Capitolo XXXVIII
Nuove stelle
Sembravano passate ore, eppure era stata una questione di minuti. La battaglia continuava, e malgrado la stanchezza iniziasse a farsi sentire, resistevamo. Dal mio canto, respiravo affannosamente, e dato il dolore alle gambe, acuito anche da alcune ferite infertemi da quei mostri, i miei movimenti erano rallentati, non potendo più essere paragonati a scatti felini. Nonostante questo, Stefan e i membri del mio gruppo si fidavano di me, e nei rari momenti in cui potevamo muoverci senza essere costretti a difenderci e uccidere qualcuno senza alcun contatto visivo, che in ogni caso durava tanto quanto una pugnalata o un fendente, mi sorridevano e incoraggiavano. Come sempre, Chance era con noi, e abbaiando furioso, faceva di tutto per tenere i nemici lontano da noi, non esitando a mordere quando necessario. Incredibilmente, e nonostante l’età avanzata, aveva ancora unghie e denti aguzzi, e muovendosi con agilità mai vista prima, si dimostrava perfino in grado di togliere le armi di mano ai Ladri stessi. Quegli schifosi vermi non si curavano di nulla e nessuno, e portare avanti quella così assurda mattanza era uno dei loro più grandi desideri, secondo solo a quello di ricchezza e potenza. Mentre il tempo scorre e il sangue cola sporcando le strade di Ascantha, il dolore prende possesso di me, e mettendo disgraziatamente un piede in fallo, inciampo in una maledetta pietra, e perdendo l’equilibrio, cado. Vorrei rialzarmi, ma non ce la faccio. Il dolore è troppo forte, e una volta a terra, non vedo altro che polvere e dolore. Sperando di non attirare l’attenzione, chiudo gli occhi e mi fingo morta, ma qualcuno non intende lasciarmelo fare. È Chance, che uggiolando si accuccia accanto a me, e tirando con i denti una manica del mio vestito, mi sprona. È determinato, e notando le mie ferite, non lascia il mio fianco. Sono troppo stanca, non riesco più a muovermi, e lentamente, ogni immagine perde nitidezza. “Chance, no, va e salva gli altri… ti prego.” Biascico a bassa voce, essendo così esausta da non riuscire neppure a parlare. Mugolando, il mio fedele amico esita, ma io gli sorrido, e solo allora si convince. Si allontana con titubanza, ma esegue comunque il mio ordine. Sempre più stanca, mi sento prossima a svenire, ma prima di chiudere gli occhi, vedo i miei ragazzi. Ce la stanno davvero mettendo tutta, e ne sono davvero orgogliosa, ma ora non posso dirglielo. Ogni cosa appare distorta e avvolta dalla nebbia, e la testa mi duole moltissimo. Le voci che sento mi giungono ovattate, e una sola chiama il mio nome. “Rain.” “Rain.” Rain.” Ripetuto letteralmente all’infinito, e replicato dalla mia stessa mente. Vorrei rispondere, ma non posso, e poco prima di cadere nella più profonda incoscienza, prego per chi ora sta lottando al mio posto, ovvero i miei figli, nuove stelle in un cielo coperto da grigie e pesanti nuvole.