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Autore: TheSlavicShadow    15/06/2017    2 recensioni
Caso: Terra-3490.
Il 47esimo modello pacifico ha beneficiato principalmente dalla relazione tra Capitan America, Steve Rogers, e Iron Woman, Natasha Stark.
Agendo da deterrente per i comportamenti più aggressivi degli altri, ha consentito al Reed Richards di questa Terra di portare a termine con successo il programma di registrazione dei supereroi e di avviare l’Iniziativa dei 50 Stati.
{Il ponte - Capitolo due da Dark Reign: Fantastic Four n. 2 del giugno 2009}
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Dicembre 1997

 

Dopo essere tornata a casa dalla vacanza post laurea assieme a Tiberius Stone, era partita da sola. Aveva trascorso un mese in giro per l’Europa, visitando tutto quello che le veniva in mente. Un giorno in Italia, quello dopo in Francia. Germania, Spagna, Inghilterra, Austria. Andava dove la portava il cuore nel vero senso della parola e ringraziava dal profondo del cuore la carta di credito di suo padre che le aveva permesso di fare quella pazzia.

Quando era rientrata a New York come prima cosa aveva contattato Tiberius Stone. Ed erano subito stati paparazzati mentre si scambiavano un bacio all’uscita dal ristorante in cui si erano dati appuntamento. Aveva passato il resto dell’estate divisa tra le urla isteriche di suo padre e il letto di Tiberius.

Ma anche tutto quello era solo provvisorio.

Era tornata a Boston e stavolta aveva preso un appartamento vicino al campus. Riteneva che la vita in dormitorio senza Rhodes non fosse divertente. Non ci sarebbero più state ragazze che bussavano alla sua porta solo perché lo vedevano arrivare. Non ci sarebbero più stati ragazzi che lo guardavano confusi quando era lui ad aprire la porta.

Avrebbe anche potuto fare quei dottorati da New York. Boston non era così lontana e se le fosse servito qualcosa poteva tranquillamente salire in macchina e farsi un viaggetto per passare il tempo.

Solo che non voleva restare a New York. Il dottorato era un’ottima scusa per fuggire da una città che le stava stretta.

Howard Stark non era stato per nulla felice quando erano uscite le prime foto di lei e Tiberius. Si era più volte speculato sul tipo di relazione che ci fosse tra di loro, perché mentre erano entrambi a Boston li avevano visti più volte insieme, ma senza mai poter avere una vera e propria conferma. Per alcuni erano semplici amici d’infanzia che liberati dalla costante presenza dei padri potevano finalmente frequentarsi. Per altri erano una coppia che cercava in tutti i modi di restare nascosta.

Solo che non era nessuna delle due cose. Non erano amici e non erano una coppia. Erano solo due persone che si frequentavano quando non avevano altro da fare. Tiberius questo lo aveva messo in chiaro mentre erano in vacanza insieme. Era geloso del fatto che lei potesse avere un altro, ma non voleva in ogni caso una vera relazione con lei. E a lei molto stupidamente andava bene perché Tiberius sembrava essere l’unico che non si era stancato di lei nonostante gli anni in quella strana relazione.

Aveva spostato gli occhiali protettivi dagli occhi, e aveva osservato con attenzione i componenti che aveva appena saldato. Aveva trasformato una stanza del proprio appartamento in una mini officina, isolando i muri e potenziando l’impianto elettrico. Ci aveva pensato da sola in quei pochi mesi che vi si era trasferita.

Aveva bisogno di un luogo in cui restare da sola e poter fare ciò che le veniva meglio. Costruire.

Non c’era più Rhodes a consolarla quando le cose andavano male. Era lontano e non poteva neppure passare molto tempo al telefono. Era sicura che in futuro l’Esercito avrebbe sfruttato Rhodes come contatto diretto con le Stark Industries. E lei glielo avrebbe lasciato fare, perché non avrebbe mai potuto fare qualcosa che avrebbe messo nei guai il suo migliore amico.

“Dum-E, passami il cacciavite a stella.” Stava lavorando sulla miniatura di un missile che suo padre voleva proporre all’esercito. Un mini prototipo che stava lavorando in un appartamentino bostoniano. Se qualcuno l’avesse vista l’avrebbe denunciata. “Stupido bot che non sei altro! Questa è una stella! Non è un cacciavite a stella! Ma dove ho sbagliato quando ti ho costruito? Dovevo essere veramente troppo sbronza quella sera.” Aveva guardato male il robot e il peluche a forma di stella che teneva in mano. Lo aveva vinto per lei un tipo con cui era uscita. Ed erano andati in sala giochi. Solo uno dei tanti appuntamenti andati male. “Ti prego, butta quella cosa. Credevo di essermene già sbarazzata.”

Si era alzata dal tavolo da lavoro andando da sola a prendere quello che le serviva. E ne aveva approfittato per controllare il cellulare. C’erano diverse chiamate di suo padre, che ovviamente non avrebbe richiamato. Addirittura una chiamata di sua madre, ma probabilmente per chiederle se aveva mangiato qualcosa durante la giornata. E c’era un messaggio di Steve Rogers, che era arrivato qualche minuto prima.

Quello lo aveva subito aperto, anche solo perché non aveva avuto alcuna notizia da parte di Steve da qualche settimana. L’aveva aiutata con il trasloco a settembre. Era passato a trovarla un weekend in cui era libero e non sapeva cosa fare. Si erano sentiti spesso al telefono. E poi era stato mandato da Fury in missione. Steve non le parlava mai delle sue missioni. Non sapeva in cosa potessero consistere, anche se aveva intuito che c’entrava sempre l’Hydra. Steve ancora si muoveva per combattere l’Hydra. Era quasi morto per annientare loro, e loro non erano mai scomparsi.

Atterrato poco fa a Washington DC. Riunione con Fury fra 5 minuti. Ti telefono domani mattina. Mangia qualcosa che non sia caffè e vai a dormire. Buonanotte Natasha.

Aveva riletto il messaggio più volte. Le veniva sempre da sorridere al modo in cui Steve inviava i messaggi. Sembravano sempre dei messaggi militari, come quelli che si sentivano spesso nei film di guerra. Brevi. Concisi. E ottimi nel dare ordini.

A modo suo Steve era sempre presente. Anche solo con un messaggio idiota ogni tanto. Di solito era lei che gli intasava il cellulare, come faceva anche con quello di Rhodes, e Steve le rispondeva quando aveva tempo. Alcune volte doveva rileggere i messaggi un paio di volte, chiedendosi come potesse Steve Rogers essere reale. Non poteva esistere una persona così pura che, per esempio, si sconvolgeva in modo assurdo di fronte alla scoperta di una rivista come Playboy e le mandava un messaggio lunghissimo, tra l’imbarazzato e l’indignato. La sua reazione di fronte a tutte quelle ragazze svestite l’aveva fatta ridere così tanto che gli aveva telefonato subito per ridergli in faccia e poi aveva deciso di regalargli l’abbonamento annuale alla rivista. Steve le aveva telefonato e sembrava stesse per esplodere dall’imbarazzo. Nick Fury le aveva telefonato subito dopo chiedendole se trovava così divertente far spedire Playboy incartato in carta rosa con i coniglietti neri alla sede dello S.H.I.E.L.D., e alla sua risposta affermativa le aveva dato l’indirizzo dell’appartamento di Steve nella capitale. In quel momento Nick Fury le era piaciuto per la prima volta.

Sai che non andrò a dormire, quindi telefonami appena Polifemo ti lascia libero.

Aveva sorriso inviandogli il messaggio ed era andata in cucina per farsi un caffè e un panino. Non avrebbe dormito, ma almeno poteva mangiare qualcosa. Anche solo per non avere sensi di colpa nei confronti di Steve che si preoccupava sempre della sua alimentazione.

Sapeva che Steve le avrebbe telefonato non appena fosse finita la riunione con Fury e chi di dovere. Non sarebbe stata la prima volta che passavano la notte così. Qualcuno prima o poi si addormentava sempre, ma passavano le ore così. Come lei, anche Steve dormiva poco, anche se per altri motivi.

Lei se ne dimenticava, lui aveva incubi.

Lo aveva notato quando Steve l’aveva aiutata con il trasloco. Era rimasto a dormire sul divano, dopo che lei aveva dovuto insistere perché da bravo gentiluomo d’altri tempi aveva trovato fuori luogo dormire da una ragazza. Chissà cosa poteva essere detto della sua virtù se passava la notte in compagnia di un uomo. Aveva riso di cuore alla sua preoccupazione e gli aveva lanciato cuscino e coperta. A volte non capiva se Steve davvero non credesse ad una sola parola che venisse detta su di lei o se era solo un sarcastico stronzo come lo era lei ogni volta che apriva bocca.

Forse il Capitano era un po’ entrambe le cose.

Ma quella notte, che Steve aveva trascorso nel suo salotto e lei era andata in cucina nel cuore della notte a prendere qualcosa da bere, si era ritrovata in un paio di secondi vicino al divano e gli aveva stretto la mano. Steve si muoveva nel sonno. Chiamava il nome del sergente Barnes e non doveva essere per nulla un sogno piacevole. Quando aveva aperto gli occhi l’aveva guardata e non l’aveva riconosciuta in un primo momento. Aveva dei chiari sintomi di stress post traumatico, ma a nessuno sembrava importare. L’importante era riavere Capitan America tra le loro fila di soldatini da buttare da una missione all’altra. Sembrava non importare a nessuno lo stato mentale di quell’uomo. Si era così ritrovata sul divano alle 4 di mattina, con una tazza di camomilla in mano, ad ascoltare Steve Rogers parlare del suo migliore amico. Ed erano storie che non aveva mai sentito prima. Parlavano di uno Steve Rogers che non era presente né nei ricordi di Howard né in quelli di Peggy. E si era addormentata così, ascoltando le storie di un ragazzino di origini irlandesi che cresceva in una Brooklyn completamente diversa da quella che conosceva lei.

“Capitano, devo dire che Fury è stato breve stavolta. Aveva impegni?” Natasha aveva risposto al telefono non appena aveva vibrato sul tavolo da lavoro a cui era tornata con caffè e panino. Aveva subito messo la chiamata in vivavoce per poter continuare a lavorare anche mentre era al telefono.

Forse avrà una famiglia da cui tornare. Sbaglio o ti avevo detto niente caffè?

“Come fai a sapere che ho del caffè qui? Per la cronaca mi sono fatta anche un panino. Ho scoperto di avere della maionese in frigo e non so come sia possibile. Non ricordo di averla comprata.”

Speriamo che non sia andata a male allora.” Era sicura che Steve avesse sorriso mentre pronunciava quelle parole. Poteva immaginarselo mentre parlava e sorrideva. Avrebbe dovuto inventare un metodo per fare delle videochiamate olografiche.

“No, ho dato un morso e sembra ancora buona.” Aveva continuato ad assemblare il missile che avrebbe poi dovuto presentare al reparto di ricerca e sviluppo prima di Natale, ma non ne era soddisfatta. Sapeva di poter fare molto meglio se solo glielo avessero permesso. “Com’è andata la missione? Non sei ferito, vero?”

Solo qualche graffio, ma stanno già scomparendo.

“Devo farmi iniettare anch’io almeno un po’ di siero. Mi aiuterebbe con tutti i tagli che mi faccio in officina.” Quel missile era dozzinale. Se solo qualcuno le avesse dato retta avrebbe potuto fare molto meglio. “E Dum-E non è per nulla bravo con il primo soccorso. Dovrei riprogrammarlo. No, Dum-E, sai che non lo farò ma solo perché sei un prototipo e non vale la pena spendere altro tempo su di te.” Aveva sbuffato quando il braccio meccanico aveva fatto un suono che sembrava davvero una lamentela di tristezza.

Non ferire così i suoi sentimenti, Tasha. Quel robot è la tua prima creatura.

“Cosa vuoi che ti dica. Il mio istinto materno non esiste. E smettila di trattarlo come se avesse davvero dei sentimenti. Poi sono io che lo devo sopportare.”

Dalla mia esperienza posso dire che Dum-E è più umano di molta gente.

La ragazza aveva riso e si era concentrata un attimo su un pezzo che le stava dando dei problemi. Le sue telefonate con Steve spesso prevedevano anche dei lunghi momenti di silenzio in cui ognuno dei due stava facendo qualcosa di diverso.

Tasha, com’è andato poi il tuo appuntamento con quel ragazzo? Quello che hai conosciuto a quel seminario prima che io partissi.

Si era fermata, con la saldatrice a mezz’aria e aveva fissato il telefono. C’erano momenti in cui odiava il rapporto che si era creato con Steve. Erano così tanto amici che parlavano anche delle persone con cui uscivano. E lei non aveva mai osato dichiarargli i propri sentimenti, anche se più di una volta era stata sul punto di farlo. Solo che facendolo avrebbe rovinato quella splendida amicizia.

“Vediamo. Come posso metterla in modo delicato per non farti imbarazzare?” Aveva sentito un mugugno frustrato dall’altra parte della linea e aveva ghignato. “Ha visitato la Bat-caverna ed è sparito dalla circolazione. Meglio così. Intellettualmente molto stimolante, sessualmente molto penoso. Forse mi sono anche addormentata nel mentre.”

Tasha…” Poteva immaginarlo mentre si portava una mano sulla fronte, massaggiando con le dita in mezzo agli occhi.

“Cosa? Vuoi consolarmi tu? Vista la tua superforza avrai dei tempi di ripresa molto brevi e sicuramente dureresti tutta la notte.”

Non voglio affrontare con te questo argomento, ti prego.

“Sarebbe per puro interesse scientifico. Questi dati ancora mancano.” Aveva sorriso di nuovo mentre riprendeva il proprio lavoro e Steve sospirava.

Tu sei una ragazza impossibile. Intelligente, bellissima, ma davvero impossibile.

“Non sono così con tutti. E’ con te che mi viene particolarmente facile.”

No, lo dice anche James che sei impossibile.

“Il mio orsacchiotto bruno… Chissà come se la passa e se lo trattano bene quei brutti omoni in divisa.”

Sicuramente meglio di te. Non è un po’ razzista definirlo “orsacchiotto bruno”?

Natasha era scoppiata a ridere al tono titubante di Steve. Era adorabile quando non era sicuro cosa fosse socialmente accettabile e cosa no in quell’epoca. Solo che lei non era mai un buon esempio per queste cose.

“L’ho definito in modi peggiori e più offensivi, non ti preoccupare. Magari ora che non è qui si troverà anche una ragazza.” Ricordava una volta in cui lo aveva insultato perché non era voluto andare a letto con lei. Era appena stata piantata dal ragazzo di turno, aveva bevuto troppo ad una festa, e aveva offerto del sesso a Rhodes quando questi aveva cercato di metterla a letto. E Rhodes era stato un santo come sempre, mettendola semplicemente a letto e rimanendo accanto a lei tutta la notte. “Però mi mancherà qualcuno che mi riporti a casa dopo le feste.”

Non farci preoccupare più del dovuto, ti scongiuro.

“Tranquillo. Sono così piena di lavoro per i prossimi mesi che sto desiderando la morte.”

Anche questo mi preoccupa. Prendi una pausa ogni tanto.

“Per quanto mi piacerebbe, non posso. Devo finire di revisionare dei progetti per Howard e devo finire un paio di saggi per il dottorato.”

Prenditi una pausa anche da questo, Tasha. Hai solo 17 anni.

Questa volta era stata lei a sospirare. Aveva guardato nuovamente il cellulare che era sul tavolo e aveva spento la saldatrice. Le era passata la voglia di finire quel lavoro.

“Capitano, Howard vuole questi lavori finiti il prima possibile.”

Sei sua figlia, non un suo dipendente.

Avrebbe voluto ribattere. Avrebbe voluto dirgli quanto lei significasse davvero poco agli occhi del padre. Ma non ci riusciva. Non poteva togliere a Steve anche Howard. Gli erano rimasti praticamente solo lui e Peggy.

“Sarebbe sicuramente più felice di avere te per erede. Vediamo, il giorno del Ringraziamento mi ha detto che potevo anche non tornare mai più sotto il suo tetto e che potevo non considerarmi più una Stark. E ti ha anche nominato più volte in questa tirata. Steve questo. Steve quello. Se non sapessi quanto a mio padre piacciano le donne, oserei dire che sia innamorato di te.” Aveva tolto anche i guanti e li aveva buttati sul tavolo. “E’ frustrante non essere magnifici come te.”

Sono tutto fuorché magnifico. Forse Howard vuole solo che tu sia migliore lui, perché quando lo incontro parla sempre di te.

“Tu sei troppo ottimista, Rogers. Dimmi che ci sarai alla festa di Natale, ti prego. Non potrò sopportare un’altra serata da sola con Howard.” Si era alzata dalla sedia e aveva preso la tazza di caffè e il cellulare, abbandonando il panino sul tavolo e andando a sedersi in salotto. Ormai sapeva che non avrebbe continuato a lavorare quella sera.

Se non ci sono imprevisti, ci sarò.

 

✭✮✭

 

Per la prima volta era felice di passare il Natale a casa. Di solito lo odiava. Da quando Ana era morta il Natale era diventato solo una celebrazione di facciata. Una scusa per agghindarsi alla Vigilia e avere attorno gente che contava negli affari.

Quando c’era Ana, Natasha la aiutava a fare i biscotti, a fare le ghirlande, a fare decorazioni di carta. Ana le raccontava le tradizioni dell’Europa centrale e cantava in una lingua stranissima. Il Natale quando era piccola era sempre un’avventura. C’erano i mille regali da scartare ogni anno. Questo era il privilegio di essere l’unica bambina circondata sempre da adulti. C’erano i regali dei suoi genitori, quelli di Jarvis e Ana, quelli di Obadiah, quelli di Peggy. Jarvis aveva anche provato a vestirsi da Babbo Natale un paio di volte, ma ci aveva rinunciato quando lei ogni volta lo riconosceva.

Era una bella infanzia con Jarvis e Ana. Lui le raccontava storie cristiane, Ana quelle ebree. E lei li ascoltava rapita. E almeno allora non doveva partecipare alle feste organizzate dai suoi genitori. Poteva restarsene tutta la sera in cucina con Ana. La osservava preparare la cena, impiattare con cura le portate. E poi mangiavano insieme loro tre, quando Jarvis finiva di servire la cena agli ospiti.

Erano dei bei Natali quando poteva passarli con Jarvis, Ana e la loro vecchia radio.

Si era osservata allo specchio attentamente. Aveva osservato l’abito da cocktail bordeaux dal taglio molto retrò che le arrivava fino alle ginocchia. Sua madre aveva sempre molto gusto quando le sceglieva i vestiti da indossare. La faceva sembrare davvero una signorina dell’alta società. Tutto ciò che non sembrava normalmente quando era già tanto che si cambiasse e non andasse a fare la spesa in pigiama.

“Tasha, stasera comportati bene. Ci sarà anche il figlio del generale Thompson a cena. Se ti parla, non trattarlo da idiota.”

Maria Stark era accanto alla porta della sua stanza e la guardava. Aveva un piccolo sorriso sulle labbra.

“Ma è un idiota. Non devo fare molto per trattarlo da tale.” Aveva ghignato e le si era avvicinata. Poco le importava del figlio del generale quando a cena ci sarebbe stato un Capitano.

“Sei ancora giovane, davvero troppo giovane, ma tuo padre pensa che Richard Thompson possa essere un buon partito. Anche per non lasciarti da sola a gestire le Stark Industries.” Maria le aveva spostato una ciocca di capelli dal viso.

“Posso gestire le Stark Industries da sola. E poi ci sarà Obie per diverso tempo ancora.”

“Io questo non lo metto in dubbio, tesoro mio. Sarai un ottimo CEO un giorno, ma temo che il consiglio d’amministrazione sia un po’ riluttante ad affidare tutto nelle tue mani. Tuo padre sta invecchiando e presto dovrai prendere il suo posto.”

Aveva fatto una smorfia. Questi erano i momenti in cui rimpiangeva il fatto di essere donna.

“Papà doveva impegnarsi un po’ di più e magari sarei uscita maschio, non credi?” Aveva sorriso quando aveva visto le labbra di Maria piegarsi in un sorriso.

“Tuo padre ti ama molto, solo non sa come dimostrartelo. Siete così simili e questo non vi permette di venirvi incontro. Però Howard tiene molto in considerazione le tue opinioni lavorative, per esempio. Pensaci, da quanto tempo chiede a te di revisionare i progetti che escono dal reparto di ricerca e sviluppo?”

Da quando aveva 13 anni. Erano anni che ormai esprimeva la sua opinione sui progetti che venivano poi sviluppati. E sapeva che era solo merito di Howard se lo facevano. All’inizio era lei che spiava i progetti che Howard lasciava incustoditi sulla propria scrivania. Poi aveva passato qualche serata in compagnia di suo padre spiegandogli cosa avrebbe modificato lei. E infine Howard le consegnava direttamente i progetti su cui lavorare. Spesso non andavano d’accordo. Litigavano ogni volta che erano nella stessa stanza. Però a volte le piaceva passare del tempo con suo padre. Era stata anche lei una di quelle stupide bambine che vedevano un eroe nel proprio padre, e durante l’infanzia aveva passato giornate intere con lui in officina, guardandolo lavorare sulle macchine per cui aveva una vera e propria passione. Ricordava un pomeriggio d’estate, mentre erano sotto una vecchia Rolls Royce e Howard stava riparando un pezzo, spiegandole ogni passaggio.

“Stasera sarò carina con Richard Thompson. Prometto di non chiamarlo Dick davanti a tutti.” Aveva alzato gli occhi al cielo e Maria le aveva sorriso.

“Anche se so che preferiresti passare la serata con il Capitano Rogers.” Doveva averla guardata in modo strano, perché Maria aveva ridacchiato e poi le aveva sorriso con dolcezza. “Tesoro, sono tua madre. Ho visto come guardi quell’uomo, e non hai neppure protestato per la cena di stasera. Steve Rogers è sempre stato importante anche per te, e incolpo di questo tuo padre e Peggy, ma va bene. Se ti fa sorridere e arrossire così allora va bene. E’ bello essere giovani e innamorati.”

“Se Howard lo scopre mi disereda sul serio.” Aveva sorriso lievemente, imbarazzata dall’essere stata scoperta anche da sua madre. Doveva davvero essere un libro aperto per tutti tranne che per Howard e Steve.

“Potrebbe anche essere felice di imparentarsi con Steve.”

“Come hai potuto sposare un uomo così ossessionato da un altro uomo?”

Maria aveva alzato gli occhi al cielo e questo Natasha lo aveva ereditato da lei.

“Tuo padre è sempre stato un uomo affascinante, Tasha. Chiedilo a chi vuoi. Howard Stark sapeva sempre come impressionarti. E nonostante tutto, amo tuo padre ancora come quando l’ho sposato. Anche se a volte sono la prima che vorrebbe ucciderlo.”

“Se vuoi ti aiuto.”

“Maria, Tasha. Gli ospiti stanno arrivando.” Howard era comparso alle spalle di sua madre e le aveva guardate entrambe. “Finalmente sembri una ragazza come si deve. Ma quel bullone lo potresti anche togliere una volta ogni tanto.”

“Quando tu taglierai quei baffi. Sembri Tom Selleck invecchiato male.” Gli aveva sorriso ed era uscita dalla stanza. Poteva benissimo immaginare chi fosse il primo ospite ad essere arrivato. Era sempre quello che arrivava cinque minuti prima dell’orario stabilito. “Niente divisa militare stasera, Capitano Rogers?”

Steve era ancora all’ingresso. Stava lasciando il cappotto a Jarvis e lei era corsa per le scale fino a raggiungerlo. Anche con i tacchi, doveva sempre alzare lo sguardo per poterlo guardare negli occhi.

“Ogni tanto fa bene cambiare, non trova, signorina Stark?”

“Oh, decisamente. Ti sta bene questo completo. Scelto da Coulson anche questo?” Istintivamente aveva mosso le mani per sistemargli la cravatta e si era sentita in imbarazzo quando ormai era troppo tardi. Aveva visto sua madre fare quel gesto con suo padre ogni mattina quando Howard usciva per andare in ufficio.

“In realtà l’ha scelto tua madre. Mi ha detto che una divisa militare forse era un po’ fuori luogo stasera e mi ha spedito questo. Non voglio sapere come sappia le mie misure.”

“Noi Stark sappiamo sempre come stupire.” Gli aveva sorriso e Steve aveva risposto. Quando le sorrideva, ogni singola volta che lo faceva, sentiva le viscere attorcigliarsi e il battito cardiaco aumentare. Avrebbe quasi preferito che fosse una malattia cardiaca a darle quella sensazione, e non gli occhi azzurri di Steve.

“Tasha, smettila di importunare Steve.”

La ragazza aveva fatto una smorfia e Steve aveva sorriso di più quando Howard era giunto per salutarlo e fare gli onori di casa. Steve non si era allontanato da lei. Era rimasto al suo fianco tutto il tempo in cui Howard gli stava parlando. E quando Howard si era allontanato per salutare Obadiah Stane che era appena entrato, Steve le aveva porto il braccio e lei vi si era subito attaccata, facendogli un enorme sorriso.

“Tasha, qualcuno potrebbe pensare che vuoi tenere il Capitano solo per te.” Obadiah si era avvicinato quando lei e Steve erano andati nel salone. Gli ospiti avevano iniziato ad arrivare, e lei aveva preferito allontanarsi il prima possibile. Nascondersi in salone per bere un aperitivo era sempre la scelta migliore da fare.

“Sto facendo un’opera di bene salvandolo da inutili convenevoli che finirebbero solo per annoiarlo. Vero, Steve?” Aveva sorriso prima a Obadiah e poi aveva guardato l’uomo che le stava accanto.

“Per fortuna non sanno chi sono veramente. Altrimenti sarebbe anche peggio.”

“Spero che non lo scoprano mai allora.” Natasha gli aveva sorriso, per subito dopo sbuffare, notando Howard alzare un braccio per richiamare la sua attenzione. “Vogliate perdonarmi, signori. Devo andare a far finta che mi interessi qualcosa di Dick Thompson.”

Si era allontanata senza guardare Steve. Non voleva vedere il modo in cui la stava guardando, perché se avesse anche solo avuto il sentore che Steve fosse anche solo un pizzico geloso non si sarebbe spostata dal suo fianco. Ma doveva fare buon viso a cattivo gioco. Nonostante la giovane età era una vera esperta in questo. Anni e anni ad essere la geniale figlia di Howard Stark l’avevano portata ad avere questa maschera di falsa cordialità che sfoggiava con molta maestria. Anche mentre parlava e cenava accanto ad un uomo che non le interessava per nulla e fin troppo spesso spostava lo sguardo dall’altra parte del tavolo per guardare Steve Rogers. Era lei quella gelosa ora, mentre osservava una donna appoggiare fin troppo spesso la mano sul suo braccio. La conosceva. Era figlia di uno dei soci di suo padre. Era bellissima. Bionda, alta, con gli occhi azzurri. E anche come età era più vicina a Steve. Guardandoli da lontano potevano sembrare una coppia perfetta.

E Steve le sorrideva. Le parlava, sorrideva, rideva. E mai una volta aveva guardato nella sua direzione.

Si era alzata prima del dolce. Con Richard Thompson aveva usato la scusa di dover andare in bagno, ma il suo vero scopo era nascondersi da qualche parte fino alla fine della serata. Questa volta poteva anche nascondersi in garage. Sedersi nella vecchia Rolls Royce di suo padre e ascoltare un po’ di musica. Magari le sarebbe venuta anche in mente qualche ottima idea su come migliorare il missile di Howard. Non era ancora soddisfatta anche se tutti erano rimasti estasiati alla sua presentazione.

“Tasha.”

Si era fermata, ma non si era voltata. Stava quasi per uscire. Aveva già una mano sulla maniglia. Ma Steve Rogers doveva sempre intromettersi nei suoi piani.

“Capitano.” Si era voltata lentamente, non lasciando la maniglia ma stringendola anzi di più. “Ti stai divertendo?”

“Diciamo che devo ancora abituarmi al modo in cui le donne si comportano con me.” Steve aveva fatto qualche altro passo verso di lei. “Tu?”

“Me ne sono andata perché stavo per infilzare la mano di Dick con una forchetta se solo avesse osato toccarmi la coscia ancora una volta.” Aveva sospirato e si era passata la mano libera tra i capelli. Aveva visto Steve fare una smorfia e spostare lo sguardo da lei.

“Non mi piace il modo in cui ti guardano gli uomini. Sembra sempre che ti vedano come una preda, come un trofeo da sfoggiare. Stone. Thompson. Addirittura Stane.” Steve l’aveva guardata di nuovo. Aveva corrugato le sopracciglia e sembrava davvero infastidito. “Sei solo una ragazzina e Stane ha osato fare un commento assolutamente inaccettabile su di te.”

“Oserei dire che sei geloso, Capitano.” Aveva fatto un debole sorriso. Per una volta non aveva voglia di essere sarcastica e di prenderlo in giro per le sue parole.

“Beh, volevo dargli un pugno.”

“Steve, non ho bisogno che un cavaliere dalla scintillante armatura combatta per la mia reputazione. Non c’è nulla da salvare, credimi.” Aveva spostato la mano dalla maniglia, appoggiandosi subito dopo alla porta. “Per tutti loro sono solo una gallinella dalle uova d’oro e lo so perfettamente. Lo so da quando sono nata. Credi che io interessi davvero a Richard Thompson? Vuole solo poter dire di essere stato a letto con me, come hanno fatto tanti altri prima di lui.” Steve aveva fatto un’altra smorfia alle sue parole. Doveva immaginare che quel lato di lei gli facesse provare disgusto.

“Tu sei molto di più di una scopata, Tasha. Vorrei che anche gli altri potessero vedere questo.”

“Se mi dici così potrei davvero interpretare male le tue parole stasera, lo sai?” Aveva sorriso, cercando di fare il migliore dei suoi ghigni, quello che la contraddistingueva ormai.

Steve la guardava, ma non accennava a muoversi o proferire parola. La guardava e a lei sembrava la stesse mettendo a nudo. Le sembrava come se Steve potesse leggere ogni suo pensiero in quell’istante.

E lei era molto brava a fare scelte istintive, come staccarsi dalla pesante porta d’ingresso e accorciare la distanza che la separava da Steve. In un istante era in punta di piedi, con le braccia attorno al collo dell’uomo e le labbra premute contro le sue, mentre Steve ricambiava il bacio e la stringeva a sé.

 
   
 
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