Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Belarus    18/06/2017    2 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Sarei in ritardo immagino, ma aggiorno anche questo mese con un capitolo lungo persino per i miei standard e pieno di colpi di scena, per cui fingete con me che non sia successo nulla su. C’è un Law un po’ sulla scia della friendzone perché Aya sconosce il significato della parola “flirtare” benché se ne vada in giro a farlo in maniera spudorata, uno stalker dal viso da scimmia che ritorna, un Kidd che non vuole saperne di trattare da persona civile con altre persone civili e per concludere un salto nel passato che mi ha messo tristezza. Mi ritengo piuttosto soddisfatta direi e altrettanto per le presenze dello scorso capitolo, tante come non ne vedevo da anni e che mi hanno messo buonumore per cui “merci mes amis”.
Alla prossima~



CAPITOLO LXXVIII






Per una innocua casualità legata alla convalescenza a bordo del suo sottomarino, in cui nulla vi era di perverso, aveva avuto l’occasione di osservare Aya dormire. Forse inconsciamente perché non ne beneficiava, Law aveva sempre trovato affascinante quel bisogno naturale di riposo nel quale l’essenza individuale tendeva quasi del tutto ad annullarsi per ridursi ad una mera sincronia d’operazioni meccaniche del corpo. In Aya quella particolare discrepanza tra sonno e veglia raggiungeva livelli cui avrebbe con difficoltà creduto lui stesso se non avesse visto con i propri occhi che era in grado di passare da un’immobilità quasi cadaverica al precipitarsi giù da una rampa di scale, saltando persino i gradini, come in quel momento.
Seduto all’unico tavolo da cui era possibile tenere sotto controllo sia l’esterno che la stanza che li aveva ospitati per la notte, mettendo via la tazza di tè nero la vide curioso e un po’ divertito piombare nella sala principale dove alcune ragazze erano già alle prese con gli ultimi preparativi per l’apertura.
Poteva darsi che tutta la sua mortifera serenità nel riposare fosse in realtà una compensazione per le energie che bruciava durante il giorno, d’altro canto quanto sarebbe mai potuta andare avanti solo con quel ritmo?
«I pass sono bloccati, nessuno può ancora uscire, neppure tu.» la fermò sospettando stesse per sparire di fuori, facendola sobbalzare per la fretta nel sentire la sua voce in uno scuotere di ciocche sfuggite all’acconciatura della sera precedente e scintillare del vestito da festa, decisamente poco adatto a quell’ora del mattino.
«Law… avevo promesso di rientrare alla nave per sera.» spiegò quando l’ebbe intercettato, abbassando le spalle colpevole nell’arrestarsi del tutto davanti all’impossibilità di fare altrimenti.
Nel vederle torturare per un istante anche il labbro, un moto di fastidio lo colse improvviso e se non fosse stato per la distanza che ancora li separava probabilmente non avrebbe avuto modo di nasconderle la propria smorfia.
«Sono convinto che Eustass-ya abbia potuto resistere ad una notte senza di te.» non riuscì a trattenersi dal replicare sarcastico e la battuta venne fuori così velenosa da mettere seriamente in dubbio la gelida noncuranza con la quale l’aveva sputata fuori.
Di qualsiasi genere fossero le promesse che si scambiavano lei ed Eustass-ya – sulle quali Trafalgar ormai sospettava avrebbe sopportato meglio il privarsi d’una mano piuttosto che indagare come altrimenti aveva fatto all’inizio della loro conoscenza –, trovava abbastanza seccante sentirsene rifilare una a mò di giustificazione per una fuga. Specie considerando la scomoda notte cui s’era sottoposto, dopo un altrettanto scomoda serata, dato che a lei era spettato per buonsenso e premura l’unico letto concesso dalla sua adorabile amica da cui s’era sentito minacciare ripetutamente in quelle ore buie. A pensarci bene non che forse l’avrebbe tollerata più di buon grado da riposato e senza averle dovuto reggere la testa tra il caos dei festeggiamenti sino alla chiusura, ma non era quello il punto.
«Mi spiace per ieri, devo essermi lasciata andare un po’ troppo.» si scusò Aya, sedendosi al tavolo con un sospiro sconfitto che le diede l’aspetto d’una bambina investita dal senso di colpa.
Per quanto offeso si fosse tacitamente sentito nello scoprire il motivo di tanta fretta mattutina, il broncio che le vide esibire dal palmo della mano con aria ancora un po’ scarmigliata lo fece cedere e non si trattenne poi tanto per passarle la tazza di tè.
«Penguin e Shachi hanno fatto di peggio da svegli.» assicurò in un sospiro, ricevendo in cambio un sorriso grato per l’armistizio fumante che le aveva offerto.
«Immagino sia per questo che non sono nei paraggi.» notò, dando una sbirciata ai dintorni del Karyukai dove non c’era la minima traccia di nessuno degli altri Heart.
«Ne stanno saggiamente approfittando per chiarirsi le idee riguardo i limiti della decenza concessa e fare provviste sotto la supervisione di un adulto e un orso.» rivelò ed Aya finì per dover soffocare le risate nella propria mano all’idea.
Adesso anche lui trovava la cosa divertente a suo modo, la sera precedente non avrebbe potuto affermare altrettanto. I balli in coppia, le invenzioni d’imprese sovraumane e i lamenti infantili quando Jean Bart li aveva rimessi in riga erano stati troppo per lui, per questo sperava che la punizione almeno un po’ funzionasse. Non avrebbe sopportato di perdere la faccia per colpa di quei due che andavano declamando al mondo la loro appartenenza ai Pirati Heart di nuovo, aveva una integrità lui e pretendeva di mantenerla.
«Madame Faraouki allora ti è stata d’aiuto alla fine.» riuscì a notare Aya ritornando seria, spingendolo ad annuire leggermente sotto la falda del cappello maculato.
«A quanto dice, Joker pare avere un socio nella produzione degli Smiles, un uomo di nome Caesar Clown.» spiegò, mentre lei rimaneva con la tazza sospesa a mezz’aria.
«L’ho già sentito… è il tipo che lavorava con il Dottor Vegapunk, giusto? Ho letto di lui su un giornale quando esplose quel laboratorio un paio d’anni fa, pensavo l’avessero rinchiuso.» rimuginò pensierosa, mettendo via il tè rimasto con il capo appena piegato.
Favorito dalle ore notturne inattive aveva ricordato anche lui perché quel nome gli fosse suonato tanto noto. Vegapunk era un’autorità indiscussa in molti ambiti, compreso quello medico, e gli uomini con cui collaborava o aveva collaborato in passato con assiduità acquistavano grazie alla sua vicinanza fama. Caesar Clown era stato il suo braccio destro per un po’, ma la sua storia non era finita bene come per molti altri e adesso non si sapeva più nulla di lui. Persino la Marina ne aveva perso le tracce, eppure nel sentire associare il suo nome a quello di Doflamingo a Law era sorto un sospetto che forse poteva quasi dirsi una certezza.
«Scappò dalla nave prima di arrivare ad Impel Down. Dev’essere ritornato al laboratorio, l’isola su cui si trovava era stata vietata dopo l’incidente da quanto so, non c’è luogo migliore per nascondersi e avviare certi affari.» rifletté, trovando quella versione dei fatti ancor più convincente a voce alta.
L’esplosione del laboratorio era stata una catastrofe e uno scandalo per la Marina, c’erano state vittime a causa di un loro diretto collaboratore, l’intera isola su cui si trovava era stata avvolta da una nube tossica e le ricerche di Vegapunk erano andate bruciate. I giornali avevano parlato di recinzioni per tenere lontani eventuali visitatori e da allora Punk Hazard era sprofondata nell’oblio finché pochi mesi addietro Sakazuki e Kuzan non si erano sfidati su di essa per la carica di Grand’ammiraglio, riducendola chissà come. Quell’ultima visita in realtà lo lasciava un po’ dubbioso poiché era difficile che due uomini di quel calibro non notassero nulla di anomalo in un luogo che non avrebbe dovuto ospitare nessuno.
Sul punto di chiedere un parere a riguardo si fermò appena prima d’aprir bocca, rendendosi conto d’aver demolito senza accorgersene neppure anche quel brandello di distacco che era riuscito a mantenere sulle proprie vicende personali per trasformarle in una chiacchierata qualsiasi a colazione.
«È una buona notizia, devi solo andare laggiù e… sbarazzartene immagino.» sentì supporre ad Aya, ma qualcosa nel sorriso che esibiva dall’altro capo del tavolo non lo convinse affatto.
«Non lo sembra poi così tanto dalla tua faccia.» le fece presente con un sopracciglio sottile sollevato.
Colta sul vivo, si mordicchiò d’istinto il labbro e nell’osservarla in quel gesto incontrollato Trafalgar ebbe per un momento la spiacevole impressione che stesse per avanzare delle rimostranze a riguardo.
Sin da quando ne avevano parlato per la prima volta aveva avuto il sentore che ad Aya la sua vendetta non andasse giù a prescindere da ciò che Doflamingo aveva rappresentato nella sua vita, eppure non si era mai permessa di metter bocca sull’argomento se non per aiutarlo, neanche davanti alle richieste bisbigliate in corridoio dei suoi uomini. Poteva darsi però che al punto in cui erano adesso sentisse di potersi permettere una tale schiettezza e lui s’augurava davvero di non dover affrontare un simile discorso proprio con lei. Quella vendetta era tutto ciò che gli restava, ciò per cui era andato avanti e su cui aveva costruito la sua nuova vita, anche se non era la medesima via percorsa da lei, avrebbe comunque dovuto capirlo. Aveva fatto affidamento sulla sua comprensione, tacitamente se n’era persino sentito confortato.
Il pensiero che quel bizzarro equilibrio tra loro stesse per frantumarsi lo irrigidì e fu sul punto d’essere investito da un moto di risentimento misto a delusione se non l’avesse vista sospirare con un piccolo broncio.
«Un po’ mi spiace… se non mi fossi tramortita con tutti quei bicchierini avrei passato più tempo con voi prima che ripartiate.» ammise alla fine rammaricata e Law la fissò sbigottito per quell’ennesimo slancio d’affetto cui pareva starsi dedicando con assidua tenacia.
Era in momenti come quello che, seppur involontariamente, gli ricordava perché fosse stata in grado di arrivare sin laggiù nello Shinsekai, integra e piena di speranze. Aveva il pregio o la sfortuna di sopportare con remissiva pazienza il corso degli eventi e le scelte altrui, quando non poteva semplicemente si faceva da parte ritornando al proprio posto per non venir trascinata. Magari non le andava bene la sua vendetta, forse avrebbe preferito vederlo votarsi a qualcosa di diverso e non sospettare che fosse davvero disposto a tutto pur d’ottenere giustizia, ma non glielo avrebbe mai detto. Non Aya. Lei lamentava la mancanza di tempo da trascorrere insieme in occupazioni normali e Law aveva l’assoluta certezza che non fosse perché banalizzava, quanto piuttosto per la spropositata importanza che simili piccolezze avevano ai suoi occhi.
Nascose il viso all’ombra del corridoio per celare la smorfia di tristezza al ricordo dell’ultima persona che aveva mostrato un broncio simile per le sue mancate attenzioni e quando finalmente riuscì ad inghiottire il groppo salito in gola, tornò a sollevare lo sguardo con uno dei suoi rari sorrisi.
«C’è ancora tempo in realtà, Bepo e gli altri ci metteranno un po’… per… non mi hai fatto nemmeno finire! Aya! È una mancanza grave andarsene così!» la richiamò sgolandosi esasperato, quando la vide scattare verso l’uscita impaziente.
«Sii buono su, probabilmente non ci vedremo mai più dato che Kidd mi ucciderà e questo è il mercato più grande dello Shinsekai! Non capiterà un’altra occasione del genere! Cerchiamo gli altri, così dopo potrete accompagnarmi fuori.» stabilì con rinnovato entusiasmo, rivolgendo un saluto veloce a Samedy che sbadigliando controllava già l’entrata del Karyukai Emporium presa d’assalto dai clienti.
Contro ognuno dei suoi progetti mattutini finì per inseguirla con la nodachi caricata in spalla, facendosi largo in mezzo alla folla che non aveva mai smesso di brulicare nell’ultimo livello di Down Under pur di non perderla di vista e in quell’inseguimento persino il suo disappunto su ciò che lei si permetteva di pianificare venne smorzato.
«Non si può uscire prima che riaprano i pass, non mi hai ascoltato prima?!» lamentò, aggrottando la fronte mentre la vedeva saltare gli ultimi gradini della piazza attorno al geyser per tuffarsi a capofitto tra le bancarelle.
«Certo che sì, ma tu puoi farmi passare anche a porte chiuse. Potrei vedere quella per piacere? Mi ricorda tanto il tesoro di Yasakani!» ribatté distratta, mettendosi a contrattare con il primo venditore in cui s’era imbattuta per una collana.
Attonito la fissò perdersi in una discussione in merito ad’un regalo da fare a Celya per ringraziarla e pur volendo replicare non seppe davvero cosa nello specifico dato che non era certo se fosse stata una lusinga nei suoi confronti o piuttosto una delle sue semplicistiche incoscienze.
Con il suo frutto tecnicamente avrebbe potuto uscire di lì in qualsiasi momento, ma esistevano delle regole a Down Under cui non si poteva passar sopra a cuor leggero. L’ultimo che lo aveva fatto stava ancora combattendo tra il secondo e il primo livello a quanto dicevano all’alba al Karyukai e Law aveva poca voglia di mettersi a combattere senza una logica ragione, perché in effetti ritornare da Eustass-ya non lo era. Ormai la loro puerile promessa era infranta, qualche ora in più o in meno non avrebbe aggravato poi tanto le cose sebbene Aya non fosse della stessa opinione.
«Se non l’ha fatto in passato dubito accadrà ora comunque.» si lasciò scappare di getto, spingendola a voltarsi confusa «Eustass-ya, ucciderti intendo.» chiarì, camuffando il disappunto verso se stesso per essersi impicciato in qualcosa che non avrebbe in alcun modo dovuto importargli.
«Dovrei accettare previsioni liete da chi ha avuto l’impulso di tagliarmi a pezzi non appena conosciuti?» le sentì domandare con un sorriso divertito, mentre il commerciante dalla bancarella li salutava entusiasta.
Punto sul vivo da quel ricordo assottigliò lo sguardo per la stoccata.
«Mi sei piombata contro, sono stato più ragionevole di quanto meritassi.» considerò, inforcando le mani nelle tasche dei jeans mentre la seguiva in quel labirinto di folla chiassosa e rivendite improvvisate.
«Saresti stato eccessivo e fuoriluogo, miravo a Bepo non a te.» puntualizzò, curiosando un po’ ovunque con il pacchetto tra le mani.
Era capitato spesso che si punzecchiassero, a bordo del suo sottomarino era stato un piacevole divertimento d’aggiungere alle loro conversazioni cui Trafalgar non negava d’essersi dedicato con una certa assiduità considerando quanto poco apprezzasse di solito la compagnia altrui. Sapeva riconoscere quando accadeva che s’impelagassero in quel gioco e non aveva dubbi che quella fosse una di quelle circostanze, ma – sebbene non avrebbe voluto ammetterlo – per il suo orgoglio l’ultima battuta era stata decisamente un colpo basso e infame.
«Grosso e con la pelliccia… dovevi averlo scambiato per qualcun altro immagino.» ipotizzò con calcolato distacco ed Aya si girò lenta a squadrarlo, le sopracciglia sollevate e gli occhi sgranati, tra il divertito e lo sconvolto.
Era stato galante a risparmiarla sino a quel momento, se voleva giocare sporco però bastava dirlo, non si sarebbe certo tirato indietro. Quel genere di cose, insieme ad operazioni e fantasiose occupazioni notturne erano il suo forte, si stupiva di come lei così sveglia non avesse riflettuto su chi stava sfidando.
«Molto maturo… se non si trattasse di te giurerei che stessi aspettando di fare questa battuta da quel giorno!» giudicò alla fine, incassando mentre lui sfilava oltre con un ghigno.
«Gli indizi avrebbero fatto sorgere il dubbio a chiunque, non c’era affatto da meditare tanto.» negò modesto, rivolgendole un’alzata di spalle nell’anticiparla ad un banco di cianfrusaglie accozzate tra loro senza una logica.
Divertita a dispetto di tutto Aya gli si accostò e soddisfatto dalla propria vittoria Law si fece naturalmente un passo indietro, concedendole d’insinuarsi nello spazio tra sé e la bancarella per curiosare come le piaceva tanto.
«Ma tu sei senza dubbio il più curioso e tenace di quei chiunque!» lo lodò, arricciando appena il naso nel poggiarglisi senza malizia per un istante contro prima di voltarsi.
Perso in quelle chiacchiere da cui era certo da tempo che non avrebbe cavato un ragno – o verità che si voglia – dal buco, rimase a guardarla, attratto una volta ancora dalla facilità con cui riusciva a sopportare di buon grado se non addirittura a farsi piacere il tempo trascorso in sua compagnia. Silenzioso, con un vero sorriso a far capolino sotto la falda del cappello maculato, la fissò divorare con lo sguardo tutto ciò che si trovava davanti a loro ed ebbe di nuovo l’impressione d’essere investito dalla sensazione provata la sera precedente. Non fece però in tempo a seccarsene, richiamandosi mentalmente all’ordine, poiché gliene giunse con prontezza un’altra, non meno intensa sebbene ben più spiacevole facendogli estrarre di slancio la nodachi. Aya di fronte a lui alzò nel medesimo istante lo sguardo, individuando l’uomo che stava per balzare oltre il tavolo piombandole contro e si scostò veloce di lato, appena in tempo affinché Law attivasse la room attorno a loro per tagliarlo in due metà perfette.
«Ancora un cacciatore di taglie?!» lamentò a guardia alta, spingendolo a scoccarle un’occhiata che passò in secondo piano all’arrivo di altri uomini armati dalle bancarelle vicine.
In una manciata di secondi, nonostante avesse voluto evitare di trasgredire le regole, Trafalgar si ritrovò nel bel mezzo di uno scontro per il quale la gente di Down Under si lamentava a gran voce vedendo capitolare tra affondi, calci e urti i propri beni. D’un primo momento tentò di tenere la situazione sotto controllo grazie al proprio potere, mantenendo Aya – inspiegabile oggetto di tanto odio – sott’occhio e i banchi al di fuori, ma gli spazi erano troppo stretti, i nemici troppo numerosi e Aya decisamente movimentata. Così adesso si ritrovava a darle man forte, benché fosse con suo sommo orgoglio evidente che sarebbe stata in grado di prenderli a pugni da sé qualora non avessero pensato bene di spararle contro ed organizzarsi affinché il loro numero superasse di gran lunga il quadruplo di ciò che sarebbe stata in grado di gestire da sola.
«Quelle mettetele via, non è carino.» sibilò seccato, tagliando un paio di mani armate che la puntavano.
Apprezzava davvero che sapesse difendersi da sé, ma la vicinanza con Eustass-ya le aveva dato la spiacevole e pericolosa abitudine di non prestare attenzione alle armi da fuoco. Continuava a girarsi, muoversi e colpire in mezzo a quel caos limitandosi solo a controllare di non aver nessuno alle spalle, ignorando che sarebbe bastato un solo colpo ben tirato da una decina di metri di distanza per mandarla a terra senza che potesse più alzarsi.
Avrebbe potuto seccarsi parecchio per quel ruolo di spalla che gli stava toccando e in altre circostanze lo avrebbe fatto di certo, ma in quel caos improvviso si sentiva più seccato dall’idea che lei stesse correndo quei rischi inutili che dal resto.
«Aya ritorna qui! Aya!» la chiamò, vedendola allontanarsi involontariamente.
«Non adesso Law!» la sentì ribattere in un urlo, credendo forse che fosse uno dei suoi consueti rimproveri.
Un paio di uomini la accerchiarono, venendo prontamente percossi là dove Bepo le aveva insegnato un colpo potesse risultare più efficace per abbattere un nemico in fretta e Trafalgar si girò con una smorfia a far scivolare la lama scura di fronte a sé per liberarsi di quelli che provavano, suo malgrado con successo, a tenerlo occupato. Quando tornò a girarsi di scatto ad occhi sgranati il colpo di pistola era già partito e Aya si teneva l’avambraccio al petto in un misto di dolore e fastidio con altri cinque cacciatori taglie pronti a fare il resto per completare il lavoro.
«Shambles!» ordinò senza pensarci oltre, fregandosene d’avere campo libero pur di riportarla vicino.
La room effettuò la scambio prima che lei potesse accorgersene e quando gli piombò di fronte, barcollando per la sorpresa Law la agguantò per la spalla con tanta forza da farle scappare un verso di gola.
Le avrebbe volentieri urlato contro un rimprovero come gli capitava di fare solo quando davvero perdeva la sua proverbiale pazienza, ma qualcun altro attirò la sua attenzione e quella di Aya, lì dove poco prima lei stessa era stata.
«È un incubo per caso?! Mi hai trovata anche qui!» la sentì ringhiare furiosa, scattando in avanti come avesse voluto andare a prenderlo, seppur senza successo dato che Law persistette a trattenerla.
Il nuovo arrivato, il quale avrebbe benissimo potuto mimetizzarsi tra le decine di nemici che li accerchiavano per la tenuta all’apparenza trasandata e i tekko sulle nocche allungate, si girò per un momento a guardarla con occhi dispiaciuti. Qualcosa nei lineamenti del suo volto che ricordava quello di una scimmia richiamò alla memoria di Law altri incontri avvenuti anni addietro e la seccatura per ciò che stava accadendo si mescolò a del sano stupore, mentre lo vedeva chinare il capo in segno di tacite scuse per poi tornare allo scontro armandosi di haki ai pugni nel tentativo di fare piazza pulita con loro.
«Sono in troppi in quella famiglia e con una preoccupante ossessione per te.» notò con piatto sarcasmo, vedendo Aya indurire lo sguardo più di quanto già non avesse fatto in direzione dell’ennesimo fratello Saru.




Per quanto giovane fosse, Kidd poteva dire di possedere una certa esperienza in quanto a scontri dato il suo pessimo carattere e l’abitudine a risolvere le dispute, di qualsiasi entità esse fossero, in maniera definitiva e ne aveva sviluppata una anche in merito al campo degli scontri con gli abitanti del posto nel suo viaggio dal Mare Meridionale. Nella maggior parte dei casi chi abitava le isole che avevano la sfortuna di vederlo ormeggiare preferiva stare alla larga e ripararsi all’ombra della Marina, alcuni invece cercavano di comprare lui e il suo equipaggio con regali piuttosto sostanziosi che finivano solo per appesantire la stiva della nave e in alcun modo li mettevano al riparo da ripercussioni spiacevoli, però c’erano anche quelli invasati dal coraggio si organizzavano per tentare di rendergli la permanenza impossibile e addirittura cacciarlo – come se a lui fregasse qualcosa poi di restare in quei posti di merda –. Fino a che avrebbe avuto fiato nei polmoni sarebbe riuscito a ficcargli la coda tra le gambe, ma doveva ammetterlo gli abitanti di Down Under meritavano senza dubbio il primo posto nella sua personale classifica di bastardi suicidi.
«Mi avete davvero seccato adesso… repel!» ordinò, invertendo la traiettoria di proiettili ed armi che gli era stata scagliata contro con il puro intento d’ucciderlo per rimandarli ai legittimi proprietari.
Quei maledetti avevano dato l’allarme dopo il disastro al bar con i mercenari di Basque e avendo appena il tempo di rendersene conto, Kidd s’era trovato in una sommossa popolare ai suoi danni. Non c’era un singolo abitante che avesse incontrato risalendo dal secondo al primo livello che non gli si fosse scagliato contro per punirlo d’aver calpestato le loro fottute regole, persino mocciosi e vecchi continuavano a non dargli pace. Una donna la cui faccia era stata deturpata dalla quantità di rughe era addirittura riuscita a mollargli un colpo di bastone sulla tempia riuscendo là dove molti altri armati e capaci reggersi ancora in piedi avevano fallito. Il che per Kidd, oltre che un’offesa al suo ego ripagata con la non tanto prematura dipartita della strega, era stata la definitiva conferma che quel maledetto di Basque l’avesse trascinato laggiù perché consapevole di ciò che si sarebbe scatenato. Il pidocchio avrebbe dovuto assoldare troppi uomini o comprare di nuovo l’aiuto di Big Mom per disfarsi del problema che rappresentava, era molto più conveniente che lo facessero altri al suo posto e per ragioni proprie. Ogni uomo combatte meglio per sé stesso piuttosto che per arricchirsi.
«Ne arrivano altri Capitano!» lanciò l’allarme Heat, scorgendo una nuova massa di gente marciare contro di loro superando i corpi di chi era rimasto a terra sconfitto.
«Maledizione!» inveì irritato, sollevando il palmo di fronte a sé per fermare gli spari.
«Capitano sono troppi! Abbiamo l’intera città contro, dobbiamo trovare Killer e andare via da qui!» suggerì ragionevole Wire, tra un colpo di tridente e l’altro ai nuovi arrivati.
«Ha ragione, è meglio tornare alla nave dagli altri Capitano! Se restiamo ancora sarà sempre peggio!» insistette Heat e Kidd si limitò a serrare per un momento i denti sino a sentirli far male, infilzando un’ondata di coraggiosi con spade e coltelli abbandonati ai suoi piedi.
Se non fossero stati i suoi uomini e la situazione così di merda probabilmente avrebbe infilzato anche loro per ciò che gli era uscito di bocca rimproverandoli di codardia, ma sapeva valutare anche lui lo stato delle cose e di quel passo, dovendosi scontrare con tutta quella gente, era difficile che riuscissero anche solo a muoversi da dov’erano. Bisognava mettere da parte l’orgoglio e voltar loro le spalle, imboccando magari le gallerie per trovare un pass tramite cui tornare al freddo di Sanko nell’attesa che Killer tornasse con quel verme infilzato in una falce. Kidd però non aveva alcuna intenzione di girarsi e andar via, era una questione di principio e non era disposto a permettere che la trappola pusillanime che gli era stata tesa funzionasse neppure in parte.
«A costo di distruggere tutto non me ne andrò da qui senza la testa di quel fottuto codardo!» ringhiò inferocito, allargando le braccia in un rilascio improvviso del proprio magnetismo.
L’onda durto e le armi volate ovunque in maniera incontrollata crearono per un po’ il vuoto. Centinaia di corpi gli si mostrarono immobili per com’erano tra gli sbuffi del geyser in piena attività e la ferraglia ormai accartocciata sparsa dappertutto, riuscì a riprendere fiato accanto a Wire ed Heat piegati dalla stanchezza, ma il momento terminò presto e altri sbucarono da chissà dove per andargli contro. Con un’imprecazione pronta ad uscirgli di bocca, li vide tuttavia fermarsi ad una decina di metri di distanza bisbigliando tra loro per poi separarsi a metà, lasciando oltrepassare solo due figure.
«Quattrocentosettanta milioni di berry. Eustass Capitano Kidd dal Mare Meridionale, pass d’accesso numero quattro, danni arrecati a due livelli della città per un ammontare di settecentonovantacinque milioni di berry lordi da risarcire.» calcolò uno dei due dal basso del proprio metro e cinquanta scarso, battendo pedante la penna su un taccuino.
Piccolo, tozzo e rotondo nel completo elegante da contabile, aveva l’aspetto di un nano da giardino rimasto per troppo tempo sotto la pioggia ingrigito com’era dall’età avanzata. Accanto a lui, un ragazzo che Kidd avrebbe potuto indovinare suo coetaneo, dall’enorme cappello bianco a forma di fungo dal quale sfuggiva il ciuffo ribelle biondo, lo squadrava in silenzio con occhi assonnati e le mani inforcate nelle tasche della tunica a righe.
«Chi cazzo sareste?» s’informò seccato, fiutando qualcosa di troppo nell’improvvisa calma con cui si erano fatti avanti e nell’atmosfera che pareva circondarli.
Il nano grigio dondolò sulla punta dei piedi a quella domanda e la sua penna smise di tamburellare sul taccuino per sollevarsi a mezz’aria con fare solenne nell’indicare il giovane e sé stesso.
«Hai l’onore di parlare con François Servais, chiamato da tutti “il Mediatore” e con il suo umile aiutante, Sold.» presentò cerimonioso, rivolgendo un piccolo inchino al proprio accompagnatore che non batté ciglio.
Per un momento Kidd osservò la scena in silenzio, chiedendosi se si trattasse di una pantomima per tenerlo occupato data l’accozzaglia che erano quei due insieme e il dubbio che ancora persisteva nella sua mente pur dopo la presentazione, ma non fece in tempo a mandarli vocalmente a fottersi che Wire si sporse verso di lui.
«Ho sentito parlare di questo Servais dagli uomini che mi hanno dato le informazioni Capitano, pare sia il padrone di questo posto. Rispondono tutti ai suoi ordini.» riportò sibillino scrutandolo e Kidd gli rivolse di sfuggita un’occhiata per chiedergli tacitamente se ora fosse lui a prenderlo per i fondelli.
Non che avesse pregiudizi di qualsiasi sorta su ciò che qualcuno della sua stessa età potesse ottenere, ma quel tipo… considerato ciò che era Down Under, ossia il tripudio d’ogni genere di traffico illecito, era altamente improbabile che quel biondino dalla faccia pulita battesse cassa su migliaia di esponenti della malavita mondiale.
«Io gestisco Down Under per conto del Dio della Fortuna, nella speranza che prosperi e continui ad arricchire chi vi abita, non lo possiedo.» precisò captando le parole di Wire il diretto interessato, in tono placido e inamovibile che a Kidd fece saltare i nervi senza dover attendere oltre.
La sua testa non voleva abboccare all’amo ingannata dall’aspetto tutto fuorché minaccioso, eppure l’istinto lo aveva messo in allerta non appena quei due erano emersi dalla folla con passo calmo neppure lì si fosse tenuta una gara di cricket e non una mezza guerra. Quel ragazzo poi pareva l’incarnazione della serenità, sebbene gli stesse di fronte, circondato da centinaia di corpi ed armi dei suoi stessi concittadini, il ché per Kidd voleva dire solo due cose: o era un’idiota capitato là in mezzo senza accorgersene o era certo di non doversi preoccupare e quell’ultima opzione gli piaceva meno della prima.
«Chiacchiere… hai dato tu l’autorizzazione a Basque di attaccarmi qui dentro, dove non avrei dovuto muovere un dito per le vostre fottutissime regole… o forse erano solo stronzate per catturarmi più facilmente.» sospettò roco, cedendo all’idea d’aver davanti il tanto famoso Mediatore di Down Under.
Per la prima volta da quando era saltato fuori dalla folla, Servais mutò la propria espressione placida e un’ombra di fastidio lo attraversò fulminea rendendo l’aria attorno a loro d’improvviso pesante.
«Le regole sono legge qui Capitano Kidd. Vanno rispettate.» sentenziò inamovibile, trapassandolo con lo sguardo prima di abbassarlo sul proprio aiutante quando lo vide serrare i pugni «… ad ogni modo chi sarebbe quest’uomo di mezzo, Basque?» chiese nuovamente apatico, tirando fuori le mani dalla tunica per portarle dietro la schiena.
L’omino ai suoi piedi scattò prontamente sull’attenti nel dover dare ragguagli e la sua penna tornò a battere sul taccuino con nervosismo, cercando tra i fogli qualcosa prima di mostrarglielo issandolo sulla testa grigia.
«Il trafficante di schiavi di Redunda. È stato condannato a morte dieci anni fa, ma l’esecuzione non è avvenuta per l’intervento di Nau El Pilar, alleato dell’Imperatrice Charlotte Linlin, detta Big Mom nota amica del Dio della Fortuna.» riferì impeccabile, mentre Servais osservava con disinteresse gli appunti.
Quando dopo aver valutato quegli scarabocchi decise di tornare a voltarsi tra la quiete pesante, interrotta solo dagli sbuffi del geyser, il suo volto continuava a non esprimere nulla, quasi fosse al di sopra di tutta quella storia ed incapace d’ogni genere di trasporto emotivo.
«Bene… giacché il vincolo di protezione non è stato rinnovato dopo la morte di Nau El Pilar, la condanna è di nuovo attiva. Per quanto riguarda te Capitano Kidd, possiamo trattare sui termini della tua libera uscita da Down Under insieme agli uomini che ti hanno accompagnato.» deliberò ufficiale e la massa inferocita che era rimasta in disparte mise giù le armi alle sue parole con ritrovata calma.
Lo stesso stato d’animo tuttavia non si innescò in Kidd, che tutto fuorché intenzionato a scendere a patti con chi aveva collaborato seppur in parte all’imboscata ai suoi danni finì per serrare la mascella sino a far stridere i denti tra loro. Mentre una piccola porzione di folla si allontanava borbottando con l’assoluta certezza che Servais avrebbe risolto come sempre e Sold, quel nano ammuffito, era già pronto con la penna a mezz’aria per redigere un contratto ufficiale o chissà quale altra stronzata, Kidd scrocchiò il collo muscoloso e l’aria attorno alla sua figura divenne elettrica quasi a vista d’occhio.
«Voglio la testa di quel verme. Delle tue chiacchiere da negoziatore non me ne faccio un cazzo.» rifiutò con le tempie che pulsavano e le spalle tese, spingendo chi aveva provato ad allontanarsi a voltarsi indietro per lo shock.
Forse quei patteggiamenti avevano sempre funzionato con tutta la feccia in cui s’era imbattuto quello spaccone d’un biondino, ma con lui valevano meno di niente. Non avrebbero avviato alcuna trattativa perché non c’era proprio nulla per cui trattare: Kidd pretendeva d’avere tra le mani quel maledetto bastardo di Basque, voleva vederlo crepare davanti ai propri occhi come quel pusillanime non aveva avuto il coraggio di fare con lui e non ci sarebbe stato nient’altro che avrebbe potuto sostituirlo. Tutto ciò che desiderava e ancora non possedeva lo avrebbe ottenuto con le proprie forze, sudando sangue con la certezza alla fine d’averlo meritato non scambiato con mediatore dall’aria apatica.
Un silenzio greve tagliò il primo livello e davanti al suo rifiuto, benché il resto degli spettatori fosse senza parole – compreso il suo aiutante nano cui era caduto il taccuino –, Servais si limitò solo a sollevare un sopracciglio mantenendo la propria invidiabile freddezza.
«Lui non è qui, non ha il permesso d’entrare in quanto condannato a morte. Hai sprecato energie temo e guadagnato un debito che sei invitato ad enstinguere per poter continuare la tua ricerca altrove.» chiarì pacato, ma a Kidd suonò piuttosto come una minaccia in piena regola.
Se era convinto che non sarebbe stato in grado d’uscire da quel buco con i suoi uomini solo perché non aveva trattato con lui nessun termine di resa si sbagliava di grosso. Poteva andarsene in qualsiasi momento, semplicemente se non lo aveva ancora fatto era perché a mani vuote.
«Ti aspetti che io ti ripaghi per quello che è successo qui dentro? … mi sembra giusto. Genocide Raid.» ordinò gracchiante, puntando di scatto Servais con una mano per toglierlo dalla propria strada e dare a tutti una lezione definitiva su cosa comportasse stargli tra i piedi raccontando stronzate.
Un urlo comune di sorpresa per la fine della tregua momentanea si innalzò dalla folla e mentre i più reattivi imbracciavano nuovamente le proprie armi, un vortice di quelle abbandonate al suolo dai cadaveri avvolse il mediatore di Down Under, facendolo sparire tra il cozzare del metallo sotto lo sguardo allarmato del suo piccolo aiutante. Repentino e affatto clemente Kidd restrinse il campo d’azione nel quale il suo potere stava agendo finché le lame non presero a scontrarsi e volare via insieme a centinaia di schegge impazzite, maciullando il povero sfortunato che vi stava in mezzo. Quando il frastuomo letale terminò, facendo ricadere una dopo l’altra al suolo le armi, Kidd non accennò tuttavia ad abbozzare un ghigno di soddisfazione com’erano stati sul punto di fare Heat e Wire alle sue spalle. La mancanza di gemiti di dolore o della minima opposizione naturale al suono del suo attacco data da un corpo finitoci nel mezzo lo aveva già messo in guardia, sebbene non si fosse aspettato certo di vedere, come stava accadendo invece, la figura di Servais fluttuare lì dove se n’era rimasto.
«Sono un uomo ragionevole Capitano Kidd e comprendo la tua rabbia, ma in ogni mediazione è necessario rispettare le parti affinché vada a buon fine, non provare ad ucciderle.» puntualizzò con tono di rimprovero, mentre il suo corpo tornava lentamente a riprendere consistenza all’addensarsi del vapore di cui era fatto.
«È un rogia Capitano…» avvertì Heat, mettendosi sulla difensiva e Kidd esplose in un sorriso affatto rassicurante fissando l’ostacolo che gli si parava davanti etereo.
Il potere d’evaporare all’interno d’un geyser, ecco perché il bastardo aveva fatto carriera tanto in fretta.


Madame Faraouki le servì una tazza di tè al gelsomino che avrebbe dovuto scaldarla e l’uomo buffo della sera precedente, Sanai, s’offrì d’aggiungervi un goccio di liquore per ridarle la carica necessaria a compensare il presunto trauma per la ferita, ma per una volta Aya non si curò delle buone maniere ignorandoli. Le loro voci, insieme al chiasso dell’attività al Karyukai, le giungevano ovattate e distanti, mentre fissava in silenzio il volto di Shizaru, bloccato su di una sedia cui Law s’era premurato d’unirlo in una grottesca creazione per evitare fughe. Non lo avrebbe fatto in ogni caso, per lui era un traguardo starsene lì a tormentarla con la sua sola presenza, ma Aya non aveva opposto resistenza. A dirla tutta, provava una certa soddisfazione nel vederlo ridotto in quello stato.
«Sicura di stare bene? Possiamo far chiamare un medico…» suggerì preoccupata Celya, osservando la fasciatura che aveva all’avambraccio sebbene le macchie che vi facevano mostra fossero di sangue ormai rappreso.
«Ho già il mio personale, non datevi altro disturbo.» mormorò distratta, mentre accanto a lei Law, ancora armato di kikoku, la sbirciava con disappunto per la battuta.
«Non dirlo neppure. Non so proprio cosa stia succedendo in città! Cacciatori di taglie che non rispettano il regolamento, il secondo livello distrutto e al primo sembra scoppiata una guerra! Manca solo che s’infiltri la Marina e la catastrofe è completa!» la sentì lamentare e le scappò un sorriso d’ironica intolleranza per quella che non era più una previsione da un pò.
Vide Shizaru dalla propria postazione sollevare appena lo sguardo rotondo e nell’incrociarlo assottigliò il proprio, in una velata minaccia che non sfuggì al resto dei presenti fino ad allora ignari di chi fosse l’uomo che avevano trascinato di peso dentro l’emporio per poi mescolarne le parti del corpo. Il pappagallino di Madame Faraouki trillò per primo un “allarme!” di richiamo che la donna accolse scuotendo la titanica acconciatura, mentre Celya strabuzzava gli occhi per un attimo incapace di una delle sue reazioni sempre drastiche.
Non aveva avuto idea di quali fossero le regole di Down Under per più tempo di quanto avrebbe dovuto, ma adesso comprendeva perfettamente il peso di quella scoperta e cosa avrebbe potuto comportare, in particolare per quell’uomo dalla faccia da scimmia che si ostinava a mantenere un’aria tanto innocente davanti a lei.
«È un marines? Questo sì che è un guaio… bisogna avvisare Servais e i controllori prima di finire accusati.» stabilì con sangue freddo Sanai, aggrottando la fronte nel guardarlo come ne avesse appena soppesato la pericolosità.
«Ah! Sapevo che non avresti portato nulla di buono, tu brutto vecchio accattone!» lo insultò di slancio Madame Faraouki per il nervosismo, ma lui si limitò solo a roteare lo sguardo senza voltarsi.
«Per una volta, rugosa bugiarda approfittatrice, preoccupiamoci del vero problema piuttosto che intrattenerci in sciocchezze nell’attesa di ricevere visite. Servais al momento è impegnato con quel pirata al secondo livello, ma scoprirà presto della Marina e queste sono il genere di sorprese che non gradisce, te lo assicuro.» le rammentò serio, buttando giù un sorso del liquore che avrebbe dovuto servire ad Aya per schiarirsi la gola.
La prospettiva di poter venire spacciata per una traditrice e dover trattare con l’uomo che tutti chiamavano “Il Mediatore” rese il volto di Madame Faraouki più pallido di quanto il trucco non fosse riuscito ad ottenere e per una volta decise di trattenere per sé gli improperi contro la sua fiamma di gioventù. Non era difficile immaginare quanto grave fosse la situazione e quanto potesse addirittura peggiorare in breve tempo, ma considerando l’assoluta incapacità di quel marines di comprendere concetti basilari quali lo stare alla larga o sparire, Aya si sarebbe perfino stupita del vederlo drizzarsi sulla sua metà in legno di corpo con preoccupazione se non le si fosse rivoltato invece lo stomaco per la rabbia com’era accaduto.
«Non sono più un marines! La Signorina non c’entra, non devono prendersela con lei-» provò a spiegare nel tentativo di difenderla in anticipo, facendola scoppiare prima che avesse persino potuto terminare.
«Chi ti ha dato il permesso di parlare? Tu non apri bocca se non te lo dico e soprattutto non osare farlo per me.» lo troncò lapidaria con una tale improvvisa severità da attirarsi gli sguardi del resto dei presenti.
Tramortito dalla sua reazione improvvisa, Shizaru la fissò in silenzio finché lo stupore non svanì e il peso della colpa gli fece abbassare gli occhi sul pavimento del Karyukai come avrebbe fatto altrimenti con qualsiasi altro Drago Celeste. Affatto intenzionata ad ammorbidirsi o mostrarsi accondiscendente in quell’occasione, Aya mise definitivamente da parte la propria pazienza ed ignorando lo sguardo di silenzioso dubbio di Law serrò i pugni.
Comportarsi a quel modo era ciò che non avrebbe mai voluto, aveva promesso anni addietro a sé stessa di non diventare ciò che la sua famiglia e Marijoa pretendevano fosse, ma se per farsi ascoltare era necessario che vestisse gli abiti del Nobile mondiale allora lo avrebbe fatto. La stanchezza ormai era troppa perché non vincesse sul resto, sui suoi buoni propositi tanto calpestati persino da chi ne avrebbe dovuto essere garante.
«Ti ho chiesto di lasciarmi in pace, te l’ho ordinato. A Serranilla ho accettato aiutassi me e la ciurma di Kidd a patto di non vederti mai più: “una volta soltanto” sei stato tu a stabilirlo, eppure sei ancora qui davanti a me. Perché sei ancora davanti a me quando ero stata chiara nel non volerti più incontrare?!» pretese di sapere greve, avvertendo le mani formicolare per il desiderio di prenderlo a pugni.
Schiacciato dall’occhiata gelida che gli veniva rivolta, Shizaru persistette a non rialzare il capo segnato sulla tempia destra dallo scontro al mercato, ma non nascose la propria frustrazione, scuotendolo afflitto quando il silenzio che seguì quella domanda lo incoraggiò nuovamente a parlare.
«Perché lei non se ne preoccupa sul serio… il Governo non le lascerà fare ciò che vuole, manderanno altri al posto dei miei fratelli, la CP0 forse. È in pericolo, deve rendersene conto… non può continuare così.» lamentò angosciato, sembrando alle orecchie di Aya un disco rotto che la perseguitava.
Sarebbe stato comico a sentirsi che proprio un Drago Celeste non potesse permettersi di fare ciò che più gli andava per colpa del Governo e dovesse persino allarmarsi per l’eventuale entrata in scena dell’Agis, ma di esilarante c’era davvero ben poco in quella storia. Nessuno, per quanto ne sapesse, le aveva mai chiesto cosa volesse essere, la pena di portare sulle spalle il fregio dei Tenryuubito le era stato imposto alla nascita e dopo esserne stata schiacciata per anni non avrebbe tollerato che coloro i quali ne erano stati artefici glielo strappassero per spingerla sulla forca da bugiarda e pezzente.
«La CP0 risponde ai Nobili mondiali e si dà il caso che anche da presunta morta io lo sia. Non possono mandarli da me, lo sanno benissimo e non lo faranno, ma semmai dovesse presentarsi l’occasione non riguarderebbe te.» puntualizzò gelida, tagliandolo fuori da quella battaglia con Marijoa senza possibilità di trattare.
Presa dalla rabbia del momento non badò più di tanto a chi le fosse attorno e cosa non sospettasse, strappando a Madame Faraouki un urlo di stupore che minacciò di farle crollare l’acconciatura saldissima, ma riuscì tuttavia nell’impresa d’attirare l’attenzione di un paio di clienti.
«Un Drago Celeste? Oh dei, un Drago Celeste al Karyukai! Celya-ah! Perché non ne sapevo nulla?!» bisbigliò agitata, affondando d’istinto le unghie laccate sull’avambraccio di un Sanai che cercava di allontanare gli sguardi indiscreti con inaspettata prontezza.
Celya dal canto suo per un lungo momento la ignorò, per voltarsi incredula alla ricerca piuttosto di una spiegazione qualsiasi che però non ottenne se non come ammissione di colpa, in una veloce occhiata di scuse. Con insperata disinvoltura tuttavia tanto dovette bastarle e Aya le fu mentalmente grata quando la vide riprendere il controllo della situazione, calmando la donna con un gesto della mano.
«Non era il caso di farne una questione di stato Madame, il Karyukai è sempre pronto a ricevere ogni genere d’ospite. A volte la discrezione è tutto quello di cui ci si deve occupare quando si ha il resto.» mentì saputa.
L’impresa di far cadere il discorso le sarebbe riuscita alla perfezione senonché ad interrompere il silenzio che altrimenti stava per crearsi non tornò ad intromettersi Shizaru, sordo a quanto Aya si fosse già esposta e determinato a non mollare la presa sebbene non gli fosse stato concesso alcun margine di trattativa.
«Signorina io voglio solo aiutarla, la prego…» cominciò cocciuto a capo chino, riportando su di sé l’attenzione.
Esausta Aya socchiuse gli occhi per impedirsi di rompergli i denti lì dov’era e ficcargli una volta per tutte quel concetto in testa, dato che era certa ricorrere alle maniere dure non sarebbe servito a molto se non lo fossero state abbastanza da toglierlo di mezzo per sempre.
«Lo hai fatto, adesso basta.» stabilì secca, ma lo vide comunque tornare a scuotere la zazzera scarmigliata.
«No, abbiamo solo peggiorato le cose. Lei è una minaccia reale adesso, lo hanno visto e non ammetteranno altri errori. Faranno tutto ciò che è in loro potere per fermarla dopo Serranilla affinché lei non si unisca al mappo che minacciano pirati e rivoluzionari-» continuò tenace e per Aya fu davvero troppo.
Le mani le fremevano per il desiderio di sfogare la rabbia e la testa minacciava ad ogni parola in più di scoppiarle, dandole scariche esasperanti che unite al malcontento avevano seppellito del tutto la sua proverbiale ed allenata pazienza in una fossa da cui forse non sarebbe più riemersa se non dopo che quell’incubo umano non fosse sparito dalla sua vista definitivamente. Distrutta sentì la collera montare dentro come un fiume in piena e non volle più arginarla, lasciando che prendesse il controllo, mentre si sollevava dalla propria seduta.
«Sono stanca delle tue storie e sono stanca di te! Ti ho avvertito, ma non hai voluto ascoltare. Celya portaci da questo Servais. Non voglio più vederlo.» ordinò greve, mettendo già in pratica la propria volontà.
Aveva ricambiato la premura di Shizaru salvandolo dalla morte sicura nel pieno dello scontro con Kidd, ne aveva avuto pena, era stata tollerante e grata più di quanto avrebbe mai creduto lei stessa, ma quello sarebbe stato troppo davvero per chiunque e Aya non aveva più alcuna voglia, né la forza, di ascoltare quanto il Governo e Marijoa sapessero essere marci. Soprattutto non per bocca d’un marines che l’aveva catturata, quasi riportata nella sua prigione e non aveva la benché minima idea di quanto impossibile le sembrasse ancora mandar giù l’idea d’aver messo in pericolo Kidd e la sua ciurma per causa propria. Aveva terminato gli avvertimenti, adesso avrebbe fatto in modo d’ottenere la sua tanto agognata serenità ad ogni costo.
Sebbene la minaccia fosse piombata attorno al loro piccolo gruppetto simile ad un macigno, facendole meritare delle occhiate silenziose da parte di Law e Sanai, oltre che il muto assenso di Celya, Shizaru parve riscuotersi dal torpore remissivo nel quale lo aveva costretto. Arrabbiato, per la prima volta davanti a lei, sollevò di getto il capo puntandola e riuscendo persino a trascinarsi nella sua direzione in bilico sulle sue quattro gambe di legno.
«La smetta d’essere cocciuta! Deve darmi retta, deve permettermi di aiutarla!» urlò indignato e nell’istante stesso nel quale Aya tornò a girarsi per guardarlo, Law aveva già allungato la propria nodachi sul suo collo.
«Ti consiglio di calmarti, sempre che tu non abbia altre parti del corpo di cui faresti volentieri a meno.» lo quietò minaccioso, trafiggendolo con le iridi grigie prima ancora che con la spada per quello slancio di troppo.
Con il fiato corto per la tensione e la bocca serrata, Shizaru lo fissò dal basso della propria posizione per un lungo momento prima di tornare a poggiare la schiena alla seduta con il volto scuro. I suoi occhi vagarono sul vuoto delle gambe e nel distacco di quel gesto diede l’impressione di star rivivendo un ricordo lontano e affatto piacevole, piuttosto che di valutare il da farsi. Quando rialzò il capo il suo volto non era più sfigurato dalla rabbia e Aya, persino congelata nel suo risentimento, vi lesse quasi della tenerezza amara.
«Quella donna, la sua… schiava… l’ha affidata a me, l’ho capito troppo tardi.» raccontò dispiaciuto con voce rotta, guardandola.
Un brivido, inclemente ed improvviso, le attraversò la schiena serrandole il petto in una morsa e il fiato le si spezzò nella gola nell’udire rievocare Ko, irrigidendola più di quanto già non fosse. Il sussulto che la scosse da capo a piedi non dovette sfuggire a nessuno degli altri, ma soltanto Law tra tutti comprese quanto doloroso potesse esser stato per lei e la sua presa sulla kikoku si fece d’istinto più salda.
«Sta molto attento.» avvisò strascicato in una minaccia persino peggiore della precedente, ma per cui Shizaru sta volta si limitò solo a serrare la mandibola squadrata nel percepire la lama sulla pelle.
Trafalgar condivideva con lei l’esperienza della perdita d’una persona cui dovere tutto, sapeva quanto potesse significare il semplice ricordo, quel marines invece non avrebbe dovuto conoscere nulla della sua vita passata, crederla solo lusso incontrollato e necessario, eppure aveva appena toccato l’unico tasto dolente per cui Aya era disposta a voltarsi indietro ancora dopo tre lunghi anni. Non si sarebbe dovuta fidare di quell’esca lanciatale contro, lo sapeva bene, ma la memoria di Ko non l’avrebbe mai abbandonata e nelle notti in cui si sentiva fuori posto la sua immagine stesa sull’erba di Sabaoudy la tormentava ancora. La curiosità l’avrebbe distrutta, Kidd glielo aveva rimproverato spesso e mai come in quel momento Aya si era sentita di dargli ragione.
«Cosa hai detto?» domandò, cercando di controllare il groppo che aveva in gola.
Law le rivolse un’occhiata silenziosa, forse per richiamarla al controllo che aveva perso d’un colpo e renderla sorda a ciò che avrebbe potuto farle solo più male, ma nel vederla avvicinarsi ostinata a Shizaru non si frappose oltre, inclinando la nodachi affinché l’altro potesse parlare liberamente.
«Una vita salvata ha bisogno di cure, così mi ha detto quel giorno… ho un debito con quella donna per non aver fatto in tempo, per non essermi comportato secondo giustizia… ora però sono pronto a rimediare, la supplico… mi permetta di fare ciò che non ha potuto completare lei.» implorò con serio rammarico e Aya sentì gli occhi pizzicare per le lacrime che premevano per uscire.
«Tu l’hai conosciuta.» mormorò, mordicchiandosi il labbro inferiore con insistenza nella speranza di potersi trattenere come faceva da piccola, ma per ciò che le raccontò poco dopo Shizaru non le sarebbe stato sufficiente neppure una pugnalata in pieno stomaco.
«L’ho interrogata quando lei è scomparsa all’arcipelago Sabaody, pensavano tutti fosse stata opera sua per conto dei rivoluzionari. Non ha parlato molto, quasi per niente a dir la verità, ma le voleva bene… la chiamava “la mia bambina”. Non ho mai visto nessuno… schiavo… dimostrare tanto affetto verso un Drago Celeste, ho creduto per molto tempo che non fosse in sé.» rammentò con una smorfia amareggiata cui Aya dedicò il medesimo disinteresse diretto a tutto ciò che ormai la circondava.
Per lei fu di nuovo come ritrovarsi il giornale nel quale aveva letto della sua morte tra le mani e la mente si staccò dal corpo rigido e freddo per rievocare i giorni in cui Ko era entrata nella sua vita. La rivide ancora in forze, dritta sulle gambe che poi le catene avrebbero segnato e con un sorriso intenerito far capolino dal letto dietro cui lei s’era nascosta per consolarla da una brutta caduta che Aya aveva goffamente provato a curare da sola e la vide urlarle contro sino a piangere, quando la solitudine l’aveva spinta a chiamarla “mamma” in mancanza della sua vera madre. A capo chino e con i denti stretti attorno al labbro, ebbe l’impressione che il pavimento del Karyukai stesse per inghiottirla e la voce di Celya, allarmata, non la raggiunse neppure. Qualcun altro s’aggiunse ai richiami nel vederla tanto rigida, forse Shizaru barcollante sulla sua metà di corpo provvisoria o Sanai alzatosi con fare paterno, non avrebbe saputo dirlo né in realtà le importava scoprirlo. Solo quando una mano le si poggiò alla spalla per scuoterla, riprese fiato di colpo sentendo il petto stringersi come perforato dall’aria stessa e le sue gambe si mossero da sole una volta ancora.
«Signorina si fermi! Signorina! La prego! Non se ne vada!» le urlò dietro Shizaru, crollando al suolo nel tentativo d’inseguirla.
«Per quanto mi piacerebbe vederti strisciarle dietro, hai già fatto abbastanza! Muoviti e ti stacco la testa!» lo avvertì lontana Celya, piantandogli un tacco sulla schiena per tenerlo fermo.
Ignorando il trambusto che si era appena creato per la sua fuga, continuò ad allontanarsi con la sensazione che qualcuno le stesse strappando a mani nude ogni brandello del corpo e sparì senza badare alla direzione, perdendosi nel dedalo che era Down Under pur di trovare un angolo nel quale sentirsi almeno un po’ in pace.


Sulla soglia dell’enorme abitazione, con un piede ancora all’interno e l’altro alla luce del sole, sua madre assunse d’un colpo il medesimo pallore delle pareti di casa vedendola sbucare di sorpresa da dietro un pilastro del patio e ficcare la testa nella carrozzina. Sprofondata in quel tripudio allucinogeno di rosa, pizzi e merletti, la sua nuova sorellina non aprì neppure gli occhietti rotondi per guardarla, immersa com’era nel proprio riposino, ma Aya fu comunque percorsa da un brivido d’eccitazione avendola a portata di mano. L’avevano chiamata Hana, perché le fosse di buon auspicio e perché la sua pelle era soffice come petali di ciliegio appena sbocciati.
«Per l’amor del cielo sei coperta di terra!» le strepitò contro sua madre, scattando non appena il suo dito aveva accennato a posarsi sulla guancia paffuta dell’altra bambina con l’intento d’una affettuosa carezza.
Con una fogliolina tra le ciocche ribelli e il volto imbrattato, Aya non se ne curò affatto neanche quella fosse una bugia e non una costatazione, insistendo nell’ammirare l’esserino che presto le avrebbe finalmente tenuto compagnia e con cui avrebbe potuto condividere ogni cosa.
Ci sarebbero state l’una per l’altra e nessuna di loro si sarebbe mai sentita sola al mondo finché l’altra c’era, avrebbero fatto tutto insieme. Forte della tenacia e della saggezza dei suoi pochi anni, Aya si era promessa d’essere una brava sorella maggiore, di aiutarla, incoraggiarla e starle accanto senza invidie o gelosie. Cominciando da quel preciso istante nel quale Hana aveva gloriosamente abbandonato il tempio che era la camera in cui era nata per vedere per la prima volta il mondo che la circondava.
«Ho sistemato il giardino per giocarci con Hana!» trillò euforica, dondolando sulle punte delle scarpe lerce.
A lei piaceva il mondo, le sue stranezze e meraviglie nascoste oltre i cancelli di Marijoa, l’immensa distesa d’acqua che chiamavano Grande Blu e gli isolotti che vi stavano sperduti in mezzo tutti con un nome diverso d’altro ed abitudini opposte. Nessuno glielo aveva mostrato quando era nata, nessuno che potesse capire cosa doveva provare una bambina tanto piccola almeno, i suoi genitori erano già adulti, ma per Hana ci sarebbe stata lei. Era tutto pronto nel fortino in giardino che aveva costruito per loro due, prima avrebbero parlato dei luoghi più bizzarri, le avrebbe fatto ammirare alcune delle immagini che custodiva come tesori e quando Hana avrebbe scelto il suo preferito, lei ce l’avrebbe accompagnata cosicché i suoi occhi vedessero realizzato il suo primo sogno e non il baccano civettuolo dei Nobili di Marijoa.
«Oggi farà la sua prima passeggiata in città, non dire sciocchezze! Non permetteremo mai che stia qui a rotolarsi sull’erba! Spostati o le verrà una malattia per causa tua e datti una sistemata prima del nostro ritorno!» berciò inorridita sua madre, frantumando ogni suo piano in un abile colpo ben assestato.
Aya però era determinata ad essere testarda in quella particolare circostanza, per il bene e la felicità di sua sorella Hana che purtroppo da adulti i suoi genitori non capivano affatto.
«Vengo anch’io allora! Le faccio vedere il canale!» annunciò decisa, stabilendo dati gli impedimenti di mostrarle l’unico luogo di Marijoa che lei amava, ma questa volta fu suo padre ad opporsi e la veemenza con cui anticipò persino sua madre la ammutolì.
In quanto bambina di quasi quattro anni e figlia volenterosa, Aya digeriva ancora malvolentieri rimproveri ed insulti – su cui da adulta sarebbe poi passata sopra – specie se a farli era suo padre che non si spendeva in commenti con la medesima assiduità isterica di sua madre, per cui le fu sufficiente quello insieme al carico di vergogna per il proprio comportamento a farla vacillare.
«Sei impazzita forse?! Sarebbe intollerabile che tu andassi in giro conciata così, sembri una mendicante e togli le mani dalla carrozzina! Non capisco proprio cosa ti passi per la testa!» tuonò imperioso, scostandola con un colpo di bastone da passeggio per avviarsi insieme a moglie e figlia lungo l’acciottolato del giardino.
«È sempre peggio, sta diventando più ingestibile ogni giorno che passa. Dobbiamo controllare che non si avvicini troppo ad Hana, è delicata.» gli diede manforte sua madre con teatrale accoramento, uscendo in strada con il suo abito a strascico e il cappello a cuffietta.
Quelle ultime parole furono per Aya come un macigno e ad occhi sgranati li fissò in silenzio sparire tra le vie, sentendo un groppo salirle in gola per la tristezza e lo sconforto.
Aveva programmato tutto, si era riempita di buoni propositi per un futuro che dopo la nascita di Hana le era parso di colpo entusiasmante e non più noioso e pesante con le sue incombenze per il buon nome della famiglia, ma con un fortino e un abito lercio era svanita ogni cosa. I suoi genitori l’avrebbero tenuta lontana da sua sorella per paura che la cacciasse in un guaio o le desse il cattivo esempio e già sapeva che sarebbe stato impossibile far cambiar loro idea. Non avrebbero permesso che anche Hana diventasse “ingestibile” come lei e senza porterle star vicino nel modo in cui s’era promessa di fare, non sarebbero mai state una cosa sola.
Si passò una mano sugli occhi che pizzicavano in silenzio e diede le spalle al giardino, abbandonando quella che sino a quel momento prima l’era parsa una magnifica costruzione per avviarsi in camera propria. Ko, curva sulla scala che conduceva al piano superiore mollò lo straccio con cui stava pulendo nel vederla trascinare i piedi in silenzio e sollevò ribelle lo sguardo su di lei.
«Hime-sama vuole che le prepari il bagno?» domandò gentile anticipandola dopo aver assistito da lontano.
Per un secondo Aya la guardò e basta, impassibile nel trattenere per sé lo sconforto che nessuno in quella gigantesca casa piena di gente si curava di notare insieme a tutto il resto, ma Ko era la persona più buona che avesse mai conosciuto e sapeva di potersi aggrappare a lei anche solo per un istante. Annuì muta a quell’offerta e la donna si drizzò subito, passando le mani sul grembiule sgualcito che indossava prima di invitarla a salire. Insieme superarono la scalinata per addentrarsi in mezzo al dedalo di corridoi della villa, dirette all’ala che le era stata riservata e che solo in quel preciso istante Aya si rese conto trovarsi dalla parte opposta a quella di Hana. Tirò a vuoto su con il naso, camminando a capo chino con insolito interesse verso le proprie scarpe sporche finché giunte nella sua camera, dietro di lei Ko non decise di interrompere il silenzio per rincuorarla.
«Sua sorella è ancora piccola, ha bisogno di molte cure ed attenzioni. Deve essere paziente… ma l’idea della casa in giardino era meravigliosa!» la lodò cominciando a sistemare la vasca, mentre lei era già arrampicata alla finestra da cui Marijoa sembrava solo un mucchio d’edifici non poi così maestosi.
Sapeva che Hana era delicata, le gambe non la reggevano, le braccina si muovevano a casaccio e non aveva neppure i denti. Era incapace di fare qualsiasi cosa e lo sarebbe stata per un po’, Aya non era certa di quanto ci sarebbe voluto, ma non s’era curata perché aveva dato per scontato d’aiutarla e fare tutto al posto suo, momentaneamente. Non voleva farle male o provocarle un malanno, la sua intenzione era stata tutt’altra e per quella precisa ragione dopo colazione si era improvvisata costruttore per realizzare il loro personale fortino da cui tutto sarebbe cominciato. I suoi genitori però non avevano capito, forse non lo avrebbero mai capito.
«Se me lo permette dormirei volentieri lì stanotte, sembrava molto accogliente.» insistette Ko, finendo di versare i sali da bagno nell’acqua da cui si innalzava già un placido vapore.
«La butteranno via.» borbottò Aya, imponendosi di non prestare più alcuna attenzione al frutto delle sue fatiche infantili.
Imbronciata non s’accorse di Ko, giunta alle sue spalle, né della mano che le fece scivolare tra i capelli in una carezza, mentre la privava della tenace fogliolina impiantatasi stabilmente tra i riccioli.
«Naru you ni naru sa, ne farà una più bella la prossima volta. L’acqua è pronta.» previde convinta, rivolgendole un sorriso affettuoso che Aya ammirò incantata, sentendo d’un colpo la tristezza dissolversi nel petto per quel gesto che di rado le era stato rivolto.
Imbambolata, con le gote appena arrossate per la gratitudine, si lasciò tirar giù dalla propria amata poltrona ed immergere sino al naso nell’acqua piacevolmente calda. Per dei lunghi momenti che le parvero meravigliosi si beò delle coccole di Ko, intenta a strofinare ogni centimetro del suo corpo per riportare alla luce il candore della pelle e la sbirciò tra le ciocche cadute sul viso e la schiuma dei sali profumati.
Sua madre non le aveva mai fatto il bagno né le aveva mai sorriso a quel modo, eppure sapeva per qualche strano istinto che una mamma avrebbe dovuto fare quelle e milioni di altre cose che invece Ko era l’unica a fare. Così, sebbene sapesse che la realtà era tutt’altra, che lei era un Drago Celeste per nascita e Ko un aiutante arrivata solo sei mesi prima, per una ugualmente strana e genuina logica, Aya aprì bocca di slancio decidendo di interrompere il proprio malumore con quella precisa parola.
«Okaa-san… puoi dormire qui con me se vuoi.» propose con un po’ di vergogna, trovando confortante l’idea di averla a vegliare su di sé nelle ore buie invece di doversene stare da sola.
Le mani di Ko si bloccarono con un sussulto tra le sue ciocche rossiccie e per un attimo Aya temette d’aver esagerato, facendosi trasportare dall’innata simpatia per lei. Fu sul punto di parlare ancora per cercare di porre rimedio al disastro, ma la vide abbassare il capo con il volto scuro e si preoccupò piuttosto che stesse male. I lavori in casa d’altronde avevano dei pessimi effetti sugli aiutanti, suo padre ne cambiava di continuo perché molti finivano per crollare a terra e non rialzarsi più.
«Okaa-san?» chiamò angosciata e la sua voce fece appena in tempo ad uscire, prima che Ko la afferrasse saldamente per le piccole spalle scuotendola nella vasca.
«Non dirlo più! Non dirlo mai più Aya, mi hai capita?! Io non sono tua madre!» urlò in un misto di terrore e rabbia che la spaventò più di quanto non avrebbe mai fatto alcun rimprovero di suo padre.
L’acqua le parve d’un tratto fredda, il profumo le diede fastidio e il corpo prese a tremarle per i singhiozzi in cui era scoppiata senza neppure accorgersene. Rannicchiò le gambe al petto, abbassando la testa sino all’acqua e vi sarebbe volentieri sprofondata dentro annegandosi se la presa sulle sue spalle non l’avesse trattenuta.
«… g-go-men’nasai…» piagnucolò impaurita e dispiaciuta, spingendo Ko a ridestarsi dalla rabbia e mollarla.
Scossa da capo a piedi dai singulti si sentì afferrare nuovamente dopo poco, ma la morsa fu diversa e l’acqua della vasca finì per bagnare l’intero pavimento quando Ko se la tirò sul petto per confortarla in un abbraccio nel quale Aya non poté fare a meno di nascondersi, piccola come mai era stata.
«No… spiace a me… perdonami, non avrei dovuto, perdonami… non piangere. Perdonami.» ripeté rammaricata, tempestandole la fronte di baci e la testolina fradicia di carezze.
Per un tempo infinito Aya rimase lì a sfogarsi con le scuse di Ko a tempestarle le orecchie, finché il corpo non smise di tremarle e il tepore delle braccia non affievolì la sua paura improvvisa. Solo allora si sforzò di riaprire gli occhi serrati, ritrovando quel sorriso che tanto le era piaciuto ad aspettarla con un velo di amarezza per l’accaduto.
«Sarò onorata di dormire qui con lei se lo vuole ancora, Hime-sama.» sentì Ko accettare in una nuova carezza e si strofinò gli occhi, annuendo senza più lacrime.



















------------------------------------------------
Note dell’autrice:
I giapponesi hanno la straordinaria capacità di creare parole intraducibili in altre lingue normali – il giapponese non è una lingua normale, fidatevi – perché impossibili da spiegare in quanto miscugli di sentimenti, sensazioni, descrizioni e chi più ne ha più ne metta, della serie “Irusu” “Aware” o “Koi no yokan”. Mi chiedo se esista una parola giapponese per indicare me… qualcosa del tipo “donna che scrive note inutili e prolisse a pié di capitolo di cui a nessuno importa se non a lei”, ma più compatto. Se lo sapete avvisatemi.

- Yasakani no Magatama: il tesoro di Yasakani, è uno dei tre sacri tesori imperiali giapponesi. Si suppone sia una collana composta da pietre di giada, viene raffigurata come una virgola tridimensionale, ma non è possibile a nessuno vederla se non all’Imperatore il quale al momento della sua ascesa al trono la riceve in una cerimonia privata da alcuni sacerdoti.
- Law: nel suo POV lo slancio di tenerezza per Aya è dettato dalla somiglianza nel voler curiosare con qualcuno del suo passato ed ecco io ho voluto che qualcosa di Aya gli ricordasse Lamy. Perché? Ultimamente ho riletto la saga di Dressrosa e mi sono accorta che Lamy lo torturava affinché si staccasse dai libri per fare cose da bambini, mi ha fatto pensare ad Aya che se lo trascina letteralmente dietro e ce lo messa dentro. Tiè.
- François Servais: OC, il famoso mediatore di Down Under che lavora come vice del Dio della Fortuna, Du Feld. Il suo nome richiama quello di François Pinault proprietario della più grande casa d’aste dei nostri tempi, Christie’s. Ha mangiato il frutto Jouki Jouki che lo rende un uomo di vapore, ha un pedante aiutante anziano di nome Sold e si veste come un mercante di marrakech degli inizi del novecento.
- Genocide Raid: è uno degli attacchi di Kidd, consistente nel circondare lo spazio aereo del proprio avversario con armi vorticanti che finiscono per ridurlo ad un colabrodo. È presente solo in One Piece Battle 2
- Mappo: Shizaru teme Aya ne faccia parte, ebbene il Mappo nella tradizione shintoista e buddista potrebbe essere definito come una sorta di apocalisse. “Gli ultimi giorni della Legge” così viene indicato e ho trovato una forte somiglianza tra questo e ciò che rivoluzionari e pirati minacciono in One Piece ai danni del Governo mondiale.
- Naru you ni naru sa: concludo così, con uno dei miei modi di dire giapponesi prediletti, traducibile in un “Sarà quel che sarà” o molto alla Via col Vento “Domani è un altro giorno”. Un po’ di somiglianza in effetti tra Aya e Miss Rossella comincio a trovarla…






  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Belarus