattivi di una volta?» domandò Rafael, scuotendo il
capo e tornando a tagliare la pizza in spicchi: «Illuminami.»
«Stile Maus? Arrivano, proclamano in pompa magna che sono cattivi e ci
mandano contro i loro scagnozzi.»
«Beh, è quello che fa Dì Ren.»
«Però Dì Ren lavora nell’ombra, usa persone…» Alex si fermò, incrociando
le braccia: «Secondo voi il tipo che era con la Sfinge, e anche quella che
era apparsa nel negozio di biancheria, chi sono? Creature di Quantum o
persone come la Panterona?»
«Vi prego, la potete chiamare in un altro modo?» sbottò Lila, alzando gli
occhi al cielo: «Seriamente, Panterona…»
«E’ un signor nomignolo!» decretò Adrien, sghignazzando: «Non so. Xiang,
tu che tutto sembri sapere, puoi illuminarci?»
«Penso che siano persone che possiede attraverso il Quantum» spiegò la
cinese, inspirando profondamente: «Al vostro matrimonio ce n’era uno.»
«E lo dici solo ora?»
«Me ne ero dimenticata. Perdonate.»
«Al nostro matrimonio…» Adrien si fermò, socchiudendo gli occhi e
voltandosi poi verso Marinette e fissandola: «Io l’avevo detto.»
«Sì, l’avevi detto» assentì la ragazza, mordendosi il labbro inferiore: «E
spiegherebbe anche il suo assurdo comportamento. Ma perché…»
«Io avevo detto anche un’altra cosa, my lady: non ha superato la cotta che
avevi per te e il comportamento assurdo – per citare le tue parole – lo ha
esplicitato perfettamente. Non mi stupirebbe fosse lui lo stalker
invisibile…»
«Pensi che Dì Ren gli abbia dato un potere che gli permette di…»
«Scusate» Rafael li interruppe, sorridendo affabile: «Potete spiegare
anche a noi poveri mortali che non capiamo il vostro linguaggio da
coppietta sposata? Grazie, siete gentilissimi.»
«Al nostro matrimonio, la cara Xiang era molto interessata a Nathaniel ed
io avevo buttato lì che, magari, poteva essere legato a Dì Ren.» iniziò a
spiegare Adrien, voltandosi poi verso la millenaria cinese e ricevendo un
cenno affermativo con il capo.
«Quando sono arrivata qui a Parigi, Dì Ren mi ha contattato tramite un
ragazzo: aveva i capelli rossi e gli occhi verdi, difficile da dimenticare
un simile accostamento e quando l’ho visto…»
«Quindi non ti piace Nathaniel?»
«Alex! E’ una cosa importante! Dì Ren…»
«Sì, sì. Fissavi Testa di Pomodoro perché era legato a Dì Ren, non perché
ti piaceva?»
«Sì, lo stavo tenendo d’occhio.»
L’americano sorrise raggiante, voltandosi verso gli altri: «Non le piace
Nathaniel» dichiarò contento, indicando la cinese: «Quindi…»
«Alex, non per dirti ma non è che ti ha dichiarato amore eterno.»
«La pianti di distruggermi ogni speranza, Rafael? Non ti considero più il
mio migliore amico.»
«Pensavo di esserlo io, Alex.»
«Sarah, abbiamo già fatto questo discorso: Rafael è il mio migliore amico
maschio, tu sei la mia migliore amica femmina. Con Rafael posso parlare di
cose che con te non posso toccare, tipo come sarebbe stato magnifico
farsi…»
«Ho capito. Non continuare.»
«In tutto ciò, penso che abbiamo quasi confermato che Nathaniel è
posseduto da Dì Ren, giusto?» domandò Wei, riportando la conversazione nei
binari: «E forse è anche lo stalker di Marinette. Non sappiamo i poteri
che ha e devo dire che tutta questa situazione non mi piace…»
«Nemmeno a noi, Wei» mormorò Adrien, sbuffando: «Sentite, forse è meglio
fare una bella riunione anche con Mister Miyagi, Felix e Bridgette. E i
miei anche» sentenziò, indicando il salotto: «Di là abbiamo dei kwami che
ci attendono e una dura scelta: che film vediamo?»
«Direi di togliere dalla lista Il signore degli Anelli e Harry Potter»
dichiarò Rafael, prendendo due cartoni della pizza e portandoli nel
salotto.
«Cosa? Perché?» chiesero in coro Vooxi e Flaffy, volando attorno al moro e
disturbandolo mentre cercava di posare tutto sul tavolino basso.
«Perché possiamo vedere solo un film: qualcuno domani deve andare a
lezione o a lavorare» spiegò il parigino, scacciando i due kwami con un
gesto della mano: «E vedere o l’uno o l’altro sarebbe un torto a uno di
voi due.»
«Oh. Vero.» dichiarò Vooxi, mentre Flaffy annuiva e tornava a sedersi fra
Mikko e Wayzz: «Quindi che vediamo?»
«The amazing spiderman!»
«Alex, veramente vuoi vedere un film di supereroi con tutti noi?»
«L’alternativa cosa è?»
«Zombie!»
«Sarah, ti prego, basta zombie» sospirò Rafael, sedendosi sul divano e
prendendosi il volto fra le mani: «Sei fissata con gli zombie tanto quanto
con i drama.»
«Uh. Hai già conosciuto questo lato?» domandò Alex, sghignazzando: «Di
solito evita: sai com’è, non è bello far sapere la sua passione per dei
tizi che mangiano il cervello.»
«Di solito evita?»
«Ignoralo.»
«Non divaghiamo» sentenziò Lila, fissandoli tutti: «Cosa ci vediamo?
Perché la pizza raffredda e non è buona fredda!»
«Zombie?»
«Sarah!»
Qiongqi non amava passare molto tempo assieme agli altri e, proprio per
questo, tendeva a stare nella casa del suo signore il meno possibile,
oltretutto non sapeva cosa facesse quando non era sé stesso e, quindi, non
aveva idea di quanto tempo poteva dedicare all’uomo che l’aveva, in un
certo modo, creato.
Chi era la persona che si nascondeva dietro la maschera che indossava?
Chi era veramente lui?
Sospirò, attraversando l’enorme sala e dirigendosi verso la stanza in cui
Dì Ren era solito ritirarsi: sapeva che l’accesso era vietato a loro
quattro, ma c’era quel gusto di proibito che lo attraeva e gli faceva
allungare la mano verso la porta a doppia anta che lo divideva da quel
luogo misterioso.
Perché non potevano accedervi?
Perché solo Yi poteva entrare in quelle stanze?
Qiongqi abbassò la maniglia e aprì uno dei due battenti, osservando la
stanza deserta: non c’era niente di particolare: pochi mobili d’epoca
posizionati contro il muro, un tavolino tondo dominava il centro della
stanza assieme a due poltrone; l’uomo si avvicinò a questo, maledicendo lo
sferragliare della propria armatura e osservò la scacchiera posta sopra,
studiando i vari pezzi bianchi e neri.
Dunque era così?
Dunque era quello il piano di Dì Ren?
Qiongqi si ritrovò a ridere nella solitudine della camera del suo signore,
scuotendo il capo e poi ritornando sui suoi passi: non sapeva ancora se
avrebbe accettato in silenzio tutto ciò, dichiarò a sé stesso, mentre
chiudeva la porta dietro di sé. Forse no, forse sì.
Per il momento si sarebbe limitato a osservare e conoscere i sedicenti
eroi di Parigi.
Taotie aveva già presidiato la scena per troppo tempo, tanto che aveva
quasi esaurito le creature che il loro signore gli aveva concesso.
Hundun sembrava sparita e Taowu era troppo preso dalla fiamma del suo
passato.
Adesso era il suo turno.
Bridgette lasciò cadere la borsa, togliendosi le scarpe con il tacco e
lasciando andare un enorme sospiro: casa. Finalmente era a casa.
Li la sorpassò, diretto verso la cucina della casa e lei sorrise: quando
era uscita dalla Fondazione Vuitton aveva trovato il cinese ad attenderla,
informandola che Felix aveva predisposto che l’accompagnasse ovunque
volesse andare; rimase in ascolto, sentendo i fratelli parlottare nella
loro lingua natia e poi si mosse, diretta verso il salotto dov’era certa
di trovarlo e, infatti, così fu: era seduto con l’onnipresente tablet fra
le mani, le gambe stese sul divano, in una posa di completo relax.
Aveva anche abbandonato i classici completi che indossava, per maglietta e
pantaloni della tuta.
Si avvicinò silenziosamente, notando come le labbra di lui si erano
piegate in un sorrisetto anche se non la degnava di uno sguardo, troppo
intento a guardare lo schermo: «Stai giocando?»
«Posso dire che picross è una droga, soprattutto se ti piacciono i puzzle»
dichiarò l’uomo, continuando a fissare lo schermo e aggrottando lo
sguardo: «Com’è andata al lavoro?» Bridgette rimase in silenzio,
sorridendo mentre lo vedeva portarsi una mano al viso e massaggiarsi la
mascella, quasi che il gesto lo aiutasse a risolvere il rompicapo: «Bri?»
domandò alla fine Felix, voltandosi verso di lei e fissandola in attesa.
Si chinò, posandogli le mani sulle guance e sfiorandogli le labbra con le
proprie, assaporando quel sapore che aveva sentito una volta sola e che
non aveva mai dimenticato: «Scusami, se ti ho fatto attendere» bisbigliò
contro la sua bocca, sentendola piegarsi in un sorriso.
Felix si mosse veloce, felino come il nome che aveva, alzandosi dal divano
e prendendola fra le braccia, mentre premeva le labbra contro le sue: «E’
veramente disdicevole far attendere così tanto un uomo, miss Hart»
dichiarò, chinandosi e passandole un braccio sotto le gambe, sollevandola
poi da terra, attraversando la stanza e dirigendosi verso la propria
camera da letto: «Dovrete fare ammenda per il vostro comportamento.»
«Ah, davvero?»
«Sì, davvero.»