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Autore: Happy_Pumpkin    11/06/2009    3 recensioni
Cosa accadrebbe se Pain e Konan non venissero lasciati dal maestro che li ha aiutati?
L'arrivo a Konoha durante la guerra, le scelte dei personaggi coinvolti e le loro relazioni; l'evolversi di una vicenda diversa da quella che oggi conosciamo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Konan, Orochimaru, Pain
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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VI
Sullo svoltare, sul contemplare, sull'essere Dio...




Nagato dentro di sé sapeva che era in grado di uccidere quell'uomo; bastava semplicemente lasciarsi trascinare dalle proprie sensazioni e l'istinto di sopravvivenza avrebbe avuto la meglio sulla ragione. Ma non ci riusciva. Tutti i suoi pensieri erano concentrati sull'abbandono subito che, al pari del chakra bruciante sulla pelle, ad ogni secondo faceva più male.

“Avanti – disse Danzo con tono impassibile, duro e severo come se non stesse accadendo niente – uccidimi usando il rinnegan. Tu lo hai già fatto e lo farai ancora.”
Perché quelle parole suonavano più come una profezia che una minaccia?
Per un istante i due si fissarono: il ragazzino senza espressività, l'uomo digrignando i denti con una rabbia non furibonda bensì straordinariamente controllata.
Danzo era stato addestrato nel corso di lunghi anni a non perdere mai la testa né ad abbandonarsi all'istintività; persino mentre toglieva la vita ad un potenziale nemico non si sarebbe lasciato andare alla cecità della rabbia. Ogni cosa era stata squisitamente calcolata: il primo passo da compiere per aprire gli occhi all'Hokage era dimostrargli che il possessore dell'abilità innata rappresentava un pericolo; se lui – valido e fedelissimo ninja del villaggio – fosse stato attaccato da Nagato allora, indipendentemente dalle motivazioni, il ragazzino sarebbe stato visto per quello che era. Un estraneo ostile.
Danzo, lo aveva provato più volte, considerava il sospetto il primo passo per togliere di mezzo un nemico scomodo: una volta che gli umani guardavano l'altro con occhi diversi era difficile far cambiare loro idea; quanto al resto... ci avrebbe pensato il tempo.
Improvvisamente, però, qualcosa di pungente lo colpì alla schiena: Danzo ebbe la sgradevole sensazione di sentirsi trapassato da migliaia di aghi contemporaneamente. Sussultò ma non lasciò la presa, portandosi invece la mano libera dietro le spalle.
Scoprì, con sua sorpresa malgrado gli anni di esperienza in combattimento, che a fargli del male non erano stati aghi bensì speciali lance fatte completamente di carta. Una di queste, finita tra le sue dita, venne stritolata e gettata a terra mentre era intento a voltarsi verso chi lo aveva attaccato a tradimento.
Vide che si trattava di una ragazzina dai capelli scuri vicini al blu – la stessa che proveniva dal Villaggio della Pioggia. Lo fissava seria, le labbra contratte in una smorfia altezzosa, e tra le dita ulteriori armi simili a quelle utilizzate precedentemente.
Senza parlare lanciò altre lance che, veloci e precise come se fossero state mosse da un vento invisibile, raggiunsero in un sibilo il loro obiettivo. Danzo capì che bloccarle non sarebbe stato sufficiente, così dovette per forza di cose allontanarsi da Nagato e lasciarlo libero.
Strusciò sul terreno, sollevando una nuvola di polvere, ma non mancò di vedere le punte di carta che – insensibili nel loro cammino – proseguivano dritte in direzione del giovane dai capelli scuri.
Questi non si scompose e nemmeno cercò di deviare le armi dirette contro di lui: semplicemente all'ultimo, senza battere ciglio, reclinò la testa di lato in modo tale che una di esse si piantò sul muro a pochi centimetri dalla sua guancia. Le altre potenziali lame lo circondarono, in uno strano disegno, ma nessuna di esse riuscì a sfiorarlo: era come se fosse stata eretta una barriera impalpabile attorno a lui.
Konan si rivelò impassibile nel voltarsi verso Danzo che, inalterato, si era alzato in piedi:
“Muori. Tu non potrai più far del male a nessuno di noi.”
Nagato guardò l'uomo ma quest'ultimo, anziché tentare di fuggire o di contrattaccare a sua volta, replicò con voce roca, senza tradire alcuna paura:
“Provate ad uccidermi. Anzi, fatelo. Fatelo e voi assieme all'altro vostro amico sarete spacciati.”
Konan suo malgrado spalancò gli occhi, mostrandosi più sorpresa di quanto non avesse voluto. In realtà dietro lo sguardo fiero che ostentava gelida sicurezza lei era spaventata: spaventata che Nagato fosse in fin di vita e, sì, anche che Danzo potesse ucciderli. Lui lo avrebbe fatto, ne era sicura, ma non gli conveniva perché le potenziali vittime erano nelle sue mani: un passo falso e sarebbero stati sbattuti fuori da Konoha senza troppi complimenti, nuovamente senza una casa.
Nagato, prima che lei potesse dire o fare qualcosa, sussurrò rivolgendosi minaccioso al ninja della Foglia: “Ciò non toglie la certezza che tu saresti morto comunque.”
Danzo non disse nulla; lo scrutò quasi con una sorta di aspettativa, come se desse per scontato che prima o poi quelle parole sarebbero state messe in atto. Konan invece, seppur trascinata dagli eventi, si rese razionalmente conto della situazione nella quale loro malgrado erano stati coinvolti: non avrebbe permesso che per colpa di quell'essere infido le speranze di una vita migliore fossero mandate in frantumi.
Così prese con delicatezza Nagato per un polso e iniziò ad incamminarsi a testa alta, non dimenticandosi di dire rivolta a Danzo:
“Prima o poi verrai ricambiato per il male che hai fatto. Se Dio esiste, lui ti punirà.”
Nagato silenzioso camminò per diversi metri trasportato rigidamente da Konan: si lasciava trascinare semplicemente perché lo voleva e perché era lei a farlo, sempre così inscindibilmente presente nella sua vita.
Dopo quello che era successo capì che non avrebbe mai potuto essere come Yahiko: fidarsi degli altri era impossibile, perché a loro volta gli altri non si fidavano e lo dimostravano nella meschinità delle piccole cose. Lui sarebbe rimasto semplicemente Nagato dal Villaggio della Pioggia, non Nagato dal Villaggio di Konoha: illudersi che tutto ciò potesse venire cambiato era da stupidi.
Quanto a Dio, egli dubitava che ci fosse; in quel caso bastava inventarselo o, alternativa migliore, esserlo.

Ci sono delle volte nelle quali, quando albeggia, si ha come la sensazione che la giornata seguente stia per arrivare ma, allo stesso tempo, che la notte precedente ancora non finisca. Si vive sospesi aspettando che il tempo cambi, consapevoli che non saremo noi a mutarlo ma lui che invece cambierà noi. E a quel punto non potremo farci niente... assolutamente niente.
Yahiko era sdraiato su un prato, fuori dalle recinzioni del Villaggio, e con le braccia incrociate dietro la schiena osservava il sole sorgere. Non perché fosse un tipo da pazientare o avesse mai amato perdere tempo stravaccato sul letto, anziché alzato a fare qualcosa di utile; la verità era che quella notte aveva subito una sconfitta schiacciante: non in un duello ninja, in un gioco stupido o simili... semplicemente aveva capito che illudersi non l'avrebbe portato da nessuna parte.
A quel punto, anziché andare avanti facendosi del male, aveva preferito fermarsi un istante e riflettere, come probabilmente avrebbe fatto Nagato al posto suo.
Kushina aveva ostentato impassibilità di fronte ai discorsi piuttosto espliciti di entrambi, soprattutto dopo l'uscita di Yahiko: era arrossita mentre cercava di fuggire lontano con lo sguardo, fingendo che le confessioni impacciate dei due ragazzi non la riguardassero minimamente. Minato era stato il primo ad andarsene, anche lui messo in una situazione difficile, ma invece di imbarazzarsi ulteriormente aveva optato per ostentare superiorità e allontanarsi con assoluta indifferenza... peggio, con il suo solito sorriso carismatico.
Era stato in quell'occasione che Yahiko tutto sommato aveva capito: Kushina si era girata a guardare, a contemplare, Minato – lui, che evidentemente doveva essere simile all'ultimo cumulo di neve prima della stagione primaverile: si vorrebbe tenerlo con sé in qualsiasi modo prima che si sciolga per sempre.
Come poteva Yahiko pretendere di ricevere le stesse occhiate – per quanto negate fino allo sfinimento –  sapendo di essere nient'altro che un semplice amico?
Alzò le spalle, ridacchiando da solo tra i ciuffi d'erba: Minato e Kushina erano troppo ostinati, troppo orgogliosi per poter ammettere anche solo lontanamente di piacersi; sarebbe quindi passato parecchio tempo prima che si sforzassero di dichiarare i rispettivi sentimenti. Infantili, certo, ma di quell'ingenuità che raramente si trova anche solo in una comune amicizia fra quelli che si definiscono adulti: proprio in virtù di quella semplicità di legami – anche se spesso poteva dare origine a fraintendimenti – era così bello il rapporto che si instaurava da giovani.
E lui? Sarebbe rimasto ad aspettare che il sole sorgesse dopo aver vissuto iperattivo la notte? No. Avrebbe lottato senza cedere, anche se si trattava di intraprendere un cammino difficile.
Improvvisamente sentì dei passi leggeri che accarezzavano il manto erboso; allora scattò a sedere agitato ma, nel voltarsi, ogni traccia di sorriso scomparve per lasciare posto ad aperta delusione.
“Ah, Konan... sei tu.” ammise più triste di quanto non volesse sembrare.
Emanò un sospiro e si rituffò sul prato, osservando con un ciuffo d'erba in bocca il cielo dorato della primissima mattinata.
“Devo parlarti.” spiegò lei priva di esitazioni.
“Nagato?” chiese scrutandola dal basso.
Konan fece un accenno di sorriso. Quei due, ovunque fossero, qualunque cosa accadesse, non avrebbero mai smesso di cercarsi: perché nelle loro differenze si equilibravano, mentre lei contribuiva a mantenere la bilancia centrata, senza che pendesse ingiustamente troppo da una parte piuttosto che dall'altra. Si sedette accanto all'amico e disse, contemplando l'orizzonte dipinto come sfondo meraviglioso di una pianura sconfinata.
“Devo dirti una cosa, una cosa che Nagato vorrebbe mettere a tacere.”
Preoccupato Yahiko si alzò a sedere, costringendo Konan a guardarlo negli occhi; la ragazza lo fissò con un certo rimprovero e dopo un istante continuò:
“Danzo l'ha minacciato.”
Il giovane ninja sgranò gli occhi replicando incredulo e furioso allo stesso tempo:
“Stai scherzando? Quando è successo, io...”
Agitato, confuso, colto totalmente alla sprovvista, volle alzarsi in piedi ma la kunoichi gli posò una mano sulla spalla e usando una certa eleganza lo costrinse a non muoversi, sussurrandogli:
“Ieri sera, mentre tu eri impegnato a divertirti con gli altri.”
Sottolineò la parola altri con particolare disprezzo, reso ancora più evidente dalla bocca che – seppur involontariamente – si era corrucciata in una smorfia non particolarmente amabile. Yahiko si morse un labbro, visibilmente dispiaciuto ma non per questo intenzionato ad abbassare la testa alla stregua di un perdente qualsiasi.
“E ora come sta?”
“Tradito – sibilò Konan, fece una pausa e aggiunse più dura – Dal suo migliore amico.”
Yahiko furibondo scattò in piedi, puntandole un dito contro, e urlò alterato:
“Non dare la colpa a me! Tu lo difendi sempre, qualsiasi cosa accada! Solo perché io non sono uguale a lui, calmo, riflessivo e tutte quelle cose lì mi accolli ogni responsabilità; ebbene, notizia dell'ultima ora: non è più un bambino che ha bisogno del paparino premuroso, lui non ha bisogno di me.”
Konan si alzò in piedi a sua volta e, senza tradire la minima emozione, dette un poderoso schiaffo a Yahiko in pieno volto, uno schiaffo che lo fece rimanere basito, costringendolo a portarsi una mano nel punto colpito mentre fissava la ragazza ad occhi sgranati.
Quest'ultima rispose calma:
“Lui ha bisogno di te come tu hai bisogno di lui: non rinnegare quello che sei, saresti solo un codardo. – si portò con uno scatto un ciuffo di capelli dietro l'orecchia e aggiunse – Ora... ora vado.”
Si allontanò a piccoli ma rapidi passi, simile ad un'elegante signorina in kimono. Yahiko boccheggiò un istante cercando inutilmente di trovare aria e parole: non sapeva da quando la ragazzina timida si fosse trasformata in una giovane donna ferma e decisa, eppure così stranamente femminile.
Il ninja si sentì bruciare il viso, non per lo schiaffo ricevuto bensì perché aveva capito di aver clamorosamente sbagliato: lui era espansivo, desideroso di farsi nuovi amici e dimenticare il passato; ma non sarebbe stato cancellando ciò che aveva sin dal principio che ci sarebbe riuscito.

“Oggi sei migliorato, Nagato – notò Orochimaru scandendo lentamente le parole – mi chiedo cosa ti abbia spinto.” aggiunse con un velo di perfidia.
“Nulla.” soggiunse lui abbassando la testa, mentre il collo era fasciato per via della bruciatura provocata dal chakra di Danzo.
Il sennin lentamente gli sollevò il mento e notò il bendaggio; accennò ad un sorriso poi, passandosi un istante la lingua sulla bocca, si avvicinò all'allievo e gli chiese in un sussurro roco:
“Qualcuno più che qualcosa, direi.”
Il giovane girò di scatto il volto, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Orochimaru divertito dalla reazione scostò la mano e replicò mellifluo: “Sei libero di fare quello che vuoi, a me non interessa. Ma se viene a danneggiarmi, capisci che non potrò essere molto gentile con te.”
“Non siete mai stato gentile con me.” replicò freddo Nagato, finalmente guardando negli occhi il maestro. Quest'ultimo fece un accenno di risata priva di emozioni e commentò:
“Hai ragione. Sappi però che potrei essere ancora peggio.”
“Ne sono consapevole.” disse il ragazzo inespressivo.
“Immagino.”
I due si scrutarono un istante poi il ninja dai lunghi capelli neri lasciò che il possessore del rinnegan se ne andasse, camminando con le spalle leggermente incurvate e il volto cupo. Assottigliò le labbra irritato e allo stesso tempo piacevolmente divertito: quando Jiraiya avesse visto la ferita sul collo di uno dei suoi allievi ceduti in prestito lo avrebbe tormentato per ore nel tentativo di capire se lui – il maestro cattivo e insensibile – avesse combinato qualcosa ad una delle preziose pecorelle smarrite.

Danzo contemplò qualche istante la luce fioca della candela, che ondeggiava inquieta rischiarando di poco le ombre della stanzetta soffocante. Quando vide l'uomo entrare strinse rigidamente le dita delle mani e assottigliò le labbra, studiandolo nelle movenze.
“Siediti.” ordinò freddamente.
Il ninja obbedì e si portò di fronte al suo comandante, accoccolandosi prudente sulla sedia, inghiottito dell'oscurità. Solo il volto dagli occhi penetranti e i denti aguzzi era reso parzialmente visibile dalla fiamma situata frontalmente.
“Qual'è il mio compito?”
Danzo tese di poco in avanti il torace, impossibilitato a muoversi ulteriormente per via delle ferite riportate alla schiena, e spiegò con voce roca:
“Sarà una missione che probabilmente richiederà anni prima di essere portata a termine.”
L'uomo si concesse il lusso sbagliato di sussultare e replicare:
“Io ho una famiglia nel Villaggio della Nebbia. Sono infiltrato per voi anche a rischio di mettere a repentaglio le loro vite: non potete chiedermi di abbandonarli così a lungo.”
Lo spietato ninja non si lasciò ammorbidire dalle richieste del subordinato; al contrario, dimostrando una lucida freddezza replicò:
“Ti conviene ascoltare le direttive se vuoi continuare ad avere quella famiglia a cui tieni così tanto.”
L'interlocutore tacque, poi rassegnato chiese: “Cosa devo fare?”
Danzo si alzò in piedi, portando le mani dietro di sé, mentre fissava impassibile la porta chiusa davanti al tavolino; infine spiegò:
“Mi sono giunte diverse voci sul fatto che uno dei più potenti ninja della Foglia, con mia sorpresa, sia ancora in vita.”
“Voi... vi riferite a...” tacque, sbarrando incredulo gli occhi, consapevole che di ninja invincibili ne era esistito uno soltanto a Konoha.
“Dovrai scoprire se queste voci sono fondate o meno. Una volta appurata la verità sarà indispensabile capire se possiamo garantirci il suo appoggio nel piano che ho in mente di mandare avanti.”
Non c'erano alternative: era indispensabile eseguire un colpo di mano definitivo se voleva assicurare la potenza e la supremazia militare di Konoha. Se avesse continuato ad essere guidata da quello stupido pacifista dell'Hokage, si sarebbe ben presto ridotta ad un mero centro senza spina dorsale, vittima di Paesi più forti che l'avrebbero schiacciata.
Perché permettere che accadesse un fatto simile quando con la giusta imposizione militare il Villaggio della Foglia avrebbe potuto trionfare sugli altri?
E poi, contemporaneamente, avrebbe avuto la soddisfazione di togliersi per sempre di mezzo quei fastidiosi e arroganti ragazzini della Pioggia.
Con lo sguardo reso acceso dalla consapevolezza delle proprie capacità, Danzo concluse:
“Parti e tieni in mente una cosa: voglio entrare a conoscenza di tutta la verità riguardo Madara Uchiha. Trovalo.”

Yahiko, rimasto a torso nudo presso il ruscello ai margini del Villaggio, si sciacquò il sudore dell'allenamento; quando vide Nagato arrivare rimase imbambolato, indeciso se andarsene o restare per chiarire le cose. Konan però gli lanciò un'occhiataccia che lo fece propendere verso la seconda opzione.
Nagato stette immobile a fissarlo, senza tradire alcun imbarazzo o tentennamento. L'amico gli si avvicinò e rompendo ogni esitazione ammise:
“Konan mi ha detto quello che ti è successo.”
“Davvero?” chiese il ragazzo più freddo di quanto non volesse.
“Mi dispiace.”
Calò il silenzio. Entrambi in quel momento erano come l'acqua del fiumiciattolo accanto: continuavano a scorrere, cambiando in continuazione, ma nessuno eccetto loro sembrava rendersene conto; nell'impeto della corsa verso un mare più grande e ben più ampio del letto di un fiume si trascinavano tanti residui che – fino a quando non avessero raggiunto l'obiettivo prefissato – avrebbero continuato a portarsi dietro.
Ad un certo punto Nagato chiese serio ma allo stesso tempo disperato – una disperazione struggente che si rifletteva attraverso gli occhi dai disegni concentrici, sublimi ed ingannatori allo stesso tempo:
“Secondo te io sono un mostro?”
Yahiko scosse la testa, incapace nella sua inesperienza di quattordicenne a trovare parole adatte:
“No, certo che no. Anzi, possiamo picchiare quell'idiota che...”
Improvvisamente Nagato gli poggiò una mano sulla spalla, arrestandolo:
“Questa volta non sarai tu ad agire. Mi occuperò io di Danzo, anche se questo richiederà parecchi anni.”
Yahiko sorrise, dimostrandosi piuttosto scettico di fronte alle inaspettate parole da parte dell'amico, così chiese ironico: “E come penseresti di riuscirci?”
“Uccidendolo.” rispose in un soffio.
Il giovane compagno ammutolì, fissando quegli occhi talmente freddi e razionali da oscurare completamente l'incertezza che precedentemente li accompagnava. Quell'attacco così diretto, quel colpo sulla testa dopo aver creduto di riuscire finalmente a rialzarsi era stato fatale per Nagato; lui non perdonava, mai. Rimaneva ad incancrenirsi di muta rabbia fino a non scoppiare o fino a che qualcuno non gli avesse permesso di sfogarsi; mai decideva spontaneamente di compiere il primo passo.
Dopo qualche istante Nagato chiese: “Tu mi sei accanto Yahiko? Mi staresti accanto fino alla morte?
Quelle parole, Yahiko se ne sarebbe reso conto solo anni dopo, erano un contratto irregressibile, una garanzia che avrebbe pagato con la vita. Mettere la propria firma significava l'impossibilità di tornare indietro, qualunque cosa fosse accaduta.
O forse, con la razionalità di poi, Yahiko era pienamente consapevole di ciò che volesse dire accettare ancora una volta di rimanere al fianco di Nagato; se l'aveva fatto non era per mancata di riflessione ma semplicemente perché erano migliori amici. Non migliori amici qualsiasi, bensì compagni di vita e più innamorati di qualsiasi Kushina e Minato generici: complementari nelle loro differenze, nonché nelle loro paure e insicurezze.
“Lo sarò. Non ti abbandonerò più, fino alla morte.”
Istintivamente andò ad abbracciare Nagato. Usò tutta la sua forza, come se temesse di poterlo vedere andar via, troppo lontano ed irraggiungibile, oppure – ipotizzò mostrando un certo cinismo – sarebbe stato lui ad essere costretto ad andarsene prima o poi.
Rimasero abbracciati e dopo qualche istante Yahiko gli sussurrò alle orecchie:
“Chi pensi di essere per poter uccidere uno alla stregua di Danzo?”
Inaspettatamente, stringendo le braccia attorno al torace dell'amico, quasi artigliandolo con la passione di un amante, Nagato sussurrò a sua volta:
Dio.




Sproloqui di una zucca

Concedetemi la risata diabolica: muahahahah!
Non vedevo l'ora di scrivere alcuni capitoli per poter finalmente postare questo, che attendeva da un po' nel mio piccì. Spero che siate rimasti soddisfatti dal prodotto del mio povero neurone *O*
Ora un paio di precisazioni: attenti all'uomo che lavora per Danzo; tornerà, addirittura molto in futuro, e anche se non lui direttamente sarà fondamentale per l'evolversi della vicenda.  Oltretutto a partire dal prossimo capitolo la narrazione avanzerà di qualche anno, dato che ormai i nostri protagonisti saranno dei giovani uomini/donne con tutte le conseguenze del caso.
Una precisazione: è Nagato a definirsi Dio e non Yahiko a ispirargli l'idea come accade nel manga, questo oltre perché mi sembra più giusto secondo fini di trama, anche perché quando scrissi la parte ancora non era uscito il capitolo nel quale si faceva tale accenno.
Infine merito un paio di frustacchiate sulla schiena: ho appellato Minato come Yondaime anziché Namikaze. Mea culpa, pur sapendo la distinzione mi ero talmente tanto abituata a chiamarlo con il primo nome da non farci più caso: lo cambierò, yes *_____*

Iperione:  Grazie mille, spero che la coerenza delle mie scelte continui ad essere tale anche in futuro. Gli aggiornamenti saranno un po' lenti, causa periodo esami piuttosto intenso, ma cercherò di garantire una qualità della storia sempre elevata ^^

Bravesoul: Sono felicissima che ti stia piacendo la storia, mia cara! *O* La rivalità tra Yahiko e Nagato, nonostante questo capitolo passi un po' in sordina, prossimamente verrà ripresa, più viva e accesa che mai, anche se sussisterà sempre l'amicizia e l'ammirazione reciproca.

Hiko_Chan: Eccoti, mia Grande Officiante della Carica *_____* No, suvvia, non odio il mio patato... (ormai mi sono impossessata dei tre ragazzi della Pioggia XD) è solo che gli voglio talmente tanto bene da strapazzarlo tant... giusto un pochetto ^^
Anch'io mi trovo molto vicina a Nagato, per quello che prova e il modo in cui reagisce, anche se razionalmente potrebbe apparire esagerato: ci si sente talmente affezionati alle persona da apparire quasi protettivi nei loro confronti e desiderare che non si allontanino mai - anche se questo alla lunga è sbagliato. Quanto al colpo di scena... sob, la conclusione si rivela forse banale ma secondo me significativa: rappresenta un vero e proprio punto di svolta. Da quel momento sia Danzo che Nagato cercheranno di vendicarsi l'uno sull'altro, cosa che comporterà sconvolgimenti non indifferenti.
Vorrei invece attendere più tempo per far maturare la relazione tra Yahiko, Kushina e Minato, in modo che quanto avverrà tra loro non appaia così scontato e a volte assurdo. Sarà con la distanza degli anni che inizieranno a chiarire le rispettive posizioni e ciò che vogliono realmente, acquisendo una maturità maggiore.
Per il resto come al solito ti ringrazio per le tue bellissime parole e per trovare la storia così intrigante, spero che continui a piacere *____* Grazie per avermi segnalato la svista su Yondaime, non ci avevo più fatto caso XD Un grande bacione, mia cara, e al prossimo capitolo!

Stuck93: Certo che fai bene a odiare Danzo, hai la mia totale approvazione *O* Anche perché come già si intuisce da questo capitolo le cose andranno sempre peggio. Felice che la scena di combattimento tra Yahiko e Minato sia piaciuta: che bella cosa l'ardore giovanile dei ninja e Gai non potrebbe essere più d'accordo XD Ringrazio anche te per l'avvertimento su Yondaime, perdona la mia malsana abitudine nell'usare da tempo entrambi gli appellativi, pur conoscendone il significato. Correggo e vado a fare flessioni sulle sole braccia, tenendo compagnia a Rock Lee.... ehm, bugia, non lo farò mai *O* Chissà come mai ma nessuno se ne stupiva XD
Grazie per il commento, alla prossima! ^^

Un ringraziamento ai preferiti/seguit/lettori: voglio un immenso bene a tutti voi... sembro il Padrino coi suoi picciotti X°D

<3

   
 
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