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Autore: Elison95    15/06/2017    1 recensioni
‘ 𝓅𝑒𝓇 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝑒 𝑔𝓁𝒾 𝓊𝑜𝓂𝒾𝓃𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝓅𝑒𝒸𝒸𝒶𝓉𝒾 𝒾𝓃𝒻𝒾𝓃𝒾𝓉𝒾
𝒹𝒾𝑜 𝓂𝒾 𝒽𝒶 𝒹𝒶𝓉𝑜 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒶 𝓅𝑒𝓁𝓁𝑒 𝒸𝒽𝒾𝒶𝓇𝒶,
𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝓁𝓊𝓃𝑔𝒽𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾 𝓇𝒶𝓇𝒾
𝒸𝒽𝑒 𝑒𝓈𝓈𝑒𝓇𝑒 𝓊𝓂𝒶𝓃𝑜 𝓅𝑜𝓉𝓇𝑒𝒷𝒷𝑒 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝓂𝒾?
𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜 𝓋𝑒𝓈𝓉𝒾𝓉𝒶 𝒹𝒾 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾
𝒹𝒶𝓁 𝒸𝑜𝓁𝑜𝓇𝑒 𝓇𝑜𝓈𝓈𝑜 𝓅𝒶𝓁𝓁𝒾𝒹𝑜,
𝒹𝒶𝓁 𝓉𝑒𝓉𝓉𝑜 𝒹𝑒𝓁𝓁𝒶 𝓅𝒶𝑔𝑜𝒹𝒶 𝓋𝑒𝒹𝑜 𝒾 𝓅𝑒𝓉𝒶𝓁𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝒸𝒾𝓁𝒾𝑒𝑔𝒾,
𝒸𝒶𝒹𝑜𝓃𝑜 𝓃𝑒𝓁 𝓋𝑒𝓃𝓉𝑜 𝒹𝒾 𝓅𝓇𝒾𝓂𝒶𝓋𝑒𝓇𝒶.
𝓈𝒸𝓇𝒾𝓋𝑒𝓇𝑜' 𝓁𝒶 𝓂𝒾𝒶 𝒸𝒶𝓃𝓏𝑜𝓃𝑒 𝓈𝓊𝓁𝓁𝑒 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝒶𝓁𝒾.
𝒾𝓃𝑔𝒶𝓃𝓃𝑒𝓇𝑜' 𝒾 𝓋𝒾𝓋𝒾 𝑒 𝒹𝑒𝓈𝓉𝑒𝓇𝑜' 𝓈𝒸𝑜𝓂𝓅𝒾𝑔𝓁𝒾𝑜 𝓉𝓇𝒶 𝒾 𝓂𝑜𝓇𝓉𝒾.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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Act VII ; destruction.



Al mio risveglio mi accorsi d’essere nell’infermeria dell’accademia, la conoscevo grazie ad una delle tante esperienze insieme a Dorothèe che dopo avermi portato con lei in angoli remoti dell’accademia per raccogliere foglie di thè da poter preparare in camera, malauguratamente le avevo preso qualche foglia poco attendibile che subito mi aveva fatto venire varie bolle violacee sulle mani – l’espressione allarmata di lei mi fece ridere per tutto il tragitto dai giardini all’infermeria, combattuta per ogni scalino salito tra l’idea di usare i propri poteri e rischiare quindi una punizione o chiedere il permesso di portarmi in un ospedale competente.
Ero circondata in quel momento da tutto il candore di quella stanza, quasi non m’accecò la vista facendomi perdere l’uso di un altro senso. Il vuoto mi assaliva, nessun rumore o sospiro ero in grado di captare nemmeno al di fuori della porta – mi sollevai a fatica guardandomi attorno, scossi il viso cercando di riprendermi al meglio ed il fruscio delle lenzuola, insieme al ticchettio dell’orologio da parete di fronte a me, mi diedero la lieta notizia che non fossi diventata sorda.
Quando la porta si aprì, sebbene lo fece con lentezza il rumore quasi non mi fece sanguinare ancora le orecchie. La figura sconosciuta oltrepassò l’uscio e le lancette dell’orologio si fermarono improvvisamente, quell’uomo aveva un aspetto abbastanza affascinante sebbene l’età non nascondeva un certo invecchiamento – aveva difatti una barba grigiastra accuratamente rasata e gli occhi piccoli e distanti; sintomo di enorme intelligenza, pensai.
   «Sono contento si sia risvegliata, signorina Cester.» La voce bassa e vagamente graffiata dagli anni mi resero per un attimo inquieta.
   «Posso dire esattamente lo stesso…» Borbottai guardandolo con circospezione.
   «Oh, ne sono certo.» Sorrise ed una strana irrequietezza m’invase, poi avanzò verso di me sostando ai piedi del letto. «Lei non è stata abbastanza attenta, signorina Cester. Temevamo avrebbe potuto perdere il suo prezioso udito e mi creda…» poggiò una mano contro il petto con aria risentita. «…Per noi oltre che un gran dispiacere, sarebbe stata una sconvolgente perdita.»
   «Per voi… chi esattamente?» Feci storcendo le labbra ed increspando le sopracciglia in un’espressione dubbiosa.
   «Ma per la Saint Bàra, ovviamente.» Allargò appena le braccia con fare ovvio, per la Saint Bàra, disse lui.
   «Già, per la Saint Bàra…» Dissi io. «Lei è l’infermiere? Le serve il mio udito per caso?»
L’infermiere rise.
   «In realtà vede...» La porta si aprì interrompendolo, l’immagine di Uriel mi fece rilassare contro la spalliera i suoi preoccupati mi osservarono avvicinandosi per assicurarsi stessi realmente bene. Ma perché non c’era Marek con lui?
   «Pensavano ti avessero privato delle orecchie, latticino.» Disse sarcastico, si finse non interessato e solo allora si rese conto della presenza estranea, che invece lo guardava con un’espressione indecifrabile. Uriel sembrò irrigidirsi sotto quello sguardo, chinò appena il capo in segno di rispetto e si schiarì la voce.
   «Sta saltando le lezioni, signor Vanhomrigh?»
   «Oh no signore, avevo qualcosa da recuperare in infermeria… sono provvisto di permesso.»
   «Mi aspetto grandi cose da lei, signor Vanhomrigh… non mi deluda.» Inclinò appena il capo verso destra aggrottando la fronte con fare quasi compassionevole, Uriel annuì chinando nuovamente il capo. «Si riprenda presto, signorina Cester.» Fece poi prima di congedarsi e rimanermi solo col ragazzo.
   «Non mi pare sia un professore…» Borbottai osservando la porta.
   «Cosa? …Tu non sai chi sia?»
   «Tu sì?» Sembrò sbigottito.
   «Era… il preside, Eireen.» Mi rizzai d’improvviso al centro del letto, avevo appena dato dell’infermiere al preside di quell’assurda accademia?
   «Cosa? Dorothèe mi aveva detto che nessuno l’aveva mai visto, com’è possibile sia venuto da me… adesso? E poi… perché tu lo conosci?»
   «Credo siamo gli unici, infatti… probabilmente si è reso conto che la punizione è stata troppo severa e quindi voleva scusarsi… ma cosa ti ha detto nello specifico?»
   «Cosa le ha detto chi?» La voce di Marek mi distrasse da qualsiasi preside e conversazione, aveva la divisa scolastica perfettamente in disordine e le solite cuffiette bianche adagiate sulle spalle.
   «Mi stai seguendo per caso?» Uriel sbottò, cadendo sconsolato contro la poltrona al fianco del mio letto.
  «Accidentalmente sono stato sbattuto fuori dopo la tua uscita.» Scrollò le spalle e si accorse che lo stavo guardando, non disse nulla e con le mani nelle tasche dei pantaloni andò a posizionarsi di fronte alla finestra, dove si poggiò stancamente.
   «Certo… come no.»
   «Cos’è successo allo spirito? Dorothèe sta bene?»
   «Sì, è andato tutto liscio… Uriel e Dorothèe l’hanno condotto al suo corpo che era nel bel mezzo della Caed Dhu.» Diversi brividi mi invasero le ossa. «…Ci chiedevamo se lo spirito di avesse detto altro, quella notte.» Marek sollevò per la prima volta lo sguardo verso di me e rimase esattamente in quel modo, mi sentii la gola secca.
   «No… perché lo chiedi?»
   «Perché dovrebbero farci sapere certe cose, latticino?» Uriel si alzò dalla poltrona sospirando. «Non credi anche tu sia strano facciano fare certi lavori a quattro studenti?»
Non seppi cosa dire, in tutta onestà la cosa aveva tormentato anche me.
   «Nessuna guardia ha sorpreso Thomas nei corridoi, hanno guardato solo noi.» Feci come sovrappensiero.
   «Beh, se c’è qualcosa sotto lo scopriremo col tempo. Forse è solo una nostra mera fantasia.» Uriel scrollò le spalle, si avvicinò a me chinandosi contro il mio viso – il riflesso di Marek alle sue spalle sembrò scattare in quel preciso istante. «Tempo scaduto latticino, a presto.» Mormorò posandomi un bacio sulla fronte, si scambiò un occhiata di fuoco con Marek prima di andar via e poi rimasi sola col mio tormento.
   «Come stai?» Chiese. Io annuii senza rispondergli. «Il gatto ti ha mangiato la lingua?» Inarcò un sopracciglio, il sole alle sue spalle che penetrava i suoi raggi tramite quella maledetta finestra gli rendeva un aria luminescente.
   «Sto bene… e tu?»
   «Adesso vi salutate in quel modo?» Evitò la mia domanda ed il suo sguardo divenne gelido.
   «È la prima volta che mi ha salutato così…» Abbassai il viso, poi aggrottai la fronte incrociando le braccia al petto. «E comunque perché la cosa dovrebbe importarti?»
   «Così fastidiosa.» Digrignò i denti distogliendo lo sguardo. «Dorothèe è stata con te tutta la notte, non ha permesso a nessuno di avvicinarsi… tra dieci minuti, a fine lezione verrà a portarti il pranzo. L’infermiera dice che per il pomeriggio puoi tornare in camera.»
   «Stai andando via?» Strinsi tra le dita le lenzuola bianche, perché lui non mi salutava come Uriel?
   «Non ho motivo di restare.» Disse dandomi le spalle.
   «Allora perché sei venuto?» La voce mi uscì più dura di quanto volessi, lui si voltò gli occhi dal nero stavano sfumando nel rosso che ormai conoscevo bene.
   «Ti ho detto chi sono, non l’hai capito forse?»
   «Va via Marek, sono stanca.» Mi guardò per diversi secondi, io mi stesi dandogli le spalle fino a che non sentii la porta chiudersi dietro di lui.
Quando mi mossi tornando a respirare, m accorsi del bigliettino che aveva lasciato Uriel al mio fianco quando si era chinato per salutarmi. “Ti aspetto alle 21:30 fuori al dormitorio femminile. Non tardare latticino.”  Quando Dorothèe entrò nella stanza, nascosi il foglietto sotto le lenzuola sorridendole; passai il pomeriggio in sua compagnia e poi mi accompagnò in camera dove le raccontai l’avvenuta con Marek e con quell’assordante spirito.
 
Mi alzai cercando di non far rumore visto che se la mia compagna l’avesse scoperto, mi avrebbe impedito qualsiasi tipo di fuga. Ero certa che Uriel volesse parlarmi, altrimenti perché mi avrebbe invitato in piena notte? Esclusi ancor prima di tutte l’ipotesi che volesse mangiarmi.
Quando arrivai nel punto concordato notai Uriel che quasi non si  mimetizzava nel buio pesto mi avvicinai silenziosamente e piano, mi fermai tutta d’un tratto… non sapevo con certezza che tipo di aura emanasse, chiusi gli occhi e provai ad inalarne il profumo; appariva lontano, come sfocato e confuso. Aveva un profumo diverso dal solito, ma non del tutto estraneo.
   «Per quanto ancora hai intenzione di restare lì?» Sobbalzai muovendomi subito in sua direzione e sorridergli appena.
   «Scusa, era sovrappensiero… perché hai chiesto di vederci?»
   «Giusto, se si tratta di me devo avere per forza un motivo vero?» Sembrò deluso.
   «Non intendevo questo… solo che è insolito.»
   «Dorothèe ti ha detto tutto, vero?» Uriel prese a camminare a passo lento, io lo seguii annuendo. «Per questo pensavo che non venissi.»
   «Non ho paura di te… e nemmeno di Marek.» Una folata di vento mi fece stringere tra le braccia, Uriel accorgendosene si sfilò la felpa poggiandomela sulle spalle, lo ringraziai con un sorriso. Si guardò intorno un’espressione meditabonda, qualcosa ne occupava i pensieri e che non sapevo come estorcergli. «Era questo ciò che ti turbava, Uriel?»
   «Figuriamoci se sono turbato da queste cose, latticino.» Il tono scocciato non lo tradì, ma io risi ugualmente.
   «Io la sento la tua potenza Uriel, non seguo le lezioni perché voglio avere ottimi voti… io le seguo semplicemente per conoscere meglio me stessa e per imparare a proteggermi anche se la forza fisica in alcuni casi non bastasse. Ma ho sentito la vostra forza sin dal primo giorno in cui vi incontrato… non mi fido di nessuno e allo stesso tempo mi fido di tutti, ma se c’è una cosa che non fallisce mai, è il mio istinto. Questo l’ho imparato presto.» Uriel si fermò guardandomi, mi tolsi la felpa dalle spalle e gliela porsi sorridendogli. «Non devi convincermi di qualcosa né tanto meno devi chiedermi di vederci di notte per poter parlare con me.» Prese la felpa dalle mie mani, angolò un lato delle labbra in mezzo sorrisetto, poi mi guardo serio.
   «Sii abbastanza forte nel giorno in cui ti aggredirò.» Il tono di voce mi lasciò di fronte ad un completo estraneo per qualche secondo.
   «Lo sarò.»
   «Ci vediamo presto, suppongo tu adesso abbia da fare.» Nemmeno il tempo di chiedergli a cosa si riferisse che sparì dalla mia vista, sospirai soffermandomi a guardare qualche istante le stesse e poi decisi di tornare in camera prima che il coprifuoco scattasse. Qualcosa mi fermò pochi metri più avanti, Marek era poggiato contro il muro col capo chino e le mani nelle tasche – feci per avvicinarmi ed in quel momento lui sollevò la testa facendo poi un passo indietro, alzò un braccio come per bloccarmi.
   «Non avvicinarti, puzzi di tutto ciò che più detesto, Eireen.» Il tono malevolo con cui lo disse sembrò quasi enfatizzare quelle parole rendendole persino più pessime di quanto già non fossero in realtà.
   «Oh mi dispiace, non volevo infastidire i tuoi sensi. Dovrei farmi una doccia, vero?» Feci con tono sarcastico.
Ogni parola pronunciata da quelle labbra che avevo baciato persino nei sogni, sembravano stiletti trafitti un po’ ovunque. La rabbia cresceva ad ogni sua sillaba. Lo vidi sorridere nella penombra, senza avvicinarsi, allargando le braccia in un gesto eloquente.
   «Potrei dirti che sì, dovresti farti una doccia… ma non credo la puzza svanirà, quindi mi dispiace vople, non puoi porre rimedio. Succede a chi frequenta strani studenti nel cuore della notte.»
   «Starò attenta a non farti più sentire il mio tanfo.» Ero ferita e delusa, cercai di tenere lo sguardo duro ma non ci riuscii per molto tempo, sfociando nella solita aria intristita.
   «Tu sei…» Si bloccò ridendo in maniera poco carina, abbassando il capo che scosse appena osservandosi i piedi. Si leccò le labbra tornando a puntare i suoi occhi adesso rossi su di me. «Tu sei davvero una volpe. Credo avesse ragione il libro che abbiamo letto, ammali le persone, compreso me. Ma sono abbastanza bravo dallo sciogliere queste cose. Il tuo scopo esattamente qual è? Far la carina con tutti e vedere chi casca prima? Allora complimenti, il primo stupido è proprio qui di fronte, il secondo potrebbe essere andato via pochi minuti fa.» Mi guardo rabbioso, stava realmente dicendomi delle cose simili? Strinse la mano a pugno le nocche divennero bianche e le labbra si schiusero in un sorriso che scoprì i denti. «Se torni solo ora mi vien da chiedere dove sarete stati, sono curioso.»
Mi avvicinai a lui con passi veloci ed ampi e quando fui abbastanza vicina gli mollai uno schiaffo abbastanza forte sulla guancia, lo schiaffo sembrò quasi una molla, gli gettò di lato il viso per poi rigirarglielo subito dopo trafiggendomi ancora una volta con quegli occhi. Serrò le labbra in una linea sottile.
   «Oh Marek, mi dispiace tanto di non profumare di gelsomino e sangue AB, ma sai una cosa? SEI UN GRANDISSIMO CAFONE. Sono qui, annusami, vomita su questo prato per il mio tanfo!» Gli urlai senza pensare minimamente alla sua reazione, divenni rossa ma non per l’imbarazzo. Mi tremavano le mani, le gambe e tutto il corpo insieme allo stomaco che si era aperto in una mostruosa voragine. «Hai ragione, sono proprio una volpe… una stupida volpe che si è lasciata ammaliare da uno stupido vampiro!»
   «Stai sul serio giocando con me o sei stupida? Nel primo caso ti consiglio di giocare bene, sono un ottimo avversario e ti batterei ad occhi chiusi. Nel secondo, lascia che ti spieghi meglio ciò che ho da dire.» Sorrise ammorbidendo i lineamenti, era tutta una farsa e io lo sapevo, mi si avvicinò costringendomi ad indietreggiare fino al muro, bloccandomi con le braccia. I nostri visi si sfiorarono. «Ti ho espressamente chiesto dove sei stata. DOVE.» Un pugno si abbatté sul muro dietro di me. «SEI.» un altro ancora, serravo gli occhi ad ognuno di esso. «STATA.» Il terzo sfondò il calcestruzzo. La mano si conficcò dentro, ma lui sembrò non provar dolore. In un quel momento un nuovo sentimenti si fece spazio dentro di me; la paura.
Cominciai a tremare contro la parete fredda, odiavo quelle sensazioni e provarle con lui di fronte ancor di più.
   «Io…» Mossi le labbra, ma la voce non uscì. Era come se le corde vocali si fossero rotte, persino le lacrime sembravano uscir più lentamente adesso – il tempo si era fermato in quell’odioso momento ed i mille anni che avevo da vivere sperai si fossero consumati in una sola volta. Scivolai con la schiena contro il muro fino a rannicchiarmi a terra con la testa tra le mani. «Vattene…»
   «Vattene tu, torna in camera tua. Non c’è più nessuno in giro, non rischierai neppure una punizione, quindi alzati e vattene dove ti pare, che sia in camera tua o a farti un’altra passeggiata, vai dove vuoi. Lontano da me.»
Marek sembrava avere una scorta infinita di colpi di grazie, sollevai il viso e lo guardai senza dire una parola.
   «Non siamo andati da nessuna parte, abbiamo chiarito che io non avessi paura né di lui, né di te. Mi ha detto di essere forte, poi l’ho salutato.» Il mio sguardo d’un tratto freddo e distaccato non lasciò intendere nulla. Mi voltai stringendomi nelle spalle dopo essermi alzata da lì, pronta ad allontanarmi da quel posto senza voltarmi più indietro. Mi aveva fatto già abbastanza male e non intendevo essere la sua pedina stupida ancora per molto. Le sue parole avrebbero rimbombato nella testa per tutta la notte e forse anche nei giorni a seguire.
   «Sei proprio una volpe.» Lo sentii quel sussurro, quasi stesse parlando tra sé e sé ma col chiaro intendo di ferirmi. Il tono dispregiativo che usò, mi fece salire un conato.

 
 
 
 
“Se mi amate cari venite a vedermi
Mi troverete laggiù
Nel grande bosco di Shinoba della provincia di Izumi
Dove le foglie di hozu frusciano sempre d’umor pensoso.”
   
 
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