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Autore: Kim WinterNight    08/06/2017    5 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

Oh, what a disaster!

[Shavo]




A svegliarmi fu un gridolino proveniente dal letto accanto a cui ero seduto. Sobbalzai sulla sedia e avvertii immediatamente un dolore atroce alla schiena. Farfugliai qualche imprecazione tra i denti e cercai di stiracchiarmi, ignorando le fitte che continuavano a pungere come aghi la mia colonna vertebrale.

«Shavarsh, cosa ci fai qui?!»

Leah si mise a sedere di scatto, ma parve vacillare e si premette le mani sulle tempie; doveva avere un forte mal di testa e sicuramente era confusa su ciò che era accaduto la sera precedente. Non mi sarei sorpreso di scoprire che ricordava poco e niente della nostra uscita al Fyah.

«Ero agitato e non me la sono sentita di lasciarti sola.» Mi portai una mano di fronte alla bocca e sbadigliai, sentendo di essere distrutto. Mi alzai e presi a camminare avanti e indietro per la stanza, cercando di sgranchire il corpo e riattivare i sensi intorpiditi.

«Mi dispiace così tanto per ieri sera...» mormorò la ragazza.

«Allora ti ricordi tutto?» la interrogai, fermandomi ai piedi del letto.

«Purtroppo sì. Ho fatto una figura pessima, mi vergogno. Non avrei mai dovuto perdere il controllo» ammise in tono desolato, senza mai incontrare il mio sguardo. Mi dispiaceva vederla in quelle condizioni, ma la cosa peggiore era notare che non stesse sorridendo come sempre e che si sentisse in colpa anche se non avrebbe dovuto.

«Non pensarci, è tutto finito. Sono rimasto per assicurarmi che non stessi male durante il sonno» le spiegai con semplicità. «Ora stai bene?»

Lei annuì. «Ma... hai dormito su quella sedia?» mi chiese in tono contrariato, posando finalmente gli occhi color cioccolato su di me. Lessi preoccupazione in quello sguardo, ma anche una valanga di sensi di colpa.

«Sì, che sarà mai?» sdrammatizzai con un sorriso. «Ora me ne vado, tranquilla. Non volevo spaventarti.» Detto questo, mi avviai verso la porta e la socchiusi. «Ci vediamo più tardi, okay? Se hai bisogno di qualcosa, cercami. E se non trovi me, puoi fare affidamento sui ragazzi.»

«Ehi Shavarsh!» mi richiamò Leah, proprio mentre stavo per uscire. Mi fermai e attesi che proseguisse. «Grazie di tutto, sei stato... un tesoro» aggiunse infine.

Rimanemmo a guardarci per un attimo, poi annuii e lasciai la stanza.

Mentre tornavo in camera mia, ripensai al tempo infinito che avevo trascorso su quella sedia, fermo e in silenzio, a osservare Leah che dormiva. Non ero riuscito a distogliere lo sguardo finché le palpebre non erano diventate troppo pesanti e si erano chiuse da sole.


Mentre facevo colazione in terrazza, il cellulare squillò. La mia suoneria consisteva in un pezzo dei Nirvana, About A Girl; non riuscivo a immaginare qualcosa di diverso per l'avviso di chiamata, e infatti non cambiavo la suoneria da più di un anno.

Fui lieto di scoprire che a chiamarmi fosse Serj, così risposi in tono allegro: «Ehi cantante, buongiorno!».

«Ciao Shavo» replicò lui, e nella sua voce notai ben poca allegria. Era come se fosse preoccupato, il che fece allarmare subito anche me.

«Che succede? Perché questo tono da funerale? Ti prego, non darmi una brutta notizia...»

Serj sospirò. «Qui sta succedendo un casino, non puoi neanche immaginare cosa...»

Agitatissimo, cominciai a sudare copiosamente e mi guardai attorno in cerca di un appiglio, nonostante fossi ben cosciente di essere circondato da perfetti sconosciuti che non avrebbero badato a me.

«Cosa è successo? Ora mi metti ansia, merda!» strepitai con voce stridula.

«Calmo, Shavo, stai calmo. Respira, avanti» cercò di tranquillizzarmi il cantante.

«No! Angie sta bene? Tu stai bene? I tuoi genitori? Oddio, è successo qualcosa a Beno?» presi a tempestarlo di domande, portandomi una mano alla fronte. Sentii d'improvviso tutta la stanchezza accumulata abbattersi addosso al mio corpo e alla mia mente, e un senso di spossatezza generale mi invase, gettandomi nel panico più totale.

«Stiamo tutti bene» si affrettò a rispondere Serj. «Si tratta di Daron.»

«Daron?! Ma se è qui con noi, come può aver combinato un casino a Los Angeles?» gli feci notare, sempre più confuso.

Proprio in quel momento venni raggiunto da Alwan, che teneva in mano un bicchiere d'acqua e me lo posò di fronte, facendomi segno di bere. Mi posò una mano sulla spalla e rimase un attimo al mio fianco, cercando di capire cosa avessi.

«Una tizia si è presentata al campo da basket stamattina, una ragazzina di circa diciassette anni. Ha asserito di essere figlia di Daron» raccontò Serj, e io potevo percepire la disperazione farsi largo nella sua voce. «Ha detto che ha le prove per...»

«Cosa?» gridai, posando di botto il bicchiere sul tavolino.

Alwan sobbalzò al mio fianco e cercò il mio sguardo, mostrandosi preoccupato per la condizione in cui versavo. Mi sentivo in colpa perché non volevo assolutamente coinvolgere quel ragazzo in una faccenda così complicata, soprattutto perché non lo conoscevo abbastanza. In quel momento avrei voluto che John fosse con me, che Leah fosse con me, persino Daron sarebbe andato bene...

«Shavo, ci sei? Stai bene?» stava continuando a chiedermi il cantante in tono allarmato.

«Non... non ci posso credere» balbettai, abbandonandomi completamente contro lo schienale della sedia.

«Non so cosa dirti» ammise Serj. «All'inizio anche io non ci credevo, però poi mi ha mostrato un foglio e...»

«Un foglio?» Aggrottai la fronte e ripresi il bicchiere per sorseggiare un altro po' d'acqua.

«Penso fosse un certificato di nascita o qualcosa del genere.»

Tossicchiai. «E cosa ti ha detto, poi?»

«Vuole vedere Daron e dirglielo. Io le ho spiegato che ora Daron non è in città e mi sono rifiutato di dirle dove si trova» proseguì Serj. «Ma lei mi ha detto una cosa strana.»

«Ovvero?» lo incoraggiai sempre più preoccupato.

«Dice di sapere dove si trova.»

Sobbalzai, c'era qualcosa che non quadrava. «Com'è possibile?» chiesi. Poi mi venne qualcosa in mente e aggiunsi: «Come si chiama questa fantomatica figlia di Daron?».

Alwan, ancora in piedi accanto a me, prese a scuotere il capo e notai che si tratteneva per non ridere. In effetti la situazione poteva sembrare piuttosto comica, ma io al contrario provavo un disagio enorme.

«Non me lo ricordo» rispose il cantante in tono desolato.

«Senti, se ti ricordi, fammelo sapere» affermai.

«Tanto lei tornerà a cercarmi, ha detto che ormai sa dove trovarmi e vuole delle risposte. Vuole sapere qualcosa di certo. Vuole che Daron la riconosca.»

«Ma che cazzo dice? Merda, che casino!» bofonchiai.

«Dobbiamo mantenere la calma. Senti, parlane con John, ma vi prego di non dire nulla a Daron... lui è sempre così impulsivo, potrebbe andare fuori di testa e combinare qualche casino dei suoi, capisci?» mi ammonì ancora il mio amico.

«Certo, certo! Stai tranquillo! Che casino, porca puttana, ma perché questo demente deve sempre cacciarsi nei guai? Poi ci passiamo sempre noi...» farneticai, non sapendo di preciso a chi mi stessi rivolgendo.

«Ora calmati, dai, non farti prendere dal panico. Ricordati che comunque sono problemi suoi, non tuoi o miei o di John. Intesi?»

Sospirai. «Okay, ci provo» borbottai poco convinto.

«Allora salutami i ragazzi, poi se succede qualcosa ti aggiorno. Non pensarci troppo, pensa a divertirti e basta!» disse ancora Serj. «A proposito... come va con quella ragazza che hai conosciuto?» mi chiese poi all'improvviso.

Pensai a Leah e mi ritrovai a sorridere senza volerlo. «Eh... va bene, insomma... ci stiamo conoscendo» risposi evasivo.

«Ti piace.» Quella di Serj non era stato una domanda, bensì un'affermazione; doveva aver sentito qualcosa nel mio tono di voce che lo aveva fatto giungere a quella conclusione.

«È presto per dirlo» tagliai corto.

«Mmh... okay, se lo dici tu. Ma secondo me ti piace» insistette ancora il mio amico, la voce colma di malizia.

«Vedremo. Ora devo andare, scusa... ci sentiamo» conclusi, notando che John avanzava verso di me per poi sedermisi di fronte.

Chiusi la conversazione e, dopo aver appoggiato i gomiti sul tavolino, mi presi la testa tra le mani e sospirai. «Cazzo» imprecai tra i denti.

«Ehm... ehi, amico?» mi sentii chiamare da Alwan, il quale posò nuovamente la mano sulla mia spalla.

Farfugliai qualcosa di incomprensibile anche a me stesso e ascoltai distrattamente il dialogo tra John e il barista, poi quest'ultimo si allontanò verso il bancone.

«Che ti prende?» chiese il batterista apprensivo.

Dopo aver riordinato un secondo le idee, gli raccontai tutti i dettagli della telefonata con Serj, e lui rimase in ascolto senza interrompermi; tuttavia, man mano che apprendeva ciò che gli stavo dicendo, la sua espressione diveniva sempre più perplessa e confusa.

«Ecco tutto» conclusi, posando i palmi sudati delle mani sul tavolino.

«E ora che cazzo facciamo?» sospirò John in tono esasperato.

«Ce lo teniamo per noi e attendiamo sviluppi» dissi semplicemente.

«Che disastro» borbottò il batterista, mentre Alwan gli serviva un caffè fumante.

«Ragazzi, io non voglio intromettermi, però mi è capitato di sentire qualcosa e, be'... se avete bisogno di aiuto, potete contare su di me» disse infine il ragazzo, poi ci sorrise e si avviò nuovamente verso il chiosco in legno.

«Comunque, Leah come sta?» cambiò argomento John, stanco probabilmente di parlare di Daron e delle situazioni assurde in cui si andava a cacciare.

«Sta bene» risposi. Parlare di Leah mi scaldava il cuore e liberava la mia mente dai cattivi pensieri che la affollavano in quel momento.

«Sei stato carino a starle vicino stanotte» commentò il batterista, indirizzandomi un sorriso appena accennato.

«Non me la sono sentito di lasciarla sola. Era sconvolta ieri, hai notato?»

John fece spallucce. «Già, povera Leah.»

Rimasi a fissare il mio amico per un po', poi dissi: «Serj dice che mi piace Leah. Gli hai raccontato tutto, scommetto».

Il batterista scosse il capo. «Più o meno, ma ricordati che il nostro cantante capisce sempre tutto senza che nessuno gli dica niente.»

«Questo è vero» osservai.

«E ha ragione?»

Guardai John. «Ha ragione?» ripetei.

«Ti piace Leah?» mi interrogò lui.

Fissai le mie mani ancora appoggiate sul tavolino e sospirai. «Spero non si noti troppo» risposi mestamente.

John ridacchiò. «No, macché!»

Continuammo a battibeccare e lui mi prese un po' in giro, finché non fummo raggiunti da una donna che non avevo mai visto prima: era alta, formosa e dalla carnagione olivastra; una cascata di capelli neri e ricci le incorniciava il viso dai lineamenti marcati e un paio di occhiali da vista le contornavano gli occhi scuri. Si rivolse a John come se lo conoscesse, poi mi lanciò un'occhiata e parve illuminarsi.

«Ecco il terzo membro della band!» esclamò con un tono di voce un po' troppo alto.

«Bryah, ti prego, abbassa la voce» sibilò il batterista.

«Giusto, giusto, scusate...» borbottò lei, sfoderando un sorriso luminoso e ampio. «Mi presento: io sono Bryah Philips, sono una giornalista, ma non ho nessuna intenzione di dire a tutto il mondo che voi siete qui».

Ci stringemmo la mano e lei mi raccontò che era giunta allo Skye Sun Hotel in seguito a una soffiata secondo la quale avrebbe dovuto scovare Lady Gaga in questo angolo di paradiso; l'informazione si era rivelata infruttuosa e così aveva deciso di rimanere comunque a trascorrere qualche giorno di ferie. Il giorno prima si era imbattuta in John e, dopo averlo riconosciuto, i due avevano fatto amicizia e lei gli aveva rivelato che le sarebbe piaciuto scrivere la biografia della nostra band.

«Caspita, che storia avvincente!» esclamai.

«Vero?» scherzò Bryah.

Proprio in quel momento anche Leah giunse in terrazza e ci raggiunse: sembrava essersi ripresa completamente ed era luminosa e radiosa come al solito, il che non poté che rincuorarmi e farmi dimenticare del tutto gli avvenimenti negativi di poco prima.

«Buongiorno ragazzi!» esordì la ragazza, poi picchiettò sulla spalla di John e gli lanciò un'occhiata desolata. «Scusa se stamattina non mi sono presentata al nostro solito appuntamento, ero veramente a pezzi» spiegò.

John le strinse brevemente la mano e le regalò un piccolo sorriso. «Non importa, recupereremo. Anche io sono sceso dal letto piuttosto tardi stamattina.»

Leah sospirò e parve tranquillizzarsi, poi si accomodò accanto a me e prese a studiare Bryah Philips che ancora stava in piedi vicino al batterista.

«Leah, ti presento Bryah. Lei è una giornalista» annunciò il mio amico, indicando la sua nuova conoscenza.

«Piacere di conoscerti, Bryah! Hai un nome bellissimo!» esclamò Leah con entusiasmo, protendendosi per stringerle la mano.

«Anche il tuo non è male, sorella» ammiccò la donna con un enorme sorriso, ricambiando il gesto di Leah.

«Sentite» intervenni. «Perché noi quattro non ce ne andiamo a pranzo in città? Ieri Leah mi ha portato in un posto magnifico.»

«Dove lo hai portato?» volle sapere Bryah.

«Siamo stati da Health Inna Roots, lo conosci?»

«Ma certo! Si mangia bene lì! Io ci sto!» accettò volentieri il mio invito Bryah, strizzandomi l'occhio.

Io e John ci scambiammo un'occhiata perplessa.

«Lo diciamo a Daron?» chiese il batterista.

«Tu che ne pensi?» feci io.

Poco dopo ci ritrovammo a scuotere il capo contemporaneamente.

«Non se lo merita» sghignazzai.

«Ci odierà» commentò John.

«Siete cattivi! Che vi ha fatto?» interloquì Leah.

«Sapessi...» borbottai in risposta.

Lei mi studiò per un attimo e compresi immediatamente che probabilmente aveva carpito un certo malessere in me; tuttavia ero grato al fatto che avremmo trascorso del tempo con John e la sua nuova amica, almeno avrei potuto evitare le domande di Leah per qualche ora ancora.

Ci alzammo dal tavolino e, dopo aver salutato Alwan, ci dirigemmo verso l'ascensore, chiacchierando del più e del meno. Quando la porta dell'ascensore si aprì, ci ritrovammo di fronte a Daron che ne usciva.

Si fermò di botto e ci studiò uno a uno, aggrottando la fronte e incrociando le braccia al petto.

«Dove credete di andare?» ci apostrofò con un sorrisetto enigmatico.

«Andiamo a pranzo fuori, perché?» ribatté Leah senza scomporsi, fronteggiandolo con estrema sicurezza di sé.

«E mi lasciate qui?» Daron prese a dondolare con il capo a destra e a sinistre, poi sbuffò rumorosamente.

«Oggi sì» disse ancora Leah.

Il chitarrista le fece una linguaccia e le scompigliò i capelli con un gesto rapido e inaspettato. «Non fare tanto la dura con me, marmocchia. Vedo che oggi stai bene, eh?»

Leah lo schiaffeggiò sulla mano. «Sto benissimo, grazie.»

«Per stavolta vi perdono» concluse Daron. «Ma solo perché non ho voglia di uscire.»

«Meno male!» commentò Bryah, fingendosi preoccupata. Lei e Leah si scambiarono un'occhiata complice e scoppiarono a ridere all'unisono. Sottobraccio, si infilarono in ascensore e ci incitarono a seguirle.

«Ciao amico, divertiti qui tutto solo» salutai il chitarrista.

Lui sollevò il dito medio nella mia direzione. «Troverò compagnia, non temere.»

Sperai seriamente che con quelle parole non intendesse farmi capire che voleva andare alla ricerca di una compagnia femminile. A quel pensiero mi tornò in mente la mia conversazione con Serj, ma subito posai lo sguardo su Leah e la mia mente si svuotò nuovamente.

  
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