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Autore: Stella Dark Star    12/06/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo ventisei
Fiele
 
Non era stato necessario presentarsi. Il viso sorpreso e allo stesso tempo impaurito della donna che lo aveva accolto all’ingresso, era stato sufficiente a fargli capire di essere stato riconosciuto. Dopo alcuni istanti d’immobilità, Madonna Leona chinò il capo e cercò di dire qualcosa per non sembrare irrispettosa: “M-Messer Al-Albizzi…”
“Dove si trova mio figlio?” Chiese lui, con tono severo e intimidatorio.
“Al primo piano, la terza porta sulla destra.” Non ebbe nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, mentre rispondeva.
Rinaldo la passò senza dire altro, solo si voltò un istante per accertarsi che Tommaso fosse dietro di lui. Ed infatti c’era, lo seguiva come un’ombra, a testa bassa e con aria colpevole. Era stato lui a rivelargli dove trovare Ormanno.
Non appena raggiunse la porta indicata, l’aprì senza preoccuparsi di bussare e quando allungò lo sguardo all’interno della stanza si sentì fremere dalla rabbia. Sul letto, nudi e svergognati, giacevano Ormanno e Pazzi. A dividerli, una prostituta dai capelli rossi e le forme burrose.
Avendo udito il rumore della porta, Rossella si era svegliata e, nel vedere degli estranei, lasciò un grido che destò anche i suoi due clienti. Mentre lei si affrettava ad afferrare il lenzuolo per coprirsi, Ormanno e Andrea aprirono gli occhi a fatica, esausti dalla notte di lussuria e messi fuori combattimento da un evidente abuso di alcol. Ormanno si portò una mano alla fronte per placare una terribile fitta di dolore, la voce gli uscì roca: “Padre.”
Rinaldo si rivolse a Rossella: “Tu, esci da qui. Immediatamente.”
“Ma questa è la mia st…” S’interruppe all’occhiata omicida che lui le lanciò. Cercò di stringersi addosso il lenzuolo, ma le sarebbe stato impossibile portarlo con sé dato che era parzialmente bloccato dagli altri due corpi stesi sul letto. Sarebbe morta piuttosto che farsi vedere nuda da quell’uomo. In suo aiuto arrivò Tommaso che, vedendola in difficoltà, si era guardato attorno e una volta adocchiata una veste da camera andò a recuperarla. Gliela porse gentilmente, anche se era una prostituta non meritava meno rispetto di qualunque altra donna.
Lei prese l’indumento sussurrando: “Vi ringrazio.” Al quale lui rispose con un cenno del capo. Una volta messo tutto al sicuro, Rossella scivolò giù dal letto e se ne andò dalla stanza come richiestole.
Rinaldo aveva tenuto per tutto il tempo lo sguardo fisso sul figlio, non lo distolse nemmeno quando si rivolse a Tommaso: “Ragazzo, porta a casa mio figlio. A lui penserò dopo.”
“Sì, mio Signore.” Rispose lui, per poi recuperare dal pavimento gli indumenti di Ormanno e aiutarlo a rivestirsi. La parte più difficile si rivelò sostenerlo poiché, ridotto com’era, non riusciva quasi a camminare. Sperò solo che non ruzzolassero giù per le scale. Sarebbe stato umiliante. Per fortuna, un gradino alla volta, raggiunsero il piano terreno senza incidenti, anche se Ormanno puzzava talmente tanto di sudore, sesso e vino da causargli quasi un mancamento.
Nel vederli arrivare, Madonna Leona aprì loro la porta d’ingresso: “Povero ragazzo. Che cosa gli farà il padre, ora?”
Tommaso rispose onestamente: “Chi può dirlo? La follia di quell’uomo non ha limiti.”
Fecero appena in tempo a svoltare l’angolo del vicolo che Ormanno fu colto dalla nausea. Tommaso dovette letteralmente sostenerlo di peso, altrimenti Ormanno sarebbe finito a terra nella pozza del suo stesso vomito. Passato il peggio, Ormanno prese un respiro profondo, in attesa che il mondo attorno a lui smettesse di girare.
“Perdonami, Tommaso. Speravo che non mi avresti mai visto così.”
“Non avete nulla di cui giustificarvi.”
“E invece sì. Tu non sei solo un servo, sei anche mio amico.”
Tommaso emise un suono buffo con la bocca: “Un amico che vi ha tradito!” Sempre tenendolo appoggiato a sé, riprese a camminare verso casa. Non vedeva l’ora di arrivare.
*
Dopo aver deglutito un sorso di vino per togliersi il sapore amaro dalla bocca, Andrea squadrò Rinaldo: “Avete intenzione di restare lì fermo a guardarmi le parti intime fino all’ora di pranzo?”
Rinaldo scosse il capo, sul volto un’espressione di disgusto: “Stavo solo guardando le conseguenze delle pene d’amore. Grazie al cielo non mi hanno mai sfiorato. Ho sempre tenuto lontane le donne.”
“Avete una moglie, Rinaldo.”
“E questo cos’ha a che vedere con l’amore?” Puntualizzò lui.
Suo malgrado, Andrea ridacchiò per quella verità. Matrimonio e amore troppo spesso erano due cose incompatibili, per gli altolocati. Si diede la spinta per riuscire a mettersi seduto, quindi mise i piedi  a terra e si chinò per riprendere la camicia. Aveva bisogno di ritrovare la propria dignità.
Rinaldo si decise ad abbandonare la soglia e andò incontro all’amico: “Una puttana. Veramente, Pazzi? E per di più avete coinvolto anche mio figlio nella vostra depravazione.”
Quindi credeva che Ormanno fosse stato spinto a farlo. Meglio così, si sarebbe preso la colpa di tutto e avrebbe risparmiato ad Ormanno conseguenze spiacevoli.
“Era ubriaco quando gli ho proposto di venire qui. E anch’io, in verità. So cosa pensate al riguardo e vi porgo le mie scuse. Vi garantisco che non accadrà più.” Ed infilò le gambe nelle braghe.
“Sono io che ve lo garantisco!” Il tono alterato di Rinaldo gli fece sollevare un istante lo sguardo, ma poi tornò a dedicarsi alla propria vestizione.
“Un uomo come voi non può frequentare un bordello. Specialmente adesso.”
Una volta indossati anche gli stivali, Andrea si rialzò in piedi e azzardò uno scherzo: “Ecco che ha inizio la ramanzina!”
Rinaldo lo afferrò alle spalle e lo guardò dritto negli occhi: “Ho bisogno di voi, Pazzi. Lo capite?” Nei suoi occhi chiari vi era una sfumatura di paura: “Ho bisogno del vostro aiuto per comandare questa città. Ogni settimana che passa si verificano sempre più disordini. Sono costretto ad assoldare mercenari da tutta la nostra Repubblica per placare quei fuochi molesti. Ho timore che anche i nobili cominceranno a ribellarsi a me, se mi crederanno debole.”
“Allora dovreste lasciare il comando. Firenze non tornerà all’antico regime, Rinaldo, dovete abbandonare questa idea o vi distruggerete con le vostre mani.” Rispose secco Andrea.
“Dopo aver ottenuto la mia vendetta su Cosimo de’ Medici? Preferirei la morte.”
Andrea sollevò un sopracciglio: “Ricordatevi di queste parole, quando sarà il momento.” E si liberò del suo tocco.
Rinaldo rimase turbato da quelle parole, l’Andrea Pazzi che conosceva non avrebbe mai osato rivolgersi a lui in quel modo.  Ma ormai, che ne era stato di quell’uomo? Doveva fare qualcosa. Cercò di usare un tono amichevole, sperando che bastasse: “Mio caro Pazzi, vorrei darvi un consiglio da amico. Siamo prossimi alle festività natalizie, perché non vi prendete un po’ di tempo per voi stesso? Partite, andate dalla vostra famiglia e trascorrete una piacevole e lunga vacanza.”
Andrea sospirò: “Non credo di esserne in grado. Non ancora.”
Rinaldo riuscì perfino a simulare un mezzo sorriso: “So che amate i vostri figli e ora avete bisogno di loro più che mai. Dovete riprendervi, Andrea. Dovete riprendere il vostro posto in società.” Gli posò una mano sulla spalla e avvicinò il viso al suo: “Perdonate vostra moglie e riportate la vostra famiglia a vivere a Firenze con voi. Siate un esempio.” Terminò dando enfasi a quell’ultima parola.
Andrea aveva capito che tutto il discorso puntava solo al potere. Voleva manovrarlo come un burattino per dimostrare la propria autorità. Il pensiero gli riportò l’amaro in bocca. Ma d’altronde, su una cosa aveva ragione: trascorrere del tempo con la propria famiglia gli avrebbe giovato e, con un po’ di fortuna, forse sarebbe riuscito a smettere di pensare a Lucrezia e al male che gli aveva fatto preferendo i Medici a lui.
Fece dei cenni positivi col capo: “Sì, avete ragione. Lo farò. Farò un tentativo.”
Rinaldo si sentì già più tranquillo nell’udire quella risposta. Se fosse davvero riuscito nell’intento, avrebbe riavuto il suo prezioso alleato e insieme di certo sarebbero riusciti a dominare la città.
*
Tra gli effetti della sbornia e il freddo pungente che aveva invaso la città, Ormanno aveva davvero bisogno di un bagno bollente e ristoratore. Era bastato entrare nella vasca e mettersi comodo per desiderare di rimanere lì per sempre, cullato dall’acqua e dal profumo delle erbe aromatiche che Tommaso aveva aggiunto in gran quantità. Un fruscio gli ricordò che Tommaso era ancora lì con lui, nella stanza da bagno. Aprì gli occhi e lo vide intento a recuperare dal pavimento gli indumenti di cui poco prima lo aveva aiutato a liberarsi. Sul volto aveva un’espressione troppo seria.
“Lascia. Le serve se ne occuperanno più tardi. Vieni, siedi qui accanto a me.”
Tommaso temporeggiò, sembrava quasi incerto sul da farsi, ma alla fine obbedì. Posò il mucchio di abiti sudici accanto alla porta e andò a recuperare uno sgabello. Le mani in mano, il capo chino e quell’espressione corrucciata erano chiari segnali che qualcosa non andava.
Ormanno pensò bene di tranquillizzarlo: “Non sono in collera con te. Immagino che mio padre ti abbia costretto a dirgli ciò che voleva. Non fartene una colpa.”
Tommaso mosse lo sguardo verso di lui, ma non lo guardò in viso: “Vi ringrazio.”
Una risposta così misera non era da lui. Non l’aveva mai visto così, con quell’aria da cane bastonato. Sollevò una mano dall’acqua, spinto dall’impulso di toccargli i capelli, in particolare quella ciocca ribelle che gli finiva sempre sulla guancia e che talvolta gli copriva un occhio. Ma poi si bloccò, guardò la propria mano gocciolante e un istante dopo la ritirò.
“Tommaso, puoi confidarti con me. Cosa ti turba?”
Finalmente lui sollevò lo sguardo sul suo, i suoi occhi scuri sembravano fiammeggianti di rabbia e le parole non furono da meno: “Se vi rivelassi i miei pensieri mi fareste punire. Poiché essi riguardano vostro padre.”
Per dire una cosa del genere, significava forse che…
Ormanno si allarmò: “Che cosa ti ha fatto? Dimmelo! Se ti ha anche solo sfiorato, giuro…”
“No, non è come credete.” Lo interruppe Tommaso, per poi voltare il capo altrove. Si alzò dallo sgabello e andò verso il camino, dove sostò nel tentativo di non dare in escandescenze.
Ormanno lo incalzò: “Devi dirmi tutto. Qualunque cosa ti abbia fatto, hai la mia parola che non accadrà più. Devi fidarti di me.”
Tommaso stava stringendo i pugni con tanta forza che il suo volto era divenuto quasi paonazzo per lo sforzo. Se fosse esploso cosa sarebbe accaduto? Rinaldo era un mostro ma era pur sempre il padre di Ormanno. Colpì il vuoto con un pugno, gridando: “Al diavolo!” Tornò accanto alla vasca, era così furioso che gli occhi sembravano uscirgli dalle orbite: “Mi ha minacciato, ma non è questo il punto. Anche se mi avesse fatto picchiare e frustare, io non avrei detto una parola.”
Ormanno lo fissava come se volesse leggergli nell’anima ma, visto che non era in grado di farlo, dovette porgli la domanda: “Che cosa ha fatto?”
Dapprima le labbra serrate in una morsa e i denti tanto stretti da scricchiolare, Tommaso infine buttò fuori tutto quello che aveva da dire: “Ha minacciato di fare del male a Stella. Ha detto…” Si bloccò per ingoiare un nodo alla gola: “Ha detto che se non avessi parlato, avrebbe fatto frustare sia me che lei e poi l’avrebbe cacciata.” Sferrò un altro pugno all’aria: “Non potevo permetterglielo!”
Ormanno si sentì fremere, non poteva credere che suo padre fosse arrivato a quel punto. Il potere gli stava davvero dando alla testa, era diventato un uomo brutale e senza pietà. E poi, sapere che aveva ferito i sentimenti di Tommaso era una cosa che gli bruciava come fuoco.
“Ha saputo che tieni a lei e ne ha approfittato per metterti in ginocchio.” Sentenziò, scuotendo lentamente il capo con disapprovazione.
“Nessuno qui le è affezionato, tranne vostra madre. Tutte le serve la odiano, sono delle pettegole invidiose che sarebbero felici di vederla mendicare per strada.” Lanciò un’occhiata a Ormanno, credendo che lui volesse chiedergli di più al riguardo, ma ciò che vide nei suoi occhi lo offese. Appoggiò le mani al bordo della vasca e lo guardò dritto in viso: “Anche voi credete che lei non meriti il ruolo che ha? Non sarà brillante, non sarà una fulgida bellezza, però è una brava ragazza e io la amo per la sua semplicità.”
Ormanno rimase senza fiato per quella confessione. Dunque era davvero una relazione seria. Era lieto di questo ma…perché in un angolino della sua mente sentiva una voce digli tutt’altro? Per quanto si sforzasse di non pensarci, era geloso. Ma che tipo di gelosia era? La stessa che provava per Andrea? Non lo sapeva. Andrea era sempre stato una figura paterna, ma Tommaso… Tommaso era un ragazzo intelligente e dalle mille risorse e ogni volta che era vicino a lui provava desiderio di toccarlo. Con Andrea non aveva provato niente di simile.
Avendo frainteso il suo lungo silenzio e il suo sguardo turbato, Tommaso si sentì in colpa, credendo di aver veramente passato il limite: “Vi chiedo perdono. Non volevo mancarvi di rispetto. E’ solo che…” Scosse il capo e si risollevò: “Vorrei tanto darle più. Se avessi i mezzi necessari, aprirei una bottega tutta mia in cui esercitare la professione di speziale e la porterei con me.” Sottolineò: “Non fraintendetemi, vi sono grato per tutto ciò che avete fatto per me. Ma ho dei sogni che desidero realizzare, un giorno. E tra questi c’è anche quello di mettere su famiglia con lei.”  
Ormanno aveva ascoltato ogni parola con interesse, apprezzando l’onestà di quella confessione. Sentire dalle sue labbra ciò che desiderava, era un dono prezioso. Per questo si sentì l’anima in pace. Abbozzò un sorriso: “C’è una cosa che mi frulla per la testa ultimamente e credo che sia giunto il momento di dirtela. Come te la cavi con le armi?”
Tommaso fece spallucce: “So usare bene il coltello.”
Ormanno ridacchiò, ma poi si fece più serio: “Ti informo che, a  partire da domani, ti addestrerò personalmente nell’arte della spada. E quando sarai pronto, ti nominerò mia Guardia Personale. Anche se non è il tuo sogno, ti consentirà comunque di avere una posizione rispettabile.”
Tommaso lo guardò con tanto d’occhi: “Dite davvero? Ormanno, ve ne sono grato ma… non credo di esserne all’altezza.”
Lui gli lanciò un’occhiata maliziosa: “Quando avrò finito con te, ti assicuro che lo sarai!”
E con quelle parole riuscì a strappargli un sorriso. Uno di quelli che lo caratterizzavano, di quelli che nascevano dall’arricciamento delle labbra. Uno di quelli che lui adorava.
  
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