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Autore: Mary P_Stark    14/06/2017    4 recensioni
1827. Andrew Spencer, erede del titolo degli Harford, parte per il Grand Tour europeo assieme ai suoi migliori amici, Keath e Leonard. Il viaggio ha sì lo scopo di fare nuove scoperte e conoscenze - come effettivamente avverrà - ma serve ad Andrew come via di fuga dal suo annoso, terribile problema. Il suo cuore sanguina per una donna che pensa di non poter avere.
Violet Phillips, al tempo stesso, è alle prese con un problema non dissimile: la Stagione a Londra, mille potenziali cavalieri e nessuno che realmente colpisca il suo cuore... poiché esso è già impegnato, e dall'uomo per lei più inavvicinabile di tutti.
Potrà il Grand Tour aiutare Andrew a chiarirsi le idee, e trovare il coraggio che ora gli manca per dare voce al suo cuore?
E potrà Lucius Bradbury, cugino di Alexander Chadwick, aiutare Violet nella riscoperta di se stessa e di una forza che non crede di avere? - SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'" e "SOTTO IL VELO DELLA NOTTE"
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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3.
 
 
 
Marsiglia – 29 luglio 1827
 
Passeggiare lungo rue Canebière, dopo aver trascorso gran parte del pomeriggio in compagnia di vecchi pescatori al vieux port, era piacevole nonostante la calura.

La brezza proveniente dal mare mitigava il sole del meriggio che, così potente sul Mar Mediterraneo, sembrava volerli mettere alla prova con la sua forza.

Per genti del nord come erano Andrew e i suoi amici, quella calura giornaliera era quasi soffocante, ma era stato gradevole ascoltare i vecchi ricordi dei pescatori.

I salotti potevano essere interessanti – e molti dei loro incontri erano stati davvero gradite sorprese – ma la conoscenza di un luogo passava innanzitutto dai suoi abitanti.

E come conoscere un luogo di mare, se non dalle persone che lo vivevano quotidianamente, e nel modo più diretto?

Sulle prime, i pescatori erano parsi divertiti dalle loro domande ma, quando avevano compreso la sincera curiosità di quei turisti inglesi e altolocati, avevano ceduto fino a raccontare loro storie di mare e di miti ancestrali.

Avevano detto loro di come, nei pressi delle coste della Corsica, si fossero salvati da una tempesta grazie alle indicazioni di una sirena.

O di come, in un giorno di bonaccia, fossero stati accostati da un gruppo di delfini festanti e giocosi.

Mentre le loro mani incrostate dal sale e dal tempo continuavano nel loro lavoro sulle reti, le loro voci roche e profonde avevano accompagnato il gruppo in un mondo per loro quasi estraneo.

Gli unici a intendersi un poco di navi erano Solomon e Andrew, grazie ai padri che erano stati in marina ma, visti gli screzi passati con la Francia, nessuno dei due aveva fatto menzione della guerra.

Naturalmente, tutti si erano astenuti dal far notare la tragica esperienza di Keath e Leonard con le navi e la navigazione.

Con tutta probabilità, i pescatori ne avrebbero riso fino alla fine dei loro giorni.

Nel rientrare verso il loro albergo dopo quelle splendide ore di pacifica serenità, Andrew si sentiva decisamente più rilassato.

Apprezzava da sempre il confronto umano, e quel viaggio si stava rivelando migliore del previsto, soprattutto da quel punto di vista.

Per quanto riguardava il suo altro problema, però, non era ancora venuto a capo di nulla e, quando uno svolazzare di chiome bionde attirò la sua attenzione, sospirò e seppe di essere ancora in alto mare.

A ben vedere, non si era concentrato molto sull’argomento Violet, prediligendo perdersi con i suoi amici in divertimenti e ricevimenti vari.

La sola idea di pensare alla donna che costellava i suoi sogni era, al tempo stesso, un cruccio insormontabile e un desiderio quasi insopprimibile.

“E’ inutile che guardi quella signorina come se volessi divorarla… e non so bene se in senso positivo o negativo…” intervenne in un sussurro Keath, avvolgendo le spalle di Andrew con un braccio, distogliendo così la sua attenzione dalla bellezza francese che il giovane Spencer stava ammirando. “… devi capire cosa vuoi, o passerai metà del tuo viaggio a struggerti per la tua bella.”

“Quando ti innamorerai di qualcuna, ti rinfaccerò queste parole facendotele ingoiare una a una, amico mio” brontolò per contro Andrew, pur sapendo che aveva ragione.

Keath, infatti, non se la prese minimamente e replicò: “Caro Andrew, ma io amo tutte le creature che il buon Dio ha messo su questa terra, perciò il problema non si pone!”

“Certo, basta che abbiano due seni strepitosi e lunghi capelli fluenti in cui infilare le mani, vero?” gli ritorse contro Andrew, ghignando.

“Molto vero, non posso negarlo” assentì senza alcun ritegno Keath, prima di lanciare un cenno d’intesa con Patrick.

Preoccupandosi un poco, Andrew borbottò: “Cos’avete intenzione di fare, voi due? Già mi mettete ansia sapendo che i vostri gusti sono molto simili, se poi vi scambiate simili occhiate, allora non so che pensare, a parte chiudervi a chiave nelle vostre stanze.”

“Tu e gli altri siete fin troppo timorati di Dio, e vi state perdendo le bellezze umane dei luoghi che stiamo visitando” gli fece notare Keath, lasciandolo andare per prendere sottobraccio Leonard, che lo fissò curioso. “Prendiamo per esempio questo baldo ed elegante giovane…”

“Ma che stai dicendo?” esalò Leonard, fissando Keath con espressione confusa, mentre Eli e Solomon li guardavano curiosi e Patrick rideva sommessamente.

“Stavo dicendo…” riprese a dire Keath, imperturbabile. “…che il nostro stimatissimo Leonard Buckanhan, futuro lord Walsingham, per esempio, è il tipico damerino a modo e dall’eleganza sopraffina…non si sognerebbe mai di infangare il proprio nome con donne non all’altezza del suo altisonante lignaggio, così da poter giungere puro al matrimonio.”

Tutti sorrisero divertiti, persino Leonard, che era preso di mira dalle burle dell’amico.

“Io e Patrick, invece, che siamo figli cadetti, non abbiamo di che preoccuparci, mio caro Andrew e concedimelo, tu sei forse messo peggio di Leonard, visto che ti ritrovi con due genitori che ti amano e che tu non vorresti mai deludere.”

Nel dirlo, diede una stretta sulla spalla dell’amico, ben sapendo quanto, quello in particolare, fosse un argomento spinoso, per Leonard.

Era risaputo, tra di loro, quanto lord Walsingham non amasse il primogenito, essendo interamente concentrato sulla figliolanza avuta in seconde nozze.

La madre di Leonard, era infatti morta nel darlo alla luce e, forse complice questo fatto, il padre non lo aveva mai amato.

Andrew era più che certo che, gran parte dell’autocontrollo dell’amico, derivasse proprio dal desiderio di apparire sempre perfetto agli occhi dell’uomo che, più di tutti, lui voleva conquistare.

“Solomon… tu come sei messo?” si informò a quel punto Keath, volgendo lo sguardo sul biondo ragazzone di origini scandinave.

“Primogenito anche io, Keath. Devo evitare di lasciare figlioli in giro per il paese… o il continente, se posso” ironizzò il giovane, passandosi una mano tra la bionda chioma ondulata, ammiccando coi chiari occhi azzurri.

“Oh, un altro povero ragazzo sfortunato, che la vita ha segnato con l’infausto compito di portare avanti il nome di famiglia…”sospirò falsamente affranto Keath, scuotendo mesto il capo.

“Sei un caso senza speranza, Keath… lasciatelo dire” celiò Leonard, dandogli un colpetto di gomito nel fianco.

“Dipende a quale speranza ti riferisci, mio caro Leo. Se parli della speranza che io perda il mio affascinante sorriso allora sì, non c’è speranza alcuna che io venga meno di tale dono” ironizzò allora il giovane terzogenito dei Carmichael.

Andrew rise divertito ed Eli, nell’ammiccare al suo indirizzo, chiosò: “E’ sempre stato così?”

“Anche peggio, quando andavamo a Eton. Taluni professori avrebbero pagato oro, per farlo tacere. Il punto è che ha sempre primeggiato in tutte le materie, perciò non potevano neppure punirlo” celiò Andrew, mentre Keath continuava nella sua filippica, a cui si era nel frattempo aggiunto anche Patrick.

Eli allora scosse il capo, sinceramente sorpreso, ed esalò: “Di sicuro, non potremo sperare in un suo crollo energetico. Sembra inesauribile.”

“Togli pure il ‘sembra’…” lo mise in guardi Andrew, ben sapendo come fosse Keath.

Con tutta probabilità, avrebbe smesso di parlare solo quando qualcuno avesse messo dinanzi a lui del cibo.
L’unica altra cosa, a parte le donne, che potesse dettare legge nella sua vita.
 
***

Londra – 31 luglio 1827
 
Passeggiando lungo la promenade di Hyde Park in sella alla sua giumenta Wind,  accompagnata da Max e da sua madre Kathleen, Violet sospirò all’ennesimo sorriso raffazzonato in tutta fretta.

Non era decisamente dell’umore, quel giorno, per stare in mezzo alla gente, ma neppure sotto tortura sarebbe stata meno che cortese col prossimo.

Volesse il cielo che, almeno una volta nella vita, le riuscisse di esserlo!

Forse, si sarebbe risparmiata un sacco di chiacchiere vuote e noiose e gli sguardi interessati di molti nobiluomini che, a lei, non facevano né caldo né freddo.

Invece, era più forte di lei. Sorrideva, salutava e scambiava qualche battuta educata con tutti, nessuno escluso.

Anche con chi avrebbe voluto veder sotterrato sotto qualche metro di terra… pur se il solo pensiero la inorridiva, così come la allettava.

Se Londra faceva sorgere in lei simili pensieri vendicativi, era davvero una consolazione sapere che, entro pochissimi giorni, si sarebbero messi in viaggio.

Le sessioni in Parlamento si stavano esaurendo, al pari della pazienza dei suoi membri, temeva Violet.

Sia suo padre che Christofer, nelle due ultime settimane, erano rientrati a casa stanchi e nervosi e, per bocca stessa di Kathleen, il marito era parso irritato quanto contrariato.

Suo padre era stato ermetico, in tal senso – una rarità, visto che dialogava volentieri con lei, Randolf e la mamma di ciò che succedeva in Parlamento – segno che le cose non stavano andando molto bene.

Una pausa avrebbe giovato a tutti, rendendo loro possibile un graduale ritorno a ritmi di vita più blandi e salutari.

E, forse, a lei non sarebbe venuto l’istinto di piangere e picchiare i pugni sul tavolo a ogni piè sospinto. Con grazia, ma l’avrebbe fatto più che volentieri.

“Violet… guarda chi c’è laggiù…” si intromise Max, strappandola ai suoi pensieri errabondi.

Seguendo l’indicazione dell’amico, la ragazza sorrise spontaneamente nel notare lady Charlotte Mallory-Jones, in dolce compagnia con il suo sposo, Raymond.

“Che ne dite? Andiamo a salutarli?” propose loro Kathleen, sorridendo a sua volta.

I due giovani assentirono e, nel dare un colpetto sul fianco delle loro cavalcature, il trio si avvicinò alla coppia, seduta all’ombra di una quercia nei pressi di uno dei laghetti del parco.

Quand’anche la giovane Charlotte si rese conto dell’avvicinarsi del trio, sollevò festosa una mano e Raymond, levandosi in piedi, esordì dicendo: “I miei sentiti omaggi, lady Harford. E’ un piacere vedervi, Maximilian. Miss Violet, siete come sempre splendente.”

Maximilian fu il primo a scendere da cavallo e, mentre Raymond aiutava Kathleen a discendere, il giovane Spencer si occupò di Violet.

Ciò fatto, strinse la mano di Raymond e replicò: “Il piacere è tutto mio, Raymond. Come state? E voi, Charlotte? Noto con piacere che state per diventare nuovamente mamma.”

Charlotte si levò in piedi a fatica, massaggiandosi contemporaneamente schiena e ventre prominente e, annuendo, dichiarò: “Abbiamo deciso di rimanere a Londra nonostante l’afa e il caldo perché, ormai, sono a termine, e non avrebbe senso rischiare di rientrare a Bath, col rischio di partorire per strada.”

“Scelta oculata” assentì Kathleen, baciandola delicatamente sulle guance.

“Avete notizie fresche di Lizzie? La sua ultima lettera è giunta a Londra un mese addietro e, per il momento, non ho più sue nuove” si informò a quel punto Charlotte, salutando Violet con un bacetto e un abbraccio.

“Oh, sarà ben difficile che vi scriva ora, Charlotte…” ironizzò Max. “… visto che, da quel che ci ha riferito nel suo ultimo scritto, è in viaggio con Alexander per una serie di conferenze nelle Highlands. Sarà così impegnata, da non aver tempo per nulla, oltre la sua Rose e il marito.”

Lady Mallory-Jones sorrise divertita e asserì: “Lizzie non si è calmata neppure dopo essersi sposata, e aver concepito una bambina. Pur essendo a sua volta incinta, si è spinta lo stesso in viaggio?”

“Da quello che ci ha scritto, si trattava di un viaggio di tre settimane e, poiché aveva ricevuto il benestare del medico, non si è tirata indietro” le spiegò Kathleen, sorridendo comprensiva.

“Vostra figlia ha sempre dimostrato una tempra d’acciaio” assentì Raymond, sorridendo complice alla moglie.

“E il piccolo Raphael dov’è?” si informò a quel punto Violet, guardandosi intorno. Del primogenito dei Mallory-Jones, non v’era traccia.

“Oh, è a spasso con il nonno paterno” ironizzò Charlotte, sorprendendo un po’ tutti.

Non era segreto per nessuno di loro, come fossero andate le cose, tra Raymond e il padre.

Raymond si era praticamente diseredato con le sue stesse mani, mettendosi contro Thaddeus Mallory-Jones, pur conservando ciò che l’uomo gli aveva intestato prima della loro lite.

Per circa due anni, non si erano più parlati ma, quando infine il piccolo Raphael Raymond Michael Mallory-Jones era nato, Charlotte aveva preso in mano le redini della situazione, interpellando il suocero.

Con un cipiglio degno della regina Elizabeth I, aveva inviato una lettera alla coppia di neo-nonni, avvertendoli della nascita del nipote e pregandoli di venirlo a conoscere.

Erano occorsi otto mesi, prima che i coniugi Mallory-Jones si presentassero a Bath, ma era infine successo e, quando Charlotte aveva messo tra le braccia del suocero il piccolo, il viso crucciato dell’uomo si era trasformato.

Ovviamente, ancora non parlava con il figlio – se non tramite la madre – ma Thaddeus amava incondizionatamente il nipote, e sfruttava tutte le occasioni per stare con lui.

I genitori di Charlotte, essendo vicini di tenuta della figlia e del genero, non avevano problemi a cedere ogni tanto il nipotino agli altri nonni, visto quanto spesso potevano stare con lui.

Quando erano a Londra, perciò, Thaddeus e Sarabeth passavano almeno tre pomeriggi la settimana con il piccolo, che ormai aveva imparato ad amarli al pari degli altri nonni.

Sinceramente stupita dal racconto esposto da Charlotte, Kathleen esalò: “Questa, davvero non me l’aspettavo.”

“Ha superato tutte le mie aspettative. Neppure sapevo se avrebbe dato seguito alla mia prima lettera” ironizzò Charlotte, stringendo per un momento la mano del marito.

Imperturbabile, Raymond aggiunse: “E’ un percorso che dovrà compiere da solo, e non certo con il mio aiuto. Ho speso fin troppo, per quell’uomo.”

“Ho conosciuto a mie spese uomini simili, Raymond, e so quanto possa essere difficile sopportarne il carattere ma, visto quanto ama vostro figlio, io spererei in qualcosa di buono, credetemi” gli sorrise Kathleen, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla.

Con un leggero cenno del capo, il giovane la ringraziò e Charlotte, rivolgendosi a Max, domandò: “E voi, non avete ancora messo gli occhi su nessuna donzella? O pensate di sposare Violet?”

Prima ancora che Kathleen potesse sgranare gli occhi di fronte a quell’ipotesi, Max scoppiò in una grassa risata, subito seguito da Violet, sebbene con tono più discreto.

Dopo alcuni attimi, il giovane Spencer si asciugò lacrime di ilarità ed esalò: “Io… e Violet? Sarebbe come chiedermi di sposare Lizzie. Le voglio molto bene, ma non mi sposerei mai con lei. Inoltre, prima che una donna mi veda in ginocchio di fronte a lei, dovrà scorrere ancora molta acqua, lungo il corso del Tamigi.”

Ridendo sommessamente, Charlotte guardò un’esasperata Kathleen e motteggiò: “Uno scapolo incallito, lady Harford?”

Due scapoli. Anche Andrew pare restio a prendere moglie, e ora è in giro per l’Europa con un gruppo di ragazzi a fare solo Dio sa cosa” sospirò la donna, scuotendo il capo. “Per ora, l’unica soddisfazione in questo ambito, mi arriva da Lizzie.”

“Grazie infinite, madre” sottolineò Maximilian, facendo sorridere i presenti.

“Non è colpa mia se è vero. Tu e Andrew sembrate terrorizzati alla sola idea di mettere su famiglia, mentre Lizzie si è praticamente buttata tra le braccia del marito dopo poco più di un mese dacché si sono conosciuti” replicò con una certa ironia Kathleen.

“Devo ricordarti che papà è stato mogio per mesi, dopo il loro fidanzamento ufficiale?”

“Solo perché era la femmina di casa. Christofer sarebbe felicissimo, se portaste a casa una fanciulla da maritare” fece spallucce Kathleen.

Maximilian, allora, si guardò intorno, individuò una ragazza particolarmente sgradevole alla madre e, sorridendo furbo, dichiarò: “Sento l’improvviso stimolo di sposare miss Penny Grandwood. Ti va bene se vado a chiederle la mano, madre?”

Kathleen afferrò il braccio del figlio prima ancora che egli muovesse un passo e, mentre Charlotte e Raymond ridevano, Violet chiosò: “Sei stato davvero perfido, Max.”

“Volevo solo ricordare a mamma quanto sia pericoloso uscirsene con simili speranze… non si sa mai cosa potrebbe succedere” ironizzò Max, sorridendo alla madre che, con un mezzo sorriso, ritirò la mano.

“Chissà che Andrew non dimostri maggiore discernimento. Potrebbe tornare a casa con una nobildonna francese” celiò a quel punto Charlotte, senza notare il leggero irrigidimento di Violet a quelle parole.

“Non fatemici pensare, Charlotte. Se lo facesse, Christofer darebbe in escandescenze. Il ricordo della guerra contro i francesi è ancora fresco, in lui, e non credo che approverebbe” esalò Kathleen, facendo tanto d’occhi.

Max rise al solo pensiero ma non Violet che, stringendo leggermente le mani a pugno tra le falde dell’abito, si chiese turbata cosa le fosse preso, per reagire a quel modo.

Era mai possibile che, il semplice concepire un simile pensiero – peraltro, niente affatto lontano dalla realtà – l’avesse irritata così tanto?

Aveva dunque toccato tali vette di egoismo?

Molte ore dopo, nell’isolamento della sua stanza, abbracciata solo dalla tiepida luce di una candela mentre, tra le mani, reggeva un testo di astronomia, Violet tornò col pensiero alle parole di Charlotte.

Era naturale, per non dire scontato, che si pensasse a una futura moglie per Andrew, perciò perché irritarsi tanto?

Non doveva comportarsi in quel modo e, soprattutto, non doveva prendersela per una cosa su cui non aveva alcun controllo.

Lei non poteva accampare nessun diritto sull’amico d’infanzia e, in ultima istanza, non era da lei sperare che Andrew rimanesse da solo ancora a lungo.

Se anche fosse successo, cosa ne avrebbe ricavato?

Stava davvero augurando la solitudine al suo caro amico, al giovane che l’aveva sempre fatta sentire protetta e amata, a colui che, pur non sapendolo, gli aveva rubato il cuore?

Chiudendo il tomo sulle gambe rannicchiate sulla poltrona, Violet reclinò le palpebre sugli occhi umidi di lacrime e, ribelli, due perle umide rotolarono sulle sue gote fino a scivolarle lungo la gola.

Con un gesto stizzito, lei le spazzò via e, risoluta, si levò dalla poltrona per andare alla sua scrivania.

Lì, prese penna e calamaio, un paio di fogli immacolati e, lasciando che la sua fantasia si librasse leggera, iniziò a tratteggiare alcune lunghe linee arcuate e altre diritte.

Schizzò un abbozzo di goletta con mano ferma e competente mentre, con righello e squadre, le dava forma e sostanza ma, ugualmente, le lacrime non si fermarono.

Quando queste finirono con l’inzuppare irrimediabilmente il progetto, dilavando l’inchiostro in cupe macchie sulla carta, Violet desistette.

Lasciò che il pianto terminasse con i suoi tempi, in silenzio e, quand’esso ebbe svolto il suo ingrato compito, Lettie gettò lo schizzo e spense la candela.

Era del tutto inutile pensare ad Andrew.

Avrebbe sposato una nobildonna che non era lei, poiché per lui sarebbe rimasta, sempre e comunque, la piccola Lettie, la bambina da salvare dal mondo intero.

Non avrebbe mai visto nient’altro, nella sua figura, pur se gli anni l’avevano cambiata, mutandola in una donna.

Il punto era un altro, alla fine: lei si sentiva cambiata, o aveva ancora quell’innata e tremenda paura di fallire, nel caso in cui si fosse trovata da sola?

Avanzando al buio verso il letto, ne scostò le coltri e, infilandovisi sotto, mormorò tra sé: “Certo che ho paura… altrimenti, avrei già detto ogni cosa.”

Solo molto più tardi, riuscì a prendere sonno, ma il riposo non venne, se non quando ella fu così stremata da non resistere più.

Come sempre, da un anno a questa parte.

 
 
 
 

 
Note: Il viaggio di Andrew continua e, tra momenti di sconforto e altri di grandi risate, l'amicizia tra i protagonisti del Grand Tour si va intensificando.
Quanto a Violet, i suoi problemi di cuore sembrano chiarirsi, o meglio, sembra sempre essere più chiaro alla ragazza perché  soffra a quel modo, e non sa darsi pace al pensiero di quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro.
Che dite, avrà ragione nel ritenersi non abbastanza coraggiosa per affrontare i suoi stessi sentimenti?


  
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