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Autore: allonsy_sk    11/06/2017    3 recensioni
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La cucina ha l'aria di un posto che viene usato di rado, dal monolite bianco del frigorifero vuoto istoriato di magneti noiosi e volantini di diversi take away, alle mattonelle shabby-chic macchiate d'oro.
C'è un segno sulla parete, a circa un piede dal battiscopa che corre al lato del frigorifero, dove Sherlock è sicuro che Mycroft lasci cadere la valigetta ogni sera, fermandosi poi ad aprire il frigorifero prima di cedere alla stanchezza, alla pigrizia o alla gola.
Lo fa al buio, a giudicare dal modo in cui le sue impronte digitali sono distorte, piccole chiazze leggermente oleose sulla superficie liscia e altrimenti lucida dell'elettrodomestico.
È tanto più strano, quindi, che la cucina profumi di cioccolato e burro e che il pavimento immacolato sia sporco di farina.
La vista più strana, comunque, è Mycroft in jeans e maglioncino, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e un grembiule bianco.
Se non fosse completamente pulito da ben due mesi tre settimane e due giorni, Sherlock penserebbe di avere di fronte una delle sue più assurde allucinazioni.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Eurus Holmes, John Watson, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11 - Sabato 20 Febbraio 2016

 

L'incubo è terribilmente realistico e ha la stessa sensazione di profondo disagio dei suoi ricordi di Eurus.

Mycroft è adulto nell'incubo, ma comunque inutile - come il ragazzino grasso che era, incapace di salvare Victor Trevor dalle trame di Eurus. Completamente inutile nel salvare Sherlock.

Sta lì come l'uomo elegante, onnisciente e quasi onnipotente che è diventato a osservare una bambina in abitino azzurro appiccare il fuoco alla sua stessa casa, canticchiando un inquietante motivetto.

"and under we go ," trilla Eurus nel sogno, guardando affascinata le lingue di fiamma che lambiscono le pareti e avvolgono la stanza, consumando rabbiose i suoi mille disegni infantili, colmi di violenza, sangue e fiamme.

Mycroft si volta nel sonno, incapace di uscire dall'incubo, troppo sott'acqua per poter emergere e tirare un respiro.

Vede i suoi genitori - anziani come sono adesso - venir fuori di corsa dalla casa in fiamme. Vede un altro se stesso - il ragazzino paffuto - correre dentro a cercare Sherlock, urlando come un insensato.

Il fratellino è salvo, anche se tossisce disperatamente e non smette di piangere e tremare. Nessuna traccia di Eurus.

Mycroft osserva impotente mentre il tetto della casa crolla in una nuvola di scintille e Eurus non si vede. Sherlock è ancora tra le braccia dell'altro Mycroft, scosso dai singhiozzi.

Papà sta per tornare dentro, quando Eurus discende serafica e senza una scottatura, senza tossire, occhi azzurri carichi di sorpresa, come se non sapesse neanche perché sono tutti fuori casa, perché sono tutti sconvolti.

Eurus ignora la famiglia riunita intorno a Sherlock e continua dritta verso il Mycroft adulto, sorridendo con un'aria maligna che stona singolarmente con le sue fattezze infantili, e che nonostante tutto le si addice.

"Hai ancora paura di me, Mycroft? Ma non sei più un bambino, sei un grosso, stupido, adulto…"

L'orrore che gli fa accapponare la pelle non è sufficiente a svegliarlo, ma gli permette di sentire lo squillo del telefono sul suo comodino.

Numero bloccato. Sono le tre del mattino. Chi…?

".... Gloria Scott, signor Holmes. Chiamo da Sherrinford. Mi dispiace svegliarla, ma si tratta di un'emergenza."

"...cosa?" gracchia Mycroft, strofinandosi il viso con una mano. Ha la sensazione che l'incubo non sia finito, ma che sia solo cambiato, ammantandosi di una parvenza di realtà distorta.

"Si tratta di sua sorella."

"Ovvio che si tratta di mia sorella, dottoressa Scott," scatta Mycroft, cercando a tentoni l'interruttore dell'abat-jour e sollevandosi a sedere con stizza. Ha ancora gli occhi intorbiditi dal sonno, il cervello avvolto nelle ragnatele dell'incubo.

"Che cosa è successo? Ha ucciso qualcuno? Ha dato fuoco a qualcosa? Se è scappata di nuovo non risponderò delle mie azioni. Mi avete tolto qualsiasi autorità sulle sue terapie, e ora venite a dirmi che non siete riusciti a contenerla?"

La Dottoressa Scott sospira dall'altro lato della comunicazione. Si schiarisce la voce, poi esita.

"Mi dispiace, Mr. Holmes. Sua sorella ha effettivamente appiccato un incendio e tentato la fuga… non sappiamo se sia stato un incidente o un atto deliberato ma è… è caduta dalla scogliera di Sherrinford. Non è sopravvissuta alla caduta."

Il giramento di testa lo coglie alla sprovvista anche se è seduto nel letto e sostenuto da numerosi cuscini. Mycroft impiega qualche momento a schiarirsi la mente, a riordinare i pensieri.

Le sue prime parole non sono le prime che ci si aspetterebbero da un fratello che abbia appena perso una sorella.

"Avete trovato il corpo? Siete sicuri al cento per cento di averla identificata correttamente? Non ci sono ragionevoli dubbi?"

Il silenzio della Scott gli conferma quanto suonino fuori posto le sue domande assillanti, eppure fondamentali.

"Abbiamo trovato il corpo. L'identificazione non lascia spazio a dubbi."

Mycroft vorrebbe sospirare di sollievo, ma il respiro gli si è bloccato in petto.

"Sarò lì appena possibile."

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Non è facile tornare a Sherrinford.

Il tragitto in elicottero è silenzioso, e non soltanto per il rumore del velivolo, che non permette una conversazione rilassata.

Sherlock avverte un senso di disagio alla bocca dello stomaco che non ha provato neanche durante le sue ultime visite a Eurus.

Non può sopprimere un sottile senso di colpa, alimentato da un sollievo del tutto fuori luogo. Se anche Mycroft si sente così, Sherlock non ha modo di saperlo in questo momento.

Mycroft lo ha chiamato a prima mattina, svegliandolo da un sonno delizioso tra le braccia di John e scatenando l'uragano Rosie prima del dovuto.

John è stato fantastico, una volta appresa la notizia, e ha fatto l'unica cosa di cui Sherlock avesse bisogno in quel momento. Lo ha stretto a sé senza dire niente, accarezzandogli dolcemente i capelli e aspettando che il detective assorbisse il colpo.

È tutto un groviglio complicato, reso ancora più difficile dal fatto che la notizia deve essere comunicata al resto della famiglia, e che nessuno dei due fratelli è particolarmente desideroso di fare da ambasciatore.

Una volta a Sherrinford è la Dottoressa Scott ad accoglierli direttamente sul tarmac, conducendoli senza troppi convenevoli per corridoi e aree riservate che entrambi i fratelli ricordano fin troppo bene.

Sherlock è pronto a scommettere che anche Mycroft avrebbe fatto a meno di un altro tour guidato della struttura, nonostante siano passati mesi da quando Eurus l'ha rinchiuso ridendo nella sua vecchia cella. Per quanto preferisca stare nelle ombre e muoversi poco, Mycroft non è uno che possa accettare di essere imprigionato o rinchiuso in qualsiasi modo.

Se si sentisse dispettoso Sherlock addurrebbe questa caratteristica alla sua megalomania, ma è di umore pensieroso e sa che suo fratello deve provare qualcosa di simile al momento. Forse si sente responsabile - cosa che Sherlock non può dire con sincerità di non aver pensato. I se e i forse gli si affollano in testa. Infinite variazioni di un palazzo mentale che sta svanendo lentamente come una pellicola cinematografica troppo consumata.

Se Sherlock fosse andato da lei più spesso? E se Mycroft non l'avesse rinchiusa? E se non avessero accettato di sedarla? E se i suoi genitori si fossero accorti prima di qualcosa? E se zio Rudy avesse avuto la possibilità di intervenire prima, quando erano ancora bambini? Se zio Rudy se li fosse portati via tutti e tre, come aveva spesso minacciato di fare? E se si fosse portato via soltanto i due ragazzi? O soltanto Eurus?

Sherlock non ha il tempo di pensarci, adesso, ma un nuovo scenario si sviluppa nella sua mente come un'applicazione in background - un'infanzia completamente diversa, senza buchi di memoria o lutti dimenticati.

Lo zio ha sempre avuto una mente affilata come un rasoio. Non avrebbe permesso a Mycroft di ritirarsi completamente nelle ombre, soverchiato dalle personalità dei due fratelli piccoli. E non gli avrebbe scaricato addosso l'intera responsabilità del loro benessere. Troppo facile prendersela col primogenito intelligente e silenzioso, grassoccio e introverso, perché non ha tenuto d'occhio due bambini certamente troppo speciali per essere gestiti da un adolescente.

Forse Eurus avrebbe avuto una minima chance ad una vita normale - quanto meno priva di omicidi - forse Sherlock avrebbe evitato le droghe. Forse Mycroft non avrebbe bisogno di ricorrere alle torte e al tapis roulant ogni volta che il suo mondo oscilla troppo come una barca disturbata dalle onde.

"Inutile pensarci adesso, fratello caro," interrompe Mycroft con calma, senza guardarlo. Già, è chiaro che i loro pensieri hanno trovato la stessa direzione, forse anche gli stessi colori e la stessa atmosfera. È facile dare tutte le colpe al modo in cui i loro genitori li hanno cresciuti. Facile e catartico.

"Sfortunatamente non si può cambiare il passato e non si può arrivare molto lontano nell'influenzare il futuro. Ma si può fare qualcosa per il presente," termina Mycroft sottovoce.

Sherlock raddrizza le spalle e annuisce appena quando l'ennesimo ascensore schiude le porte su di un altro asettico corridoio. I due fratelli seguono la Dottoressa Scott oltre una serie di porte tutte uguali verso l'area dell'obitorio.

La temperatura precipita e Sherlock rabbrividisce, stringendosi istintivamente nel conforto del suo cappotto.

Sherlock non ha voglia di guardare il corpo della sorella, e la smorfia sottile di Mycroft gli conferma che il fratello prova la sua stessa reticenza.

Ma l'identificazione è fondamentale, e deve avvenire senza ombra di dubbio.

Ma, no.

Questa volta Eurus non ha giocato loro un altro dei suoi trucchi perversi e crudeli.

È fredda, pallida e silenziosa, con un graffio sulla fronte e pochi altri segni visibili del volo nel vuoto che l'ha uccisa.

Mycroft sospira, le sfiora il collo e esita con le dita a pochi millimetri dalle sue palpebre immobili, sotto lo sguardo discretamente perplesso della Dottoressa Scott.

"È morta sul serio," conclude in un soffio.

La dottoressa si acciglia, ma non commenta.

"Ha subito diverse fratture e lesioni interne ma la causa della morte è riconducibile al trauma cranico."

Mycroft annuisce lentamente, osservando il viso placido della sorella attraverso le ciglia socchiuse. Sherlock è da solo. Sono entrambi da soli in questo momento di smarrimento, perdita e sollievo.

Sherlock non può avvicinarsi e non può toccarla. Non può neanche comprendere e analizzare quello che sta provando Mycroft allo stesso livello di dettaglio. Il suo sollievo è tinto di senso di colpa e di curiosità, quello di Mycroft è simile nel colore, diverso nella sfumatura.

"Almeno adesso non soffre più," aggiunge Mycroft e Sherlock annuisce, imitato dalla Dottoressa Scott, più a suo agio con un'emozione tutto sommato normale per chi abbia appena subito una grossa perdita.

Nessuno dei fratelli aggiunge il seguito di quel pensiero, quel 'e nessun altro dovrà ancora soffrire per causa sua' che non potrà essere detto ad alta voce finché non si ritroveranno da soli, silenziosi sulla via del ritorno e incerti di chi debba comunicare la notizia ai genitori.

"Chiamo zio Rudy," annuncia Mycroft una volta fuori dalla prigione-manicomio. Il volo di ritorno è stato posticipato di una mezz'ora e i fratelli sono scesi ai piedi della scogliera. Sherlock sa di non essere in grado di chiudersi nell'abitacolo claustrofobico di un velivolo al momento, e crede che per Mycroft la sensazione di soffocamento sia ancora più viva.

Tutto sommato, l'intenzione di Mycroft di chiamare immediatamente lo zio in Francia non lo sorprende neanche un po'. Se c'è qualcuno che può aiutarli, adesso, a capire effettivamente cosa è accaduto - a capirlo da un punto di vista emotivo, non logico - quello è zio Rudy.

Sherlock si siede sulla battigia col cappotto sparso intorno a sé come un funebre fiore, con la schiena appoggiata alla pietra fredda. Ha voglia di togliersi le scarpe e sentire la sabbia sotto i piedi, anche solo per ottenere un'unica percezione corporea di tutta questa situazione ai confini della realtà.

Ancora una volta è John a venirgli in soccorso - fuori dalla fortezza di Sherrinford il suo telefono riprende vita e si riempie di messaggi. Sono soltanto poche parole affettuose, ma bastano a farlo sorridere e a scaldarlo un po' dopo il freddo dell'obitorio e della morte.

È morta. Noi stiamo bene. Più o meno. Mycroft sta chiamando lo zio. Non so come lo diremo ai nostri genitori. Voi state bene? -SH

La risposta di John si fa attendere qualche minuto, presumibilmente mentre questi si ingegna per trovare qualcosa di adatto da scrivere, magari con in braccio una bimba terribilmente interessata all'idea di schiacciare tutti i tasti del cellulare.

Mi dispiace Sherlock, non ci sono parole giuste per momenti come questo. Noi stiamo bene. Torna presto, così possiamo starti vicino.

Sherlock abbozza un sorriso, poi blocca lo schermo e torna a contemplare il cielo imbronciato sopra Sherrinford. Sprazzi di azzurro al di là di sottili nubi grigie solcate da gabbiani irrequieti.

In sottofondo Mycroft sta parlando sottovoce con lo zio, ma il suo tono è già meno teso, già meno strangolato. Mycroft cammina avanti e indietro nella sabbia, poi viene addirittura a sedersi sulla roccia alla quale Sherlock è appoggiato.

"... ti ringrazio zio, lasciarti l'onere di questa telefonata mi toglierebbe un peso che non ti so neanche descrivere, ma temo che la responsabilità di farlo ricada su di me."

Dall'altro lato della comunicazione lo zio dice qualcosa che fa sorridere Mycroft.
Sherlock non ha mai avuto la venerazione del fratello per il vecchio zio, ma a quanto pare Rudy è riuscito a far rischiarare l'espressione tesa e cupa di Mycroft, e per questo Sherlock lo apprezza molto di più.

".. in tal caso mi vedo costretto," concede Mycroft, tracciando piccoli solchi sulla sabbia umida con la punta della scarpa.

Mycroft termina la conversazione dopo qualche minuto, poi sembra pensarci un attimo, esitare, infine si siede per terra accanto a Sherlock e guarda in lontananza la linea dell'orizzonte.

"Lo zio ha usato argomentazioni molto persuasive perché gli lasciassimo l'incombenza di chiamare i nostri genitori. nella fattispecie ha minacciato di cancellarci dal suo testamento. capirai che andava rispettato il desiderio del nostro vecchio zio."

Mycroft termina la frase alzando gli occhi al cielo.


Sherlock ridacchia e dopo un attimo, tra le strida dei gabbiani, persino Mycroft si permette una minuscola risata.

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Il funerale si svolge a feretro aperto, cosa che entrambi i fratelli trovano di pessimo gusto, ancorché comprensibilmente necessaria. La formidabile Violet Holmes née Vernet non solleva una volta il viso dal fazzoletto inzuppato di lacrime, mentre il marito tenta di calmare i suoi singhiozzi dandole gentili pacche sulla schiena.

I due fratelli sono un po' distanti, in piedi accanto alla carrozzina di zio Rudy. Le cugine sono dall'altro lato, vicino alla madre.

Per la prima volta nei suoi trentasette anni di vita Eurus ha l'aria serena, i lineamenti del tutto rilassati.

Mycroft non tira un respiro finché alla fine del servizio funebre la bara non viene trasportata via per la cremazione, e a dirla tutta non sarà tranquillo fino a quando non gli verrà resa l'urna contenente le ceneri di sua sorella.

Conta di disperderle in un posto ventoso, dove potranno essere portate via dall'aria. Un sentimento piuttosto romantico che non ha condiviso con Sherlock, ma che ritiene essere giusto. Poetico, a modo suo. Se non altro, Eurus è finalmente, definitivamente libera, forse per la prima volta in tutta la sua vita.

L'occasione è meno che lieta e le formalità familiari sono più tirate del solito. Le cugine vengono ad abbracciare gli zii dopo il funerale, seguite dalla figura ancora imponente dello zio Rudy.

Lo zio è costretto in sedia a rotelle ed è molto magro, con mani e viso affilati dall'età. I suoi occhi azzurri sono acutissimi e brillanti, la sua postura fiera come se fosse ancora il gigante dalla voce tonante che Mycroft ricorda con particolare affetto e un certo timore reverenziale.

Zio Rudy gli dedica un mezzo sorriso asciutto e un'occhiata di traverso mentre lo supera velocissimo sulle sue ruote e raggiunge mamma. Mycroft prova la stessa stretta di aspettativa deliziata mista a terrore che il gesto gli ha sempre provocato da bambino.

Se gli Holmes non hanno mai rinnegato un certo penchant per la teatralità e un gusto eccentrico tipicamente inglese, il lato Vernet che ha prodotto fior fiore di artisti, filosofi e diplomatici, è noto per la sua tempra decisamente più continentale e passionale.

In altre parole, lo zio cerca la rissa, e pazienza se il corpo di Eurus è stato appena trasferito in una fornace. È decisamente 'a bit not good', ma ora che la nipote è morta (definitivamente, pare), ci sono uno o due sassolini che Rudy non intende portarsi nella tomba.

Mycroft intravvede sua cugina Charlotte coprirsi il viso con le mani mentre Julie trattiene a stento una risata sardonica dietro la mano. Non è il momento né il luogo, ma nessuno può fermare Rudy Vernet quando decide di essere nel giusto (e a onor del vero, lo è praticamente sempre).

"Rudy, sei venuto fin dalla Francia, grazie davvero," inizia mamma, abbracciandolo tremula, sempre sostenuta per metà da papà.

Zio Rudy l'abbraccia forte e le accarezza i capelli, poi la segue fuori dalla chiesa sotto il cielo azzurrissimo e profumato di lavanda della campagna. Papà resta indietro di qualche passo, e prima che possa alzare lo sguardo su Sherlock e Mycroft, le cugine lo prendono sottobraccio e l'accompagnano verso il luogo del rinfresco, con zia Kate al seguito.

Sherlock sbuffa, alzando gli occhi sul fratello, Mycroft risponde con una minuta scrollata di spalle. Riunioni di famiglia, il terrore di tutta la sua vita.

Non hanno ancora fatto pace con i genitori, tra la telefonata di Sherlock per parlare del trattamento medico di Eurus e la telefonata distruttiva di zio Rudy per annunciarne la morte.

La tregua dura fin dopo il rinfresco. Mamma si calma a poco a poco tra le braccia del fratello, e Rudy esibisce una pazienza che non gli è propria. Mycroft immagina tra sè e sè che sia un prodotto della vecchiaia o forse, ancora meglio, che zio Rudy ne abbia fatto scorta per decenni in attesa di un momento del genere. Senza dubbio non è una caratteristica per la quale è mai stato famoso. Proprio no.

Sherlock resta piuttosto rigido e distratto al suo fianco, gravita verso lo zio e scambia qualche parola con le cugine. Ci vuole un Holmes per capire che è ancora turbato, è la stanza è piena di Holmes e di Vernet ma soltanto Mycroft sa perfettamente quanto è stata dura per sé e per il fratello affrontare le più sgradevoli verità familiari.

Mamma sta blaterando qualcosa, cercando ancora consolazione dal fratello. Rudy si sarà anche ammorbidito con la vecchiaia, ma non si è piegato.

Sbuffa un po' senza rilasciare la sorella dall'abbraccio.

"... non capisco cos'altro avrei dovuto fare, Rudy, mi sento così in colpa…"

Rudy sbuffa di nuovo, nascondendo il fastidio in un colpo di tosse. Le cugine Vernet e zia Kate si scambiano uno sguardo significativo, Mycroft si sente l'angolo della bocca che si arriccia in un minuscolo sorriso di trionfo.

"Vivi, mi dispiace moltissimo. Ma è un po' tardi per sentirti in colpa."

Violet tira su col naso e alza lo sguardo, stringendo gli occhi. Ha già cambiato faccia.

"Non ti sembra un momento poco opportuno per questo, Rudy? Mia figlia è appena morta !"

"Non esiste un momento appropriato per questo, Violet, sono trent'anni che ti do dei consigli e cerco di aiutarti e non hai mai voluto fare niente di concreto. E adesso che giustamente ti disperi per tua figlia morta, non pensi a quanto male hai fatto e stai facendo ai tuoi due meravigliosi figli adulti e vivi?"

Violet si solleva a sedere con la schiena ben dritta, il capo alzato nella posa altera che da sempre significa guai.

"Come ti permetti? Vai ancora avanti a giudicarmi? Non hai altro da fare? Non so, disfare un governo, iniziare una guerra, giocare con la tua collezione."

Zio Rudy afferra l'inevitabile ombrello nero, snello e ben avvolto e assicurato a uno dei braccioli della sua carrozzina. Solleva la testa e il mento nella stessa posa imperiosa della sorella e la fulmina con lo sguardo.

"Se Dio vorrà compirò ottant'anni l'anno prossimo, Violet, dubito di avere ancora molto di cui vergognarmi su questa terra. Nessuno in questa stanza ignora il mio vecchio vizio, quindi se pensi di spaventarmi con questo ti sbagli di grosso. Hai settantacinque anni suonati ma sei una cretina. Lo sei sempre stata. Un genio, ma un genio stupido."

"Tu sei un bullo insopportabile! Devi sempre avere ragione, non lo sopporto! "

Lo sguardo di Mycroft scivola dalla scena del massacro incombente a suo fratello, che lo sta già guardando da sotto le ciglia. Ha una mezza risata che gli chiude la gola, perché la lite tra i due anziani fratelli non è soltanto soddisfacente a livello personale, è anche simile in modo inquietante alle solite liti tra se stesso e Sherlock.

"Ho ragione perché osservo , Violet, e perché non sono perso nei massimi sistemi cercando la scintilla che ha dato origine al mondo! Sei sempre stata un'ottima teorica, un'ottima ricercatrice ma le cose pratiche non sono roba per te. Ti ho sempre detto che non trovavo giusto allevare così i ragazzi e lo capisco bene, non avevo figli all'epoca. Mi hai detto senza cerimonie di andare al diavolo. Ora mi permetterai di dire 'te l'avevo detto'. Hai lasciato il lavoro per loro, bel risultato! Una morta e due che non ti parlano."

Violet scuote la testa, alzando le mani. Non si tappa le orecchie ma è chiaro che stia pensando di farlo.

"Non è colpa mia se la bambina era così, non puoi dirmi che è colpa mia!"

Rudy stringe più forte l'ombrello. Si sta trattenendo dal sollevarlo in un gesto minaccioso, è chiaro.
"Vivi, santo cielo, non ho detto che il male della bambina era colpa tua. Non l'ho mai detto. Non è colpa tua e non era neanche colpa sua. È nata così, erano altri tempi, certe cose non si sapevano. Certe cose non si sanno neanche adesso. Ma è colpa tua se non ci hai fatto caso e non ti sei accorta di quello che stava succedendo. Non ti sei accorta di niente finché non è stato troppo tardi!"

Violet scuote la testa e si copre il viso, respirando forte e respingendo l'abbraccio che il fratello comunque le offre.

"Lasciami in pace Rudy, non mi toccare. Non voglio avere a che fare con te al funerale di mia figlia!"

Zio Rudy depone l'ombrello e sospira, ma non molla. "Se soltanto mi avessi permesso di portare via i bambini. Non per sempre, bastava un'estate. O la bambina. Ma bisognava separarli per un periodo. Magari adesso non saremmo qui."

Per la prima volta in oltre settant'anni Violet non replica, e resta a piangere mortificata tra le dita, come una bambina dopo una ramanzina.

Sherlock e Mycroft si scambiano uno sguardo quasi imbarazzato - non fa mai piacere vedere la propria madre in lacrime - ma prima che uno di loro o una delle cugine possa intervenire, papà torna indietro e l'abbraccia affettuoso, caloroso e quasi feroce.

"Adesso calmati, Vee," mormora papà, accarezzandole il braccio e baciandole la tempia. "È un brutto momento e siamo tutti molto scossi, tesoro," continua, "lo sai che Rudy è un po' aggressivo ma ha sempre parlato per il nostro bene, nostro, dei ragazzi e della bambina. È andata così, e ci sentiremo in colpa per sempre, ma ormai non possiamo fare più niente, se non volere bene ai nostri figlioli,mh? Magari chiedendo loro scusa per come li abbiamo trattati."

Sherlock sente più che vedere con la coda dell'occhio Mycroft che si irrigidisce all'idea di ricevere le scuse della madre. Di suo, Sherlock non prova lo stesso istintivo terrore. Il tempo e l'influenza di John hanno fatto in modo di addolcirlo leggermente, anche se gli si chiude ancora la gola al ricordo dell'ultima telefonata con sua madre. D'altra parte, però, è pur sempre sua madre. D'altra parte ancora, il modo in cui lei l'ha rifiutato gli brucia ancora e lo fa sentire un bambino piccolo piuttosto che un uomo ben adulto in presenza della madre ormai anziana.

Violet tira su col naso e si lascia blandire dal marito, alzando gli occhi annebbiati dalle lacrime e dal dolore su entrambi i figli.

Forse schiude le labbra per dire qualcosa, ma viene interrotta da un'altra ondata di lacrime silenziose, e papà l'abbraccia più forte e la porta fuori, a prendere un po' di aria.

Mycroft sospira di sollievo mentre lo zio fa marcia indietro e manovra la carrozzina in direzione dei nipoti.

Rudy scruta accigliato prima Sherlock, poi Mycroft e alza la testa con fare imperioso. Il fatto che i nipoti siano due uomini alti e relativamente grandi non sembra neanche preoccupare il vecchio, che per quanto sembri magro e piccolo nella sua carrozzina resta la persona più alta della stanza in quanto a personalità.

"E voi due, non pensate che non ne abbia anche per voi. Vi amo come se foste figli miei e proprio perché vi considero miei figli, ho da dire due parole anche a voi."

Mycroft si scambia mezzo sguardo perplesso con Sherlock, il quale ricambia con una scrollata di spalle.

Lo zio tossicchia in maniera significativa.

"Sto parlando con voi, giovanotti. Come ho già detto, e odio ripetermi, vi considero miei figli. Questa discussione con vostra madre aveva atteso troppi anni e sono contento di avervi difeso, ma- no, Mycroft, lasciami terminare," continua lo zio, alzando l'ombrello. Mycroft desiste immediatamente.

"Questa discussione andava fatta e sono sicura che questa volta vostra madre abbia capito qualcosa. Non vi chiedo scene di perdono plateale perché uno, non è il nostro stile, due, non credo che al momento sarebbero sincere. Ma ricordatevi, è vostra madre, mia sorella. Anche se ha sbagliato tutto, comunque vi ama così come vi amo io. Siamo intesi?"

Sherlock è svelto ad annuire, imitato da Mycroft, che per una volta non apre bocca. Incredibile come lo zio Rudy sia in grado di zittire tre diverse personalità in grado di fare da bastian contrario anche in punto di morte, di fronte alla Nera Signora.

"E un'altra cosa, dovesse essere l'ultima cosa che faccio. Dovete andare d'accordo. Dovete rispettarvi. Siete due uomini adulti e molto intelligenti. Un giorno io non ci sarò, i vostri genitori non ci saranno. Pretendo che abbiate l'un l'altro. Sono stato chiaro?"

Sherlock sospira, mentre Mycroft cerca ancora le parole.

"Credo che sia l'unica cosa che abbiamo imparato da tutta questa faccenda, zio," risponde Sherlock, voltandosi a guardare Mycroft. "Anche se ci è voluto veramente troppo tempo."

Mycroft sorride appena e annuisce. Un nodo molto pesante e molto vecchio si sta sciogliendo nel suo petto, e anche se non è tutto risolto - il nome Holmes non attrae la semplicità e la tranquillità - da qui la situazione può soltanto migliorare.

"Beh," risponde ironico, chinandosi ad abbracciare calorosamente lo zio, "meglio tardi che mai."

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