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Autore: Akane Rosenrot    10/06/2017    3 recensioni
Tutti conoscono bene la mitologia greca o quella nordica, ma se vi dicessi che anche la mitologia egizia sa essere in egual modo affascinante, coinvolgente e divertente? Anche qui ci saranno storie d'amore, intrighi di corte, tradimenti, omicidi e imprese eroiche. Per esempio: vi siete mai chiesti come fossero nati cielo e terra? Oppure se anche nel pantheon egizio ci fossero scappatelle dei mariti e vendette delle mogli? Beh, se volete scoprire la meravigliosa storia nascosta nei geroglifici, continuate la lettura...
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Storico
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CIELO E TERRA

«Preso! Ora tocca a te, dai prendimi!»
La bimba cominciò a correre lasciandosi alle spalle il fratello che si era fermato solo per recuperare le energie. Egli alzò lo sguardo, puntò gli occhi sulla piccola preda e, con un malizioso sorriso, accettò la sfida partendo all’inseguimento. Ad ogni passo lasciava dietro di sé una nuvola di sabbia che nascondeva le sue orme. A guidarlo era il suono cristallino tipico delle risate dei bambini: così puro, contagioso, così vicino…
«Presa!» con uno scatto raggiunse la sorella afferrandola per i fianchi prima di scivolare e rotolare giù per la duna senza mollare la presa. I due si ritrovarono ammassati uno all’altra, ricoperti di sabbia, troppo esausti per muoversi. Dopo aver ripreso fiato la piccola si staccò dal petto del fratello scrollandosi di dosso la polvere dorata, per poi fissare con i suoi grandi occhi azzurri quelli color ambra di lui.
«Fratellone…- la voce uscì timida «ma tu… mi vuoi bene?»
Il ragazzino guardò sorpreso la sorella, affondando nel turchese delle sue iridi.
«Certo… certo che ti voglio bene sorellina, io ti amo!» esclamò dolcemente stringendola a sè. Una voce di donna ruppe il loro abbraccio.
«Geb! Nut! Dove siete? Tornate subito qui!»
«Andiamo, mamma si sta preoccupando» Detto questo, Geb e Nut si avviarono verso casa, senza mollare le mani intrecciate fra di loro come simbolo di un legame che diventerà poi la loro condanna.
 
Era una mattina come le altre, il sole cocente dell’Egitto si avvicinava allo zenit, intimando gli abitanti di Eliopoli a rientrare nelle loro dimore prima che il caldo diventasse insostenibile. Rintanate nel giardino del palazzo reale, nemmeno la regina e sua figlia erano state risparmiate dall’opprimente afa.
«Nut, figlia mia» esordì Tefnut «perché non mi canti qualcosa? Sai che solo la tua voce, in giornate come questa, può portare un po’ di freschezza.»
La giovane donna annuì obbediente e si inginocchiò accanto alla moglie del faraone. Appoggiò le mani in grembo, si schiarì la voce e chiuse gli occhi. Dapprima lieve, in seguito sempre più intensa, la melodia di una canzone d’amore si librò nell’aria; trasportata dal vento riecheggiò nelle grandi sale di marmo del palazzo, fino ad arrivare all’ufficio del faraone. Dalle piccole finestre della stanza entrò il lamento di un falco al quale, per impedirgli di volare e raggiungere in cielo la compagna, erano state tagliate le ali. Questo raccontava la canzone che giunse alle orecchie del giovane principe, distraendolo dal suo studio. Non appena riconobbe nella dolce voce quella della sorella, Geb ebbe un sussulto. Buttò un occhio al padre che, dall’altra parte del grande tavolo, leggeva i resoconti degli ultimi raccolti e che sembrava non essersi nemmeno accorto di ciò che aveva irrimediabilmente distratto Geb. Il ragazzo ripiegò, con lenti e silenziosi movimenti, i fogli di papiro che aveva fra le mani; voleva uscire per ascoltare meglio la sorella, voleva vederla cantare. Da quando egli aveva raggiunto la maggiore età erano stati violentemente divisi, confinati in due alee opposte del palazzo, ed erano rare le occasioni in cui potevano passare del tempo insieme da soli ormai. Inoltre, da un paio di settimane a quella parte, sembrava che Nut lo volesse evitare: gli sfuggiva cambiando strada, evadeva il suo sguardo, non gli sorrideva più… Fece per alzarsi, ma la voce secca e gelida del padre lo bloccò.
«No.»
 Non aveva neanche avuto bisogno di alzare lo sguardo per capire le intenzioni del figlio. Geb restò immobile ad osservare il faraone chino sul tavolo.
«Finisci il tuo lavoro senza distrarti» il ragazzo non ebbe neanche il tempo di difendersi poiché il padre continuò, come se avesse avuto il potere di leggergli nella mente «Tua sorella diventerà presto sacerdotessa, questo è il suo destino. A quel punto ti sarà proibito vederla, è bene tu ci faccia l’abitudine.»  Shu puntò gli occhi vitrei su quelli sconvolti del figlio. Una miriade di pensieri attraversò la mente del fanciullo che si trovò catturato dallo sguardo del padre, impossibilitato a resistergli. Strinse i pugni, digrignò i denti e riprese posto col viso rivolto al suolo. Silenzio. Geb cercò di concentrarsi sui manoscritti, eppure una frase riecheggiava nella sua mente, tormentandolo e deconcentrandolo da qualsiasi altra riflessione: Nut sacerdotessa, Nut chiusa in un tempio, Nut distante da lui per sempre! Non poteva permetterlo.
 
Una graziosa ancella stava aiutando la principessa a cambiarsi per la notte, sostituendo il sontuoso abito di lino color latte con una vestaglia molto più leggera che lasciava ben poche forme all’immaginazione.
«Grazie, puoi andare, finisco da sola»
«Ma vostra Grazia…»
«Vai»
La serva obbedì senza contraddire ancore la sua signora e, a capo abbassato, uscì dalla camera da letto. Nut si sedette sulla branda per pettinarsi, pensierosa, i lunghi capelli blu. Sacerdotessa del tempio di Ra, pensò. Da quando, qualche settimana prima, i suoi genitori le avevano comunicato la loro volontà di offrirla al dio del Sole, aveva passato molte notti in bianco, incapace di trovare pace a quella confusione che sentiva dentro persino nei sogni. Il primo giorno aveva pianto: non era ciò che desiderava, voleva essere libera, non legata alle severe regole del sacerdozio. Anche il secondo giorno aveva pianto restando per tutto il tempo chiusa nella sua stanza. Poi, dal terzo giorno, aveva cominciato a farsene una ragione: lei era Nut, principessa d’Egitto, il suo compito era servire il suo Paese e obbedire ciecamente al faraone e così avrebbe fatto, sarebbe diventata sacerdotessa per ringraziare gli dei, per compiacere suo padre, per rendere orgogliosa sua madre. Mancava però una persona all’appello. Geb. Neanche questa volta riuscì a fermare la lacrima che scivolò lenta sulla guancia. Ogni volta lo stesso ragionamento e ogni volta le si poneva innanzi lo stesso ostacolo. L’idea di dedicare la sua vita a Ra poteva anche andarle bene, se questo non avesse comportato, però, non vedere più suo fratello. Da quando era stata costretta a prendere una decisione aveva cercato in tutti i modi di evitarlo, non voleva affrontare l’argomento con lui, sapeva che si sarebbe sicuramente opposto e a quel punto, l’addio sarebbe stato ancora più duro e doloroso. Era così distratta dai pensieri che non si accorse nemmeno del ragazzo che era riuscito ad entrare dalla finestra dopo essersi arrampicato sulla ripida parete. Si rese conto di non essere sola solamente quando una figura maschile entrò nel suo campo visivo, riportandola alla realtà.
«Perché stai piangendo?»
I loro occhi si incontrarono. Nut ebbe un sussulto.
«Geb… c-cosa ci fai qui?»
Con un veloce e distratto gesto della mano cercò di nascondere le lacrime per sfoggiare un falso sorriso. Il fratello rimase impassibile, con un’espressione seria scrutava la sorella dall’alto in basso
«N-non fare così… non sei mai così serio»
«Perché non me l’hai detto?» il suo tono era severo, sì, ma Nut poteva percepire la delusione e la tristezza nelle sue parole. Si morse il labbro per la vergogna, non poteva fare nulla per scusarsi, sapeva di avergli fatto un torto. Nessuno dei due si mosse, l’unico rumore era quello dei loro respiro. Entrambi, in quell’istante, volevano soltanto tornare bambini per lasciarsi alle spalle tutti i problemi dei grandi; volevano tornare a ridere e scherzare come un tempo, felici. Improvvisamente Nut scattò in avanti e, dopo aver appoggiato il palmo sul petto del giovane, corse fuori urlando
 «Ora ce l’hai tu!»
Il principe rimase un attimo esterrefatto, cosa le era preso?  Era forse quello il momento per scherzare?  Poi però, il bimbo che era in lui ebbe la meglio, la bocca si incurvò in un sorriso e incominciò l’inseguimento.  Due ombre ruppero la silente quiete nella quale si era addormentato il palazzo: erano le ombre dei figli del faraone che si muovevano agili e leggiadre per i corridoi, destando con le loro risa la corte. Il gioco si spostò nel grande giardino illuminato solo dalla luce di luna e stelle. Geb osservava la sorella che pareva, per un attimo, aver ritrovato la spensieratezza che aveva da piccola. Mossi dal vento, i lunghi capelli color cobalto sembrava danzassero, il corpo ormai maturo si spostava sicuro fra gli alberi, lasciando che la veste da notte mostrasse più del dovuto. Rendendosi conto di star osservando le generose curve della sorella Geb arrossì e, per distrarsi, riacquistò il terreno perso. Con un balzo le fu addosso. I due rotolarono ridendo nella sabbia, fino a ritrovarsi uno sopra l’altra. Nut guardò verso l’alto, verso il viso del fratello che ma fu così vicino al suo. Si perse ad osservare dettagli ai quali, fino a quel momento, non aveva prestato attenzione: i tratti ormai adulti, l’ombra della barba sulle guance, i ciuffi disordinati che gli incorniciavano il volto… Nonostante egli si reggesse sulle braccia per non pesarle, Nut poteva sentire il peso di un corpo magro e allenato di un uomo su di sé. Un uomo, ecco ciò che il suo fratellone era diventato, un affascinante uomo che però conservava da sempre, per chi fosse in grado di riconoscerla, una luce da bambino che gli faceva brillare gli occhi dorati. Ebbe un fremito e le guancie le si tinsero di rosso. Geb guardò verso il basso, verso il viso della sorella che mai fu così vicino al suo. La pelle era candida e morbida al tatto; la chioma riversa sulla sabbia sembrava una corona e lei, lei la più bella delle regine. Un sorriso si dipinse sul volto del giovane vedendo il trucco sbavato della ragazza e pensando a quanto si sarebbe imbarazza vedendosi conciata così, la conosceva bene. Quelle gote rosate, il respiro affannato, il petto che si muoveva in modo irregolare, le spalle lasciate scoperte da un velo senza pudore… Non ci fu bisogno di parlare, il contatto fra le loro labbra disse molto più di quanto si fossero mai detti. Fu un bacio dolce, delicato, come se avessero avuto paura di rompere quell’idilliaco momento. Poi, ciò che era rimasto represso per troppo tempo, irruppe come il Nilo in piena, travolgendo i due amanti in un vortice di passione. Con le mani cercavano il contatto, il calore dell’altro; si esploravano scoprendosi pian piano non più come fratello e sorella, ma come uomo e donna innamorati follemente l’uno dell’altra. Incapace ormai di fermarsi, Geb assaporò il collo dell’amata, scendendo sempre più in basso e provocandole piccoli brividi di piacere. Esitò solo quando la stoffa del vestito si intromise, dividendo le sue labbra dalla soffice pelle. Guardò Nut, quassi volesse chiederle ufficialmente il permesso. Lei deglutì e annuì mordendosi di nuovo il labbro inferiore. Con un gesto gentile Geb liberò la sorella dall’ingombro dell’abito, vedendola per la prima volta con gli occhi di un ventenne affascinato ed eccitato e non più con quelli di un fratello troppo protettivo. Oh, amava Nut e la bramava; non avrebbe permesso a nessuno di portarla via da lui.
Il modo in cui la sfiorava, toccava, baciava, faceva provare alla giovane sensazioni proibite e allo stesso tempo tremendamente belle. Sentiva il cuore batterle così forte in petto che sarebbe potuto scoppiare da un momento all’altro. Passo la mano nella chioma arruffata dello splendido ragazzo di cui era innamorata lasciando scivolare al suolo una lacrima di gioia. Amava Geb, lo amava alla follia, e non avrebbe permesso a nessuno di staccarla da lui. La notte fu testimone silenzioso di quell’amore vero, passionale e… sbagliato. Successe tutto in un secondo, come un battito di ciglia. Un attimo prima stavano vivendo ad occhi aperti il sogno nascosto da una vita, un attimo dopo un tremendo frastuono li costrinse a svegliarsi. Il ringhio rabbioso del faraone interruppe i loro respiri. Con un calcio ben assestato scaraventò a terra il figlio che strinse i denti per il dolore inatteso. Terrorizzata Nut cercò di raccattare tremando la veste e di coprirsi il corpo nudo come meglio poteva, ma il padre colpì anche lei con uno schiaffo che le fece mancare il fiato. Riversa al suolo cominciò a singhiozzare, senza avere il coraggio di aprire gli occhi. «Nut!» Alla vista delle lacrime della sorella Geb superò il dolore per scagliarsi contro Shu. Quest’ultimo, che superava il figlio sia in altezza che in forza, non ebbe difficoltà a ricacciarlo dov’era prima, senza troppo badare alla delicatezza. Il ragazzo tentò di nuovo di rialzarsi, ma ancora una volta il padre lo costrinse a terra.
«Come ti sei permesso?» ringhiò Shu «Come hai osato profanare un’offerta a Ra?» e gli assestò un calcio in pancia. Il ragazzo gemette chiudendosi in posizione fetale per proteggersi. Mai avevano visto prima d’ora il Signore dell’Egitto così fuori di sé.
«Stupidi ragazzini! Violare una promessa al dio Sole solo per soddisfare la vostra lussuria… Verrete puntiti per questo!» Un altro calcio, seguito da un gemito più forte. Calmatosi dalla cieca rabbia che fino a quel momento l’aveva posseduto, il faraone riacquistò un’agghiacciante calma: con un piede calpestò Geb che sprofondò ancora più nella sabbia, e con una mano afferrò Nut per i capelli sollevandola dal suolo.
«A causa del vostro amore perverso verrete separati. Farò in modo non possiate mai più nemmeno vedervi. Io giuro qui ed ora che sarete lontani come il deserto e la volta celeste, distanti come lo sono cielo e terra, incapaci di toccarvi di nuovo, puniti per aver amato la persona sbagliata!»
E Fu così che Geb e Nut vennero divisi, confinati in luoghi diversi, costretti ad obbedire al loro faraone. Nut diventò la signora dei Cieli, con il compito di favorire il viaggio della barca solare di Ra durante la notte. Ogni giorno guardava verso il basso, in cerca dell’amato nascosto dalle dune. Geb invece, diventò signore patrono della Terra, affiancando suo padre come principe d’Egitto. Ogni giorno volgeva gli occhi verso l’alto, sperando di scorgere fra le nubi il viso dell’amata, incapace di raggiungerla. Ma se, in una calda mattinata d’estate, si tende l’orecchio, si può ancora udire lieve il lamento d’amore di un falco a cui erano state tagliate le ali, per impedirgli di raggiungere in cielo la sua compagna ed essere felice.  



Eilà io sono Spritz, l'autrice ;)
Piccola intruduzione che mi sento in dovere di fare essendo questa la mia prima pubblicazione: fin da piccola sono sempre stata appassionata dall'antico Egitto ed era da un po' di tempo che avevo in mente di scrivere una serie di storie brevi, ispirate alle leggende della  mitologia egizia, rendendole più moderne e accattivanti. Lo scopo? Far conoscere usi, costumi e mentalità di una civiltà trattata troppo spesso troppo superficialmente. Questo qui sopra è il mito della creazione del Cielo (Nut) e della Terra(Geb). Ovviamente il tutto è molto romanzato, è una mia interpretzione, ma il succo è quello. Detto ciò spero che il racconto vi piaccia. Vi prego di mostrarmi dei segni di vita (recensite) in modo che io sappia se continuare o meno; in archivio ho già qualche altra storia molto interessante pronta, ma non avrebbe senso pubblicare se poi nessuno legge o peggio a nessuno piace. 
Al prossimo mito 
Spritz
P.S. scusate gli eventuali errori di battitura
   
 
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