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Autore: Mary_Julia_Solo    12/06/2017    0 recensioni
Un ragazzo trascinato in qualcosa più grande di lui.
Un destino segnato.
Un principe dannato.
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« Lui non era un guerriero, lui non era nemmeno Asgardiano. Lui era soltanto un ragazzo che era stato investito da una vita completamente nuova, che era stato affogato da se stesso, come da un fiume. Lui si era veramente stancato di tutto quello che stava sopportando. Si era stancato di vedere suo padre comportarsi in modi sempre diversi, si era stancato di cercare di capire le persone. Non era lui a dover salvare l’universo, l’universo poteva benissimo salvarsi da solo. Era stato trascinato in qualcosa più grande di lui, troppo in fretta. Non gli avevano lasciato scampo, lo avevano investito con troppe bugie e troppe verità allo stesso tempo. Lui era solo un ragazzo che fino a meno di un anno prima voleva fare lo scrittore, lui non era un eroe, non era uno di quei fottutissimi eroi e non lo sarebbe mai stato. Era stanco di essere visto per quello che non era. Lui era Kjell, era solo Kjell, e voleva soltanto vivere la sua vita! »
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Foster, Loki, Nuovo personaggio, Sif, Thor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1. - Kjell
 
- All things truly wicked start with an innocence... -
 
Londra, 29 gennaio 2013
-Allora… -borbottò il ragazzo, posando la tazza di tè sul tavolo. Accese il computer e cercò la pagina sulla quale lavorava già da parecchio tempo. Posò le dita sulla tastiera, osservando l’ultima frase che aveva scritto. Il suo sguardo vagò per qualche attimo nel vuoto, cercando di trovare le parole giuste. Poi, cominciò a battere velocemente sulla tastiera. “Dennis si guardò intorno, mentre il gelo lo avvolgeva. Era sicuro di aver scorto del movimento, nel buio della stanza. Non aveva paura, ma dopotutto non ne aveva mai. Aveva smesso di credere ai mostri e ai fantasmi da molto tempo, pur continuando a vederli nei suoi sogni. In un attimo -lui non se ne accorse neanche- cadde sul pavimento gelato, battendo malamente la testa. Qualcosa, qualcosa di grosso, l’aveva urtato. Nell’universo creato dal colpo, il sogno che faceva ormai da quando era soltanto un bambino, tornò. Il sangue era tanto, troppo. Il dolore era immenso, ma su di lui non c’era segni di ferite. No. Il sangue proveniva da una donna, una donna che… stava morendo.”  Sobbalzò, cancellando velocemente le ultime frasi scritte. Doveva concentrarsi, non poteva farsi deconcentrare da quel sogno che faceva ormai da troppo tempo. Era così, non era il protagonista della sua storia a fare quel sogno così spesso, bensì lui. Sobbalzò quando sentì una porta sbattere alle sue spalle. Chiuse velocemente il computer e prese la tazza, le mani scosse da uno strano tremore. Aveva una cattiva sensazione. Non su quello che stava accadendo, non era così semplice. Aveva una cattiva sensazione sulla sua vita. Temeva che sarebbe successo qualcosa che l’avrebbe irrimediabilmente cambiata. Non sapeva se era pronto per questo.
-Ehi, Kjell! -esclamò una voce dietro di lui, facendolo sobbalzare. -Che stai facendo? -lui rimase ad osservare Darcy, la stagista di Jane, il cui padre era molto amico della madre del ragazzo, con sguardo vacuo. -Mmmh… Secondo me stavi provando a scrivere. -Darcy si diresse verso la dispensa e aprì una delle ante, mentre il suo viso si apriva in un’espressione di disappunto. -Le mie barrette al cioccolato sono scomparse! Oh, aspetta, ne è rimasta una. -prese la barretta al cioccolato e sbatté l’anta, sedendosi al tavolo e riprendendo a guardare Kjell, scartando la barretta. -Scommetto che le ha prese Jane! A proposito, non è che l’hai vista per caso? -lui scosse la testa, sorridendo, poiché Darcy aveva fatto la domanda masticando la barretta, quindi era praticamente incomprensibile.
-Veramente credo che sia uscita. Quando sono tornato dalla biblioteca era scomparsa. -Darcy spalancò gli occhi e sollevò le sopracciglia.
-Uscita! Ma sei sicuro? Non è che magari si è nascosta sotto il divano o qualcosa di simile? Pensavo che fosse in giro tipo zombie in pigiama a mangiare gelato! -Kjell rise, immaginandosi la scena di uno zombie in pigiama a mangiare gelato.
-Sono abbastanza sicuro, ma se vuoi controllare sotto il divano… -Darcy scosse la testa, alzandosi di scatto e facendo sobbalzare l’amico.
-Ho un’idea migliore. Jane! -gridò, per poi ripetere più forte. -JANE! -si risedette, abbastanza soddisfatta. -No, a quanto pare non è in casa. -in quel momento la porta d’entrata si spalancò e Jane corse dentro, vestita di tutto punto, lanciando subito un’occhiataccia alla sua stagista.
-Darcy! Ma si può sapere che diavolo c’è da urlare? Riuscivo a sentirti fino in strada! -la stagista alzò le spalle, continuando a mangiare la sua barretta.
-Be’, arrivo qui e Kjell mi dice che non sei in casa! E allora ho pensato che fosse troppo incredibile per essere vero! -Jane sbuffò posando pesantemente la sua borsa su una delle sedie.
-Sono andata da Grace per discutere di… -guardò Darcy e poi sventolò la mano. -Lascia perdere, tanto non ci capiresti nulla. -l’altra sembrò profondamente offesa.
-Grazie… -Jane la ignorò, rivolgendosi a Kjell.
-Comunque tua madre ti cerca. -Grace Barker era la madre del ragazzo. -Dice che ti vede parlare faccia a faccia. -Kjell si accorse solo in quel momento di avere il telefono completamente morto. Forse sua madre aveva provato a chiamarlo, ma lui non poteva sentire.
-Ok, spero che non sia nulla di grave. -si alzò e infilò il computer nella borsa. Prese la giacca dallo schienale della sedia e salutò le due amiche, che cominciarono subito a litigare quando lui fu uscito. Non capiva esattamente come quelle due riuscissero minimamente a sopportarsi. Primo, erano completamente diverse, secondo, di sicuro Darcy non era interessata per davvero a tutta quella scienza. Eppure Jane la teneva ancora con sé. Forse era per tutto quello che era successo due anni prima in New Mexico, quando Jane aveva deciso in parte di abbandonare la scienza e di credere alla magia. Non era mai stato ben in chiaro di quello che era successo, ne aveva sentito parlare da qualche parte su internet, ma tutto quello che era davvero successo lo sapevano soltanto Jane, Darcy e il Dottor Selvig. Non aveva mai fatto domande, non che in fondo gli interessasse più di tanto. Si stinse nella giacca quando il pungente freddo di gennaio lo colpì. Era un inverno particolarmente freddo. Prese la metropolitana, come sempre. Ragionò molto sui suoi sogni. Quando era più piccolo erano meno frequenti e meno dettagliati, ora invece li faceva ogni notte. Era come una tortura, non riusciva a comprendere il loro significato. Eppure dovevano dire qualcosa. Sognava tutto quel sangue… Sembrava così vero, talmente vero che se avesse allungato la mano nel sonno a toccarlo, il giorno dopo probabilmente si sarebbe svegliato con le mani insaguinate. In un certo senso si sentiva quasi un assassino, non sapeva bene perché. Forse quello era un sogno premonitore, o peggio un ricordo cancellato. Si riscosse dai suoi pensieri quando la metro rallentò progressivamente, fino a fermarsi. Si accorse però che non erano ad una fermata. No, erano nel bel mezzo del tragitto. Le altre persone erano certo confuse quanto lui. Che diavolo stava succedendo? Quasi a peggiorare la situazione, le luci si spensero all’improvviso. I passeggeri cominciarono gradualmente ad urlare, terrorizzati da tutta quell’oscurità. Anche Kjell era spaventato, ma cercò di combattere la paura per riuscire a capire cose stesse succedendo. Poteva trattarsi soltanto di un guasto, ma qualcosa gli diceva che non era così. Gli parve di scorgere un movimento, fuori, sui binari. Sentì un enorme gelo avvolgerlo. Solo in quel momento cominciò davvero ad essere spaventato e a non riuscire a controllarlo. Era quello che accadeva al protagonista della sua storia. Era quello che accadeva a lui nei suoi sogni da qualche tempo. Fece qualche passo verso il finestrino dove era certo di aver visto quel movimento, mentre i suoi occhi si abituavano al buio. Da principio non vide nulla, poi, all’improvviso, come dentro un horror, un viso comparve davanti a lui, oltre il vetro. Non aveva nulla di umano. Era pallido, come quello di un cadavere, magro e con qualche cicatrice. Gli occhi erano come pozzi, completamente neri, senza traccia di iride o di bianco. I capelli, per quanto riuscisse a vederne, erano bianchi. In tutto quell’orrore completavano due orecchie a punta, non meno pallide del resto del viso. Kjell fece un balzo indietro. Da quale angolo dell’inferno proveniva quell’essere? Doveva aver urtato qualche altro passeggero, poiché cadde pesantemente a terra, all’indietro, battendo la testa. Tutto si fece più oscuro di quanto non fosse già. La luce tornò improvvisa. La luce delle stelle. Ce n’erano tante, forse troppe per riuscire a sopportarle. Quelle stelle venivano invase dall’oscurità, quasi come carta scompare sotto l’inchiostro. Poi tutto si fece rosso, ma questa volta non era sangue, era… Qualcos’altro. Qualcosa che non riusciva ad identificare. Ma gli incuteva terrore, come se sapesse che era qualcosa di effettivamente pericoloso. Spalancò gli occhi, libero di farlo di nuovo e vide che tutto era scomparso. Non c’era oscurità, e la metro continuava tranquilla il suo percorso. Nessuno segno di visi pallidi o di stelle. Fece un profondo respiro, cercando di stare calmo. Era probabile che fosse svenuto, ma tutto era sembrato troppo realistico. Doveva fare luce su quella faccenda, anche se non aveva la minima idea di come. Scese dalla metro e risalì in fretta in superficie, contento di poter finalmente respirare di nuovo aria buona. Si passò una mano sul viso, accorgendosi di star tremando. Quello che gli era successo lo aveva sconvolto. Non riusciva a capire quello che aveva visto. L’universo improvvisamente oscuro. Che cosa significava? Aveva troppe domande, domande che probabilmente non avrebbero mai ricevuto risposta. Si incamminò velocemente verso casa. Voleva soltanto parlare con sua madre e poi avrebbe rimesso insieme le idee, cercando di descrivere quello che aveva visto. Magari sarebbe potuto andare da uno psicologo e farsi curare. Era ovviamente mentalmente disturbato. Altrimenti per quale altro motivo avrebbe visto quelle cose? Certo, la magia esisteva, a quanto pareva, ma forse il suo era un trauma infantile o qualcosa del genere. Aprì la porta di casa e la chiuse alle sue spalle, gridando:
-Sono tornato! -non ottenendo risposta, posò poco elegantemente la borsa a terra e si tolse la giacca, gettandogliela sopra. Arrivato in salotto, vide sua madre seduta sul divano, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra che si muovevano quasi impercettibilmente.
-Mamma? -domandò, preoccupato. Quel giorno succedevano troppe cose strane. Lei si riscosse e lo guardò, sorridendo.
-Kjell, siediti. Suppongo che Jane ti abbia detto che ti voglio parlare. -il ragazzo annuì, non sapendo bene cosa pensare. Che cosa diavolo doveva dirgli di tanto importante? -Io e tuo padre abbiamo ragionato e abbiamo convenuto che tu sia pronto. -pronto per cosa? Non domandò e lasciò che Grace continuasse. -Lascia che ti racconti una storia. -
 
Norvegia, lontano da qualsiasi centro abitato, 7 febbraio 2013
Il vento infuriava all’impazzata nella pianura innevata. La neve era già alta e non accennava a smettere di scendere da quel cielo grigio e azzurro. C’era una foresta, poco più avanti. Kjell si sistemò meglio sulla testa il cappuccio della pesante giacca che indossava. Diede un colpo con una delle mani guantate all’aggeggio che Jane gli aveva prestato. Diceva che apriva delle porte tra i mondi o qualcosa del genere. Non che ci credesse molto ma quell’apparecchio, che andava lentamente congelandosi, continuava a produrre dei fastidiosi “bip” da almeno dieci minuti, sempre intorno a quel punto. Era partito per la Norvegia praticamente subito dopo aver parlato con sua madre, senza nemmeno pensare, dimenticando immediatamente la sua vita a Londra. Non aveva potuto aspettare di più. Sapeva che forse avrebbe potuto scoprire qualcosa sulle sue “visioni”. Ricordò quanto lui e Grace si erano detti, o quanto lei aveva raccontato a lui, dieci giorni prima:
-Per-per cosa dovrei essere pronto? -domandò, ignorando l’ultima frase. Che cosa diavolo farneticava sua madre? Forse aveva a che fare con tutto quello che aveva visto e che sognava. Magari era davvero un assassino. Grace sospirò.
-Per sapere la verità. Almeno quella che posso dirti. -Kjell scosse la testa, non capendo.
-La verità? -lo sguardo di lei si fece grave.
-Sì, le verità su di te. Tuo padre e io non volevamo mentirti, ma non sapevamo come dirtelo. Non credevamo che fossi pronto. Ora, invece… Be’, hai diciotto anni. -il ragazzo si torceva le mani, riflesso incondizionato di quando era agitato. Doveva essere veramente tremendo. Ma dopotutto, in cuor suo, sapeva benissimo cosa Grace gli avrebbe detto. Era fin troppo scontato. Forse aveva visto troppi film.
-Non siete i miei genitori, non è vero? -la mormorò appena, quella domanda, abbassando gli occhi. Lei annuì, mordicchiandosi il labbro inferiore. –Ma allora… chi sono? -a questo punto sua madre sospirò di nuovo.
-Lascia che ti racconti questa storia, Kjell. -il ragazzo annuì debolmente, aspettando che cominciasse. -Quando ancora andavo al liceo, avevo una migliore amica, la nostra amicizia andava avanti dai tempi delle elementari. Rimase incinta a soltanto sedici anni e il padre non le rimase vicino. Io feci il possibile per aiutarla, ma poco dopo lei lasciò il liceo e la rividi soltanto un anno dopo. Non le domandai mai dove fosse suo figlio, ma un giorno me lo disse lei. Mi disse che lo aveva abbandonato davanti ad una chiesa, sperando che trovasse una vita migliore, visto che lei non era in grado di occuparsene e i suoi genitori non erano stati molto d’aiuto. Dopo avermelo detto scoppiò a piangere come una bambina. -Grace sorrise tristemente al ricordo, il volto cupo. -Poco tempo dopo sparì di nuovo e in seguito scoprii che si era suicidata per il troppo dolore. Non me lo perdonai mai. -ora i suoi occhi brillavano di lacrime. Kjell rimase immobile, non sapendo cosa dire o cosa fare. Sapeva che forse avrebbe dovuto confortare sua madre, ma in qualche modo non ci riusciva. Era come congelato. Era una disgrazia. Che ci faceva ancora lì?
-Passarono molti anni e riuscii quasi a dimenticare, quando, un giorno che avrebbe potuto benissimo essere come gli altri, una ragazza si presentò sulla porta di casa mia. Disse di essere la figlia di questa mia amica, e io le credetti, sebbene non si fosse più sentito parlare di suo figlio. Facendo un test del DNA scoprì che era effettivamente così. Questa ragazza, Rebecca, era incinta. -alzò lo sguardo su suo figlio adottivo. -Di te Kjell. Non avevo potuto aiutare sua madre, così aiutai lei. Dopo averti dato alla luce, scomparve, chiedendomi di prendermi cura di te. E io lo feci, senza indugio. -Kjell annuì. Ancora le parole gli rimanevano bloccate in gola. Grace continuò. -Ma c’è una cosa che mi chiedo ancora dopo tutti questi anni. Da dove Rebecca venisse. Chiesi ai genitori della mia amica se sapessero qual era la chiesa dove la figlia aveva abbandonato la sua. Mi diedero l’indirizzo e io parlai con il parroco, che mi disse che no, quella bambina non era mai stata lì. Controllai ovunque, in qualunque luogo si potesse cercare, ma non trovai nulla. Né il suo nome, né famiglie di adozione. Nessun’indirizzo, nessuna scuola seguita. Soltanto la data di nascita in un ospedale. Era come se non esistesse. Quello che sto cercando di dirti è che sembra che tua madre non venga nemmeno… da questo pianeta. Almeno è quello che pensai, ma ci deve essere una spiegazione logica. Non possiamo certo pensare alla magia. -Kjell scosse la testa, deciso.
-No, è ovvio. –ma lui in parte sapeva quello che era successo in New Mexico e tutto quello che era successo in quell’unico giorno gli faceva dubitare che fosse effettivamente vero. E in ogni caso meno di un anno prima gli alieni avevano attaccato New York. Ovviamente, gli alieni non erano qualcosa di magico, però, di certo quell’universo era molto più vasto di quello che pensavano -Non… Rebecca non ti ha lasciato nulla per me? -chiese. Quella domanda era l’unica sensata e giusta che potesse fare. Grace annuì, prima di dire:
-Sì. Ti ha lasciato un diario, ma è praticamente vuoto. L’ho lasciato in soffitta, sperando di potertelo dare, prima o poi. -Kjell la guardò alzarsi, in silenzio. Lui sognava soltanto sangue da quando era piccolo, quel giorno aveva una specie di “visione”, uno strano elfo pallido gli compariva davanti e in più sua madre era qualcosa come un’aliena? Temeva che tutti quei fatti fossero collegati. Grace tornò con un piccolo libro impolverato -Ecco. È tutto quello che c’è. -il ragazzo annuì e aprì il libro. Effettivamente tutte le pagine sembravano bianche. Nella prima c’era scritto il suo nome e la sua data di nascita –Kjell, 15 gennaio 1995 –e anche una foto di quella che doveva essere Rebecca. A quanto pareva questa misteriosa donna non aveva nemmeno un cognome e quindi nemmeno lui. Sfogliò lentamente il libro, pagina per pagina, sperando di trovare almeno qualcosa. Aveva quasi perso le speranze, quando nell’ultima pagina trovò scarabocchiato il nome di una città -un paesino- in Norvegia, insieme a delle coordinate geografiche.
L’aggeggio cominciò non solo a produrre “bip” ma anche a lampeggiare di una fastidiosa luce rossa, che riportò Kjell al presente.
-Si può sapere che c’è adesso? -borbottò tra sé e sé, guardando lo schermo dell’apparecchio. Sembrava completamente andato in tilt, i numeri, le frecce e le lettere si confondevano senza senso logico. Con tutto quel vento, quando sentì il telefono suonare, non seppe né come lo avesse sentito, né come facesse ad avere campo. Rispose senza nemmeno guardare chi lo chiamasse, tanto lo aveva già intuito.
-Pronto? -gridò, cercando di sovrastare tutto il rumore attorno a lui.
-Kjell, come procede? -domandò la voce di Jane, confondendosi con il suono del vento. Ovviamente voleva essere subito messa al corrente di qualunque cosa appena un poco strano.
-Che vuoi che abbia trovato, oltre che neve e magari orsi? -la voce di Darcy comparve in sottofondo. Jane mise il vivavoce. Kjell sorrise, rispondendo a entrambe le domande delle amiche.
-No, nulla, nemmeno orsi. Questo posto non è molto utile, mi chiedo cosa ci sia venuta a fare mia madre. -Jane fece un’altra domanda, la voce un poco delusa.
-Nessun tipo di… -si fermò un secondo, per mordersi il labbro, sentendosi davvero stupida.
-Magia? -a questo punto comparve la voce di Erik Selvig.
-Jane, lo so che speri di trovare Thor, ma sono ormai due anni che non si fa vedere. -Jane rispose, stizzita:
-Seh, però era a New York, meno di un anno fa, o sbaglio? C’eri anche tu, ricordi? -Selvig si zittì. New York gli provocava brutti ricordi.
-Non sono coinvolto quanto voi in quella situazione, ricordate? Però sono sommerso dalla neve. Quasi. -
-Non congelarti, ti rivoglio indietro vivo. -commentò Darcy, mentre probabilmente mangiava l’ennesima di quelle barrette al cioccolato.
-Me ne ricorderò. -sorrise, anche se aveva paura che da lì a poco si sarebbe congelato per davvero. -Forse ora è meglio se torno in albergo. Tornerò qui domani. -
-Va bene, ma non… -la voce di Jane scomparve all’improvviso, insieme al segnale. L’aggeggio produsse un suono fortissimo, mentre il ghiaccio che si era formato su di esso fondeva. Anzi, diventava direttamente vapore acqueo. L’apparecchio si fece così rovente, che Kjell, pur avendo i guanti, dovette lasciarlo cadere. La neve si sciolse all’istante. Quando l’aggeggio entrò in contatto con l’erba secca, la fece ardere subito. Kjell non sapeva cosa fare, perciò decise che la cosa migliore era spostarsi. Cominciò a correre il più velocemente possibile, mentre il fuoco dilagava. In un attimo, tutto sarebbe stato bruciato! Poi, però, all’improvviso, tutto scomparve, quasi come se non fosse mai esistito. L’unica traccia del suo passaggio era tutta la neve sciolta. Il ragazzo smise di correre, mentre tutto riprendeva il suo corso. La neve cadeva tranquilla e lui ancora non sapeva spiegarsi cosa diavolo fosse successo. Fece qualche passo verso l’aggeggio, quando di nuovo quel freddo, quel freddo troppo gelato per essere persino reale, lo invase. Cadde a terra, sentendo qualcosa che lo colpiva. Non vide assolutamente nulla, prima che il buio lo avvolgesse. Questa volta non ci fu sangue, ma fuoco. Troppo fuoco. Bruciava ogni cosa, senza lasciare traccia di nulla, come tutto quello che l’apparecchio aveva provocato poco prima. Nemmeno la traccia di sé stesso. Nell’oscurità più totale, sentì una voce, la di una bambina, che diceva:
-Sei tu quello? Sei tu quello che ci salverà? -poco prima di perdere completamente conoscenza, mentre la neve lo faceva andare in ipotermia, visto che la sciarpa era scivolata via insieme al cappuccio, sentì un rumore immenso, che gli invase prepotentemente i timpani.
Attraverso le palpebre chiuse gli sembrò di vedere molta luce e una sagoma che si avvicinava…

Angolo autrice:
Non so cosa dire... DAN DAN DAAAAN, chi sarà mai questo misterioso ragazzo che ha delle visioni di personaggi molto amati da tutti noi (cioè, gli elfi oscuri, cioè Malekith, cioè Christopher Eccleston, cioè il nono Dottore! ok, dimenticate quello che ho appena detto)? E perché non si capisce niente di questa storia? Uuh. Ehm. Spero che nei prossimi capitoli voi possiate vedere la luce divina e lasciare l'Inferno insieme a Dante per andare da Beatrice, abbandonando un Virgilio in lacrime. Sì, sono pazza, questo si era capito. 
E poi, nessuno leggerà mai tutto ciò visto che ho pubblicato il capitolo cent'anni fa, quindi va bene lo stesso. 
P.S: Scusate per eventuali errori di distrazione o di grammatica (quelli di distrazione ho paura siano tanti, quelli di grammatica, spero pochi) 

P.P.S: Se ci fosse qualcuno di ignorante quanto me che dò nomi ai personaggi senza nemmeno sapere come si pronunciano, si dovrebbe leggere "Kiell", con la i normale. Okay, ora siete di certo tutti offesi e posso dire ciao ai miei venti lettori, che nemmeno Manzoni... Comunque ve lo dice una che credeva si pronunciasse MGIollnir e non Miollnir. Pur avendo visto il film. MYE MYE IS THE WAY.
   
 
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