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Autore: matisse91    07/06/2017    2 recensioni
Sakura Haruno è una normale ragazza di Konoha, allegra, vivace , spensierata e bella. Una ragazza innamorata e fidanzata sin dai tempi dei banchi di scuola. Ma la vita non sempre procede come vorremo, e l'amore della giovane viene messo alla prova dalla lontananza del college e sopratutto dalla presenza di un bel moro. Riuscirà Sakura a salvare il suo vecchio amore? O soccomberà alla tentazione di ampliare nuovi orizzonti!
Tratto dal prologo:
Guardo l’uomo che mi sta di fronte, la sua espressione facciale rimane composta davanti al mio dolore, alla mia distruzione.Mi tende una lettera dai bordi stropicciati e macchiati d’inchiostro.
“Cos'è?”, gli chiedo sussurrando con un’esile filo di voce.
Ma lui non mi risponde, rimane fermo, immobile, davanti l’uscio del mio appartamento, sotto quel temporale che imperversa sull'intera città.
Cerca di farmi afferrare quella dannata lettera, ma non voglio.
[...]
“però è strano che non ti piacciano le storie d’amore”, borbotta leggermente infastidito.
“E perché? Non è che debbano piacer a tutte le ragazze”, gli rispondo acida.
“Lo so, ma sei così rosa!”, continua imperterrito.
“Baka!”, lo riprendo per poi girarmi offesa dall’altra parte.
“E dai Sakura-chan! Non possiamo litigare il primo giorno
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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I know all about you
 
 
 
9 settembre 2009, Konoha

“Ci siamo persi?” gli chiedo.
 Naruto si allunga sul sedile verso di me per raggiungere il portaoggetti. Il suo gomito e l’avambraccio mi sfiorano la gamba mentre apre lo sportello ed estrae una carta stradale piuttosto logora. È tutta stropicciata, come se un giorno fosse stata aperta e mai più ripiegata nel modo giusto. Lui la distende e la posiziona sul volante, studiandola da vicino e facendoci scorrere il dito sopra. Fa una smorfia mordicchiandosi l’angolo destro della bocca e schiocca ripetutamente le labbra.
 “Ci siamo persi, vero?”. Mi viene da ridere. Non per lui, ma per tutta questa assurda situazione.
 “È colpa tua”, ribatte cercando di essere serio, ma lo tradisce il lampo di allegria negli occhi.
 Sbuffo. “E perché sarebbe colpa mia?” protesto. “Eri tu che stavi guidando!”.
 “Be’, se non mi avessi distratto parlando di sesso, fantasie proibite e film porno, mi sarei accorto di aver preso la statale 23 invece di rimanere sulla 59 come avrei dovuto!” Colpisce il centro della mappa con la punta dell’indice e scuote la sua zazzera bionda. “Siamo andati nella direzione sbagliata per due ore”.
 “Due ore?” Questa volta scoppio a ridere e batto la mano sul cruscotto. “E te ne sei accorto solo adesso?”
 Spero di non ferire il suo orgoglio. E comunque, non è che sia arrabbiata o scocciata; potremmo andare nella direzione sbagliata anche per dieci ore e non me ne importerebbe niente.
 Naruto assume la sua espressione da cucciolo maltrattato, ma sono piuttosto sicura che stia fingendo, così colgo al volo l’occasione e approfitto per fare una cosa che desidero da tempo. Abbasso la mano, mi sgancio la cintura di sicurezza e scivolo sul sedile per avvicinarmi a lui. Naruto sembra piuttosto sorpreso, ma in modo piacevole, perché solleva il braccio per permettermi di accoccolarmici sotto. “Ti sto solo prendendo in giro perché ci siamo persi” sussurro appoggiando la testa sulla sua spalla. Sto così bene abbracciata a lui in questo modo. Troppo bene…
“Possiamo andare da questa parte”, propongo indicando una strada che porta a sud. “Poi prendiamo la 54 dritti verso Takigakure. Che ne dici?” Piego la testa per guardarlo negli occhi, in modo che il suo viso sia vicino al mio.
 Naruto mi restituisce il sorriso, ma ho come la sensazione che non abbia ascoltato molto di quello che gli ho detto.
” Già, prendiamo la 54”.
 I suoi occhi mi osservano a lungo e si fermano per un attimo sulle mie labbra.
 Io prendo la mappa e comincio a ripiegarla, poi alzo il volume dello stereo. Naruto sposta il braccio con cui mi stringeva per rimettere in moto la macchina.
 Quando partiamo appoggia la mano sulla mia coscia stretta contro la sua e viaggiamo così per un bel po’. Stacca la mano solo per affrontare meglio una curva brusca o per cambiare la musica, ma poi la rimette sempre dov’era.
 E io voglio che continui a farlo.
“Sei sicuro che siamo ancora sulla 54?”, gli domando parecchio tempo dopo. Si è fatto buio e credo di non aver più visto altri fari da secoli.
 Scorgo solo campagna e alberi, e di tanto in tanto qualche mucca.
 “Sì, piccola, siamo ancora sulla 54. Ne sono sicuro”.
 Appena lo dice superiamo un cartello su cui posso leggere effettivamente il numero 54.
 Mi stacco dal suo braccio, su cui ho tenuto appoggiata la testa per un’ora, e comincio a stiracchiarmi le braccia e le gambe. Dopodiché mi piego e mi massaggio i polpacci; ho la sensazione che ogni muscolo del mio corpo si sia rappreso come cemento intorno alle mie ossa.
 “Vuoi scendere e sgranchirti un po’ le gambe?” mi domanda.
 Guardo il suo viso parzialmente in ombra: la pelle ha acquisito una tonalità azzurrina e la mandibola scolpita sembra più pronunciata nell’oscurità.
 “Perché no” rispondo, e mi piego sul cruscotto per osservare meglio il paesaggio attraverso il parabrezza. Ci sono solo campi e alberi, ed ecco un’altra mucca. Niente di nuovo. Ma poi alzo lo sguardo. Mi spingo più avanti e studio le stelle che punteggiano l’oscurità infinita, e mi rendo conto che è facilissimo vederle in questo cielo libero dall'inquinamento luminoso. Ce ne sono un’infinità, è incredibile.
 “Vuoi scendere e fare un giro?” ripete, ancora in attesa che finisca di dargli la mia risposta.
 Mi viene un’idea. Gli sorrido e annuisco. “Sì, mi sembra un’ottima idea. Hai una coperta nel bagagliaio?”
 Naruto mi guarda incuriosito per qualche secondo. “A dire il vero sì, ne tengo una in quella scatola là dietro insieme agli attrezzi di emergenza. Perché?”.
 “So che può sembrare un luogo comune» comincio io, «ma è una cosa che ho sempre voluto fare”. Il suo viso si illumina con un sorriso caldo. “In effetti non ho mai dormito sotto le stelle. Stai facendo la romantica con me, Sakura Haruno?”. Mi lancia un’occhiata di sbieco.
 “Certo che no! “rido. “Forza, sono seria. Penso che sia l’occasione perfetta”. Faccio un gesto con la mano verso il parabrezza.
“Guarda quanta campagna c’è là fuori”.
 “Già. Ma non è sufficiente stendere una coperta in un campo di granturco”, ribatte.
 “Di solito quei campi sono immersi in dieci centimetri d’acqua”.
 “Ma non quelli ricoperti d’erba e cacche di mucca”, replico.
 “E tu vorresti dormire in un campo in cui cagano le mucche?”, risponde con nonchalance, ma ugualmente allegro.
 Ridacchio. “No, solo sull'erba. Forza…”. Poi lo guardo con aria dispettosa. “Che c’è, hai paura di un po’ di cacca di mucca?”.
“Ahah!”, scuote la testa. “Sakura, ti consiglio di non sottovalutare mai un bel cumulo di merda”.
 Mi chino su di lui e gli appoggio la testa proprio in grembo, poi lo guardo con aria imbronciata. “Ti prego…”, mugolo sbattendo gli occhi.
“Va bene”.
Dopo altri dieci minuti in macchina troviamo un campo che sembra un mare d’erba piatto e infinito, e parcheggiamo sul ciglio della strada. Siamo letteralmente in mezzo al nulla. Scendiamo dalla macchina e chiudiamo le portiere, lasciando tutte le nostre cose dentro. Naruto apre il bagagliaio e fruga nella scatola alla ricerca di una coperta arrotolata, che puzza di auto vecchia e un po’ anche di benzina.
 “Puzza”, esclamo annusandola arricciando il naso.
“Pazienza, non importa”.
 Non importa nemmeno a me. Senza nemmeno rendermene conto gli prendo la mano. Scendiamo dentro un piccolo fossato e risaliamo dall’altra parte, dove troviamo una bassa staccionata che ci separa dal campo. Comincio a pensare al modo più semplice per scavalcarla. Un istante dopo lui stacca le dita dalle mie e salta oltre la staccionata.
 “Sbrigati!”, urla.
 Non riesco a levarmi il sorriso stampato dalla faccia. Comincio ad arrampicarmi per poi atterrare carponi dall’altra parte, arrivando accanto a lui; poi inizio a correre nello spazio aperto. È molto buio; c’è solo il chiaro di luna a rischiarare il paesaggio. Ma la luce è sufficiente e farci vedere dove mettiamo i piedi in modo da non finire in una buca o non andare a sbattere contro un albero.
 Non vedo nessuna mucca, il che significa che non dovrebbero esserci sorprese tra l’erba. Tanto meglio.
 Ci allontaniamo così tanto dalla macchina che l’unico segno della sua presenza è il luccichio del riflesso sui cerchioni di metallo.
 “Penso che qui vada bene”, sussurro fermandomi ansimante.
 Gli alberi più vicini sono a qualche decina di metri in ogni direzione. Alzo le braccia sopra la testa e sollevo il mento, godendomi la brezza che la investe. Sorrido, con gli occhi chiusi, così felice che ho paura di interrompere questo momento di comunione con la natura.
 Srotolo la coperta e la stendo a terra. Ci penso su un momento mentre fisso i suoi occhi a pochi centimetri dai miei. Quando respira sento l’eco lontana del profumo di dentifricio alla cannella con cui si è lavato i denti stamattina, e non riesco a resistere dall’attirarlo a me e baciarlo.
 Cambio posizione e mi stendo di nuovo accanto a lui con le mani dietro la testa. “Sono bellissime, vero?”, mi chiede.
 Guardo anch’io le stelle, ma non le vedo davvero. Riesco a pensare solo a lui e al nostro bacio.
 “Già, sono stupende”. E anche tu…
 “Naruto?”
 “Sì?”
 Continuiamo a tenere gli occhi fissi al cielo.
 “Volevo ringraziarti”.
 “Per cosa?”
 “Per amarmi”
 Un sorriso gli illumina la faccia.
Balzo in piedi quando vedo qualcosa di nero che striscia in fondo alla coperta.
“Un serpente!”, urlo indicando l’erba con una mano e tappandomi la bocca con l’altra. “Naruto! Eccolo lì! Uccidilo!”
 Fa un veloce passo indietro per prendere le distanze e poi ci salta sopra.
 “No no no!” grido. “Non ucciderlo!”.
 Sbatte le palpebre, confuso. “Ma mi hai appena detto di farlo!”.
 “Non intendevo alla lettera!”, mi giustifico.
Alza le braccia in segno di resa. “Che c’è, vuoi che finga di ucciderlo?”, ride scuotendo la testa. “No, è solo che… Adesso non ce la faccio proprio a dormire qui”. Gli afferra un braccio. “Andiamocene, dai”. Tremo dalla testa ai piedi.
 “Va bene” risponde e, ora che il serpente se n’è andato, si piega per sollevare la coperta dall’erba. La scuote con una mano sola, dal momento che gli sto aggrappata all’altra come se fosse la mia unica speranza di sopravvivere. Poi torniamo verso la macchina.
 “Odio i serpenti”, gli rivelo come se non fosse ovvio.
 “Me ne sono accorto, piccola”.
Mentre attraversiamo il campo cerco di tenere strattonandogli la mano, e strillando ogni qualvolta i miei piedi toccano un innocuo cumulo di fango.
“Vieni qui”, esclama facendomi fermare di colpo per farmi salire sulla sua schiena. Torniamo verso la macchina così: io aggrappata a lui e lui che mi sorregge le cosce strette ai miei fianchi.
 
9 settembre 2014, Konoha

La luce del sole arriva insinuandosi tra le trame della notte. Raggi d’oro che fendono il velluto. Raggi che illuminano la nostra pelle di passione e speranza.
Seduti sul tetto dell’automobile, sotto un trilione di stelle, che lentamente ci ammiccano scivolando via, guardiamo un giorno che passa, apparentemente senza lasciar traccia, ma che in realtà, silenziosamente come un ladro di notte, scrive una pagina di quello che eravamo.
Mi stringo tra le sue braccia, alla ricerca del calore del suo amore, ingorda come non mai di trovare conforto, di ritrovare quella serenità che, non so come, né quando, mi è scivolata via dalle dita.
Ma quando le sue braccia mi stringo, ricordandomi tacitamente che sono sua, la serenità non torna.
Non resisto in questo limbo d’incertezza, così conto i difetti che ci stanno separando, portandoci agli angoli opposti dei nostri cuori.
Mi arrampico con le unghie sulle pareti di questo grande amore che, come un biscotto, rischia di sbriciolarsi e rompersi irrimediabilmente. Mi arrampico cercando una fuga temporanea da ciò che sono diventata, dal dubbio che comincia a permearmi.
Perché, se anche siamo qui, sdraiati sotto le stelle tenendo le mani strette tra loro, mantengo i miei segreti, e sento la speranza morire, infrangendo quelle promesse che tempo fa giurai a noi.
Mi sollevo fino a poggiare le mie labbra sulle tue, per dissetarmi di te, della tua inestimabile dolcezza, per cancellare il bacio rubatomi da Sasuke, ma l’agrodolce tra i miei denti mi ricorda della scelta che devo prendere.
Cosa siamo diventati? Chi sono diventata? Perché il mio cuore infedele ha cambiato rotta? Ho cercato di allontanare Sasuke da me, ma come calamite ci ritroviamo a incrociare i nostri sguardi, frementi di poterci solamente sedere vicini durante una lezione. E il nostro amore appassisce, petalo dopo petalo mostra la sua fragilità, incapace di ruggire davanti a teli avvenimenti, capace solo di sussurrare nel cuore della notte. Rabbrividisco nel contare tutti i miei errori, ma il mio cuore mi chiede clemenza verso ciò che non posso controllare, mentre la mente, invece, mi ordina di lasciare andare prima che sia troppo tardi. Ma troppo tardi per cosa?
“Tutto bene Sakura-chan?”, mi domanda pensieroso.
“Si, sono semplicemente stanca”, mento.
“Non dovresti stressarti così tanto per lo studio”, mi avverte poggiandomi una mano sul cuore.
“Lo so…voglio solo dimenticare”
“Cosa?”
“La distanza che ci separa. Penso che mi se mi applicassi di più nello studio tornerò prima da te”.
Alla mia contorta, ma sincera, affermazione mi stringe con ancor maggior forza a sé, per poi coprire il mio corpo con il suo.
 “Cosa c’è Sakura?  Qualcosa non va al college?”, mi domanda chiaramente preoccupato nel sentire il mio corpo irrigidirsi al contatto con il suo.
“Sono sola stanca”, minimizzo nascondendomi, per l’ennesima volta, dietro la banale e ormai consunta scusa della stanchezza
I suoi occhi mi scrutano attentamente, poi sbuffa e si lascia cadere accanto a me.
“Vuoi che ti riaccompagni a casa?”
“No, voglio dormire accanto a te”
E ci addormentiamo sotto quel cielo testimone dei miei più profondi timori. L’ultima cosa a cui penso sono i tristi e malinconici occhi neri di Sasuke.

12 settembre 2014, Suna.

Sono seduta sugli spalti che si affacciano lungo il campo d’atletica del campus, intenta a scrivere l’articolo sull’attuale scenario internazionale. Mentre cerco di trovare le parole che possano al meglio descrivere con l’appropriato tecnicismo quanto ho studiato in questi giorni, una voce distoglie la mia attenzione dal mio arduo compito.
“Sasuke!”, urla una voce nasale.
Alzo gli occhi dal portatile per puntarli sulla rossa svampita che corre verso Sasuke abbracciandolo.
Inconsciamente stringo le mani in pugni serrati. So bene di non aver alcun diritto su di lui, il bacio che ci siamo scambiati la settimana scorsa è come se fosse caduto nel dimenticatoio, mai esistito, spogliato di qualunque significato che lo rendesse degno di esser analizzato.
Ma vederlo trattato come un cagnolino dalla sua ragazza mi manda in bestia. Digrigno i denti nell’osservare Karin infuriarsi per il rifiuto di lui di accompagnarla nel consueto giro di shopping, per poi piantarlo in asso.
Cerco di ricordarmi che non sono affari che mi riguardino, così mi rimetto a lavorare sul mio articolo.
Solo quando il sole sta tramontando decido di ritirarmi in camera per rilassarmi un po’. Presa dalla preoccupazione di non riuscire a rispettare la data di scadenza fissata per dopodomani, non presto la dovuta attenzione a dove metto i piedi, scontrandomi inevitabilmente contro qualcuno che gira l’angolo in contemporanea con me.
“Ahi!”, esclamo cadendo a terra sul mio povero sedere.
“Guarda dovei vai!”, continuo.
“Lo stesso potrei dire io”, mi risponde piccatamene la sua voce.
“S-Sasuke”, balbetto emozionata, il cuore che batte come un tamburo.
“Ah, ora mi rivolgi la parola?”, mi rimprovera freddo come i ghiacciai artici.
“Io… scusami, ma… mi sembrava la cosa più corretta da fare. Tu stai con Karin, ed io…io con Naruto…”
“Questo lo so”, sospira sedendosi accanto a me per terra.
“Come stai?”, mi domanda poi.
“Come sempre”, gli rispondo sfuggendo al suo sguardo.
“Perché le permetti di comportarsi in modo così immaturo? “, gli domando cercando palesemente di cambiare argomento.
“Parli di Karin?”.
Annuisco in silenzio, lo sguardo rivolto verso il suo, attenta a decifrare quegli occhi solitamente insondabili, ma che a volte, raramente per l’esattezza, rivelavano un animo ferito e spaventato.
“Perché ti dovrebbe interessare?”.
Parole taglienti, come i cocci di una bottiglia, che mi ricordano la mia posizione nella sua vita.
“Perché non voglio che tu cambi”
“Tsk”
“Tu dici che è tutto a posto, ma io so che è una bugia”
“E da cosa lo intuisci?”, mi chiede con un’espressione arrogante che mi fa venire voglia di prenderlo a ceffoni.
“Dai tuoi occhi. Potranno anche essere neri come i mostri che da piccola mi tormentavano, insondabili, abili nel nascondere ciò che pensi e che provi. Ma io ti vedo Sasuke. Vedo quello che stai facendo a te stesso”.
“Ovvero?”
“Non devi comportarti come se non ci fosse nessuno che si preoccupa per te, come se fossi solo contro il mondo. Non devi fingere che nessuno sappia, come se non ci fosse nessuno che ti capisce. È vero, ti ho evitato per tutto questo tempo, e non solo dal bacio, ma da quella vola che abbiamo preso insieme il gelato da Kitsume. Lo ammatto. Ma … a mia discolpa, lo ho fatto solo perché mi spaventi”, gli confesso guardandolo dritto in quegli occhi misteriosi come l’universo.
“Non sono solo qualche faccia che sei solito riconoscere e salutare con superficialità. Io so tutto di te, perché tu sei il mio riflesso. Non so contro cosa tu stia lottando, da cosa stai scappando, ma stai agendo proprio come sto facendo io, stai cercando di lasciare indietro un pezzo di te, di rompere i legami con quel passato che vorresti cambiare”
“Dimmi come”, mi domanda dopo esser stato in silenzio per non so quanto tempo.
“Cosa?”
“Dimmi come potrei tagliare i legami che mi portano a te”
“Non lo so, sto cercando di capirlo”
“Avvertimi quando lo saprai”, mi congeda alzandosi.
Al solo pensiero che possa semplicemente voltarsi con tanta indifferenza, come se non gli avessi mostrato una parte di me di cui nessuno, nemmeno Naruto, era a conoscenza, mi ferisce profondamente, peggio delle mie ormai abituali crisi cardiache.
“Sei un codardo! Non sai combattere per te, credere nei tuoi obiettivi”, lo provoco, nella speranza che si fermi ancora per pochi minuti qui con me.
“IO?”
“Si, tu, Sasuke Uchiha. Colui che si è portato a letto così tante donne da perderne il conto”
“Gelosa?”, mi domanda con un sorriso beffardo.
“Si”, confesso spaziandolo, cancellandogli quel sorriso dal bel volto.
“Non ne hai il diritto”
Mi alzo in piedi per avvicinarmi a lui, per colmare quella distanza che, anche se insignificante, mi è insopportabile.
“Lo so, eppure… eppure questo cuore malandato ne ha sofferto lo stesso”, gli dico a un centimetro di distanza dal suo viso.
“Volevi essere al posto loro”, afferma così tremendamente sicuro di sé.
“No, ti sbagli. Non sono mai stata tipo di avventure banali. Piuttosto soffrivo per come ti svendevi”
“Mi svendevo?”
“Ti accontentavi”, mi affretto a correggermi notando la sua reazione.
“Perché merito qualcosa di meglio, vero? Magari una ragazza come te, così precisina e bacchettona”, mi sfotte.
“Ti meriti qualcuno che si preoccupi di te, che non si faccia ingannare dal fatto che ti mostri freddo come un sasso, che guardi oltre la tua bellezza”
“Forse non voglio qualcuno che mi stia appiccicato come una cozza a tormentarmi sui miei sentimenti, forse voglio sesso, semplice, superficiale sesso. Ma una come te cosa ne può sapere? Tu che piangi dopo un banale bacio”.
Banale.
Sento il cuore macinarmi il petto, ma non soffro come tutte le altre volte, sono anestetizzata da quelle taglianti parole che, come proiettili, mi trafiggono a morte.
 “B…banale”, ansimo, alla disperata ricerca di ossigeno.
“Sakura, tutto bene?”, mi domanda, ora preoccupato per il mio respiro sempre più affannoso.
“P-per m-me non è s-sta-to b-banal-e”.
Mi piego in due portando entrambe le mani all’altezza del cuore, con l’intento di strapparmelo dal petto.
“Ti porto in ospedale!”, mi dice perentorio afferrandomi per le braccia.
Ma mi discosto violentemente, troppo nauseata da quanto mi ha rivelato poco fa.
“Non toccarmi… s-sei tu che n-non m-meriti m-me”.
Stremata dallo sforzo di cercare di calmare quei frenetici battiti, mi accascio al suolo. Lacrime di sdegno e delusione cercano di sgorgare per lenire quell’agonia.
“Calmati!”, mi urla preso dal panico.
“è tutta colpa tua…. Dio che male!”
Spazientito dalla mia cocciutaggine mi solleva tra le sue braccia, e mi trascina in infermeria.
Qualche ora dopo
“Non era necessario che venissi anche tu”, borbotto dal letto dell’ospedale.
“Tsk”
“Sei insopportabile quando rispondi con quei versi inintelligibili”, affermo strappandogli un sorriso.
“Come ti senti?”, mi domanda accarezzandomi la fronte.
“Meglio”.
“Stanno aumentando”, mi dice riferendosi alle crisi.
“Lo so”, sospiro.
“Come fai a rimanere così tranquilla?”
“Non lo sono, in realtà dentro di me piango ed urlo in continuazione”, gli confesso.
“Hai paura?”
“Di morire? No, ormai sono abituata all’imminenza della morte. Ho paura di essere dimenticata”
“Impossibile”, mi assicura stringendomi una mano.
“Sono banale”, ripeto il suo insulto con gli occhi fissi sulle nostre mani.
“Scusami… non lo pensavo seriamente”, si scusa imbarazzato.
“Ma le hai comunque pensate”
“Tu stai con lui da una vita. Saresti disposta a lasciarlo per uno come me?”, mi sfida.
“Forse”, gli rispondo in un sussurro.
“Lo so che è solo un forse, ma stiamo solo sognando, visto che io un futuro da donare non lo ho.
Ma forse, un giorno, in un’altra vita, questo sogno si trasformerà in realtà. Allora forse potremmo fare tutto ciò che amiamo. Non sono io che devo decidere se vali la pena del mio tempo, ma tu. Vale la pena stare accanto a me sapendo che da un momento all’altro non ci sarò più?”.
Rimane palesemente spiazzato dalle mie parole, incapace di replicare, e forse è per questo che decide di voltarsi e andarsene, lasciando a me un vuoto da colmare.
Il silenzio che risponde alla mia domanda.
 
31 ottobre 2014, Konoha.

“Dai Sakura-chan, usciamo un po’! Da quando sei tornata a Konoha non hai messo fuori il naso da camera tua!”
“Naruto, posso chiederti una cosa?”, gli domando sviando le sue lamentele, troppo esausta per poter affrontare i nostri amici.
“Cosa?”
“Mi ameresti anche se scoprissi che sono una brutta persona?”, gli chiedo impacciata, evitando le profonde pozze blu dei suoi occhi.
“Tu una brutta persona? Pff”, sbuffa.
“Smettila! È una domanda seria!”
“Cosa ti sta succedendo ultimamente Sakura?”, mi chiede serio.
“Nulla. Solo… mi chiedevo se in realtà ci conosciamo così bene come pensiamo “.
“Ma io ti conosco più che bene”, mi risponde carezzandomi il volto con una leggera carezza, alludendo maliziosamente ad un altro tipo di conoscenza.
“Sei il solito baka!”, gli dico tirandogli addosso il cuscino.
“Almeno hai riso!”, esclama vittorioso.
“Andiamo da Ichiraku? Ho voglia di una bella porzione di ramen”, mi domanda.
“Non possiamo mangiarlo qui?”, gli propongo indicando il letto.
“Certo! Aspettami qui, torno subito!”
Due ore dopo.
Il senso di spossatezza che provo da stamattina si acuisce, scuotendomi il corpo con violenti brividi.
Guardo per l’ennesima volta l’orologio chiedendomi che fine abbia fatto Naruto.
Riprovo a chiamarlo al cellulare, ma dopo l’ennesimo squillo scatta la segreteria.
Stremata da un’emicrania lancinante, mi dirigo verso il bagno sperando di trovare un’aspirina. Purtroppo le mie speranze si infrangono nel vedere il cassetto dei medicinali vuoto.
Il nervosismo, mischiato all’ansia, mi contorce lo stomaco facendomi piegare sul water per rimettere l’anima.
“Cazzo!”, impreco.
Con braccia tremanti mi sollevo in piedi per dirigermi verso l’ingresso.
 Traballante, col fiato spezzato dall’estremo sforzo, mi trascino da Ichiraku, dove ciò che vedo fa crollare il mio precario mondo.
Perdo le parole, quelle parole che potrebbero ancoro rimettere insieme i nostri pezzi. Quelle parole che nelle loro sillabe contengono il dolore che provo per ciò. Perché sono troppo codarda per dirgli apertamente quanto fa male.
Perché ultimamente ho distrutto tutto quello che abbiamo costruito finora, troppo stanca di aspettare, seduta, sola nel buio.
C’è ancora un modo per rimediare a tutti gli errori che ho commesso?
Osservo Naruto mangiare il ramen che mi aveva promesso con Hinata. Sembrano una coppietta: il sorriso che lui le rivolge, la sua mano poggiata sulla spalla di lei, e gli occhi perlacei di lei che lo ammirano con amore.
E come un fulmine a ciel sereno mi ritorna in mente la domanda che ho posto a Sasuke: vale sprecare tempo con una come me? Che futuro ho da offrire? Che promesse potrei mai mantenere?
Ma se Sasuke era a conoscenza di ciò, Naruto non lo era. Lui progettava la nostra vita insieme, quanti bambini avere, dove andare a vivere. Ma io non sarei stata presente. Lo avrei abbandonato, lasciandolo con un vuoto da riempire, con la sfiducia nell’amore.
Immobile osservo come sarebbero dovute andare le cose, o forse come andranno quando il mio cuore si stancherà di rimanere aggrappato a questa vita.
Cerco di defilarmi senza attirare l’attenzione, impreparata ad un confronto con lo sguardo colpevole di lui. Ma i suoi occhi si posano subito su di me spalancandosi per la sorpresa.
“Sakura-chan…”, mi chiama.
Gli lancio un’ultima occhiata cercando di memorizzare tutti i minimi particolari che fanno di lui la persona che amo. Poi mi volto e inizio a correre per le strade di Konoha, incurante della sua voce che mi urla di fermarmi. La mia fuga viene interrotta da due braccia che mi avvolgono la vita tirandomi contro un ampio petto.
“No… lasciami andare!”
“Si può sapere da chi stai scappando?”, mi domanda la voce di Sasuke.
“Lasciami!”, gli urlo, ma lui, incurante dal mio ordine, mi volta in modo tale da poter vedere il mio viso.
“Sei febbricitante. Devi andare al pronto soccorso “, mi informa dopo avermi poggiato una mano sulla fronte.
“Non mi interessa”, ribatto liberandomi dalla sua presa.
“Sakura-chan! Non è come pensi tu!”, mi raggiunge Naruto.
Vedo un taxi avvicinarsi, così alzo la mano per fermarlo.
“Ho bisogno di tempo per riflettere. Ti cerco io”, gli dico prima di salire sul taxi e di fare ritorno a Suna.
31 ottobre 2014
Sono preoccupato per Sakura. Da giorni mi tiene a distanza. A mala pena mi permette di baciarla. È sempre più distante, non solo da me, ma dal mondo in generale. Da quando si è trasferita a Suna per studiare io e Mebuki non abbiamo più informazioni sul suo reale stato di salute, e temo che sia peggiorato. È difficile dare un senso al suo comportamento, anzi, alla situazione in generale. Sento che mi sta lasciando dietro, insieme a tutto quello che racchiude Konoha. La sua vita è ormai tra le mura del campus. Sento la sua mancanza, e non so come reagire alla solitudine che mi sta costringendo a condividere. Volevo uscire stasera, farla svagare, piuttosto che passare l’ennesima serata a guardare un film horror. Ma non vuole, e in fondo riesco anche a comprenderla. Osservo le occhiaie che le cerchiano gli occhi, il viso pallido e sciupato, tutti segni di una stanchezza dovuta ad una malattia debilitante. Cerco comunque di trascinarla da Ichiraku, ma niente, è irremovibile. Così corro a prendere tre porzioni di ramen, due per me e una per lei. Non appena entro nel piccolo chioschetto vedo Hinata seduta su uno sgabello, senza Kiba accanto a lei. Le domando se va tutto bene, e lei mi risponde che ha il sospetto che Kiba la tradisca. Non so per quanto tempo sono rimasto seduto lì con lei, ad ascoltarla parlare del suo fidanzato mangiando ramen, ma ad un certo punto sento uno strano formicolio alla base del collo. Mi volto e vedo Sakura, immobile sotto un lampione, pallida e tremante, i suoi bellissimi occhi sgranati dallo shock, e mi rendo conto di come potrebbe apparire la situazione. La chiamo, ma lei si volta e scappa via. Riesco a raggiungerla solo a qualche isolato di distanza, immobilizzata tra le braccia di Sasuke, intenta a liberarsi da quella presa. Vedo il dolore che i suoi occhi cercano di trattenere. Quel dolore che da anni ormai le scurisce gli occhi, privandoli della loro usuale limpidezza e vitalità.
A volte vorrei non averla conosciuta, che almeno non mi avesse rapito il cuore, così non avrei dovuto conoscere il suo dolore.
Ma se mi proteggo dal pericolo del vuoto che la sua perdita lascerà, questo senso di vuoto si sentirebbe lo stesso. Proprio come lo sento ora vedendola salire su quel taxi, chiedendomi tempo per riflettere. Solo quando il taxi scompare dalla mia vista mi volta verso Sasuke, pronto ad affrontare il suo sguardo pieno di biasimo. Lui sa, sa del suo cuore. Tiro un sospiro di sollievo nel sapere che ci sia lui a vegliare su di lei quando io non posso. Con un cenno del capo gli faccio cenno di sapere le condizioni di salute di Sakura, incapace di proferire parola per il groppo che mi ostruisce la gola.
Non sto bene. A volte vorrei essere al posto suo, farmi carico del suo dolore, ingoiarlo e mandarlo giù, in modo che possa tornare a vivere serenamente. Altre volte la odio. La odio profondamente, tanto quanto l’amo. La odio per non avermi allontanato da lei, per avermi ammaliato pur sapendo di non poter mantenere la promessa di starmi sempre accanto.
Solo ora, solo nella mia camera, mi rendo conto di non esser pronto per lasciarla andare.
Questo non può essere amore se fa così male. Eppure dovrò sopravvivere, essere quello più forte.
Non la pregherò di rimanere, la lascerò andare, e andrò avanti ricordando tutte le volte che abbiamo ballato così vicini da poterli rubare centinaia di baci, e le telefonate che duravano tutta la notte, che apparivano come scialuppe di salvataggio per me, salvandomi dalla mia solitudine. Ricorderò tutte le nostre cicatrici, che alla fine si dissolvono come stelle cadenti nell’oscurità del nostro amore, prima sono qui, incise sui nostri cuori, poi scompaiono, lasciando spazio ad un nuovo respiro.
Io sopravvivrò e sarò quello più forte.
Non è rinunciare, è lasciar andare per permetterle di trasferirsi in un posto migliore. Perché, anche se non sono pronto, devo esserlo per lei.
 
8 novembre 2014, Suna.

Trovo rifugio in questo modo, rinchiusa nel mio appartamento a contare le gocce di pioggia che corrono lungo il vetro della mia finestra, proprio come fanno le lacrime sulle mie guance.
Non mi sono mai sentita in questo modo, è come se non fossi io. Spengo le luci, permettendo alle meravigliose bugie che continuamente mi racconto di coprirmi gli occhi. Fingendo di essere migliore di quel che sono. Il mondo è così veloce che non rimarrà nulla di me, proprio come queste gocce di pioggia che veloci sfilano per morire soffocate sull’asfalto. Ma io non voglio svanire, voglio esserci per sempre, proprio come il fumo nell'aria che fluttua come una piuma che non va da nessuna parte.
Persa nel silenzio.
Non ho bisogno di essere libera, solo esserci per chi mi ha accompagnato su questa terra.
“Ti prego, uccidimi con gentilezza”, bisbiglio a chiunque stia lassù.
Un colpo alla porta mi distoglie da quei tetri pensieri.
“Va via”, rispondo, già sapendo di chi si tratta.
“Sakura, stai bene?”, mi chiede per la milionesima volta Sasuke. Da quando sono uscita dall’ospedale, tre giorni fa, mi sorveglia come un falco.
“Si”
“Allora perché stai chiusa in camera?”
“Non voglio vedere nessuno”
“è per quello che è successo alcuni giorni fa a Konoha? Quando hai visto Naruto con quella r…”
“Non è per quello. Lo so che lui non mi farebbe mai una cosa del genere”, lo interrompo.
“Allora?”
“Ho aperto gli occhi. Ho visto oltre le bugie che mi raccontavo. Diventare una famosa giornalista, dover scegliere tra la carriera e la famiglia, ogni risposta a queste domanda è stata una bugia, una bellissima bugia, perché non potrò fare nessuna di queste cose. Lui si merita di più di quello che gli ho offerto io e… vederlo con lei mi ha messo davanti al mio egoismo”
“Non sei egoista, sei solo umana”.
“Sasuke”
“Uhm?”
Sorrido nell’udire gli strani versi che fa quando si secca a rispondermi a parole-
“Mi racconti una bella bugia?”
Lo sento prendere un profondo respiro.
“Ti ho sempre notata, sin da quando avevi cinque anni e cadevi come una pera cotta in ogni buca, troppo presa a fantasticare per notare dove mettessi i piedi. Non ho mai pensato che fossi debole, anzi, ho sempre visto in te una degna avversaria. È per questo che ti ho tenuta sempre a distanza: ho sempre saputo che tu saresti stata capace di legarmi a te. Non sopporto vederti piangere, vedere i tuoi occhi diventare lucidi di lacrime mi scioglie il cuore. Quando ho scoperto della tua disfunzione cardiaca sono corso nella mia camera e ho spaccato ogni singolo mobile. E, Sakura…vali ogni secondo di tempo. La tua malattia non ti rende meno degna di essere amata”.
“Grazie”, singhiozzo. “è una delle bugie più belle che abbia sentito”, gli dico cercando di trattenere le lacrime.
“Sakura?”
“Si?”
“Mi apri?”
Gli apro la porta.
 
 
 
   
 
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