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Autore: Anukis    09/06/2017    1 recensioni
Nessuno vorrebbe mai svegliarsi con un Hollow a torreggiare sopra di sé, per giunta dopo essere appena morto. Nel caso di Aomura Okumi, a complicare le cose ci sono uno strano kimono nero e una spada dal carattere volubile. Seguendo gli insegnamenti di un pigro Shinigami senza peli sulla lingua, la ragazza dovrà imparare a destreggiarsi in una situazione che diventa sempre più pericolosa e misteriosa...
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[*Nota: la dicitura Nuovo personaggio si riferisce a tutti gli OC presenti nella storia, ovvero l'intero cast*]
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Worry, but do not care


















 
  Sotto le prime luci dell’alba, una leggera foschia avvolgeva il parco deserto. Faceva anche piuttosto freddo, ma la Shinigami che vagava fra i giochi dell’area bambini non poteva rendersene conto.
  Okumi si guardò intorno, sperando di riconoscere una qualche figura umana. Non era ancora in grado di percepire il reiatsu a comando.
  - Mi scusi, signorina! -
  Una voce angosciata risuonò nell’aria, mentre un uomo sui quarant’anni si avvicinava a passi veloci alla ragazza.
  - Ha per caso visto un bambino di otto anni, con un berretto blu? È mio figlio, dovevo venirlo a prendere ma non lo trovo da nessuna parte! -
  Okumi provò una gran pena per quel tipo. Era così preoccupato, non si era accorto di nulla...
  - Signorina? - ripeté l’uomo, ma stavolta con fare diffidente. Doveva aver notato la spada al fianco della sconosciuta.
  La ragazza sfoggiò il suo più rassicurante sorriso. - Non si preoccupi, ora. Presto sarà in un posto migliore. -
  Poteva esserci frase più scontata?
  - A-Arrivederci. -
  L’uomo fece per andarsene in tutta fretta, ma l’altra lo precedette.
  Con un gesto ancora goffo, ma che cominciava ad esserle naturale, Okumi sfoderò la Zanpakuto e premette il fondo dell’elsa sulla schiena dell’anima. Nel medesimo punto, si formò l’ideogramma del konso e il konpaku dell’uomo brillò per un istante, dissolvendosi subito dopo.
  La ragazza sospirò, abbassando la lama prima di rinfoderarla.
  Ormai da tre settimane aveva assunto la più semplice delle mansioni da Shinigami. A detta di Jukunemu, lui non aveva tempo per effettuare tutte le sepolture dell’anima delle quali arrivava richiesta dalla Soul Society. Dapprima Okumi aveva pensato fosse una specie di vendetta, per la storia dell’aver lasciato correre la presenza di un Hollow. Ci era voluto poco, però, perché anche lei si rendesse conto che in città ne spuntavano sempre più, di quei mostri. Anche gli allenamenti venivano spesso interrotti da qualche segnalazione.
  Così, Jukunemu aveva colto la palla al balzo per far esercitare un po’ la sua protetta. La quale non aveva accolto la prospettiva con grande gioia.
  Essere una dea della morte comportava due compiti, nessuno dei due piacevole. Combattere Hollow e strappare definitivamente le persone al mondo terreno.
  Okumi odiava confrontarsi faccia a faccia con le paure, i rimpianti degli altri. Lo odiava perché la faceva sentire a disagio.
  Perciò non importava con quali buone intenzioni lo si facesse, seppellire un’anima voleva dire proprio questo. Ci si trovava di fronte a qualcuno che un attimo prima era vivo e quello dopo no. Molti non avevano nemmeno realizzato il trapasso. Li si trovava confusi, a vagare per strada nel tentativo disperato di farsi notare dalle persone intorno. Oppure tremanti in un angolo, che imploravano lo Shinigami di turno di non far loro del male.
  O, come nel caso che aveva appena affrontato, cercando di assolvere alle loro solite incombenze. Fare la spesa, salire sul treno per andare al lavoro. Prendere il proprio figlio al parco.
  Okumi provava sensazioni contrastanti a riguardo. Da una parte, trovava giusto inviare quelle anime alla Soul Society quanto prima. Sarebbe stato anche inutile tentare di spiegare loro la situazione, cercare di tranquillizzarli. Inutile, difficoltoso, in certi casi controproducente. Dunque andava tutto bene, almeno finché erano altri Shinigami a farlo.
  Ma nel momento in cui doveva essere lei, l’intera faccenda si complicava. Era come se quegli spiriti la stessero incolpando di mettere un sigillo definitivo sulla loro morte. Aveva la responsabilità di infrangere le loro illusioni, di stabilire che ogni cosa avrebbero voluto fare nella vita, ora non potevano più farla.
  Con quale faccia tosta, poi? Lei che era morta, ma andava tranquillamente a scuola, poteva parlare con le persone, e nessuno sarebbe mai arrivato a strapparla del luogo cui apparteneva. Concessione fattale da una spada che poteva parlare e aveva un nome, ed un fantoccio dove rifugiarsi per continuare a fingere di essere un’umana come tanti.
  Il suo era un privilegio precario, Okumi se ne rendeva conto. Questi due oggetti, che segnavano l’essere al di sopra di chi un tempo era stato suo pari, avrebbero potuto esserle tolti in qualsiasi istante. Il suo stesso potere spirituale poteva essere cancellato.
  E lei non avrebbe avuto il diritto di protestare. Ciò che il caso le aveva dato, per equità le sarebbe stato tolto.
  Niente di più logico.
  Eppure, dopotutto, perché no? Perché sentirsi in colpa?
  Si stava reggendo all’orlo di un burrone nel quale chiunque altro era precipitato. Non una mano tesa a trarla davvero fuori pericolo. Continuava solo a ripetersi che quel saldo sperone di roccia non lo avrebbe mai lasciato, mai.
  Oh, avrebbe sfidato chiunque a giudicarla.
  Gli sguardi spauriti di quelle anime, il loro perseverare nelle azioni quotidiane, parlavano chiaro. L’attaccamento alla vita era uno ed uno solo, uguale per tutti. E se avessero saputo, anche loro si sarebbero sentiti superiori. Perché non era giusto che lei avesse avuto quella seconda occasione. Loro non erano stati sfortunati, erano morti, come voleva l’ordine delle cose. Un dovere, quasi. Loro onesti, lei sbagliata.
  Poi, di certo, avrebbero continuato ad invidiarla, a desiderare ferocemente di trovare sotto il loro palmo uno sperone di roccia che li sospendesse sopra un burrone senza fine.
  Già, alla fine, tutto si riduceva sempre e solo a quello: ipocrisia.
 
 
 
  - Ho sentito alla tv che c’è stata un’esplosione di gas nei pressi di Tsukiji. -
  - Eh? Ma tu non abiti lì vicino, Kiku-chan? -
  - Scema, quella è Reiko. -
  - Oh, scusa, mi sono confusa. -
  Okumi strinse più forte la scopa con la quale stava finendo di spazzare l’aula. Non poteva credere che una circostanza di solito così monotona come le pulizie dopo l’orario scolastico, potesse anch’essa riportarla alla sua nuova doppia vita.
  Lei, unica del trio intento a riordinare la stanza, sapeva davvero cosa fosse successo il giorno prima a Tsukiji.
  Aveva assistito alla scena da lontano. Jukunemu si era occupato del combattimento, che si era protratto abbastanza a lungo. La cosa l’aveva sorpresa, ricordando la facilità con la quale l’aveva in precedenza visto sconfiggere un Hollow. Ad un certo punto, aveva addirittura sentito il reiatsu di Kurosemi pervadere l’atmosfera.
  Ritornato da lei al termine dello scontro, Jukunemu aveva borbottato un: - E anche questo non voleva crepare... -
  Okumi iniziava a sospettare che la storia si stesse facendo seria. Di fatto non c’era un reale pericolo per nessuno, visto che lo Shinigami della zona aveva sempre tutto sotto controllo. Ciononostante, degli avvenimenti strani in un mondo già di per sé affatto normale erano molto allarmanti.
  Ascoltò ancora per qualche tempo in silenzio le sue compagne congetturare sull’accaduto. Dopotutto, la presunta fuga di gas del giorno prima era stato solo l’ennesimo degli incidenti avvenuti ultimamente in tutta la città.
  Okumi si voltò verso le due sfoderando un sorriso mortificato. - Ragazze, davvero, potreste cambiare discorso? Non mi sento molto a mio agio a sentire di questi argomenti. -
  - Ma, Okumi-chan, non penso che dovremmo fare finta di niente. Qualcuno dice che siano atti terroristici, e se continua così potrebbero anche far chiudere la metropolitana e altre cose simili. -
  - Beh, per fortuna allora che io vengo a scuola a piedi. -
  Okumi si morse la lingua al pensiero di quanto quella frase le fosse uscita male. Anche le due ragazze si guardarono, un po’ perplesse.
  - Volevo solo dire che, qualsiasi cosa decidano di fare, noi non possiamo farci nulla. - chiarì lei, sfoderando la sua miglior espressione rincuorante.
  Quantomeno, riuscì nel suo proposito di far cadere il discorso.
 
 
 
  Okumi si diresse al capanno degli attrezzi, sul retro dell’edificio scolastico. Dopo aver finito di pulire le aule, restava solo il compito di annaffiare le aiuole del cortile.
  La ragazza era piuttosto indispettita. Da quando in qua chi si offriva per prima di fare il lavoro, poi lo faceva davvero? Di quelle altre due, non una si era sentita in obbligo di rilanciare? Evidentemente no, dato che se ne erano andate senza fare il minimo accenno di volerla sollevare dall’incarico.
  La porta del casotto di lamiera scricchiolò nell’aprirsi. Come una fessura di luce illuminò l’interno del tutto scuro, un’ombra si mosse.
  Okumi sobbalzò all’indietro, lasciandosi sfuggire un gridolino.
  - Ah! P-Per favore, non andartene! -
  La ragazza esitò nel sentire quella voce.
  Da dietro un arrugginito armadietto metallico apparve il viso magro di un ragazzo. Il taglio di capelli, corti ma con una lunga frangia, era inconfondibile.
  - Iwamoto? Ma che diamine...? -
  In quel momento, Okumi notò parte di una spalla nuda e dei piedi scalzi sbucare dal riparo dove l’altro si era appiattito.
  - Dove sono i tuoi vestiti? - non poté fare a meno di chiedere, trovando da sola la risposta nello stesso istante nel quale diede voce alla domanda.
  Iwamoto abbassò lo sguardo con fare colpevole. - Non lo so. -
  Per alcuni secondi, rimasero entrambi immobili e silenziosi.
  Okumi si passò una mano sul volto, sospirando impercettibilmente.
  - Vediamo... Dammi le chiavi del tuo armadietto della palestra. Ti porto la tuta. -
  - Le chiavi erano nella mia uniforme. - confessò il ragazzo, dando l’impressione di volersi fare sempre più piccolo.
  Okumi avvertì quasi l’impulso di rispondergli male.
  - Allora ti presterò la mia. - decise invece.
  Prima che Iwamoto potesse dire qualsiasi altra cosa, si voltò e si allontanò a lunghi passi in direzione della palestra. Le parve che il tragitto di andata e ritorno durasse un’eternità, con la mente occupata da pensieri troppo caotici per volerli davvero comprendere.
  Attendendo fuori dal capanno che il ragazzo si vestisse, Okumi non poté fare a meno di chiedersi per quanto fosse stato chiuso all’interno. Lo aveva visto alle lezioni di mattina, quindi... poteva essere scomparso verso l’ora del pranzo? Non avrebbe saputo dirlo. Era un tipo così facile da ignorare.
  Infine, Iwamoto uscì dal capanno rigirandosi fra le mani l’orlo della tuta e con lo sguardo basso.
  - Mi dispiace... per il disturbo, Aomura-san. -
  - Lascia perdere. Non potevo mica lasciarti lì in quel modo. -
  - Ah, sì, ma io intendevo per tutto quant... -
  - Lascia perdere, ho detto. Vuoi metterti in imbarazzo da solo? -
  Un sorriso privo di allegria comparve sulle labbra di Iwamoto. Accennò un inchino ad Okumi e le rivolse un saluto mormorato, prima di voltarsi.
  Okumi lo guardò distrattamente allontanarsi. Quando fu ormai distante, la ragazza sentì tutti i propri muscoli distendersi.
  Era davvero così tesa fino ad un secondo prima? Distratta dall’intera situazione, non se ne era resa conto. Eppure... era una sensazione debole, quasi trascurabile, ma lampante.
  La ragazza concentrò di nuovo lo sguardo sulla figura di Iwamoto e sentì parte di quella tensione tornare.
  Con un pessimo presentimento, Okumi si affrettò dietro al ragazzo.
  - Iwamoto! -
  Quello si voltò, sorpreso. - Cosa c’è, Aomura-san? -
  E là, sulla spalla dell’altro, Okumi vide arrampicarsi quello che pareva un grosso insetto tondo, con il carapace bianco coperto di ghirigori neri. Anche il parassita sembrò fissarla a sua volta.
  - Eh? Ho qualcosa sulla spalla? - domandò Iwamoto, spazzolandosi nel punto interessato.
  L’insetto mostruoso si limitò a scomparire dietro la sua schiena.
  Solo a quel punto, sotto lo sguardo interrogativo del suo compagno di classe, la ragazza si riscosse.
  - N-No, beh... - si interruppe un secondo, non sapendo cosa poter dire - Ricordati di lavare la tuta, prima di ridarmela. -
  L’espressione abbattuta sul volto di Iwamoto si accentuò. - Certo, me lo ricorderò. -
  Okumi fece appena in tempo a sentire quelle parole, essendo già sgusciata via senza più rivolgere una parola al compagno di classe.
  Svoltò l’angolo dell’edificio e subito tuffò la mano nella tasca dell’uniforme per afferrare il comunicatore.
  Merda, merda, merda!
  Il telefono spirituale suonò a vuoto per diverse volte, con l’effetto di far innervosire ancor più la ragazza. Jukunemu aveva insistito tanto per farle usare quell’aggeggio antidiluviano, e lui poi neppure rispondeva?
  Alla fine, il congegno emise uno scatto ed un urlo dall'altra parte precedette qualsiasi cosa Okumi stesse per dire: - Sono un po’ occupato! -
  Un ruggito di sottofondo confermò l’affermazione.
  - Beh, vedi di liberarti, ho una situazione più urgente, qui! -
  - E tu parla, che ti ascolto! Ehi, ehi, fermo, figlio di...! -
  - Credo che un Hollow abbia preso di mira un mio compagno di classe.  Però è strano: è piccolo e non sembra così pericoloso. Non... -
  - Ma sei cretina? Gli Hollow sono sempre pericolosi! -
  - Volevo solo dire che era un Hollow strano, ok? -
  - Aspetta un attimo! -
  Per alcuni secondi, il comunicatore restituì dei suoni confusi e varie grida di Jukunemu.
  - Allora... - riprese infine lo Shinigami, col fiatone - I casi sono due: o te ne occupi tu o te ne occupi tu. Qua andrà per le lunghe. Tanto, hai pure detto che... -
  La comunicazione si interruppe bruscamente.
  - ...Jukunemu? -
  Okumi tentò di richiamare, invano. Rassegnandosi, rimise il comunicatore in tasca biascicando qualche imprecazione contro gli avanzatissimi mezzi della Soul Society.
  La ragazza si ritrovò a non avere scelta. Era certa che un’altra negligenza del genere le sarebbe valsa ben più di una strigliata da parte di Jukunemu. Non che la cosa in sé le importasse molto, ma doveva preservare a tutti i costi quel loro disfunzionale rapporto e quel nuovo, frustrante lavoro.
  Si sganciò dal gigai e nascose il corpo finto nel capanno degli attrezzi, richiudendo poi a chiave. Trovò un edificio abbastanza basso da poterlo scalare correndo lungo una parete. Non era ancora in grado di compiere chissà quali balzi spettacolari.
  Da là, Okumi si creò una strada balzando fra i tetti, cercando di seguire la traccia lasciata dall’Hollow-insetto. Ora che si trovava nella propria forma spirituale, riusciva a percepire con maggiore chiarezza l’aura che emanava.
  Si chiese come avrebbe dovuto comportarsi, una volta raggiunto. Strappare il mostriciattolo da Iwamoto avrebbe potuto rivelarsi difficile, impossibile, sperando che il diretto interessato non si accorgesse di nulla.
  Tra l’altro, esistevano davvero Hollow così piccoli? Okumi non ne aveva mai visti di dimensioni minori di quelle umane. Va bene, poteva occuparsene.
  Tuttavia questi pensieri non occupavano che una piccola parte della sua mente, in quel frangente, e li formulò in maniera molto sbrigativa.
  La maggior parte della sua coscienza non faceva che ricordarle quanto fosse stanca di dover badare a quel ragazzo. Quella specifica circostanza non dipendeva da lui, d’accordo. Però sembrava davvero che l’intero universo avesse deciso di fare di Okumi la sua babysitter. Una volta, due volte... se non ci si fosse messo in mezzo il compito di dea della morte di lei, una terza non ci sarebbe nemmeno stata.
  D’un tratto, la ragazza si rese conto di aver perso il reiatsu che stava seguendo. Accelerò il passo, cercando di arrivare nel punto dove aveva l’aveva sentito appena prima che sparisse. Credendo di aver solo allentato la concentrazione, espanse la sua percezione per riagganciarlo. Per sua sfortuna, trovò qualcos’altro.
  Okumi incespicò nelle tegole del tetto nel tentativo di fermarsi. Scrutò frenetica intorno a sé, cercando di individuare la fonte della forza spirituale che aveva percepito all’improvviso.
  - Dove guardi? Io sono qui. -
  La ragazza riportò lo sguardo di fronte a sé, da dov’era venuta la voce impastata di uno sconosciuto, apparso senza che lei si accorgesse di nulla.
  Il sangue gelò nelle vene di Okumi. Aveva sperato così tanto di sbagliarsi quando aveva avvertito quel nuovo reiatsu.
  Uno Shinigami.
  Il primo dio della morte incontrato dalla ragazza, oltre a Jukunemu, poteva avere solo qualche anno più di lei, ma appariva molto più vecchio e bolso. Era alto e pallido, con un’accentuata postura curva, le spalle chiuse. Lo si sarebbe potuto facilmente scambiare per malato. Da sotto le ciocche di capelli neri un paio di occhi scavati e contornati da occhiaie la fissavano.
  Okumi recuperò quanto più poté il proprio sangue freddo.
  Si schiarì la voce. - Io... uhm, ero all’inseguimento di un Hollow, dunque la prego di lasciarmi pass... -
  - A quale compagnia appartieni? - la interruppe l’ignoto Shinigami.
  - La seconda. -
  La ragazza aveva risposto di getto, ricordando vagamente che Jukunemu avesse una volta affermato di far parte di quella brigata.
  - E a quale zona della città saresti assegnata? Mostrami il tuo permesso di permanenza. -
  Okumi sentì le ginocchia diventarle molli. Permesso di permanenza? Non l’aveva mai sentito nominare nella sua vita, ma poteva intuire dal nome di cosa si trattasse.
  Aggiustò la propria postura e fissò lo Shinigami di fronte a sé con espressione risoluta.
  - Non vedo perché dovrei mostrarglielo. Ho già detto che vado di fretta, rischio di perdere le tracce dell’Hollow. -
  - Non c’è proprio nessun Hollow, nei paraggi. - replicò in tono secco l’altro - E qui non ci sono due Shinigami. -
  In un istante la mano del dio della morte fu sull’elsa della Zanpakuto, ma sfoderò l’arma con studiata lentezza.
  - Ora, mia cara ragazzina impostora, ti consiglio di seguirmi alla Soul Society senza opporre resistenza. Io, Zamuku Atsushi della Decima Compagnia, ti dichiaro in arresto con il sospetto di attività psicopompa non... -
  Okumi non ci pensò su nemmeno un secondo. Si voltò e prese a correre. Non aveva fatto cinque metri che la strada le fu nuovamente sbarrata da Zamuku Atsushi.
  - Gradirei che tu mi lasciassi finire. Stavo dicendo, ti dichiaro in arresto per attività psicopompa non autorizzata e, attualmente, anche per resistenza ad un legittimo dio della morte. Intendi persistere? -
  Per tutta risposta, anche Okumi si affrettò a sguainare la spada.
  Non serviva fare analisi della situazione, per capire quante fossero le sue possibilità di uscire vittoriosa da uno scontro frontale. L’unico col quale si fosse mai battuta era Jukunemu, e le aveva sempre prese a non finire. Pur non conoscendo il livello di forza di quel Zamuku, era impossibile che lei, dopo tre sole settimane di allenamento, potesse batterlo.
  E comunque, batterlo per fare poi cosa? Ammazzarlo? No, lei non avrebbe potuto. Ma c’erano tutti i presupposti per pensare che l’avversario non avrebbe avuto scrupoli.
  Okumi lanciò un urlo, avventandosi sul nemico. Menò un colpo dall’alto, direttamente sulla spada dello Shinigami. Quest’ultimo resitette all’urto senza problemi.
  - Patetic... -
  Il commento si spezzò con un gemito di sorpresa.
  La ragazza gli aveva appena sferrato una ginocchiata nelle parti basse, per poi spingere con tutto il proprio peso sulla Zanpakuto. Zamuku perse l’equilibrio e scivolò lungo il tetto, precipitando nel giardino dell’abitazione sottostante.
  Okumi non fu così ingenua da credere di averlo messo fuori gioco. Riprese subito a fuggire, passando da un tetto all’altro, cercando di seguire un percorso casuale. Senza volerlo, si diresse nella parte più periferica del quartiere. Saltò giù dalla cima di una delle case, atterrando in una stradina laterale, schermata da entrambe le parti dagli edifici. Si appoggiò al muro, sforzandosi di riprendere fiato.
  Un piano, doveva formulare un piano. Ma che razza di piano poteva salvarla? Non aveva nulla con sé ed il comunicatore... Gemette per la propria stupidità. Il comunicatore era rimasto nei vestiti del gigai.
  Ma quel pensiero la illuminò. Ovvio, aveva già chiamato Jukunemu. Il suo unico alleato doveva ormai aver sconfitto l’Hollow, ed essere sulla via per raggiungerla. A conti fatti, tutto ciò che lei doveva fare era resistere e prendere tempo. L’altro non avrebbe avuto difficoltà a seguire il suo reiatsu e trovarla.
  Prendere tempo. Bene.
  La ragazza congiunse le mani come in preghiera.
  - Passo di tigre che avanza nel vuoto rosso, la corda si stringe intorno al tronco del pino, orma del vento, sussurro del dente di leone, la mano del bambino rinfodera il coltello... -
  - Cosa blateri, ragazzina? -
  Okumi si voltò di scatto, trovandosi di nuovo di fronte al suo inseguitore.
  Con una sola differenza rispetto a prima. Era ciò che voleva.
  Mirò con l’indice dritto verso la testa di Zamuku.
  - ...che specchia la torre in rovina! Incantesimo di Distruzione numero uno: Kaen Fukkatsu! - [Resurrezione della Fiamma]
  Un lampo rossastro fu sparato dal suo dito.
  Il corpo dello Shinigami non si mosse. Il braccio che reggeva la spada, però, scattò ad intercettare il pericolo. Il raggio si infranse sulla lama, generando un’esplosione di schegge d’energia.
  Okumi ebbe un tuffo al cuore. Quello era tutto ciò che le era rimasto da giocare. L’unica mossa di kido che conoscesse.
  Zamuku si portò una mano alla mascella, sfiorando un minuscolo taglio, forse fatto da un frammento dell’incantesimo. Il pollice disegnò una scia di sangue fino al suo mento.
  L’espressione di sorpresa che gli si formò sul viso stonava con l’indifferente contegno tenuto fino ad allora.
  - Non pensavo... Che stupido, certo, stavi recitando il kotodama. - spostò lo sguardo su Okumi, ora con aria infastidita. - Anche se il tuo incantesimo ha fallito, sei riuscita ad irritarmi, ragazzina. -
  La diretta interessata strinse ancor più la propria Zanpakuto, preparandosi ad un nuovo assalto. Il quale non arrivò.
  Zamuku si raddrizzò, assumendo una posa impostata. Sollevò in aria la punta della spada, tracciando un semicerchio immaginario.
  - Tessi... -
  Non ditemi che sta per...
  - ...Tsuchigumo. - [Demone Ragno]
  La lama della katana si fece più lunga, di un colore bianco perlaceo, mentre la guardia prese la foggia di una ragnatela.
  Lo Shinigami puntò la Zanpakuto sprigionata come a voler trapassare a distanza il collo di Okumi.
  Sul viso di Zamuku si formò uno strano sorrisetto, simile ad una smorfia.
  - Intendi persistere? -
 






































 
 
  Angolo Autrice
 
  L'ultimo aggiornamento risale a un bel po’ di tempo fa. Sento di dover giustificare questo ritardo. Il fatto è che la prima stesura del capitolo che avete appena letto l’ho scritta in tre giorni, e in tutto il tempo successivo ho attuato la revisione più pesante ed invasiva della mia vita.
  Beh, adesso, visto che sto sempre a lamentarmi di quanto faccia fatica a finire ogni singolo capitolo della storia, penserete che non mi piaccia scrivere e chi me lo faccia fare. Beh, non è così. Semplicemente, non mi sono mai impegnata così tanto in un mio progetto. Prima d’ora, tutte le mie storie lunghe erano sempre nate per restare sul mio computer e le avrei lette solo io, quindi me ne fregava di meno della qualità finale. Dunque immagino che queste mie difficoltà in fondo siano un bene, no?
  Quanto al testo in sé, incredibilmente non nulla da dire. Spero solo che le scene che ho descritto abbiano avuto l’impatto che speravo di dare loro. E insooooommaaaaa... non ho modo di saperlo se non con una recensione ;)
  Salutoni e alla prossima - che si spera sarà presto, vista la fine della scuola -,
 
  Anukis



 

ANGOLO DEL TITEKUBISMO


          Iwamoto Satoru (岩本  )
Il nome Satoru significa “percettivo”, o “sensibile”, che ho trovato perfetto per il suo carattere fragile e remissivo. Ci tengo a specificare subito che non ho scelto questo nome per una sorta di cattivo gusto, come alcuni potrebbero pensare, ho semplicemente ritenuto che gli calzasse, anche come suono.
Iwamoto è invece solo un tipico cognome giapponese, senza doppie letture, composto dai kanji 岩 “iwa”, che vuol dire “pietra” e 本 “moto”, “vicino”.
Data di nascita: 12 Marzo.
Segno zodiacale: Pesci.
Theme music: "My Demons" degli Starset.



          Zamuku Atsushi (サムく  敦)
Il significato di Atsushi è “laborioso”, un aggettivo comunemente associato ai ragni.
Il cognome, poi, ricorda il verbo 欺く “azamuku”, ovvero “ingannare”, “fuorviare”, altra caratteristica calzante agli aracnidi. Tuttavia, io l’ho scritto con i caratteri サム “samu/zamu”, che significano “totale”, “somma”, “ammontare a...”; anche questo ha un suo senso, un po’ contorto, che sarà chiaro più avanti.
(Che dire... nomen omen. C’è da sottolineare però che questo personaggio si è sviluppato a partire dalla propria theme music, quindi ci è rimasto fortemente connesso. Mi sono divertita molto a crearne il carattere a partire dalla musica, quindi credo sarà un metodo che terrò in considerazione più avanti.
Piccolo chiarimento sulla sua Zanpakuto, invece: Tsuchigumo non vuole propriamente dire “Demone Ragno”, ma indica i membri di una sorta di tribù di spiriti, con le sembianze di questi animali, presente nella mitologia giapponese. Per maggiori info, Wikipedia è lì per assistervi.)
Data di nascita: 21 Gennaio.
Segno zodiacale: Acquario.
Theme music: "Anarcho Arachnid" di Plantrae.





 

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