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Autore: LysL    02/06/2017    2 recensioni
Tutti, in quel piccolo villaggio sperduto sui monti Urali, conoscevano la leggenda; Otabek era cresciuto sentendo raccontare della terribile Regina di ghiaccio e del suo castello, nascosto tra le nebbie della montagna, oltre il bosco innevato, in quelle terre che il sole non riusciva a raggiungere.
Dal testo:
Una mano gli artigliò la spalla e Otabek fu costretto a girarsi per assecondare quel movimento; la mano lo spinse in ginocchio nella neve e Otabek percepì la lama spostarsi dalla propria gola fino alla nuca. Era ancora in posizione di svantaggio, ma almeno adesso poteva parlare.
«Chi sei?» chiese e ricevette un calcio tra le scapole; il colpo gli strappò il fiato dai polmoni e lui si ritrovò a boccheggiare, tossendo del sangue per terra, il sapore ferroso gli riempì sgradevolmente la bocca.
«Chi sei
tu? E come ti permetti di venire qui e parlarmi come se fossi un tuo pari.» La testa gli venne strattonata all’indietro e solo in quel momento Otabek vide chi realmente gli stava parlando.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Mila Babicheva, Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo VI

 
Sotto l’acqua ogni rumore era ovattato; non che ce ne fossero molti, ma alle sue orecchie non giungeva neanche il lieve ronzio degli insetti notturni che cominciavano a risvegliarsi.
Sotto l’acqua, Yuri teneva gli occhi aperti, osservando i propri capelli ed il modo in cui fluttuavano intorno al proprio viso. Il colore rosato, a causa del sangue che vi si era asciugato sopra e stava cominciando a sciogliersi, rendeva quell’esperienza diversa dalle altre volte.
Adesso, Yuri si sentiva bene, lo stomaco aveva smesso di contrarsi, la gola era libera e gli era ritornata tutta la forza.
Dopo essere arrivato al prato, ormai ore prima, era caduto in un sonno profondo ed agitato. Sapeva bene che non era normale, che non era così che avrebbe dovuto essere, perché era la dimostrazione che non si era sentito al sicuro, neanche lì nel suo regno. Quella sensazione di pizzicore dietro la nuca e sulle braccia non aveva voluto abbandonarlo, sapeva che lì nessuno l’avrebbe raggiunto eppure non era riuscito a far rilassare la propria mente ed il proprio corpo.
Quando s’era risvegliato si era accorto che la luce stava cominciando a svanire, gli alberi che proiettavano lunghe ombre verso est. Si era spogliato in fretta, senza curarsi più dei propri vestiti, ben deciso a toglierli di mezzo una volta per tutte, non voleva avere nulla che gli ricordasse quel che era successo; nulla, tranne il suo pugnale, che doveva tenere per necessità. Lo lavò più volte, utilizzando il tessuto spesso del proprio mantello per rimuovere ogni residuo di sangue e frattaglie che vi era rimasto attaccato, poi gettò l’indumento sulla pila degli altri stracci; le sue dita si mossero da sole, quando sfregarono tra loro a creare una fiammella, prima di lanciarla su quelli che erano stati i suoi vestiti. Bruciarono piano, con uno sfrigolio lento e continuo, un sottofondo quasi rassicurante.
Non aveva altri vestiti oltre quelli, così aveva detto ad uno dei suoi lupi di recarsi al castello e portargliene dei nuovi, i quali adesso stavano posati sulle rocce lì vicino.
La sensazione di pace che lo avvolgeva in quel momento era surreale, ma anche lui aveva bisogno di respirare, così tirò fuori la testa dall’acqua, riempiendo i polmoni d’aria fresca e profumata di fiori. Era felice che l’odore del fango e del sangue se ne fossero andati, pensò, mentre la pozza che diveniva nuovamente limpida; strofinò ancora le braccia e le mani, sperando vivamente che ogni residuo di sangue fosse sparito e solo allora si decise ad uscire, passandosi le dita tra le ciocche e lasciandole asciutte.
I nuovi vestiti gli calzavano bene, come si era aspettato, e non erano tanto diversi da quelli che portava prima, se non per l’assenza del mantello. Li aveva indossati con lentezza, con il ricordo della stoffa insanguinata che gli tirava la pelle, anche se adesso c’era solo la morbidezza di quel materiale e nonostante quello, Yuri si ritrovò comunque ad esitare al momento di mettere il pugnale negli stivali. Lo guardava, la lama lucida che rifletteva la luce rossa del tramonto, ormai quasi svanita. Quello strumento aveva tolto la vita a diversi, aveva protetto la sua vita, la sua foresta e la sua Regina, Yuri l’aveva sempre visto come un compagno; quella volta però, per la prima volta, ne ebbe paura. Scrollò le spalle, come per scacciar via quella sensazione di malessere e far smettere le sue preoccupazioni di turbinare incontrollate, poi, lanciando un ultimo sguardo al pugnale, lo assicurò nella sua guaina.
Il sole si congedò dietro le cime degli alberi e chissà dove, e solo a quel punto, quando già la luna faceva capolino nel cielo, Yuri sentì, forte e chiaro, quel richiamo che era diventato quasi un rito; credeva di non aver mai provato un sollievo tanto profondo.
Corse veloce verso i confini del bosco, l’aria che gli sferzava il viso e i capelli sciolti, uno stato d’animo così diverso da quello della mattina. Il suo cuore, seppur calmo e controllato, sembrava pesare di più dentro il suo petto; era strano e piacevole e Yuri non se ne chiese il perché.
Quando finalmente riuscì ad uscire dalla foresta, e per fortuna senza che i suoi capelli si impigliassero da qualche parte, fu salutato dal nitrito di Astra, che si era subito avvicinata per dargli un colpetto di muso. Ebbe appena il tempo di alzare una mano ad accarezzarle la criniera, poi Otabek parlò, distraendolo, la voce calda e quasi tremante. «Yuri.» pareva senza fiato.
Yuri diede un’ultima carezza ad Astra prima di avanzare ancora, fino a trovarsi proprio di fronte a lui. Non aveva bisogno di chiedergli alcunché per sapere che qualcosa non andava; Otabek non lo guardava in faccia, non aveva nemmeno alzato lo sguardo da terra e teneva la mano stretta sull’elsa della spada, una cosa che non faceva da molto, molto tempo.
«Beka, cosa succede?» gli chiese allora, lo sguardo assottigliato, l’espressione confusa.
A quelle parole, dette piano e lentamente, Otabek sollevò gli occhi, inchiodandolo sul posto con le sue iridi scure e penetranti; se non fosse stato sicuro che non sarebbe mai successo, Yuri avrebbe avuto paura che Otabek fosse ad un passo dall’attaccarlo con la sua spada e, nonostante fosse consapevole di essere molto più forte di lui, c’era comunque qualcosa nel modo in cui Otabek lo guardava, che gli impediva di fare alcunché per ferirlo. Non sapeva se sarebbe riuscito a vincere uno scontro contro di lui e quella consapevolezza era terrificante.
Fu la voce di Otabek, ancora una volta, a riscuoterlo. «Stai bene.» sussurrò, il tono basso e stanco. Sembrò quasi che un peso gli venisse tolto dalle spalle, che si rilassarono. Otabek lasciò la presa sulla spada e per un attimo parve sporgersi in avanti, le dita che si stendevano verso Yuri, per poi chiudersi a pugno e ritornare al proprio posto.
Yuri scosse la testa. «Cosa?»
Otabek sospirò, lanciando la proprio arma per terra. Strinse la stoffa dei propri pantaloni, con un altro profondo sospiro, prima di parlare. «Stamattina Mila mi ha detto che una sua amica è tornata dalla foresta coperta di sangue e sconvolta. Parlava di un uomo che l’ha salvata da qualcuno che voleva farle del male. Sarei voluto arrivare prima, ma non avevo alcuna scusa ragionevole per saltare il lavoro e… ho creduto… per un attimo ho creduto che fossi ferito...» non ci fu che Otabek aggiungesse altro, perché Yuri riuscì a percepire un “o peggio” nelle sue parole. Otabek si passò una mano tra i capelli e solo in quel momento Yuri si rese conto di quanto fosse realmente angosciato. Le sue pupille erano dilatate, era impallidito, nonostante l’agitazione gli avesse colorato le guance di rosso. Le sue mani stringevano febbrilmente i lembi della camicia e le sue labbra parevano tremare.
Ma Yuri sentiva solo rabbia, come se la preoccupazione di Otabek non lo sfiorasse neanche un po’; gli dava fastidio, invece, che Otabek stesse così in apprensione al solo pensiero che potesse essergli successo qualcosa, non quando era a conoscenza della sua forza e dei suoi poteri, non quando Yuri stesso cercava ancora di convincersi che qualunque fosse il rapporto che aveva adesso con Otabek, sarebbe stato solo passeggero.
Ancora confuso e irritato da ciò che Otabek gli aveva detto, si limitò a fare spallucce, soffiando una risata stanca. «Non sarà un semplice uomo a ferirmi, Otabek, tu, tra tutti, dovresti saperlo bene.» lo prese in giro e dallo sguardo che Otabek gli lanciò era evidente che non la pensasse allo stesso modo. Yuri non si aspettava quello sbuffo esasperato.
«Non è così semplice per me, Yuri. Io ti… – la sua voce si affievolì e Otabek si morse il labbro inferiore, passandovi velocemente la lingua, prima di chiudere gli occhi e lasciare che l’aria gli gonfiasse il petto. Solo quando parve più calmo, riuscì a continuare – non voglio che ti succeda niente, Yura. Non voglio.»
Yuri sentì di nuovo quella strana pesantezza nel petto, unita alla consapevolezza che Otabek vedeva tutto sotto una luce diversa, una luce che lui non poteva condividere.
Annuì quella volta, senza poter fare altro che rassicurarlo. «Ma sto bene. Sto bene, Beka. Non mi è successo niente.» mentì. Era ovviamente successo qualcosa. La nausea, i ricordi… rabbrividì, ma non voleva far preoccupare Otabek inutilmente, soprattutto a causa di ciò che non poteva né controllare, né tantomeno capire.
«Lo so.» gli rispose lui. Socchiuse gli occhi e di nuovo le sue dita corsero a scompigliargli i capelli, stavolta con meno enfasi, come se si fosse appena reso conto che non era davvero successo nulla, che Yuri stava bene ed era lì di fronte a lui. E a Yuri venne voglia di schiaffeggiarlo, perché non era normale che fosse così in apprensione nei suoi confronti.
«Allora smettila di fare l’idiota.» lo riprese, duro.
Gli occhi di Otabek saettarono verso l’altro, due stilettate scure che Yuri era sicuro avrebbero fermato il cuore di chiunque. «Non insultarmi.»
Yuri sgranò gli occhi, le braccia incrociate al petto. «Ti insulterò fino a quando non la smetterai di essere ridicolo.» sputò. Non sapeva perché, ma all’improvviso sentì il bisogno di mettere distanza tra loro. I suoi piedi si mosse all’indietro, come se stesse scappando da un pericolo.
Le dita di Otabek corsero di nuovo tra i suoi capelli, con tanta foga che Yuri temette se li potesse strappare; non l’aveva mai visto in quello stato, nemmeno la prima volta, quando si era perso nel bosco. Adesso non sembrava solo disperato, c’era anche rabbia. Otabek era pieno di rabbia e c’era sempre qualcos’altro, ma questo Yuri non riusciva a decifrarlo. Otabek lasciò scivolare le braccia ai lati del busto e rise, lo sguardo rivolto verso il cielo scuro. «Ridicolo? Perché non voglio vederti morto?»
Yuri digrignò i denti e gli prudettero le mani, chiuse a pugno, le nocche che sbiancavano. «Ridicolo, esatto. Sai bene che sono più che capace di difendermi da solo. Lo ero prima che arrivassi tu, lo sono ancora, e continuerò ad esserlo anche dopo.» gli ci vollero appena pochi attimi per capire di aver utilizzato proprio quelle parole. Anche se nel profondo sapeva che sarebbe stato così, non aveva mai pensato di dirlo. Se non fosse stato tanto scosso, non avrebbe mai insinuato qualcosa del genere di fronte ad Otabek, mai, sapendo quanto gli avrebbe fatto male; era tardi per rimangiarsi tutto, eppure non poté evitare di sentire una stretta allo stomaco nel vedere l’espressione di Otabek farsi scura, la rabbia di poco prima surclassata da una calma irreale. Otabek prese un profondo sospiro che lo aiutò a tornare con la schiena più dritta e il suo viso si fece più controllato. «Dopo di me?» gli chiese, assottigliando gli occhi.
Yuri decise di ignorare il modo in cui le sue iridi si fossero fatte lucide. Non voleva pensare a cosa significasse, non voleva pensare a quanto le sue parole si stessero conficcando in profondità nel petto di Otabek. Serrò la mascella. «Dopo di te.» confermò.
Otabek scosse la testa, un sorriso amaro sulle labbra, così diverso dal solito modo in cui esse si curvavano quando sorrideva per davvero. «Certo.»
Si sedette per terra a gambe incrociate, una mano sul mento e l’altra a sostenersi la fronte. «Dammi un minuto.» sussurrò.
Yuri si sedette di fronte a lui, lontano, in silenzio, osservandolo mentre mormorava qualcosa che non riusciva a cogliere, come un brusio indistinto, e si passava ripetutamente le mani tra i capelli. Il suo bisbiglio si faceva meno accentuato ogni secondo che passava, fino a quando Otabek non prese un profondo respiro ed alzò la testa. «Voglio dirti una cosa, Yuri. – aspettò che annuisse, prima di continuare – Lo so che non mi ami e che probabilmente non lo farai mai, lo so… ti chiedo solo di non aspettarti che io smetta di amare te, perché non succederà. E soprattutto non aspettarti che non mi preoccupi per te, sono comunque un tuo amico e non voglio vederti star male.»
Le sue parole erano calcolate, efficaci e dirette, proprio come Yuri si aspettava, e colpirono proprio quel punto della sua testa che gli diceva di non affezionarsi troppo, che anche Otabek se ne sarebbe andato; lo sguardo deciso di Otabek pareva trapassarlo eppure Yuri non abbassò gli occhi, preferendo rimanere fermo nella propria posizione.
Strinse i denti ed emise un verso esasperato. «Nemmeno io voglio far star male te, cazzo. Vattene pure via, se questo ti rende più felice o sereno!» disse, infine. Non sapeva perché l’avesse detto, dopotutto non voleva per davvero che Otabek se ne andasse. E tutto perché era un egoista. Yuri era un egoista: avrebbe dovuto costringerlo ad andarsene, a scappare via più veloce che poteva, minacciarlo se fosse servito, avrebbe dovuto dirgli di non tornare dalla primissima volta, anzi, non avrebbe mai dovuto farlo uscire dal bosco. Eppure non l’aveva fatto, continuava a non farlo.
«Mi pareva di averti detto che non voglio andarmene.» e la sincerità nelle sue parole rinnovò il peso sul cuore. Sentì quel muscolo farsi pesante e gli parve che stesse affondando di più nel suo petto. Lo stomaco gli si contrasse in uno spasmo doloroso. Yuri grattò la terra con le unghia, beandosi delle lievi fitte di dolore date da rametti e pietruzze, nel tentativo di ignorare la propria reazione. Aveva bisogno di rabbia in quel momento, non di confusione.
Con un movimento stanco si alzò in piedi e si lasciò scivolare in ginocchio di fronte ad Otabek. «Perché sei solo uno stupido umano, Otabek!». Esalò, e fu come se tutta la stanchezza che gli gravava sulle spalle avesse deciso di manifestare la propria presenza in quel momento. Yuri chiuse il pugno contro la terra e lo caricò contro il petto di Otabek, abbastanza forte da farlo piegare un po’ in avanti. «Se tu avessi un minimo di cervello, te ne andresti.» aggiunse, lasciando la propria mano lì dove si era posizionata.
«Se tu avessi un minimo di cervello, me lo chiederesti.» arrivò la risposta, accompagnata da un ghigno sul viso di Otabek e a Yuri sembrò lo stesso di sempre. Quella frase l’aveva colto alla sprovvista. Dando ascolto ad un secondo fiotto di rabbia, gli diede un altro pugno. «Non dirlo, potrei farlo davvero.» sibilò.
Otabek intercettò la sua mano chiusa, allontanandola da sé. «Sto aspettando.»
Yuri alzò anche l’altro pugno, che venne altrettanto facilmente bloccato da Otabek. Un ringhio gli risalì la gola e Yuri si ritrovò a digrignare i denti contro di lui. «Non credere che sia difficile.» soffiò.
Otabek gli sorrise, ma non lasciò la presa su entrambi i suoi pugni e adesso Yuri cercava di sovrastarlo, usando le sue mani come leva. «Eppure non l’hai ancora fatto.»
Yuri lo fissò negli occhi, la gola che vibrava in un ringhio sommesso, prima di spingerlo via, accettando che non sarebbe mai riuscito a rinunciare a lui, ancora. «Allora non continuare a tentarmi.» esalò infine.
Cadde di nuovo indietro, seduto sui talloni ed osservò il viso di Otabek: stava sorridendo, un sorriso fievole, debole e non sentito, più un sorriso di facciata che altro. E poi c’erano i suoi occhi, banali, forse, sottili e scuri, nonostante Yuri sapesse benissimo cosa fosse quella luce che li illuminava e che li rendeva intensi e determinati.
Gli mancò l’aria. I polmoni ebbero uno contrazione a vuoto ed un secondo dopo era piegato in avanti, con le mani che afferravano la camicia, le dita affondate nella stoffa chiara e leggera. L’aria gli passava per le narici e sembrava non recarsi dove avrebbe dovuto, rimanendogli impigliata in gola. Un calore liquido gli passò in tutte le membra concentrandosi nel suo stomaco e risalendogli verso il cuore, verso la testa.
Sentì a malapena la voce di Otabek che lo chiamava attraverso il fischio sordo che gli aveva riempito le orecchie.
Tutti i muscoli si fecero molli, l’equilibrio precario in quella posizione che minacciava di farlo rovinare a terra. Aspettava l’impatto, ma quello non arrivò mai ed invece Yuri si ritrovò disteso, con la nuca sollevata delicatamente e un’ombra che copriva la luce delle stelle sopra di lui.
Si sentì chiamare di nuovo, e provò a parlare, a rispondere, senza che alcun suono gli lasciasse le labbra, senza che le labbra nemmeno si aprissero. Non riusciva ad avere il controllo del proprio corpo, come una marionetta a cui però erano stati tagliati i fili. Sentiva solo caldo, caldo bollente e paura. E nonostante tutto percepiva il sudore freddo colargli lungo le tempie e giù per il collo, l’aria gelida della notte soffiare tra i suoi capelli, delle dita che gli controllavano il battito, che gli accarezzavano la cute. Parole incomprensibili, mormorate direttamente contro il suo orecchio, avevano il solo risultato di fargli stringere la gola.
Tornò forte, l’odore del sangue e della putrefazione, come se lui stesso fosse disteso accanto ad un cadavere, solo che quella volta non era un uomo sventrato dalle sue stesse mani, era una donna su un pavimento di legno e il sangue impregnava le assi, riempiendo gli interstizi tra esse. Voleva portarsi una mano sulla bocca, a fermare il conato che gli risaliva per la gola, ma non ci riusciva. Sentiva di stare per soffocare, affogato nella sua stessa bile. E alla fine, il vomito non venne, la puzza sparì, Yuri sentì pian piano gli arti farsi più rigidi e solo dopo qualche secondo riuscì a piegare le dita.
Il rombo si affievolì, finche non percepì i nitriti spaventati di Astra e una voce calda che gli sussurrava di respirare e che sarebbe andato tutto bene, mentre la sensazione di mani tra i capelli si faceva più intensa.
Quando riprese coscienza di sé, Yuri si trovò appoggiato alle ginocchia di Otabek; il ragazzo si era piegato su di lui, probabilmente nel tentativo di farlo rinvenire ed il suo tono spaventato lo risvegliò del tutto. Tossì, forte, raschiandosi la gola, inalando l’odore di cuoio e il lieve sentore di fumo che aveva imparato ad associare ad Otabek e un fiotto di calma gli invase la mente. Prese un profondo respiro e solo in quel momento Otabek parve accorgersi che era tornato in sé.
«Yura?» provò. Yuri portò le mani a sfregarsi gli occhi, nel tentativo di far dissolvere quella nebbia che ancora gli appannava lo sguardo e solo in quel momento il viso contrito di Otabek entrò nel suo campo visivo. Yuri lo vide sospirare, ringraziando il cielo, per poi stringergli una spalla. «Come stai? Cosa è successo?» gli chiese.
Yuri scosse la testa e tentò di tirarsi a sedere, ma Otabek glielo impedì con una leggera pressione sul petto. La sua mano calda premeva contro il suo cuore impazzito; non ricordava l’ultima volta che gli aveva battuto così forte. Tossì di nuovo e provò a parlare. «Sto bene… ho solo… non lo so.» si lasciò andare contro le ginocchia di Otabek.
«Vuoi tornare nel bosco? Posso accompagnarti con Astra se vuoi…» propose Otabek, evidentemente confuso ed incerto sul da farsi. Yuri gli appoggiò una mano sul braccio e lo sentì rabbrividire sotto quel tocco freddo. Scosse la testa di nuovo, stavolta solo per farlo star zitto.
«No, posso rimanere qui, però… – lo guardò, incerto. Non sapeva neanche perché stesse per chiedergli una cosa come quella, conscio che gli avrebbe fatto male. Sapeva solo che non voleva essere lasciato solo, non ancora. – resta un po’, va bene? Solo fino a quando non riuscirò ad alzarmi.» mormorò, gli occhi socchiusi.
Percepì i movimenti dell’altro tra le ciglia; le ginocchia furono rimpiazzate da una mano e poi da un braccio che gli si strinse attorno alle spalle. Otabek aveva posato uno dei due mantelli che soleva portare sotto la propria testa, in modo da poter stare più comodo lì per terra. Yuri sentiva il suo fiato soffiargli sui capelli sciolti, mentre con l’altra mano Otabek prendeva ad sfiorarglieli. «Dimmi se va bene così.»
Il cuore gli batteva come un forsennato, la voce di tremava. Otabek pareva sconfitto, stanco, triste, come se avesse paura che Yuri gli avrebbe detto di spostarsi.
Yuri non lo fece, limitandosi ad accoccolarsi meglio contro il suo petto, sentendosi egoista ed orribile ad approfittare del fatto che Otabek tenesse così tanto a lui da metterlo al primo posto, ma non credeva di riuscire ad allontanarsi da lui in quel momento.
«Cosa è successo?» riprovò Otabek, ancora teso. Yuri si strinse nelle spalle. «Non lo so.» perché davvero non lo capiva; era come se il suo corpo stesse rigettando qualcosa, ogni volta: la nausea, la sensazione di non riuscire a respirare, e tutto quel caldo innaturale che lo riempiva come un veleno. Si strinse contro il corpo dell’altro, respirò il suo odore, aspettò che il suo respiro si sincronizzasse con quello di Otabek, prima di parlare una seconda volta. «Non ti devi preoccupare per me, come vedi è passato. Non è nulla di grave.» ma non era vero. Anche la prima volta sembrava essere passato, eppure era ritornato e Yuri non poteva continuare a sfidare la sorte e sperare che non gli capitasse in battaglia: era immortale, ma non voleva dire che non potesse essere ucciso. Era fatto di carne come tutti, e sanguinava.
«Yuri…» cominciò Otabek, fermandosi per inspirare; il suo petto si gonfiò contro la sua guancia e il suo cuore diede due battiti più veloci, per poi normalizzarsi. «Va bene, ti credo.» deglutì e riprese a passargli le dita tra le ciocche.
Yuri sentì ancora quella strana nausea, però non successe niente, quella volta. Cominciava a sentire le palpebre pesanti e gli occhi chiudersi contro la propria volontà. Si chiese quando si fosse abituato così tanto alla presenza di Otabek, quando, di preciso, avesse cominciato a fidarsi di lui a tal punto da permettere alla stanchezza di vincerlo, mentre era con lui. Il ritmo del suo cuore era diventato lento e rilassante contro il suo orecchio e Yuri era tanto, tanto stanco. La sensazione delle dita che gli accarezzavano il cuoio capelluto era diventata l’unica cosa su cui la mente di Yuri pareva riuscire a concentrarsi, il lieve sfregare delle unghia e i brividi sulla testa, immerso com’era in quello stato di sereno dormiveglia, almeno fino a quando il petto di Otabek non prese a vibrare piano e delle basse, sconosciute note non lo distrassero. Contrariamente a ciò che si avrebbe aspettato, quella ninna nanna ebbe solo l’effetto di rasserenarlo ancora di più e fu solo per caso che riuscì a captare il momento in cui Otabek gli aveva posato un bacio sulla fronte e gli aveva detto di riposare, prima di lasciarsi andare completamente.
Era al sicuro, nessuno gli avrebbe fatto del male, e Yuri poteva risposare, finalmente, poteva riposare.
 
 
Quando Otabek lo risvegliò, per Yuri potevano anche essere passate ore, perché aveva totalmente perso cognizione del tempo e dello spazio, come se fosse entrato in una bolla di tranquillità che tuttavia era destinata a scoppiare.
Aprì piano gli occhi, passandosi una mano sul viso per rimuovere i residui del sonno. «Beka?» gracchiò, la voce ancora roca.
Provò a mettersi seduto e quella volta Otabek gli strinse le spalle e lo accompagnò nel movimento. Yuri ignorò la sua mano quando gliela porse per aiutarlo ad alzarsi, e si stupì che le sue gambe non avessero ceduto, come invece credeva avrebbero fatto.
«Io devo andare adesso.» gli annunciò Otabek. «Ti avrei lasciato dormire, ma dubito tu voglia rimanere qui fuori.» aggiunse, mentre faceva cenno ad Astra di avvicinarsi. La cavalla nitrì piano e gli diede un colpo di muso, lasciandosi però accarezzare come sempre.
«No, hai fatto bene.» Yuri studiò il suo viso, era segnato da ombre scure di cui non si era accorto prima, ma decise di non indagare oltre, prima di tutto perché non voleva trattenere Otabek e poi perché non era nella posizione di poterlo fare. Si limitò ad annuire e aspettare che montasse in groppa ad Astra.
«Yura?» Otabek lo squadrava, l’espressione indecifrabile; Yuri alzò un sopracciglio. «Dimmi.»
Sembrò sul punto di dirgli qualcosa, qualcosa che Yuri si scoprì curioso di sentire, poi parve cambiare idea; si passò una mano sul volto. «Ci vediamo domani, buonanotte.» disse infine, con un sorriso, stavolta un sorriso di quelli veri, che Yuri ricambiò senza neanche pensarci.
«Buonanotte, Beka.» gli rispose.
Otabek si issò sopra la sella e diresse Astra verso il villaggio, con un ultimo cenno della mano.
 
***
 
Yuri non era stanco, non più, così si sedette su una delle rocce adiacenti alla piccola cascata; aveva intenzione di continuare a leggere il diario, curioso com’era di sapere di più su chiunque l’avesse scritto. Sentiva una strana connessione con quel libriccino muffito e usurato, sebbene al contempo provasse un sottile odio per chiunque l’avesse scritto, perché pareva comprendere perfettamente come ci si sentisse a stare con la Regina, senza però fornirgli alcuna soluzione utile.
Con uno sbuffo infastidito a quel pensiero, aprì, scorrendo le pagine che aveva già letto e posando gli occhi sulla grafia sottile ed ordinata.
 
La Regina mi ha chiamato oggi.
Non era diversa dal solito, eppure sono sicuro che sappia, c’era qualcosa, nei suoi occhi, che mi ha ghiacciato il sangue nelle vene.
In verità, non mi interessa che lei sappia o meno, perché non rivedrò mai più quel giovane e tutto ciò che mi rimane di lui sono i miei ricordi e la felicità di sentirmi vivo dopo tutto questo tempo.
Ho scolpito diverse statue, in quest’ultimo periodo, per tenermi occupato, ma anche per non rischiare di dimenticare il suo volto ed il suo corpo e credo sia questo il motivo per cui la Regina è tanto preoccupata. Ma come posso spiegarle cosa mi è successo, se non riesco a spiegarlo neanche a me stesso?
Ogni notte, quelli che sono sempre stati sogni tranquilli e quasi inesistenti da quanto riesco a ricordare sono diventati scuri e tormentati, e le uniche volte che riesco a ricordare con esattezza ciò che ho visto durante il sonno, sono quelle in cui sogno lui. Mi sveglio triste, spesso piangendo, perché so che non ritornerà, che non potrò mai più ammirare i suoi occhi vivi ed il suo sorriso.”
 
“Ho smesso di scrivere su questo diario. A che scopo provare a scrivere ciò che sento, quando sono solo sentimenti negativi e un profondo senso di abbandono?
Ho ripreso ad andare al villaggio, a quella taverna. Non so perché, ma sento che è lì il mio posto, ad attenderlo, perché non ritroverò mai più la pace, se non con lui.
Qualche notte la passo con delle donne, altre con uomini. È un’esperienza nuova per me, è come sentirsi vivi, non come con lui, ma è un’emozione molto simile. Posso lasciarmi andare e seguire solo ciò che il mio corpo vuole fare, senza pormi limiti.”
 
“Le mie notti continuano ad essere tormentate, non riesco più ad essere quello che ero un tempo, la mia stessa pelle mi costringe in una prigione da cui non posso scappare e un’odiosa debolezza mi intorpidisce le membra.”
 
“Per quanto ancora dovrò aspettare? Sono stanco, e non so più come occupare il mio tempo. Ormai anche scolpire è diventato monotono: la memoria non mi aiuta più, adesso, a distanza di mesi. Pattinare sul pavimento di ghiaccio ha perso il suo brivido, non quando penso a quanto potrebbe essere diverso con lui tra le mie braccia, perfino il sesso ha smesso di essere uno sfogo. Sto solo sprofondando in questo abisso di solitudine e monotonia, senza niente che riesca a sorprendermi, niente che riesca a perforare questa corazza di ghiaccio che è il mio cuore.
 
Nel paragrafo successivo la scrittura si faceva tremula, confusa, come se la mano che stava scrivendo non riuscisse a star ferma, ed erano nuovamente presenti quelle macchie di inchiostro sbiadito che facevano pensare a delle lacrime. Yuri dovette strizzare gli occhi per riuscire a capire cosa ci fosse scritto, maledicendo l’autore.
 
È lui. È tornato, da solo. Se ne stava in un angolo della taverna, in silenzio, guardandosi intorno e non ho potuto resistere. Mi sono seduto accanto a lui.
Era così sorpreso di vedermi lì, sembra non ricordare ciò che è successo mesi fa, l’ho capito dopo poco.
Mi sento bene quando parlo con lui, è talmente pieno di gentilezza da farmi rimanere incantato a guardare ed ascoltare qualunque cosa farà o dirà.
Mi ha detto di chiamarsi Yuuri, è un nome bello e delicato, come lui; si nasconde dietro una corazza di insicurezza ed imbarazzo, senza accorgersi di quanto ormai mi sento legato a lui, quanto mi senta vivo, nel posto giusto, al momento giusto; non credevo potesse essere possibile di nuovo.”
 
“Ormai passo ogni momento libero con lui, e voglio solo che sia felice.”
 
“Tante cose sono cambiate e non so più cosa stia succedendo al mio corpo. Lo sento quasi estraneo, e tornano i ricordi, tornano cose che non credevo neanche esistessero, e quando tornano non riesco a respirare, sento il petto stringersi e il mondo comincia a girare intorno a me, a tal punto che non so più quale sia il cielo e quale la terra. Sento la stanchezza prendermi alla sprovvista, le gambe non mi reggono, ho paura di morire.”
 
“Oggi ci siamo rivisti, e Yuuri mi ha sorriso per la prima volta, si è seduto accanto a me di sua spontanea volontà. È stato bello, finché è durato, perché una forte nausea mi ha preso lo stomaco e non ho potuto trattenere il conato di vomito.
Yuuri era preoccupato, ma gli ho detto che non importava, che avevo mangiato qualcosa di strano, eppure so che non è così. C’è qualcosa che non va in me, una parte di me stesso sta respingendo qualcosa, la rigetta, non vuole considerarla, e anche adesso che sto con Yuuri. Il vuoto che sentivo è stato colmato, eppure continua a mancarmi qualcosa. Non so di cosa si tratti, ma sono intenzionato a scoprirlo.”
 
“Questi episodi non fanno che aumentare, ogni volta che guardo Yuuri le budella si torcono, la testa si fa pesante. Ormai non riesco più nemmeno a mentirgli, mi ha visto troppe volte cadere svenuto o vomitare e mi sta accanto ogni volta che succede, ma non allevia il dolore, se non per pochi minuti. Forse sto morendo, forse, dopotutto, non sono così immortale come credevo.
 
Yuri chiuse il diario di scatto, senza voler credere a ciò che aveva appena letto. No, doveva essere tutto un brutto scherzo. La sua mente volò a Seung-gil, ma non era possibile, lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere… Lui non poteva sapere cosa stava provando Yuri.
Perché tutto quello che stava provando era scritto lì, su quelle pagine, inchiostro nero su pergamena antica e sottile, tra le rilegature mangiate dalla muffa.
Qualcuno sapeva, o per lo meno aveva saputo, ciò che gli stava accadendo; ne parlava con troppa precisione, descriveva i sintomi e le sensazioni, le evocava esattamente come Yuri le ricordava. Le sentì di nuovo sulla pelle, il terrore di stare per morire, la gola chiusa e l’impossibilità di muoversi e respirare.
E oltre a quello, c’era anche qualcos’altro che lo accomunava all’uomo, qualcosa che legava le loro storie, qualcosa che Yuri non aveva mai pensato potesse essere causa, o quantomeno concausa dei suoi malori: un umano.
 
 
 
 
 
Note finali:
Emh, salve!
Mi scuso profondamente per il ritardo nel pubblicare questo capitolo T_T ma ho avuto dei problemi in questo periodo e ho dovuto riprendere le lezioni universitarie, tra professori strani e visite tecniche fatte a fine maggio che dovrebbero essere illegali. Quindi davvero, scusatemi tanto.
Sono contenta di aver ripreso in mano questa storia, e devo ringraziare un gruppo di writing sprint, con persone bellissime (che non sto qui a nominare, perché sono tutti autori/autrici straniere) e che mi ha ridato la carica!
Passiamo al capitolo!
La scena tra Otabek e Yuri è stata pesante, perché volevo renderla proprio come l’avevo immaginata, facendo passare tutte le emozioni che ci sono, e spero davvero d’esserci riuscita!
Yuri ha avuto un’altra crisi, ed insiste a dire che non è niente, ma sa molto bene di star mentendo prima di tutto a se stesso (dopotutto non è stupido). Cosa credete che siano queste crisi? Sono davvero causate dal fatto che sia Yuri che il misterioso uomo del diario (lol, molto misterioso, dicevano) hanno conosciuto un umano?
Mi farebbe tantissimo piacere sapere cosa ne pensate e spero vorrete lasciarmi un commento! :3
Per finire, ringrazio chiunque abbia letto, con particolare menzione per Silvar tales che ha recensito lo scorso capitolo (grazie mille, come sempre!! <3) e un grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storie tra le preferite/seguite. Ed ovviamente anche alla mia beta!
Spero di non far aspettare così tanto per il prossimo capitolo, ma si avvicina il periodo degli esami *piange* quindi non so davvero quanto ci metterò a finire di scrivere il prossimo e ringrazio infinitamente chiunque ha avuto ed avrà la pazienza di aspettare!
Alla prossima!! <3 <3
LysL
  
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