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Autore: Elison95    13/06/2017    1 recensioni
‘ 𝓅𝑒𝓇 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝑒 𝑔𝓁𝒾 𝓊𝑜𝓂𝒾𝓃𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝓅𝑒𝒸𝒸𝒶𝓉𝒾 𝒾𝓃𝒻𝒾𝓃𝒾𝓉𝒾
𝒹𝒾𝑜 𝓂𝒾 𝒽𝒶 𝒹𝒶𝓉𝑜 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒶 𝓅𝑒𝓁𝓁𝑒 𝒸𝒽𝒾𝒶𝓇𝒶,
𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝓁𝓊𝓃𝑔𝒽𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾 𝓇𝒶𝓇𝒾
𝒸𝒽𝑒 𝑒𝓈𝓈𝑒𝓇𝑒 𝓊𝓂𝒶𝓃𝑜 𝓅𝑜𝓉𝓇𝑒𝒷𝒷𝑒 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝓂𝒾?
𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜 𝓋𝑒𝓈𝓉𝒾𝓉𝒶 𝒹𝒾 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾
𝒹𝒶𝓁 𝒸𝑜𝓁𝑜𝓇𝑒 𝓇𝑜𝓈𝓈𝑜 𝓅𝒶𝓁𝓁𝒾𝒹𝑜,
𝒹𝒶𝓁 𝓉𝑒𝓉𝓉𝑜 𝒹𝑒𝓁𝓁𝒶 𝓅𝒶𝑔𝑜𝒹𝒶 𝓋𝑒𝒹𝑜 𝒾 𝓅𝑒𝓉𝒶𝓁𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝒸𝒾𝓁𝒾𝑒𝑔𝒾,
𝒸𝒶𝒹𝑜𝓃𝑜 𝓃𝑒𝓁 𝓋𝑒𝓃𝓉𝑜 𝒹𝒾 𝓅𝓇𝒾𝓂𝒶𝓋𝑒𝓇𝒶.
𝓈𝒸𝓇𝒾𝓋𝑒𝓇𝑜' 𝓁𝒶 𝓂𝒾𝒶 𝒸𝒶𝓃𝓏𝑜𝓃𝑒 𝓈𝓊𝓁𝓁𝑒 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝒶𝓁𝒾.
𝒾𝓃𝑔𝒶𝓃𝓃𝑒𝓇𝑜' 𝒾 𝓋𝒾𝓋𝒾 𝑒 𝒹𝑒𝓈𝓉𝑒𝓇𝑜' 𝓈𝒸𝑜𝓂𝓅𝒾𝑔𝓁𝒾𝑜 𝓉𝓇𝒶 𝒾 𝓂𝑜𝓇𝓉𝒾.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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Act V ; Doubts and solutions.

Quando i primi raggi disturbarono le palpebre dormienti, riuscii a muovermi a malapena sotto la stretta ancora salda di Dorothèe. Dopo tanto tempo riuscii a svegliarmi con un sorriso sulle labbra e anche lei sembrava esser serena; come sempre del resto. Scostai il suo braccio tentando di non svegliarla e con mia sorpresa ci riuscii; di solito ogni mattino libero dalle lezioni mi recavo in biblioteca per poter studiare meglio i mille appunti e capire un po’ di quelle strane materie uniche al mondo, che di sicuro una volta uscita da lì non mi permettevano di certo di entrare nella facoltà di medicina. Probabilmente se mia madre l’avesse saputo sarebbe andata su tutte le furie, o forse no? Forse aveva solo abbandonato l’idea di avermi come figlia? Dopotutto dopo i fatti accaduti non ero nemmeno sicura di avere un posto in cui stare una volta uscita di lì. Pensai che probabilmente avrei potuto stare con Dorothèe, sempre se avesse cercato un tetto sotto il quale vivere e non un albero covo da abbellire e coltivare.
Oppure avrei potuto chiedere a Marek… no, ma che pensieri assurdi e sconcertanti facevo? Scossi la testa con insolita energia e proseguii verso il corridoio a quell’ora desolato e come volevasi dimostrare, lo era anche la biblioteca.
I miei passi calmi e lenti quasi facevano da eco a quel posto maestoso ed affascinante, interamente in legno di pino e con delle grandi finestre che toccavano addirittura il soffitto – non volendo esagerare, pensavo che fosse alto come un palazzo di tre o quattro piani. Vi erano pile e pile di libri su qualsiasi cosa, variavano tra i titoli più improbabili a quelli invece più semplici, sembravano infatti suddivisi per soddisfare lacune e curiosità di ogni studente.
Quella volta però, contrariamente alle altre, non ero lì per decifrare i mille termini indicibili dei miei appunti, bensì per cercare il massimo di informazioni che riuscivo a ricavare sulle kumiho e… sui vampiri. Il sogno della notte precedente era stato così reale che sebbene Dorothèe mi stoppò prima che glielo avessi raccontato, faticavo a credere non fosse successo realmente.
Sfioravo con l’indice ogni copertina che oltrepassavo e che non era nel mio interesse, fino ad arrivare finalmente ad uno di quelli che volevo.
   «Ah! Ti ho trovato.» Dissi entusiasta, sfoderando un semplice ed impulsivo sorriso. Feci per sfilare il libro dallo scaffale ma una forza me ne impedì il completo atto, tanto che poco dopo mi fu completamente tolto di mano dando visuale al viso di Marek che ghignava già divertito.
   «Mi hai trovato davvero volpe, hai fiuto… ma ti ricordo che manca ancora un po’ alla fine dei trenta giorni.» Scomparve dalla mia vista prima che potessi rispondere, sospirai roteando gli occhi al cielo e quando mi voltai me lo ritrovai accanto.
   «Devi proprio apparire in questo modo?» Sbottai toccandomi il petto e modulando il respiro affinché non svenissi… poi smisi completamente di emetter fiato quando i ricordi della notte precedente m’invasero ogni pensiero.
Marek era lì davanti a me che scrutava quel libro, se lo rigirava tra le mani cercando probabilmente qualcosa da dire.
   «Dovrei ridartelo?» Mi domandò.
   «No, dovrei semplicemente riprendermelo.» I ruoli iniziali sembravano essersi invertiti, forse anche lui se ne accorse ed infatti sentendo il mio tono inviperito aggrottò la fronte cercando di scrutarmi.
   «Perché hai smesso di respirare prima?» Chiese insospettito, Allungò il libro quasi come volesse restituirmelo e non appena la mia mano fece per chiudersi su di esso, lo ritirò di scatto sollevandolo appena sopra la testa. «Dovresti parlarmi con tono più gentile sai? Non va mica bene. Com’è che da altri ti fai abbracciare dietro i pilastri la notte, e quando vedi me sei perennemente arrabbiata?»
Sgranai gli occhi, come diavolo faceva a saperlo? Ci aveva visti? Perché non era venuto da me quando avevo chiamato il suo nome? Lo guardai per qualche secondo non sapendo cosa dire, poi mi sollevai sulle punte tentando di raggiungere il libro tenendo il viso alzato, il naso per un istante andò a sfiorare il suo mento facendomi scostare all’istante.
   «Non stavo abbracciando Uriel, lui mi stava solo proteggendo dai…» abbassai la voce volendo essere sicura che nessuno sentisse. «…Dai guardiani notturni.»
   «Non m’interessa la tua versione dei fatti, Eireen. Né tanto meno m’interessa cosa fai con gli uomini la notte. D’altronde che sei una volta ormai lo sappiamo tutti.» Abbassò improvvisamente il braccio facendo collidere la copertina dura del libro con la mia testa, provocando un rumore sordo.
   «Sul serio ti chiedi perché sono sempre arrabbiata quando ti parlo, Marek? …Non volevo incontrare nessuno oggi, non sono dell’umore e mi sento stanca come se mi avessero privato di una forma d’energia di recente.» Decisi di metterlo alla prova, di constatare se quello della notte precedente era stato sul serio un sogno o meno. Lo guardai volendone studiare ogni cambiamento d’espressione, ma quella volta la sua non mutò molto – nessun segno di colpevolezza o dispiacere oltrepassò il suo viso. Mi fece cenno di seguirlo anzi, sventolando il volume a mezz’aria iniziando ad inoltrarsi lungo gli scaffali e corridoi dell’immensa biblioteca fino ad arrivare ad un tavolo che sembrava quasi messo lì di proposito. Accerchiato da tre file di scaffali, sembrava posto al centro di un’ala fatta solo per noi di fronte ad una vetrata che dava sul giardino accademico. Spostò una delle sedie sedendovisi.
   «Cos’è che stai cercando esattamente in questo libro?» Mi domandò cambiando completamente discorso.
   «Può dirtelo anche solo il titolo, magari così capisci che non sono una volpe, ma una kumiho.» Mi sedetti al suo fianco storcendo le labbra in una smorfia.
Perché non avevo paura di lui? Perché?
Sfiorai la copertina, dopodiché lo guardai per un secondo ed aprii la prima pagina leggendo in silenzio l’introduzione.
   «Voglio che leggi anche per me.» Disse tenendosi il viso contro il palmo della mano, rivolto verso di me per potermi osservare. Il tono di voce fu modulato, rassicurante quasi.
   «C’era scritto che le volpi sono aggressive se vengono stuzzicate anche solo un minimo, ma sono molto docili ed affettuose se invece gli vengono fatte le coccole.» Sorrisi appena rivolgendogli uno sguardo, lui non cambiava mai espressione eppure quegli occhi neri sembravano inghiottirmi ogni volta. «Ah, eccolo! Questo capitolo parla nello specifico delle kumiho, mnh… vediamo…» Il mio dito vagava velocemente tra quelle righe scure e ci si soffermava per un po’ in alcuni punti per poi ricominciare. «Secondo la mitologia giapponese, la volpe è un essere dotato di grande intelligenza…»
  «Beh, avrei da ridire.» Mi interruppe, lo ammonii con lo sguardo e lui scrollò appena le spalle.
  «…In grado di vivere a lungo e di sviluppare con l’età poteri soprannaturali. Non saprei se è attendibile… ah, qui dice: le kumiho appaiono spesso con l’aspetto di una bella donna a cui nessun uomo può restare indifferente. Ha doti innate da seduttrice…» Mi voltai ancora verso di lui, volendo sapere interiormente se aveva da ridire anche su quel punto. Non espose parole, si limitò ad invogliarmi a continuare con un colpo secco col viso. Finsi di schiarirmi la voce e ripresi. «Le kumiho nascono ogni cento anni, dalla morte della precedente – nella stessa stirpe familiare. Possono vivere massimo mille anni, ma se solo una delle proprie code viene tagliata, potrebbe morire anche subito.»
Il tono in cui lessi le ultime righe fu vagamente triste, Marek sollevò una mano dandomi un buffetto sulle fronte, inarcando un sopracciglio, sporsi le labbra in una smorfia e finsi di dargli un pugno.
   «Mille anni pensi siano pochi o molti? Ti dico io la risposta esatta: non esiste risposta. Se nella tua strada vi è qualcosa che vale la pena di vivere allora mille anni potrebbero quasi volare. Se invece non c’è… sarà il supplizio e l’agonia in terra, e mille anni li sentirai tutti. Uno per uno.» Un brivido mi percorse la schiena, volevo sapere quanti anni avesse in realtà. «Nessuno toccherà la tue code, se non posso mangiarle io perché dovrei dar questo piacere ad altri?» Mi canzonò stendendo il capo sulla scrivania, inchiodandomi lo sguardo addosso; nel mio stomaco si smosse qualcosa. «Penso che se i miei ultimi cent’anni fossero stati così… non mi sarebbero pesati così tanto.» Restò in silenzio per un istante. «Perché in quel caso avrei potuto passare il tempo a tormentarti.»
Per qualche motivo non volli credere a quella giustificazione, chiusi il libro facendolo scorrere lontano da noi. Lo imitai senza pensarci oltre e poggiai quindi il viso contro il ripiano in legno, parandolo di fronte al suo ad una distanza abbastanza minima, posai le mani sulle ginocchia e ricambiai il suo sguardo mentre gli sorridevo, avrebbe potuto vedere la fossetta che si venne a creare sulla guancia scoperta.
   «Ti sei appena preso la responsabilità per le mie code.» Biascicai, dimenticando i respiri che mi aveva già rubato nel sonno; in quel momento si era preso qualcosa di molto più importante. «Hai detto che le proteggerai.»
Lì, in quel pomeriggio che avrebbe fatto parte dei miei ricordi e dove voltandomi indietro avremmo avuto entrambi la stessa età. Quando io sarei invecchiata e lui invece avrebbe continuato nella sua maestosa e giovane età, se entrambi avessimo guardato attraverso la serratura di quella porta, nei nostri cuori ci saremmo rivisti in quel modo; testa contro testa, una bruna e l’altra rossa, a guardarci parlandoci e perdendoci.
   «Penso che le code siano una delle parti più attraenti di una kumiho.» Sorrise curvando un solo angolo delle labbra, allungò il dito sulla mia fossetta, scavandola quasi con delicatezza per aggrottare poi la fronte. «…Anche queste sarebbero carine da proteggere, e anche le orecchie. Certo mica faccio niente per niente, dovresti proteggere anche tu qualcosa. Dare per ricevere, il riassunto di tutti i rapporti… umani e non.» Sentii il respiro di Marek, gelido che mischiato al mio così caldo temevo potesse condensarsi e dar vita ad un uragano delle stesse dimensioni di quello che a breve si sarebbe spalancato nello stomaco.
   «Non sono sicura che tu voglia sul serio la mia protezione, ma… proteggerò il tuo calore che dura solo un secondo.»
La ricordavo, la sua pelle quella notte, la notte in cui aveva rubato i miei respiri era diventata calda quasi quanto la mia. Era quello che avrei voluto proteggere; istintiva e forse anche troppo avventata nel proferire parole tanto importanti. Eppure in quel momento era ciò che più desideravo.
   «Voglio il tuo calore per più di un misero secondo.»
Quella frase arrivò con prepotenza a far scompiglio tra i miei pensieri già troppo ingarbugliati, non ebbi né il tempo di fargli una domanda, né il tempo di capire cosa intendesse dire perché me lo spiegò con un semplice, ma tormentato gesto; porse il viso verso di me e le sue labbra fredde toccarono le mie, s’incastrano perfettamente alle sue quasi come se fossero state create apposta.
Divenne via via più caldo.
Mi rubò il primo bacio senza chiederlo, le sue labbra erano morbide e turgide e rosse e… e saporite. E profumate. Erano le labbra di Marek che in quel breve lasso di tempo, erano diventate le mie labbra. La somatizzazione di quel bacio provocò in me gli stessi effetti di una iniezione di adrenalina. Sublimai quel tiepido tremore al petto in un impetuoso brivido – alimentato dalla bellezza del suo viso tormentato, che osservai quando si allontanò da me nuovamente.
   «…Vai via Eireen.» Più delle parole forse mi immobilizzarono quegli occhi improvvisamente scarlatti. «Vai via e dimentica tutto questo.»
Furono le ultime parole, alla fine andò via lui. Non cercai nessun altro libro oltre a quello, non cercai null’altro nemmeno su me stessa.
Avevo solo voglia di ritrovare i miei respiri rubati, e non pensarci più.
 
Un passo, due passi, tre passi… arrivai a contarne esattamente cinquantanove, poi decisi di tornare indietro. La mia solita passeggiata notturna prima che il coprifuoco scattasse, era quasi giunta al termine. Mi venne un insolito magone e la malinconia che mi attanagliava non osava allontanarsi un solo istante.
Stava per succedere qualcosa e non sapevo dirmi pronta o meno a quell’evento che sicuramente sarebbe stato catastrofico. Se solo avessi saputo di cosa si trattasse… magari avrei potuto prevenire, eppure nessuno dei miei poteri prevedeva la predizione del futuro. Ma allora, cosa potevo farmene dell’intuito?
Mi toccai le labbra troppe volte ripensando al bacio di quella mattina, altrettante volte scossi la testa imponendomi di non pensarci. Decisi di andare in camera e crogiolarmi in quell’odore così piacevole e naturale che Dorotohèe e le sue piante sprigionavano.
Dorothèe. Mentre salivo in modo silenzioso le scale del dormitorio, il pensiero andò a lei. Non sapevo bene se fosse stato destino il fatto che c’incontrassimo, eppure quel caso era stato talmente benevolo con entrambe che non potevo che ringraziare qualsiasi Dio – se mai ce ne fosse esistito uno.
Il corridoio parve più lungo del solito e con lui anche raggiungere la nostra stanza divenne un’impresa quasi impossibile. Cominciai ad avanzare il passo velocemente ma il pavimento sembrava scorrere sotto i miei piedi mentre questi rimanevano sempre allo stesso posto. Come se fossi stata appena messa su un tapirulan immaginario, impiantato sul pavimento stesso. Quella sensazione d’angoscia riprese il sopravvento sul mio corpo e respirare mi parve di nuovo difficile, mi voltai immaginando ci fosse qualcuno alle mie spalle, ma niente videro i miei occhi dal taglio affilato e felino. Afferrai la maniglia della stanza con precipitazione; le targhette di legno che incidevano i nostri nomi probabilmente colpirono terra quando richiusi la porta. Ero così agitata da non sentirne il tonfo dall’altra parte.
Avevo il respiro affannoso e le sopracciglia corrugate in un’espressione quasi stanca. Mi guardai attorno, non vidi nulla di strano e pensai che infondo non dovesse esserci niente, come se quando c’era Dorothèe la nostra stanza fosse protetta da una barriera impenetrabile.
   «Eireen, penso che dovresti anticipare le tue passeggiate per le cinque, sai? È tardi, ti avrò detto mille volte di non aggirarti nei corridoi di notte.» La voce scappò dalle sue labbra come un rimprovero ma potevo avvertire quel sottile strato di rassicurazione che aveva nel vedermi. Avevo la costante sensazione che lei sapesse molto più di quanto raccontasse.
   «Pensavo che non ci fossi… mi fa sentire bene uscire per pochi minuti prima del coprifuoco. E il mio piccolo momento di pazzia.» Biascicai, mi diressi verso di lei che sostava dinanzi allo specchio e le avvolsi le mie braccia attorno alla vita da dietro, per quanto fosse magra, Dorothèe sembrava incredibilmente forte. La sua pelle profumava di freschezza e dei fiori più belli in un immensa distesa di verde, macchiata qui e lì di petali pregiati e rari. Profumava di tutto ciò che era vivo, vivo per davvero s’intendeva.
   «Eireen…» Sopirò quasi rammaricata. «Non occorre che tu ti trattenga dal fare ogni cosa e che soprattutto sopprima così a lungo il tuo vero io.» Si voltò verso di me sciogliendo momentaneamente quell’abbraccio, piantandomi le mani sulle spalle – ma con delicatezza. «…I tuoi genitori non sono qui, nessuno ti controlla. Nessuno ti impedisce di uscire allo scoperto, anzi… è proprio quello che non vogliono.» Distolse lo sguardo per un istante. «Quello che voglio dire è… smettila di tener rinchiuso il tuo animo libero e graffiante, sono stanca di vedere il tuo manichino e non la tua persona.»
Le sorrisi senza gioia, lei sapeva sempre tutto. Mi voltai andandomi a sedere sul letto e presi un respiro decidendo di affrontare l’argomento che da giorni mi tormentava.
   «Allora smettila Dorothèe, smettila di trattarmi come qualcosa da rinchiudere in una bolla.» Ci soppesammo per diversi secondi. «Dimmi perché Uriel ha due ombre.»
Il suo viso sbiancò per un istante, poi si morse il labbro sedendosi di fronte a me.
   «Sapevo le avessi viste l’altra notte…» Mi chiesi se in quel posto tutti mi spiassero, tacqui comunque per non interrompere la sua spiegazione. «…Sì, hai visto bene lui possiede due ombre. Una è la sua… quella che tutti abbiamo, mentre l’altra… l’altra è quella che si nutre delle sue vittime.»
   «Che… che significa?»
   «Eireen, c’è un motivo per il quale ti ho detto di stare alla larga da quei due. Le ombre di Uriel sono letali, possono mettere in trappola ed ingannare la loro vittima. È schiavo delle sue ombre, a volte lo sfiniscono nutrendosi della sua energia quando è a digiuno per lungo tempo.»
Non seppi come catalogare la cosa nella mia mente, finii col sorridere in modo nervoso e distogliere lo sguardo da lei, che invece mi guardava aspettandosi una reazione.
   «Quindi per questo merita di essere evitato?»
   «Eireen, non conosci ancora i tuoi poteri, non sei riuscita nemmeno a tirar fuori ciò che sei. È troppo presto per te.»
Mi sollevai improvvisamente da quel letto che pareva d’improvviso infuocato, la guardai per la prima volta con astio. «Non guardarmi così, lo dico per te. Lo dico per… ciò che potrebbe accadere.»
   «Ciò che tu non mi dici, intendi?»
   «Pensi che se potessi, non lo farei?» Il suo sguardo chiedeva perdono in modo così disperato che il mio cuore vacillò.
   «Devo andare.» Feci frettolosa.
   «Eireen, il coprifuoco è già scattato.»
   «Lo so. Ma non voglio più nascondermi dietro all’immagine di una studentessa perfetta.» La guardai aspettando che capisse, lei sospirò e m sorrise. «Non è sicuro per te stanotte… se accade qualcosa chiama il mio nome.»
Annuii ed uscii dalla stanza, osservai il corridoio desolato… sembrava più lungo del normale esattamente come prima. Ripresi a correre e correre, forse lo feci per dieci minuti buoni – non sapevo ancora spiegarmi quel fenomeno tanto angosciante e che ti rendeva senza forze alcune. Decisi di pensarci in secondo momento.
Per la prima volta feci il mio ingresso nel dormitorio maschile, non sapevo nemmeno quale fosse la camera di Marek, né quali esseri orridi occupassero quel piano.
   «Eireen, giusto?» Una voce alle mie spalle mi fece voltare di soprassalto, i miei occhi incontrarono una figura che avevo già visto il primo giorno di scuola. Thomas, il servo vampiro di quella strega mi osservava con occhi scarlatti ed un ghigno sul volto.
   «Non sono in vena di presentazioni.» Mi misi sulla difensiva, Dorothèe mi aveva detto che si nutriva solo sotto ordine della sua padrona. Scioccamente pensai che non potesse far nulla di cui avrei dovuto preoccuparmi.

 
 
 
Che mondo,
dove i fiori di loto vengono arati
e trasformati in campo.
   
 
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