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Autore: Jules_Kennedy    09/06/2017    1 recensioni
-Per la decima volta, non ne so niente di quella partita di droga. Non ho idea di come ci sia finita quella roba nella mia macchina, e se qualcuno ha cercato di incastrarmi c’è riuscito benissimo. Ora posso andare a casa?- chiese nuovamente l’uomo, fissandola intensamente. Dal canto suo la donna gli sorrise affabile, sporgendosi di poco verso di lui e lasciando intravedere velatamente le forme prosperose.
-Signor Trafalgar Law, lei potrà continuare a ripetere questa frase fino a quando vuole, ma fino a che non mi dirà la verità su come siano andate le cose, casa sua se la scorda.-
.
.
-Non ci posso credere.- asserì sconvolto.
-Era l'unica soluzione- disse semplicemente Law.
-Fammi capire bene.- inspirò profondamente Kid dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dal brusio di sottofondo del bar. -Tu, Trafalgar Law, leggenda delle conquiste ed aprifighe a tradimento, hai fatto credere ad una ragazza che ti piace, e non solo per scoparci, e a cui probabilmente nemmeno tu fai schifo, di essere gay solo per evitare di doverti impegnare in una cazzo di relazione!?- espose con estrema perizia, controllando il tono della voce per evitare che la sua testa prendesse fuoco per la rabbia."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Izou, Koala, Penguin, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un timido sole fece capolino al di la della spessa coltre di nuvole che ricoprivano il cielo.

Sparì quasi subito, occultato da grossi, minacciosi nuvoloni carichi di pioggia pronti a scaraventare su Dressrosa l’intero quantitativo di precipitazioni dell’anno in una sola tempesta. Qualche goccia fredda iniziò a cadere, schiantandosi con eleganza sull’asfalto umido. Il semaforo perennemente rosso posto tra Rue de Royal Palace e Toy Street segnalava impietoso l’obbligo di fermarsi, sebbene non ci fossero molte macchine in strada, lampeggiando semioscurato dalla fitta pioggia che aveva alla fine deciso di cadere.

Un suono lontano di scricchiolare di gomme giunse presso il grande incrocio, in tempo per vedere una Ryuusouken color argento lanciarsi a velocità folle verso il semaforo, frenando appena in tempo per evitare una collisione spaventosa.

-Cazzo, il semaforo no, il semaforo no!- sbottò il conducente, passandosi una mano tra i capelli biondi con fare esasperato. -Oggi qualcuno ce l’ha con noi Sabo.- gli diede corda il passeggero seduto accanto a lui, la testa appoggiata alla mano, una gamba in continuo movimento per scaricare la tensione.
-Dobbiamo sbrigarci, ora prendiamo una scorciatoia.- dichiarò il biondo, incrociando gli occhi del fratello che lo fissava tra lo stranito e lo scettico. -Sabo, le tue scorciatoie fanno sempre schifo. E io non ho intenzione di far aspettare Koala solo perché TU devi prendere una strada che probabilmente ci porterà in un altro continente!- lo smontò il moro, incontrando il favore del terzo ed ultimo occupante della macchina. -Beh, tesoro Ace non ha tutti i torti..- iniziò infatti la giovane seduta sul sedile posteriore, affacciandosi tra le spalliere davanti a se. -Oh, perfetto, adesso anche mia moglie non crede più in me! Ditelo che oggi volete farmi impazzire, ditelo così io vi mollo la macchina e me ne vado a piedi fino all’ospedale!- sibilò iroso il biondo, rimettendo in moto nel momento in cui il semaforo cambiò finalmente colore.

-Non credere di essere l’unico preoccupato qui, quindi vedi di darti una calmata!- lo rimbeccò Ace, trucidandolo con lo sguardo. -Ah si? E chi è che ha chiamato Dragon-san per avvisare che Koala era.. beh, che lei..- si interruppe, incapace anche solo di concepire il fatto stesso che la sua migliore amica fosse davvero in pericolo.

-In ospedale?- lo anticipò Ace, incurvando le labbra in una smorfia di fastidio. -Si.- rispose lapidario il biondo, girando lo sterzo per infilarsi in una stretta stradina circondata da capannoni.

-L’unico giorno di congedo che mi prendo in un anno, e solo per la prima ecografia di Bibi, e lei cosa fa?! Arrangia un plotone assolutamente non previsto per tentare una missione suicida, e il tutto senza nemmeno degnarsi di chiedermi nulla! Ma che cosa cavolo le è passato per la testa?- continuò a borbottare, inconsapevole degli sguardi che Ace e Bibi si erano scambiati alle sue spalle.

Non ci voleva un genio per capire che se Koala non aveva avvisato Sabo di ciò che stava per fare, come del resto faceva già da un bel po’,  era semplicemente per non caricarlo di ulteriori responsabilità. Non era una stolta, e anche se non ne aveva parlato con nessuno, non si sarebbe mai lanciata in un’operazione pericolosa come quella senza una motivazione valida. E proprio lei, più di chiunque altro, sapeva cosa stava passando il suo migliore amico tra la gravidanza non prevista di Bibi e tutto il carico di apprensione che ne era derivato, il trasloco, gestire Rufy all’ultimo anno di liceo in assenza di nonno Garp..

-Cosa pensava? Di farcela da sola? Io dovevo essere li con lei, maledizione!- sbottò quasi senza accorgersene, facendo sobbalzare Bibi dalla sorpresa. Ace guardò il fratello, fissandolo senza la minima vena di ironia negli occhi.
Lui si fidava ciecamente di Koala, e sapeva che anche per Sabo era lo stesso. E se aveva deciso a mente fredda di estrometterlo dalla missione rischiandone il fallimento, era semplicemente per tenerlo al sicuro. E insieme a lui, anche Bibi ed il bimbo che tutti aspettavano ormai da quasi quattro mesi.

-E comunque sono sicuro che sta bene. Non mi..- iniziò, incrociando gli occhi contrariati del fratello. -.. Ci. Non CI farebbe mai uno scherzetto del genere.- completò, voltandosi con la coda dell’occhio verso il viso comprensivo della ragazza che si teneva ben salda ai sedili anteriori.
-Ho parlato con Marco al telefono prima, mi ha detto che è stato il suo primario ad occuparsi di Koala. Bibi, mi sembra che anche tu lo conosca.. o sbaglio?- si informò Ace cambiando argomento, lo sguardo perso oltre il finestrino appannato nel tentativo di dissipare la tensione. La turchina si portò una mano dietro la testa, grattandosi la nuca. -Diciamo che conosco un’infermiera che ci lavora insieme.- precisò, portando una mano in avanti a coprire quella del marito che ora stringeva la leva del cambio. -E che tipo è? E’ bravo? Possiamo fidarci?- la bombardò inaspettatamente dopo qualche secondo voltandosi ad occhi spalancati verso di lei, lasciando trasparire tutta la sua ansia a differenza di Sabo, che al contrario aveva iniziato a molleggiare con una gamba nell’attesa che l’ennesimo rosso diventasse verde.

-Hai detto che è il primario di Marco, no? Lui non ti ha detto niente?- si intromise il biondo, gli occhi piantati sulla luce rossa piazzata sul marciapiede. -Lo sai com’è Marco, cercare di capire il suo stato d’animo è praticamente impossibile.. potresti sgozzargli il cane davanti agli occhi e lui non cambierebbe espressione! Certo, si incazzerebbe parecchio e probabilmente ti fulminerebbe manco fosse l’onnipotente, ma ecco.. - considerò esasperato Ace, alzando le spalle in segno di resa.

 Bibi piantò gli occhi scuri in quelli nero pece del cognato, sorridendo appena. -Sta tranquillo  Ace, è un tipo apposto. E’ molto bravo, anche se da quello che ho capito non è per niente socievole. Ma sono sicura che si è preso cura di Koala nel migliore dei modi!- cercò di rassicurarlo, non stupendosi quando l’agitazione negli occhi del moro si affievolì ma di poco.
-Trafalgar mi pare si chiamasse.. il nome mi sfugge..- proseguì Bibi, attirando l’attenzione del conducente. Il biondo si voltò verso la moglie, gli occhi sgranati, visibilmente in panico. -Che c’è? Che succede Sabo!?- chiese la turchina, allarmata. -T.. Trafalgar? Trafalgar.. Law?- chiese con un filo di voce, la mascella tesa, le mani strette spasmodicamente sul volante. -Credo di si.. cioè, si, è lui..- confermò la giovane, corrugando le sopracciglia nel tentativo di capire quale fosse il problema. Senza darle il tempo di chiedere alcunchè, Sabo sterzò con violenza, sgommando per inserirsi nell’ennesimo vicolo accelerando oltre il limite consentito.

-Dobbiamo sbrigarci. Se quel bastardo ha anche solo osato farle qualcosa, io, io..- farfugliò in preda alla rabbia, prontamente sostenuto dal fratello. -NOI, noi gli spezzeremo l’osso del collo.- completò per lui Ace, scrutando al di la del parabrezza per riuscire ad individuare l’ospedale che sarebbe dovuto essere da quelle parti.

-Ragazzi, ma che vi prende? Non credo ci sia da preoccuparsi, in fondo è un medico no?- tentò di inserirsi Bibi, seriamente preoccupata per ciò quelle due teste calde avrebbero potuto combinare una volta in ospedale se avessero avuto anche il minimo infondato sospetto che qualcuno aveva contribuito a fare del male a Koala. -Bibi, tu non capisci.- cercò di contraddirla Sabo, beccandosi un pizzicotto. -E allora fammi capire, visto che ne sei così dannatamente sicuro!- lo sfidò sua moglie, incrociando le braccia sotto il seno e squadrandolo con un sopracciglio eloquentemente alzato. -Oh, e dai Bibi, non puoi arrabbiarti con me ancora prima che io abbia combinato qualcosa!- si lamentò esasperato il biondo, fulminando il fratello che sotto i baffi se la sghignazzava sommessamente a suo discapito.

-Tu spiegami che motivo avrebbe il dottor Trafalgar di agire a discapito di Koala.- lo incalzò la giovane, permanendo nella sua posizione inquisitoria. -E’ roba top secret tesoro.- iniziò Sabo con fare superiore.
-Non posso rivelarti nulla che tu non sappia gi… àhia, ahi, ahi mi fai male Bibi! Tesoro, mollami! Mollami l’orecchio! Me lo strappi così!!- urlò di botto, cercando di tendersi tra la presa ferrea di sua moglie e la strada. Ignorando visibilmente le sue proteste, la turchina si voltò verso Ace, che aveva assistito alla scena convinto (inutilmente) di essere al sicuro.

-Se non vuoi fare la sua fine..- iniziò la giovane mollando con veemenza l’appendice del marito e lasciandolo visibilmente dolorante e scosso -Ti conviene dirmi quello che sai su questa storia, perché so che tu hai capito perfettamente quello di cui sta parlando questo cretino! O vi giuro che all’ospedale ci andiamo per curare voi due!- aumentò di intensità, facendo accartocciare Ace su se stesso per il timore di essere divorato.

-Ecco, beh..- iniziò il moro, cercando sostegno nel fratello, il quale con un’alzata di spalle gli comunicò un disperato “AIUTAMI”, dandogli spudoratamente carta bianca. -Oh, e va bene! Te la faccio breve, questo tipo ieri notte è stato interrogato da Koala per una suo presunto coinvolgimento nel traffico di droga che Crocodile, il boss della Baroque Works, sta architettando, e anche se alla fine è stato rilasciato per mancanza di prove, nessuno può dire con certezza se sia davvero un delinquente o meno! E poi sembrava un tipo parecchio astuto e vendicativo da come l’ha descritto Sabo, per cui.. Oh, oh! Sabo rallenta!

-L’ospedale, eccolo, eccolo!- sbraitò Ace interrompendosi senza preavviso, dirottando finalmente l’attenzione su qualcos’altro nel tentativo di distogliere Bibi dai suoi istinti omicidi e salvaguardare le sue orecchie e la reputazione di suo fratello.

Quasi come una visione onirica, Il Kyros Memorial Hospital si mostrò in tutta la sua monumentale grandezza, ergendosi al centro di Place Diamante e torreggiando con i suoi dodici piani costantemente affollati sull’intero isolato. La pioggia continuava senza sosta a schiantarsi contro il lastricato, riversandosi in fiumiciattoli lungo l’asfalto. Sabo parcheggiò alla bell’e meglio di fronte il pronto soccorso, incastrando il freno a mano e riuscendo finalmente a staccarsi dalla mano d’acciaio della moglie. Scesero tutti e tre contemporaneamente dalla lattina che i fratelli Monkey e Portguese avevano il fegato di chiamare “macchina”, avviandosi a passo svelto verso l’ingresso. Sabo si levò la giacca senza pensarci, tendendola sulla testa di Bibi nel tentativo di coprirla dalla pioggia battente, infischiandosene di infradiciarsi esattamente come Ace.

Giunti sulla porta, con un gesto repentino Bibi si portò di fronte l’ingresso, sorpassandoli e voltandosi di scatto verso di loro. Una piccola vena pulsante ben visibile sulla tempia destra le ballava al di sotto della pelle diafana, chiaro segnale che qualsiasi intenzione avesse, se i due avessero cercato di contraddirla, lei li avrebbe polverizzati con una sola occhiata.

-Chiariamo bene una cosa. Io non so perché tu- iniziò indicando Sabo con un sopracciglio alzato -abbia raccontato ad Ace tutta questa storia e con me non ne hai fatto minimamente parola, ma facciamo che ci passerò sopra perché per adesso ci sono cose più importanti a cui pensare. Ora vi dico cosa faremo, e aprite bene le orecchie, perchè non ho intenzione di ripeterlo! Noi entreremo per assicurarci che Koala stia bene..- spiegò lentamente con un’aria di calma assassina che fece venire i brividi lungo la schiena ad entrambi. -..e BASTA! Se vi scopro a combinare casino o a minacciare medici solo perché vi improvvisate detective, vi faccio finire al pronto soccorso ma come pazienti! Siamo intesi?!- li redarguì aspramente, puntandogli contro l’indice con fare accusatorio.

Senza coraggio di replicare, i due piromani casinisti e playboy più famosi della Moby Dick High School annuirono contriti, osservando la giovane minuta entrare tranquillamente all’interno scrutandoli un’ultima volta, gli occhi ridotti a due fessure. -Da quando è incinta tua moglie mi terrorizza, Sabo.- sussurrò Ace, noncurante della pioggia, gli occhi pietrificati sulla figura della turchina che li invitava minacciosamente ad entrare.

-A chi lo dici fratello.. a chi lo dici.- sospirò sconsolato il diretto interessato, scrollando le spalle per portare poi gli occhi a fissarsi sulla porta a vetro che si apriva e chiudeva seguendo il flusso di gente che entrava ed usciva continuamente.

-Andiamo. Koala ci sta aspettando.- fu tutto ciò che ebbe bisogno di dire, camminando velocemente sul lastricato per mettere finalmente piede all’interno dell’ospedale seguito a ruota da Ace, lasciandosi alle spalle la tempesta e tutto ciò che non fosse la sua priorità in quel preciso istante.

Trovare Koala e spezzare l’osso del collo al dottor Trafalgar Law.
 
 
 

 
***
 
 

 
*Il dottor Whitebeard è desiderato in chirurgia. Il dottor Whitebeard è desiderato in chirurgia.*
 

Il suono gracchiante dell’interfono riempì l’aria, insinuandosi tra i corridoi del quarto piano.

Il reparto in realtà non era particolarmente affollato, e gli unici rumori che interrompevano la monotonia erano gli sporadici passi degli zoccoletti di qualche
infermiere o le rotelle gracchianti dei porta flebo che venivano trasportati da una stanza all’altra.

-Uff, ma quanto ci mette?- si lamentò nuovamente una giovane dagli accesi capelli rosa seduta di fronte alla saletta delle visite del dottor Phoenix, accavallando le lunghe gambe coperte dalle parigine a righe bianche e nere.

Si guardò attorno cercando una qualsiasi cosa da fare per ammazzare il tempo. Non c’era molto movimento in quel piano, a parte un paio di anziani signori che passeggiavano per il corridoio appesi alle loro flebo e un’infermiera parecchio inquietante che sembrava uscita da un programma di Drag Queen.

Sbuffando per l’ennesima volta, Perona si alzò dalla sediolina a muro su cui si era accomodata quasi un’ora prima, voltandosi verso il grande finestrone che dava sulla piazza mentre si sgranchiva le braccia addormentate.

Si stava annoiando, si stava annoiando tremendamente. Almeno c’era la tempesta che infuriava fuori a tenerle compagnia, altrimenti la giovane sentiva che sarebbe potuta impazzire da li a cinque minuti.

-Maledetto Izou quando mi ha convinta ad accompagnarlo!- borbottò, specchiandosi nel riflesso del vetro di fronte a se per sistemarsi i capelli ed il makeup, ridotti uno schifo dalla pioggia.

Anche se, a dirla tutta, non è che le fosse andata poi così male.

Per quella mattina le alternative erano due: accompagnare Izou per la sua rettoscopia (e Perona finse di non notare l’estremo entusiasmo del suo migliore amico quando le comunicò che un uomo di li a poco avrebbe messo due dita nel suo didietro), o restare a casa a badare a Torasaburo. E per quanto quella palla di pelo in visibile stato di obesità facesse di tutto per farsi coccolare dalla sua padrona, Perona di stare a casa non ne aveva proprio voglia.
Non quando ogni singolo centimetro di ogni parete non faceva altro che ricordarle lui, lui, e solo lui.

Lui ed il suo sorriso, lui e le sue braccia che la stringevano quando crollava, lui e le sue urla quando se ne era andato di casa sbattendosi la porta alle spalle, senza farsi mai più vedere.

In un lampo di comprensione Perona si riscosse, notando con orrore le tracce del mascara sbavato sulle guance.
-No, non è possibile..- sussurrò orrificata, prtandosi una mano a sfiorare le tracce nerastre chhe le segnavano la pelle chiara. 

Non poteva essere, non poteva essersi messa a piangere come un’idiota di fronte a tutti! Con rabbia strisciò il dorso delle mani coperte dai guanti di pizzo sotto gli occhi, nel tentativo di dissimulare le prove del misfatto.
Senza nemmeno riflettere su dove si stesse dirigendo, si incamminò nel lungo corridoio alla ricerca di un bagno dove poter rimediare alla bell’e meglio al casino che era la sua faccia in quel momento, conscia che qualsiasi cosa stesse facendo Izou in quella saletta con il dottor Phoenix, sicuramente non ne sarebbe uscito in tempi brevi.

Si avventurò un po’ in giro, scoprendo con estremo fastidio che l’intero reparto era completamente deserto. Nessuno che potesse darle un’indicazione, nemmeno quell’infermiera/infermiere di poco prima o quella coppia di vecchietti.
Con sollievo si lanciò verso la porta contrassegnata come toilette che indivuò poco lontano, sbuffando esasperata nel trovarla chiusa a chiave.

Ma in quale ospedale i bagni dei viisitatori vengono già chiusi a chiave alle undici del mattino?!

Di entrare in una stanza a caso ed infilarsi nella toilette privata non se ne parlava. Non esisteva che qualcuno avrebbe potuto sgamarla mentre si rimetteva il suo fondotinta preferito color cadavere pallido, non esisteva proprio!

Lasciandosi scappare qualche “horo horo” di disappunto, Perona girovagò a vuoto per qualche minuto, sconsolata ed infastidita, e senza nemmeno accorgersene si ritrovò in fondo al corridoio, faccia a faccia con le scale che portavano al piano di sopra. Strinse le labbra in un broncio indeciso, grattandosi un braccio con le lunghe unghie rosa pallido. Sporgendosi con la schiena all’indietro guardò prima a destra, poi a sinistra.

Nemmeno un’anima.

-Oh, al diavolo!- concesse alla fine, e tirandosi su il vestito per evitare di inciamparci e rotolare in maniera ben poco aggraziata giù per le scale, imboccò i gradini che portavano al reparto di terapia intensiva, nella speranza di trovare qualcosa da fare o nella migliore delle ipotesi di recuperare uno specchio ed un po’ di dignità.
 
 
 

 
***
 
 
-Qualcuno mi spiega dove stiamo andando?!- borbottò Ace, palesemente confuso nel tentativo di seguire Bibi che si barcamenava perfettamente tra i corridoi affollati, alzando di tanto in tanto la testa al di sopra della folla che ingombrava il passaggio per individuare una coda di cavallo azzurra ed una zazzera bionda al seguito.

Non seppe per quanto cercò di inseguire suo fratello e sua cognata in quell’intricato dedalo di stanze tutte uguali e gente che andava da una parte all’altra, fatto sta che, come aveva ampiamente previsto, si perse come un bambino al supermercato che cerca la mamma.

Portò una mano al fianco mente l’altra si portò sulla testa, impegnata a grattarsi la nuca sperando di trovare un indizio su dove si fossero diretti quei due.

Che poi in realtà Ace non poteva nemmeno lamentarsi, gliel’avevano ripetuto almeno quattro volte dove si trovava Koala: il piano, il reparto, il corridoio e pure il numero della stanza. Il problema era che sebbene lui si sforzasse davvero di ascoltare, l’orario non aiutava per niente. In fondo doveva anche aspettarselo che la sua narcolessia si sarebbe fatta viva, privandolo di quell’attenzione e quell’energia che gli serviva proprio in quel momento.
Alzando un sopracciglio, la bocca piegata in una smorfia imbarazzata, si incamminò in una direzione a caso sperando di ritrovare qualcuno di familiare, anche se con bassissime aspettative.

Oltrepassò un numero infinito di corridoi, stanze, infermieri, dottori, eppure di Bibi, Sabo, Marco, persino del dottor Trafalgar non c’era la minima traccia.
Comunque sia, dopo aver vagato come un senzatetto tra le stanze ed aver scambiato un paio di paroline con un paio di infermiere decisamente molto carine, Ace si ritrovò alla fine di fronte alla porta a vetri che conduceva al reparto di terapia intensiva.

Ora, ciò che successe nel suo cervello nel momento in cui lesse la scritta “Terapia intensiva” è abbastanza complesso da spiegare.

Ciò che ci va più vicino come metafora è immaginare un vecchio macchinario in disuso da molto tempo (un po’ come l’encefalo del lentigginoso pompiere) che viene acceso da un insperato sprazzo di corrente, e si mette in moto con molta, molta, moltissima fatica.
Non che Ace fosse portatore di chissà che ritardo mentale, semplicemente riteneva (come aveva sempre fatto) che le meningi fossero delle parti del corpo superflue, per cui tanto vale allenare altro piuttosto che quelle.

Ecco perché chiunque entrasse da quella porta si ritrovava a fissare con turbamento ed imbarazzo quel giovane di 25 anni, alto, impostato  e dall’espressione concentrata che tentava di associare quella scritta con qualche informazione latente che giaceva nei meandri del suo cervelletto.

Se gliel’avessero chiesto non avrebbe saputo dire per quanto tempo restò in quella posizione, le sopracciglia corrugate, la bocca semischiusa, il fumo che gli usciva dalle orecchie e dalle narici.
Ma alla fine, uno sbuffo di fumo fuoriuscì dalla macchina a vapore che era il suo centro della memoria, dandogli la soddisfazione di ricordare che quello era al 67% (percentuale accuratissima fornita dall’Istat che aveva sede nel suo emisfero destro) il reparto in cui si trovava Koala.

Con un sorriso tronfio e pieno di orgoglio immotivato il pompiere oltrepassò trionfalmente le porte a vetri, ritrovandosi a confrontarsi con un delirio ben peggiore di quello che si era immaginato parlando al telefono con Marco.

Le voci, i rumori, il numero spropositato di pazienti, era tutto troppo amplificato, tanto che sconsolato Ace si chiese come avrebbe fatto a trovare gli altri in mezzo a quel casino.

Anche se, a dire la verità, non ebbe nemmeno il tempo per rifletterci su.

Non fece infatti manco un passo all’interno del reparto, che senza preavviso e assolutamente dal nulla un qualcuno o un qualcosa gli piombò addosso come un bulldozer, senza dargli nemmeno il tempo di scansarsi ed evitare di capitombolare a terra come un cretino.
Sovrastato da una marea di stoffa scura, il giovane riuscì non senza fatica a riemergere da quella matassa di capelli rosa che l’avevano sommerso, ritrovandosi con sua immensa sorpresa a stringere tra le braccia un corpicino minuto che non pensava avrebbe mai potuto produrre quell’impatto contro il suo, anche se si fosse lanciato alla velocità della luce.

In ogni caso, minuto o non minuto, Ace non aveva nemmeno un secondo da perdere, per cui cercò di districarsi dal groviglio di capelli, gambe e braccia in cui era incastrato.

Ma nel momento stesso in cui sollevò lo sguardo ad incrociare gli occhi onice impastati di mascare della ragazza più bella che avesse mai visto in assoluto, stretta a se e con le guance imporporate e le labbra ciliegia schiuse, visibilmente imbarazzata, il giovane smise di ribellarsi, incantato da ciò che si era spontaneamente gettato tra le sue braccia.

Non riuscì ad emettere una sola parola, nulla che non fosse l’espressione più ebete che gli fosse mai capitato di avere (e per uno come lui, ce ne voleva).

Non si rese nemmeno conto che la rosa stava cercando a differenza sua di tirarsi su nonostante l’ingombro del vestito, né Ace in un primo momento fu capace di lasciarla andare ed allontanarsi come ogni bravo sconosciuto farebbe se una ragazza ti cade addosso, probabilmente per sbaglio.
 
E anche se adesso lei lo stava visibilmente picchiando, a lui andava bene così.

Tutto ciò che fu capace di fare, fu considerare che alla fine, tutto sommato, perdersi non era stata poi una così una cattiva idea.

 
Proprio per niente.
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Raaagaaaaazzi, non sapete che felicità sia per me pubblicare FINAMENTE questo capitolo! *^*

Sono incasinatissima, ho utilizzato tutte le pause studio possibili e anche le nottate per riuscire a completarlo in tempo, e alla fine sono davvero felicissima di come è venuto! U.u

In questo capitolo facciamo finalmente la conoscenza di tanta bella gente, a partire da Sabo e Bibi, e per finire con Ace, Izou e Perona! *^*
 
Chi sarà la sconosciuta che è caduta tra le braccia di Ace proprio a terapia intensiva?
E che fine avrà fatto Izou?
E Sabo alla fine è riuscito a riattaccarsi l’orecchio dopo che Bibi gliel’ha quasi strappato?
E Law, è davvero in pericolo “spezzamento di collo”?
 
La risposta a queste e a tante altre domande la avremo nel prossimo capitolo! Xd
Quindi che dire, ci vediamo nell’angolino recensioni e alla prossima! ^^
 
Jules

 
   
 
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