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Autore: JulietAbyssRose    05/06/2017    0 recensioni
"What happened to you, Gabriel?"
"You tell me, Doc."
I limiti che dividono la Vita dalla Morte sono, nella migliore delle ipotesi, vaghi e confusi. Chi può dire dove finisca l'una e cominci l'altra? (Edgar Allan Poe)
Missing moments vissuti da Gabriel e Angela prima della comparsa di Reaper così come lo conosciamo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angela 'Mercy' Ziegler, Gabriel 'Reaper' Reyes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Los Angeles, la città delle stelle -.
Angela rivolse alla sua collega un sorriso dubbioso. - Non saprei, con questo inquinamento luminoso. -
Non era una grandissima amante delle metropoli, doveva ammetterlo, ma la vista dal bar dell’hotel offriva uno spettacolo difficile da non ammirare. Durante il giorno il profilo dei grattacieli si stagliava su quello delle montagne, che scomparivano al calare della sera per lasciare la scena alle luci della città. Brillavano ammiccando come gioielli in un portagioie appena dischiuso. Ma niente stelle.
- Credevo fosse la città degli angeli -.
- “Esseri a metà tra uomini e divinità che vivono in paradiso”. Non vedo la differenza. -
Angela rispose con un sorriso di cortesia. Il cinismo di Suzanne non le era particolarmente gradito, ma per lo meno aveva evitato ovvie battute sul suo nome.
Un convegno di medicina nella città degli angeli. Se non era intenzionale, era quantomeno pittoresco. Angela si portò il flute di champagne alle labbra mentre Suzanne accoglieva calorosamente una coppia di nuovi arrivati al loro tavolo. Presentazioni, convenevoli, avete fatto buon viaggio? Oh, il sole della California! Non ditemi che non l’avevate mai visitata! Come stanno i bambini? Oh, come sono cresciuti! Eh, i bambini di una volta... 
I pensieri di Angela non impiegarono molto ad allontanarsi dalla lounge, mentre la sua compagnia si faceva carico dell’onere di portare avanti il rituale sociale che tipicamente chiudeva giorni come quello. Due piccoli tramonti di un arancio incandescente si riflessero nei suoi occhi, ancora appesantiti dal jet-lag, mentre la mente si allontanava dagli Stati Uniti, insieme al sole e ancora piu’ lontano.

 

 

- Papà! Papà! -
Il Dottor Ziegler (“papà”, nelle occasioni piu’ importanti) posò lo sguardo su una piccola Angela imbronciata. La bambina teneva sotto il braccio un libro che aveva tutta l’aria di non provenire dalla sezione per l’infanzia.
Cosa c’è, tesoro? -
La bambina sfogò la sua frustrazione in un sospiro drammatico, prima aprire il libro verso la fine. Il Dottor Ziegler la accolse sulle sue gambe, come sedevano sempre quando leggevano insieme. La polvere volteggiava in un fascio di luce proveniente dalla finestra alle loro spalle, disegnando un cerchio luminoso sulle assi del parquet.
- C’è una cosa che non mi quadra - sentenziò Angela, ancora piu’ accigliata. - Vedi questa signora? E’ un angelo. Un angelo guerriero. -
Il padre di Angela osservò l’illustrazione indicata dall’indice paffutello. - E’ una valchiria. -
- Si chiama Sigrun, come la mamma. Anche lei è andata in cielo. Anzi, nel Valhalla. -
- Vedo che qualcuno si sta appassionando di mitologia norrena, qui. -
- Non tanto, papà, non tanto. - 
Il Dottor Ziegler rise. Angie stava assumendo sempre piu’ l’abitudine di esprimersi come un’adulta. Supponeva che facesse parte degli inevitabili effetti dell’educazione domestica, impartita ovunque il lavoro imponesse loro di trasferirsi... Quasi sempre lontano da altri bambini.
Angela riprese, piu’ frustrata di prima. - Non capisci?! E’ una guerriera! Una che fa la GUERRA! Come può una persona così essere un angelo, andare in CIELO? Me lo spieghi?! -.
Il Dottor Ziegler trasse un lungo sospiro. Chiuse il libro, lo depositò in cima ad una pila di documenti sulla sua scrivania e prese Angela per le spalle, assicurandosi che lo guardasse negli occhi. Rimase per qualche istante così, sicuro che i grandi occhi azzurri della bambina l’avrebbero inchiodato nel silenzio in eterno. Perfino i tuoni delle esplosioni in lontananza, che per abitudine e spirito di sopravvivenza aveva imparato a ignorare, si erano fatti così forti che sembrava stessero avvenendo accanto a loro.
- Combattere per ciò in cui si crede... è la cosa piu’ difficile al mondo, piccola mia. -
- Io non combatterò mai. -
- Quando sarai piu’ grande imparerai che non sempre è una decisione che possiamo prendere. Alla valchiria Sigrun non era permesso stare insieme all’uomo che amava, per questo ha dovuto combattere. -
- E’ per questo che mamma non c’è piu’?  Perchè non ha combattuto? -.
- Al contrario. Se mamma non avesse deciso di combattere non sarebbe mai venuta al fronte a curare i feriti, e così non avrebbe mai incontrato il tuo papà. Ci sono tanti modi di combattere. Tua madre era una donna molto coraggiosa. -
Il Dottor Ziegler osservò la figlia cambiare espressione. Per un secondo gli sembrò quasi di poter scorgere la donna che sarebbe diventata, sotto le guance piene e i boccoli infantili. 
- La cosa piu’ importante di tutte… - concluse, allungandosi per afferrare un blocco per gli appunti e una penna. Non fu un’impresa delle piu’ facili con Angela sulle ginocchia: per poco non inondò tutti i suoi documenti con una caraffa d’acqua, urtandola col gomito. - ...è non dimenticare MAI questa parola. Mai mai mai. -
La piccola Angela osservò attentamente le cinque lettere a stampatello scritte dal padre.
- Mercy. - lesse a fatica.
- Bravissima! E sai dirmi anche cosa significa? -.
Angela si portò un ditino alla bocca, torturandosi il labbro inferiore con aria assente. Finalmente s’illuminò in un sorriso sdentato. - Ah, certo! Significa “grazie”! -.
Il Dottor Ziegler rise a lungo. Non smise neppure alle ripetute richieste di conferma da parte della figlia e neppure quando alcuni infermieri si misero a occhieggiare con aria perplessa dalla porta semiaperta dello studio. Seppellì la figlia in un abbraccio che le fece mancare il fiato, prima di alzarsi per accompagnarla alla sua cameretta. - Ho come la sensazione che adesso sia tu a dare lezioni a me, Angie… -.
Angela, che sorrideva per confusa solidarietà, strinse la mano del papà. - E’ bello essere apprezzati -.

 

 

- Angie? Angela! Ci sei? -
Angela tornò in sé. Quattro paia di occhi erano puntati su di lei. Non aveva neppure idea di quando fosse arrivato l’ultimo. - Scusate, non mi sono ancora abituata a questo fuso orario. Dicevate? -
“L’ultimo paio di occhi”, un giovane dottore orientale dai capelli pettinati all’indietro, non trattenne una risatina. 
Angela si sentì avvampare.
- Dicevamo… - esordì Suzanne con tono un po’ accondiscendente. - ...di come sia meglio non mescolare mai lavoro e piacere, ma di come sul piano pratico, a volte, sia impossibile evitarlo. Stavo giusto accennando a quel Shemata… -
- Shimada. - la corresse nervosamente Angela. - Sì. Chiaramente ci sono dettagli che non posso condividere, mi capirete, per via del… -
- Oh, andiamo, non farci la paternale! Non è che l’abbia tenuto esattamente nascosto! - si accigliò Suzanne. - Ti scrive su ogni social, pubblicamente! OGNI GIORNO! -
- Magari ha davvero bisogno di cure. - fece qualcuno. Seguì un esuberante scoppio di risate generali.
Angela abbozzò un sorrisetto svogliato, prendendo un altro sorso dal suo bicchiere e attendendo che le risate si estinguessero. Ci misero un po’. Fuori dalla vetrata il cielo si era fatto di una malinconica sfumatura violacea, incupendosi rapidamente mentre il traffico dell’ora di punta fluiva quasi a passo d’uomo, diverse decine di metri sotto di loro. Perfino le auto della polizia con le loro luci allarmanti faticavano a infiltrarsi in quel gorgo.
- Scusaci, Angie, ti abbiamo messo in imbarazzo. - fece Suzanne, alzandosi in piedi. - Offro io il prossimo giro. - 
- Non preoccuparti, anzi, non disturbarti neppure, pensavo di andare in camera. - 
- Scherzi? Siamo a Los Angeles! Si è appena fatta sera! -.
- E’ vero, queste occasioni servono anche a socializzare! -.
- SOPRATTUTTO a socializzare. - puntualizzò Suzanne a mezza voce prima di sparire tra la folla che circondava il bancone.
Angela sospirò: avrebbe dovuto saperlo. Da una parte trovava interessantissimi i congressi medici internazionali e i corsi di aggiornamento a cui doveva sottoporsi periodicamente, ma dall’altra era innegabile quanto rapidamente sapessero trasformarsi in gite scolastiche per tardoni. Superata una certa ora, l’alcol cominciava a fluire, le inibizioni cominciavano a tremare e prima che te ne accorgessi era già mattina e ti eri svegliata in una camera diversa dalla tua.
Dicevamo di come sia meglio non mescolare mai lavoro e piacere, Angie.”
Con un tempismo agghiacciante, proprio in quel momento l’altoparlante dell’impianto di filodiffusione dell’hotel esplose in un estatico “It’s raining MEN! HALLELUJAH! It’s raining MEN! AMEN!”. Sul sottofondo delle Weather Girls, Angela non riuscì a trattenere l’impulso di affondare il viso fra le mani e abbandonarsi ad un lungo gemito.

Quello che seguì fu così repentino, imprevisto e improbabile che il cervello di Angela impiegò qualche secondo per processarlo.

Come prima cosa, un vetro s’infranse. Un vetro molto grosso, anche, a giudicare dallo scroscio che ne seguì. Angela abbassò le mani in un gesto istintivo, mentre trasaliva insieme a tutti i presenti, per poi tornare a proteggersi il capo con le braccia. Il movimento troppo brusco le fece perdere l’equilibrio sullo sgabello, capovolgendo la stanza intorno a lei mentre ruzzolava dolorosamente sul pavimento.
Quando riaprì gli occhi, una figura scura poco distante attirò la sua attenzione per due motivi. Uno: il vuoto che aveva intorno. Decine e decine di occhi la osservavano in un misto di stupore, paura e oltraggio, ritraendosi impulsivamente. Due: indossava un’attillata tenuta nera a maniche corte, corredata di guanti neri e pesanti cinture cariche di qualcosa che Angela non riuscì ad identificare subito.
L’intruso si mosse nella sua direzione.
Urla di terrore si levarono nella sala rimbombando nell’alto soffitto mentre la folla terrorizzata si accalcava verso l’uscita. I cocci della vetrata esplosa nell’irruzione scricchiolavano sotto centinaia di suole firmate.
Angela fece per unirsi al coro, ma il grido le morì in gola nel momento in cui alzò lo sguardo sul viso dell’intruso.
- Temo di non aver azzeccato il dress code. - ghignò Gabriel Reyes.


 


Note dell'autrice

Ciao, sono Juliet e una fangirl di mer*a. Che probabilmente non è proprio il modo migliore di presentarsi ai propri lettori... ma? Ma. 
Ho cominciato a giocare a Overwatch per caso
per Reaper, mi sono intrippata male e non so esattamente come sia successo ma ad un certo punto mi sono ritrovata a shippare fortissimo Reaper e Mercy. Tipo che ad un certo punto ho esaurito il materiale in rete e ho cominciato a crearne io. Tipo.

La Blizzard non dà molte informazioni sul nostro Gabe, specie su cosa gli sia accaduto tra l'ultimo conflitto con Morrison e la sua ricomparsa sottoforma di Reaper. Non so voi, ma io non riesco a non vederci una partecipazione di Mercy in tutto questo. Da qui la mia insana voglia di scrivere il loro background pre-Overwatch così come lo giochiamo. Sì, loro. L'ho detto che sono una fangirl di mer*a.

Fatemi sapere cosa ne pensate, mi piacerebbe leggere qualche recensione prima di postare il secondo capitolo. A presto!

 

   
 
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