Il leggero venticello rendeva quei prati così verdi di velluto, muovendo i fili d’erba tutti insieme; finiva col creare un effetto ottico che la ispirava, la rendeva viva. 
Sì, si sentiva viva.
Si sentiva viva in quei prati mossi dal vento, in quelle nuvole bianche in contrasto col cielo di un azzurro brillante, in quei fiori appena sbocciati che davano quel tocco di arcobaleno a tutto; ma, soprattutto, si sentiva viva in quelle note che si innalzavano nell’aria intorno a sé, creando una melodia che solo lei conosceva.
Era una melodia dolce, tranquilla, esprimeva le sue emozioni.
E lei sorrideva, sorrideva e premeva le dita su quei tasti di quel pianoforte bianco per ricreare il suono segreto del suo piccolo cuore.
Poi però le note diventavano pesanti tutto d’un tratto, e allora le nuvole si ingrigivano, il cielo si scuriva, piccole gocce salate cadevano e pesavano sul suono.
E lei piangeva, piangeva e suonava, continuava imperterrita a riprodurre la sua melodia perché se non lo avrebbe fatto lei chi altro lo avrebbe fatto?
E si sentiva male, male davvero.
Tanto dolore, troppo dolore racchiuso in un piccolo involucro di ossa, sangue, carne.
Troppo dolore da non poter confessare, troppo dolore nascosto dietro un dolce sorriso.

E allora suonava. 
E allora sorrideva. 
E allora piangeva.
Perché di questo era composta la sua melodia: di note, sorrisi, dolori.
Di sentimenti che nessuno mai avrebbe conosciuto.