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Autore: Eirynij    25/05/2017    2 recensioni
“Quando arriva la notte” è una raccolta di missing moments che segue l’ordine cronologico delle puntate di Tokyo Mew Mew prendendo spunto proprio da esse. L’inizio della narrazione coincide con la puntata numero tre, quella in cui entra in scena il nostro alieno dagli occhi d’oro. La notte è un momento magico in cui si ripensano agli avvenimenti della giornata e, soprattutto, è il momento in cui si può avere una pausa dal tran tran quotidiano. Quindi, mentre il giorno impone a Kisshu e Ichigo di combattersi ed essere nemici, la notte li avvicina lasciando loro la possibilità del dialogo e della conoscenza reciproca.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Brotherhood
-Ichigo -
 
 
‹‹Puoi anche uscire da lì›› ordinai, tanto sapevo perfettamente che Kisshu si stava nascondendo dietro le mie spalle. Ero decisamente arrabbiata con lui. Chiuse la porta del bagno dietro di sé con una spallata celandomi la vista del corridoio. Ero immobile di fronte allo specchio, già in pigiama, con lo spazzolino in mano pronta a lavarmi i denti.
‹‹Sappi che hai quasi rovinato il rapporto tra Minto e suo fratello Seiji›› lo accusai.
Nel pomeriggio ero stata al saggio di danza della mia compagna di squadra e, mentre io e le altre ragazze ci eravamo fatte in quattro per convincere il fratello maggiore di questa ad assistere allo spettacolo, quell’alieno pestifero, come suo solito, non si era trattenuto dal presentarsi con un mostro facendo precipitare la situazione: Seiji aveva addirittura preso una botta in testa svenendo sul colpo, gli rimarrà un bernoccolo per almeno una settimana… No, non potevo proprio perdonarlo!
‹‹Non credo proprio›› ridacchiò Kisshu. Potevo vederlo riflesso nello specchio: gli occhi dorati lampeggianti di pungente malizia mentre muoveva i primi passi nella piccola stanza prima ispezionando con curiosità i profumi della mamma esposti su una mensola e poi palpando interessato le morbide salviette in spugna verde. Infine si sedette a gambe incrociate sul water, soddisfatto come se fosse su di un trono.
Mi decisi ad ignorarlo fissando i miei occhi sulla manopola del rubinetto e presi a strofinarmi gli incisivi con tanto dentifricio alla menta: mi occorrevano denti più bianchi della neve se volevo fare colpo su Masaya.
‹‹I legami familiari non sono cosa che qualcuno può spezzare facilmente: un mio chimero sicuramente non può farlo, quindi puoi smetterla di fare la sostenuta›› proferì ghignando.
‹‹Parli come se tu ne sapessi qualcosa›› lo rimbeccai.
‹‹Ho due fratelli››.
Mi girai a guardarlo sinceramente stupita. Non mi ero mai chiesta se anche lui avesse una famiglia sul suo pianeta, nessuna domanda sulle sue origini o sulla sua vita prima di giungere sulla Terra: era la prova lampante della mia superficialità.
Mi sciacquai la bocca ingoiando un po’ d’acqua per rinfrescarmi la gola, sebbene fosse la fine di agosto faceva ancora molto caldo. Aprii la finestra della stanzetta per fare entrare un po’ di aria serale e mi sedetti in equilibrio sul davanzale grazie ai poteri da gatto che mi rendevano piacevolmente agile.
‹‹Raccontami di loro›› proferii incerta. Non sapevo se Kisshu mi avrebbe accontentato però volevo porre rimedio alle mie mancanze e scoprire qualcosa di lui, lui che mi stava osservando da mesi ormai, che iniziava a capire le mie abitudini e a prevedere i miei movimenti. Io ero già un profilo manifesto per Kisshu, un odore familiare nell’aria, una voce amica tra la folla ma per me lui era ancora uno sconosciuto.
Mi sorrise in modo indecifrabile ma non aprì bocca.
‹‹Come si chiamano?›› lo incalzai.
‹‹Pai è più grande di me›› cominciò accondiscendete ‹‹mentre Taruto è più piccolo, sono ancora a casa loro ma credo che se continuo con questa serie di fallimenti verranno inviati per aiutarmi››.
‹‹Ma i vostri genitori vi permettono di andare così lontano da loro?›› chiesi stupita ‹‹I miei mi lasciano a malapena superare i cancelli del giardino… Sai che non sono mai stata all’estero io?››.
‹‹Noi non abbiamo genitori, o meglio, li abbiamo ma non sappiamo chi siano! Sul mio pianeta quando un bambino nasce, appena dopo essere stato svezzato, viene mandato in accademia senza conosce chi l’ha messo al mondo per essere sicuri che tutti ricevano lo stesso tipo di educazione. Le famiglie si formano in base alle stanze in cui uno viene collocato, per esempio io alloggiavo nella B747››.
‹‹Nella cosa?›› esclamai sbalordita.
‹‹Blocco B, piano 7, corridoio 4, stanza 7! È tutto perfettamente ordinato e organizzato e c’è sempre una corrispondenza univoca per ogni aspetto del quotidiano! Voi umani siete piuttosto caotici invece›› spiegò con pazienza.
‹‹Ah›› ero basita e trovavo oltremodo sconcertante quella sfilza di numeri. ‹‹Perdona l’interruzione, prosegui pure col racconto›› mi scusai.
‹‹Quando mi inserirono in quella stanza Pai era già lì da tre anni, mentre Taruto è arrivato quattro anni dopo di me! È stata la stretta convivenza a renderci fratelli, probabilmente non abbiamo nessun legame reale però ormai non riesco a immaginare la mia vita senza di loro››.
Le sue parole velate di un’impalpabile tristezza mi colpivano al cuore facendomi comprendere la mia fortuna e una prepotente pietà mi pervase, non avevo mai provato tanta compassione per qualcuno. Quanto male noi umani avevamo fatto al suo popolo? Quanto male il suo popolo aveva fatto a lui?
‹‹Ehi micetta, e ora mi spieghi perché piangi?›› ridacchiò Kisshu alzandosi in piedi e avvicinandosi.
Scossi la testa nascondendola tra le mani: non sapevo proprio descrivere il motivo, nessuna parola, umana o aliena, avrebbe potuto.
Mi abbracciò con trasporto trascinandomi giù dal mio trespolo, fino ad accasciarci al suolo, le sue spalle premute al muro mentre le mie erano circondate da un suo braccio. Non so per quanto mi feci cullare in quel piccolo bagno illuminato a giorno, la sua mano che mi accarezzava dolcemente i capelli.
‹‹Guarda che io son contento così›› mi consolò.
Kisshu mi capiva. Sapeva perché piangevo e la cosa più straordinaria ed inquietante è che sapeva anche come consolarmi.
‹‹Mi dispiace›› singhiozzai. Le lacrime non volevano fermarsi e continuavano a precipitare lungo le guance, schiantandosi contro la casacca dell’alieno.
‹‹Ehi fontanella, smettila›› sussurrò stringendomi ancora di più a sé.
Una voce urlò: ‹‹Ichigo! Esci dal bagno, sei chiusa lì dentro da almeno un ora››. Era la mamma e il suo tono imperioso non lasciava alcun margine di tempo per obbedire alla richiesta.
‹‹Devi andare›› allontanai Kisshu da me vedendo il suo petto inzuppato dal mio sconforto.
Annuì.
‹‹Stai allegra, micetta!›› alzandosi mi scompigliò scherzosamente i capelli ‹‹Sei più bella quando sorridi››.
Saltò sul davanzale della finestra.
‹‹Aspetta›› lo fermai porgendogli una salvietta ‹‹ti ho bagnato tutta la maglia››.
‹‹Non mi serve›› sorrise ‹‹poterò le tue lacrime come un trofeo. È molto raro far piangere un gatto! E poi… se prenderò una polmonite sarà solo colpa tua e dovrai assumerti le tue responsabilità accudendomi per il resto della vita!››.
Mi scappò una risata.
‹‹Scemo, non si prende la polmonite ad agosto! Fa troppo caldo!›› controbattei lanciandogli appresso l’asciugamano, ma Kisshu era già svanito nella notte.
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: Eccoci qui con un nuovo capitolo! Finora mi ero concentrata sulle stranezze degli umani agli occhi di Kisshu, ma come vivono gli alieni? Non ci sono molte informazioni, quindi ecco come me li sono immaginati io! Spero vi sia piaciuto e che non abbiate trovato troppo drammatica la sottrazione dei bambini dai genitori.
Grazie per aver letto fin qui e un grazie al quadrato per chi vorrà spendere un po’ del suo tempo per lasciarmi la sua opinione!
Un bacio,
Eirynij
   
 
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