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Autore: heliodor    12/06/2017    6 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Progressi

Joyce tornò nella sua stanza e ci rimase per tutto il giorno. Sapere di Vyncent l'aveva sconvolta a tal punto da dimenticare tutto il resto. Pregò affinché lui e Bryce stessero bene e tornassero sani e salvi dalla pericolosa missione che dovevano affrontare.
Solo verso sera, dopo una veloce cena, riuscì a concentrasi sul libro. Alla luce di due globi luminosi studiò l'incantesimo successivo.
"Akh ka'as" pronunciò in antico Valondiano quando fu sicura di sé.
Non accadde niente.
Delusa, sfogliò le pagine del libro controvoglia. Il pensiero di Vyncent non la faceva concentrare. Decise che una passeggiata nei giardini le avrebbe fatto bene. Era buio ma la notte non era ancora iniziata. Ripose il libro sullo scaffale e indossò degli abiti leggeri.
Uscì dalla porta chiudendosela alle spalle. Incontrò due guardie sulle scale ma entrambe la ignorarono. Prima di giungere ai giardini due valletti le passarono accanto ridendo tra loro. Nessuno le prestò attenzione nemmeno per farle un saluto formale.
Joyce raggiunse il giardino e si incamminò tra le aiole e le siepi ben curate. In mezzo agli alberi e alle piante provenienti da tutta Valonde e dai regni vicini la guerra sembrava un evento lontano e triste.
Il pensiero che molte persone a lei care vi fossero coinvolte la sconvolgeva. Allontanò la tristezza concentrandosi sulle statue che adornavano la fontana circolare che sorgeva al centro dei giardini.
Lì c'erano delle panchine scolpite nel granito sulle quali lei e i suoi fratelli spesso sedevano nei giorni di bel tempo.
Joyce, distratta dai suoi pensieri, non si accorse che qualcuno era lì e quasi inciampò addosso a Lindisa.
La ragazza vestiva un abito leggero e non era sola. Con lei c'era Galef, anch'egli in abiti civili leggeri e comodi.
Joyce fece un balzo all'indietro e con un filo di voce disse: "Scusate."
Lindisa stava guardando la fontana quando si voltò verso Galef e disse: "Hai detto qualcosa?"
Il principe di Valonde scosse la testa. "Non ho aperto bocca."
"Mi era sembrato di aver udito una voce femminile."
Galef voltò la testa di scatto e diede una rapida occhiata ai giardini. "Siamo solo noi due" disse guardando nella direzione di Joyce.
Lei avrebbe voluto sparire, ma non si mosse. Possibile che non l'avesse vista? Eppure era a meno di tre passi da lui.
Lindisa si voltò a sua volta e scandagliò il giardino perplessa. "Eppure mi era sembrata una voce femminile."
"L'avrai immaginata" disse Galef.
Era abituata al fatto che gli estranei la ignorassero, ma ora stavano passando il limite. Joyce stava per dire qualcosa, quando si fermò.
Muovendosi quasi in punta di piedi si avvicinò a Galef e Lindisa e passò loro davanti, frapponendosi tra i due e la fontana. Era impossibile che non la notassero.
"È molto bello qui" disse Lindisa. "A Bariene non abbiamo niente di simile."
"Non avete le fontane e i giardini?" disse Galef con tono canzonatorio.
Lei sorrise. "Lo sai che cosa voglio dire. Io non ho niente di simile a Bariene. La nostra duchessa vive negli agi e le ricchezze."
"Lo dici come se fosse una colpa."
Joyce alzò una gamba e si toccò la punta del piede con la mano.
"Una volta lo pensavo e invidiavo i nobili" disse Lindisa.
Joyce fece una boccaccia.
"E ora?"
Joyce si mise a saltare sul posto.
"Dopo che ho conosciuto te..."
Galef e Lindisa si baciarono.
Joyce distolse lo sguardo esasperata e disse: "Oh smettetela voi due."
Lindisa si staccò da Galef con gli occhi sbarrati. "L'hai sentita anche tu?"
Joyce si tappò la bocca con entrambe le mani.
"Lindi" disse Galef.
"No, no, dico sul serio" fece lei alzandosi. "Sono sicura di averla sentita." Fece il giro della fontana.
Joyce non osava muovere un dito per non farla insospettire.
Lindisa guardò nella sua direzione e poi oltre. "Avete dei fantasmi nel palazzo?" chiese rivota a Galef.
Il principe esplose in una sonora risata. "Ma per favore... fantasmi..."
Lindisa lo fissò con sguardo truce, poi si rilassò e disse: "Forse sono solo nervosa. Il pensiero di dover ripartire mi fa avere le allucinazioni."
Lui la prese per la mano e la portò via. "Non pensarci e godiamoci questi due giorni di pace."
Joyce si mosse solo quando si furono allontanati. Rientrò di corsa nella sua stanza e si piazzò di fronte a uno degli specchi.
Non c'era alcuna immagine riflessa nella cornice.
"Sono invisibile" esclamò eccitata.
Quel pensiero aveva cancellato il ricordo di tutto quello che era accaduto quel giorno. In piedi davanti allo specchio attese che l'incantesimo si esaurisse. Dopo una decina di minuti l'aria attorno al suo corpo si increspò e lei riapparve.
Contando il tempo che aveva passato in giardino, l'incantesimo non era durato più di una trentina di minuti.
Per esserne sicura ripeté per due volte l'incantesimo e misurò il tempo con una clessidra. In entrambi i casi riapparve dopo ventotto minuti.
Quella notte sognò di Vyncent e Bryce e fantasmi invisibili che si muovevano per il castello e quando si risvegliò era agitata e impaurita.
Al mattino, durante la colazione, tutta la famiglia si ritrovò allo stesso tavolo tranne re Andew.
Sua madre e Roge erano silenziosi mentre Lindisa e Galef si lanciavano occhiate fugaci e sorrisi complici.
Fu Roge a spezzare il silenzio. "Devi ripartire subito o ti trattieni?" domandò al fratello.
"Dobbiamo tornare al nostro gruppo" disse Galef.
"Papà vuole convocare un consiglio di guerra. Forse ti interessa ascoltare quello che si diranno."
"Consiglio? Non so che farmene" disse Galef infastidito. "Mentre voi discutete i miei confratelli rischiano di morire. Non ho tempo per queste cose."
"Mi stai forse rinfacciando qualcosa?" domandò Roge con tono alterato.
Galef lo squadrò a muso duro. "Sei uno stregone e sei abile, l'ho visto con i miei occhi. Il tuo posto è sul campo di battaglia, vicino ai tuoi confratelli. Non qui."
"E credi che non lo sappia?"
"No, ma penso che tu l'abbia dimenticato" disse Galef con tono provocatorio.
Roge stava per scattare in piedi, quando la regina Marget gli fece cenno di restare seduto.
"Galef" disse la regina. "È stato tuo padre a ordinare a Roge di restare a palazzo. Io da sola non posso difenderlo da un attacco."
"Ci sono altri stregoni in città."
"Servono per difendere Valonde" disse la regina.
Galef scosse la testa.
"Se hai qualcosa da ridire sulle mie scelte tattiche, fallo apertamente" disse re Andew entrando nella sala.
Tutti si alzarono in piedi all'ingresso del re e i valletti si inchinarono.
Re Andew andò a sedersi al suo posto senza distogliere gli occhi dal figlio. "Allora, Galef? Ti ascolto."
"C'è poco da dire, padre" disse Galef trattenendo a stento la rabbia. "La guerra è dura e abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile. Razyan e Roge sono degli stregoni molto abili e sarebbero utili alla causa."
"Razyan è in viaggio presso i nostri vassalli per trovare alleati e Roge deve aiutarci a sorvegliare il palazzo, ora che sono convalescente."
"Dico solo che..."
"Lo so che la guerra è dura, ma tutti noi stiamo facendo dei sacrifici."
Galef indicò il tavolo imbandito di frutta e dolci. "E questi li chiami sacrifici? Molti dei nostri compagni non hanno di che sfamarsi. La popolazione è allo stremo nelle città assediate dagli alleati di Malag."
"Faremo tutto quello che possiamo per aiutare quelle persone."
"Non è abbastanza" esclamò Galef battendo un pugno sul tavolo.
Joyce sobbalzò.
Il re invece lo fissò con sguardo duro. "Ti ho insegnato a urlare al mio tavolo?"
Galef sembrò trattenere a stento la rabbia. "Mi hai insegnato delle cose" disse con tono tranquillo. "Ma sto cominciando a dubitare di molte di esse."
Re Andew annuì. "Ora vattene per favore."
Galef rivolse un inchino alla madre "Col vostro permesso..." disse prima di voltarsi e andarsene.
Lindisa si esibì in un leggero inchino e lo seguì.
"È colpa di quella ragazza" disse Roge dopo che i due se ne furono andati. "Gli ha messo in testa degli strani pensieri. Galef non è mai stato così."
Re Andew socchiuse gli occhi, il viso attraversato da una smorfia di sofferenza.
"Non puoi permettergli di sposare una donna di umili origini" disse Roge al padre.
"Credi che non lo sappia?" chiese il re.
"E allora perché non ti sei opposto al loro fidanzamento?"
"Se mi opponessi, Galef la prenderebbe come una sfida e andrebbe avanti per conto suo, senza ascoltarmi."
"Mi sembra che lo stia già facendo" disse Roge con tono sprezzante.
Re Andew lo fissò torvo. "Vuoi mancarmi di rispetto anche tu?"
Roge aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse. "Col vostro permesso" disse. Non attese il congedo del re per voltarsi e andarsene.
Re Andew sospirò rassegnato.
"Sono giovani" disse Marget. "Anche noi eravamo così alla loro età."
Re Andew si passò una mano sul viso come se volesse scacciare un insetto. "Mio padre non mi ha mandato in guerra. Cosa sarei diventato io se lo avesse fatto invece di lasciare che prendessi le mie decisioni?"
"Sono quelle decisioni che fanno di te il suo degno erede" disse Marget.
Re Andew rivolse un'occhiata a Joyce. "E tu cosa mi dici mia cara?"
Joyce si strinse nelle spalle.
"Nelle ultime settimane ti abbiamo trascurata" disse la regina Marget. "Ma non ci siamo dimenticati di te."
Joyce non sapeva se esserne grata. "Io sto bene" riuscì a dire.
"Forse è una fortuna che tu non sia..." iniziò a dire re Andew.
Marget gli scoccò un'occhiataccia.
Il re tossì imbarazzato. "Stavo per usare una frase infelice."
"Papà" disse Joyce cercando le parole giuste. "Io sono felice di essere come sono. Anche se non so lanciare incantesimi" mentì. Una parte di lei aveva sempre desiderato quel potere e il libro glielo aveva dimostrato. Si era gettata nella traduzione di quelle antiche pagine sfidando la legge e un divieto antico quasi quanto il mondo in cui vivevano.
Re Andew sorrise comprensivo. "Hai fatto progressi nella tua ricerca?"
La domanda colse Joyce alla sprovvista. "Sì" rispose dopo averci pensato. "Molti progressi. Più di quanto sperassi in verità."
"Ne sono felice. Continua così."
"Lo farò" rispose.

 
  
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