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Autore: Kim WinterNight    15/06/2017    4 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

Must be Serious!

[John]




Mentre aspettavamo un taxi, presi Bryah da parte e feci in modo che Leah non potesse udire la nostra conversazione. Per fortuna lei e Shavo stavano ridendo e scherzando tra loro e parvero non badare troppo a noi.

«Bryah, senti... Leah non sa che io e i miei amici facciamo parte di una band famosa» esordii a bassa voce.

La giornalista inarcò le sopracciglia. «Davvero?»

Annuii. «Già. Cerca di non farglielo sapere, eh?» aggiunsi.

«Come vuoi. Ma sei sicuro?» indagò Bryah con fare cospiratorio.

«Di cosa?»

«Del fatto che Leah non vi abbia riconosciuto» spiegò pazientemente la donna.

Mi guardai attorno e sospirai. «In realtà qualche sospetto ce l'ho.»

Bryah schioccò le dita e sghignazzò. «Beccato. Be', ci penso io, non preoccuparti.»

Stavo per ribattere, quando Shavo ci richiamò e notai che un'auto si era fermata all'ingresso del vialetto.

Quando salii a bordo del taxi, non avevo la minima idea di cosa Bryah volesse fare, ma mi sentivo un poco agitato perché speravo che non rivelasse troppi dettagli a Leah.


Health Inna Roots, meglio conosciuto con l'acronimo HIR, era un locale carino e accogliente: si trattava di un chiosco sulla spiaggia, una struttura articolata su due piani interamente costruita in legno chiaro; Leah e Shavo ci trascinarono al piano superiore, il quale era interamente ricoperto di vetrate che permettevano di mangiare con una visuale pazzesca sull'oceano. Le grandi finestre erano quasi tutte aperte e lasciavano che una forte e tiepida brezza dal profumo salmastro allietasse la permanenza dei clienti.

Una volta seduti a un tavolo posto accanto a una delle tante vetrate, prendemmo a esaminare il menu. Aggrottai le sopracciglia, domandandomi cosa avrei potuto mangiare. Forse rice and peas poteva essere accettabile, in fondo si trattava soltanto di riso e fagioli. Niente di complicato.

Le pietanze avevano dei nomi che non riuscivo a comprendere e non avrei saputo proprio cosa scegliere. Leah se ne accorse e mi lanciò un sorrisetto: sedeva di fronte a me e mi osservava da un po', come se si aspettasse qualcosa che io non riuscivo a cogliere.

«Che c'è, John? Non sai cosa mangiare?» mi punzecchiò divertita.

«Sì che lo so... prendo il riso con i fagioli» affermai.

«Ma John, il rice and peas non ti basterà! Al massimo puoi ordinarlo come contorno» mi fece notare Bryah, scambiando un'occhiata divertita con Leah.

«Dovresti prendere qualcos'altro. Io mi tuffo sul pesce oggi, questo profumo di mare mi mette di buonumore! Quando mangiamo allo Skye Sun Hotel, siamo sempre rinchiusi in ristorante... non è la stessa cosa» borbottò Shavo, indicando una pietanza sul menu che portava il nome di pesce escovitch.

«Vuoi davvero mangiare del pesce marinato nel succo di lime? Ma che roba è? Non mi ispira affatto...» bofonchiai, scuotendo leggermente il capo.

«Oh, andiamo! Devo pregarti anche oggi di provare qualcosa di diverso?» mi stuzzicò ancora Leah, incrociando le braccia al petto.

«Non stiamo facendo colazione, ora il nostro patto non è valido» sottolineai.

«Non fare tante storie» intervenne Bryah. «Ti consiglio qualcosa io. Pesce o carne?»

La osservai dubbioso. «Pesce?» azzardai.

«Se sei diffidente, puoi provare a prendere del pesce fritto e, magari, sperimentare sul contorno. Che ne pensi?» proseguì Bryah.

Annuii. «Forse.»

«Allora... che ne dici di pesce fritto, riso e banane verdi?» propose la donna.

Mi accigliai. «Verdi, hai detto?»

«John, cazzo! Vuoi sperimentare o no?» si inalberò Leah, mollandomi un calcio sotto il tavolo.

«Ahi.»

«Ordinerò io per te» decise Bryah, chiudendo di scatto il menu e richiamando l'attenzione di un cameriere.

Circa mezzora dopo, mi ritrovai a gustare il mio pesce fritto aromatizzato con un sacco di spezie e peperoncino, contornato da riso e banane verdi. L'accostamento era piuttosto strano, ma il mix di sapori riuscì a convincermi e mi ritrovai a finire il mio pasto prima di quanto immaginassi.

Leah e Bryah si scambiarono un'occhiata complice.

«Qui il cinque, sorella!» strillò la giornalista.

«Siamo un'ottima squadra, sista!» esultò l'altra.

«Siete un po' matte voi due» disse Shavo, finendo di mangiare a sua volta.

«Cosa facciamo adesso?» domandò Leah, scrutando al di là della vetrata.

«Una passeggiata?» proposi, sentendo la necessità di sgranchirmi le gambe e scaldare i muscoli. Poteva sembrare assurdo, ma stavo risentendo tantissimo del fatto di non poter suonare la batteria.

«Ma non ti stanchi mai di essere in perenne movimento? Io vorrei buttarmi in spiaggia e dormire...» si lamentò subito Shavo.

«Hai sonno?» si preoccupò Leah, posando gli occhi scuri sul mio amico. Era sempre più palese, almeno ai miei occhi, che tra quei due ci fosse del tenero, o almeno che qualcosa stesse pian piano prendendo forma. Qualcosa di bello, di forte, di inspiegabile.

«Eh, un po'» replicò il bassista, grattandosi dietro l'orecchio destro.

«Colpa mia! Non avresti dovuto dormire su quella sedia.»

«Infatti non ci ho dormito, ero sveglio per quasi tutto il tempo» ammise ancora Shavo, sorridendo mestamente alla sua interlocutrice.

«Sei uno sconsiderato, Shavarsh!» lo rimproverò lei con disappunto.

A quel punto mi venne spontaneo chiedere: «Com'è che non ti incazzi con Leah per come ti si rivolge?».

Tre paia di occhi si posarono su di me, ma non mi scomposi e sostenni le loro occhiate indagatrici.

«Perché dovrebbe incazzarsi con me?» chiese infine Leah, mossa dalla sua solita e implacabile curiosità.

«Lui odia essere chiamato Shavarsh» precisai, godendomi l'espressione del bassista che si riempiva d'imbarazzo.

«Sul serio?» strepitò Leah. «Non è possibile!»

«Possibilissimo» confermai.

«Ma sei uno stronzo, Dolmayan!» mi accusò l'oggetto della discussione.

«Così impari a contraddirmi quando ho voglia di fare due passi, razza di bradipo» controbattei, indirizzandogli un sorrisetto divertito.

«Questa poi!» Ormai Leah stava ridendo e non riusciva più a trattenersi. Si allungò verso Shavo e gli posò una mano sul braccio. «Davvero lo odi?»

«Abbastanza» borbottò lui, senza sollevare lo sguardo su di lei.

«Mi dispiace.»

«Macché...» fece il bassista con noncuranza.

«Mi sa che non gli dà poi così tanto fastidio» intervenne Bryah, strizzandomi l'occhio.

«Per farmi perdonare, ti offro un gelato! Ci stai?» propose Leah, senza staccare gli occhi dalla figura di Shavo.

Lui la guardò in viso e sorrise. «Ottima idea! E poi andiamo in spiaggia a dormire?»

«Ma certo che sì!»

Io e Bryah ci guardammo perplessi.

«Gelato per tutti allora!» affermò la giornalista, poi tutti insieme ci dirigemmo a pagare il conto.

Mi voltai a guardare Leah e Bryah. «Ragazze, possiamo offrirvi noi il pranzo?»

«Non se ne parla!» negò con sicurezza Bryah. «Siamo nel Medioevo per caso?»

«Appunto. E poi Shavarsh... ops, ehm... lui me l'ha offerto anche ieri. Quindi non esiste!» si fece avanti la più giovane, dando di gomito al bassista.

«Ma...» provai a protestare.

«Niente ma, John!»

Le due si avvicinarono al bancone e, dopo aver battibeccato tra loro per almeno dieci minuti, Bryah ebbe la meglio e offrì il pranzo a tutti, asserendo che eravamo suoi ospiti perché lei era l'unica a essere giamaicana.

Non sapevo su quali fondamenta basasse quel ragionamento bizzarro, tuttavia decisi di non contraddirla e la seguii all'esterno, dove Leah e Shavo ci aspettavano.

«Gelato!» gridarono come bambini, indicando un chiosco sulla spiaggia a pochi metri da noi.

Sospirai. Mi sembrava di essere in vacanza con dei figli adottivi, e meno male che Daron non era nei paraggi!


Trascorsi il pomeriggio a passeggiare con Bryah, mentre Leah e Shavo se ne stavano stravaccati in riva al mare.

Io e la giornalista chiacchierammo un sacco, ma io provavo molto disagio; da quando avevo scoperto che aveva un compagno, non riuscivo più a essere spontaneo come all'inizio. Tra noi si era creata una sintonia incredibile, e questo perdurava nonostante io mi comportassi in maniera leggermente fredda e distaccata. Possibile che soltanto io avvertissi quella tensione tra di noi?

Mentre viaggiavamo verso l'albergo, stanchi ma felici, Leah prese a raccontare che aveva cantato la ninna nanna a Shavo e che lui si era addormentato come un bambino con la faccia nella sabbia.

«Ma perché oggi ce l'avete tutti con me?» protestò il bassista contrariato.

«Andiamo, non prendertela! E poi ha anche sbavato!» proseguì Leah imperterrita.

«Leah, sei terribile!» strillò Bryah, per poi scoppiare a ridere e rovesciare la testa all'indietro. Rimasi incantato dal profilo del suo volto, dai capelli ricci e ribelli che le carezzavano il collo, dalla maglia azzurra che aderiva perfettamente alla rotondità delle sue forme...

«E posso continuare a chiamarlo Shavarsh, sapete? Mi sento fortunata!»

La voce di Leah mi riportò alla realtà e mi accorsi solo in quel momento che stavo sorridendo come un idiota. Dove stava andando a finire la mia serietà? Quel fottuto viaggio in Giamaica mi stava consumando i neuroni.

«Prima o poi ti strangolo, Leah Moonshift!» borbottò Shavo, scuotendo il capo con fare esasperato.

«Io pensavo che soltanto Daron sbavasse nel sonno» osservai.

«Cazzo, smettetela!» si lagnò ancora il bassista.

«Ti vogliamo bene, non fare così» lo rassicurò Leah in tono ironico, accarezzandogli la schiena.

Tra quei due era davvero cambiato qualcosa, ne ero certo. E forse neanche loro se n'erano accorti, forse non riuscivano a capirlo, ma era come se cercassero un perenne contatto fisico, come se non potessero stare lontani neanche per un secondo.

Era buffo, però ero proprio contento per Shavo: almeno lui avrebbe potuto concludere qualcosa, a differenza mia.

Una volta in albergo, Bryah mi sussurrò: «Vado a sondare il terreno con Leah».

«Cosa intendi fare?» mi preoccupai.

«Sono una giornalista. Fidati di me» disse soltanto, poi si avvicinò all'altra ragazze e le propose di andare in spiaggia insieme.

Così le due si accordarono per ritrovarsi nella hall poco dopo e si avviarono verso le loro stanze.

Anche io e Shavo salimmo al terzo piano insieme a Leah, godendoci lo spettacolo che si estendeva sotto di noi; l'ascensore panoramico riusciva sempre a incantarmi, era impossibile distogliere lo sguardo dalla spiaggia dorata e dall'infinità del mare.

«Voi venite con noi in spiaggia?» ci chiese Leah, fermandosi di fronte alla porta della sua stanza.

Declinammo l'invito e ci accordammo per vederci più tardi.

«Oggi non usciamo, vero? Io sono distrutto» mormorò Shavo, sbadigliando rumorosamente.

«Come volete» disse Leah. «Tu sicuramente non vai da nessuna parte. Direi che possiamo starcene belli e tranquilli in terrazza.»

«Concordo» affermai.

«Allora è deciso. A dopo, belli! Fate i bravi!» ci salutò Leah, passando distrattamente una mano sul braccio di Shavo.

Una volta rimasti soli in corridoio, decidemmo di andare a controllare che Daron fosse ancora vivo.

Ci aprì, mostrandosi piuttosto stralunato: indossava una camicia hawaiana troppo larga su un paio di bermuda verde militare. Era scalzo e teneva tra le dita uno spinello.

«Qualcosa non va?» gli domandò Shavo, spingendolo dentro, dato che il chitarrista non accennava a spostarsi.

«Direi di no... ehi, state invadendo la mia privacy!» ringhiò Daron poco convinto.

«Che casino questa stanza!» mi lasciai sfuggire, tappandomi teatralmente gli occhi con le mani.

«Fatti i cazzi tuoi, Dolmayan.»

Il bassista si fermò accanto alla portafinestra che conduceva al piccolo balcone di cui la camera disponeva. «Sei di malumore» constatò con cautela, studiando i movimenti nervosi del nostro amico.

«E allora?» esplose Daron, serrando la mano libera e premendosela sulla fronte.

«Cosa è successo?» gli chiesi, posandogli gentilmente una mano sulla spalla. Avvertivo chiaramente la tensione in lui, tremava e riusciva a stento a stare fermo.

«Non è successo un cazzo, okay?» sbottò il chitarrista, scrollandosi le mie dita di dosso.

«Okay, Johnny, lasciamolo in pace. Ma, ehi, Daron... se hai voglia di sfogarti ci puoi chiamare, lo sai, vero?» si arrese Shavo. Doveva essere piuttosto stanco e non aveva molta voglia di discutere o insistere con Daron.

«Sì, sì...»

«Stasera non usciamo, ci troviamo tutti in terrazza anche con Bryah e Leah. Vieni anche tu?» domandai, sperando che quella notizia gli facesse piacere.

Il chitarrista scrollò le spalle. «Non so» si limitò a replicare in tono piatto.

«Ricevuto, ce ne andiamo» concluse infine il bassista, afferrandomi per un braccio e trascinandomi via.

Avrei giurato che Daron, poco prima di sbatterci la porta in faccia, stesse trattenendo a stento le lacrime. Quel ragazzo mi preoccupava sempre più e non sempre sapevo come prenderlo.

Una volta in camera nostra, Shavo si buttò sul letto e sbadigliò per l'ennesima volta.

«Hai dormito in spiaggia e hai ancora sonno?» lo punzecchiai. Mi posizionai in piedi di fronte all'armadio ed esaminai i miei indumenti alla ricerca di qualcosa da indossare dopo la doccia.

«Ho dormito pochissimo» ammise il mio amico, mettendosi su un fianco e socchiudendo gli occhi.

Rimasi un attimo in silenzio, poi osservai: «Tu e Leah state bene insieme. Noto una buona intesa tra voi due».

Il bassista riaprì di scatto gli occhi e tossicchiò. «Ma su, non esagerare...» minimizzò. «Piuttosto, tu vorresti farti la giornalista, non è così?» insinuò.

«Ha un compagno» gli feci notare.

«Ah sì? E che importa?»

«Smetti di parlare come Daron» lo rimbeccai.

Shavo rise. «Dai, siamo in vacanza. Ti dovrai pur divertire, no?»

«Mi sto divertendo.»

Ci fissammo per un po', e anche se non ci scambiammo delle altre parole, sapevo che Shavo riusciva a leggere nei miei occhi e a capire che in realtà ero un po' deluso. In certi momenti mi veniva quasi voglia di comportarmi come il nostro screanzato chitarrista, ma subito dopo i sensi di colpa mi invadevano e me lo impedivano categoricamente.

Sorrisi debolmente al mio amico e mi infilai in bagno. Dovevo ragionare in modo razionale e non farmi turbare troppo da ciò che mi stava capitando durante quella strana vacanza: avevo dei progetti da tenere a mente, dovevo continuare a studiare quei ritmi dispari sulla batteria e poi ci sarebbe stato il concerto al Dodger Stadium.

La mia vita sarebbe andata avanti a prescindere, anzi, era già andata avanti ancor prima che potessi viverla.

  
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