Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Clockwise    20/06/2017    1 recensioni
L’opinione universalmente riconosciuta è che ci voglia qualche miracolo misterioso, un allineamento astrologico o una predestinazione perfetta perché qualcosa come una storia d’amore possa iniziare. Sarà stato vero per Romeo e Giulietta, Artù e Ginevra, Dante e Beatrice – o meglio, così hanno deciso i cantastorie che li hanno inventati, illudendosi di creare qualcosa di unico e immortale, per scongiurare la banalità dell’amore di tutti i giorni. E invece quanta meraviglia c’è nello scontro casuale di due persone – questione di coincidenze ferroviarie, un errore o un calcolo sbagliato per prendere il treno giusto o lasciarselo sfuggire.
Una storia d'amore giovane, fra caffè e insicurezze, solitudine e problemi di giardinaggio.
I absolutely love you, but we're absolute beginners. (David Bowie)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
3.
 
 
Did it make you ache so, leaving me? 
 
 
La primavera sbocciava in un grido, soffriva allungandosi per raggiungere qualcosa a cui non poteva arrivare – quando Bianca sentì un ronzio riempirle le orecchie e scintille bianche abbagliarle gli occhi. Adriano sembrava improvvisamente lontanissimo, le sue parole echi deboli nella sua testa. Quando si voltò e lei vide la sottile scia scarlatta dietro di lui, sentì le ginocchia farsi molli e bile amara riempirle la bocca. I fiori si facevano pesanti, saturi di colori e profumi, invadenti – le facevano girare la testa, nauseanti. Tutto quel che chiedeva era pace e quiete, per cercare di fare chiarezza nella mente, quando la natura aveva deciso di gridare e ballare in gioia sfrenata.
Non riusciva a capire, per quanto ci provasse, cosa fosse andato storto – non poteva leggergli la mente, o il cuore – ed era quello il problema. Ragionò che sarebbe stato saggio essere razionali e non piangere troppo sul latte versato: era stato bello finché era durato, ora era finita e bisognava andare avanti. Rifiutandosi di perdere tempo pensando a lui, si fiondava nello studio, usciva a trovare gli amici, usciva la sera, dormiva poco e mangiava anche meno. Sua madre la osservava con occhi dolci di tempo ed esperienza, ma non diceva una parola; la guardava prepararsi per uscire, torturandosi le mani e le labbra. Bianca evitava il suo sguardo nel riflesso dello specchio, passando e ripassando il correttore sulle occhiaie scure, spolverandosi le guance incavate con la cipria rosata, coprendosi le labbra pallide con un rossetto vivace, gli occhi più scuri che mai, incastonati in profondità nel viso, circondati da strati su strati di trucco, le ciglia lunghissime.
«Sai che non ti serve tutto quel trucco, amore, non ti fa bene alla pelle.»
Bianca si limitò ad un’occhiata torva attraverso lo specchio, gettando con forza il rossetto nella borsa. Si fece largo oltre la donna senza troppa gentilezza, uscendo e sbattendo la porta dietro di sé, i tacchi rumorosi sulla pietra levigata delle scale. Sua madre abbassò gli occhi, giocherellando con le dita, scuotendo la testa – Bianca faceva così quando era più piccola, nella sua fase di ribellione a quattordici, quindici anni, si infiammava per niente. In ogni caso, lei non si offese, ed era lì ad accoglierla la mattina dopo con caffè, pane e marmellata di arance – la sua preferita da bambina. Non servì altro, per far traboccare il vaso e farla crollare. Sua madre scosse il capo, abbracciandola. Bianca fece del suo meglio per non singhiozzare, le lacrime calde in rivoli lungo le sue guance, un groppo caldo, soffocante, nel petto e nella gola.
«Ti fa bene piangerci su, amore, ci siamo passati tutti.»
«Piangere…  non serve. È st-stupido.» Sii forte, sei adulta, sei una donna, lacrime di coccodrillo, non era una storia seria, è stata solo una bella avventura, è stato bello finché è durato, piangere non è mai servito a niente…
«Vieni qui, vieni qui… Tesoro mio…»
Sua madre le asciugò le guance, tenendole il viso fra le mani, come aveva fatto tante volte quando da bambina cadeva dalla bicicletta, o quando i bambini la prendevano in giro, o le ragazze sparlavano di lei, o i ragazzi le spezzavano il cuore – ogni volta che il mondo le dava uno schiaffo e la spaventava. Il viso di sua madre era cambiato negli anni: linee profonde le incorniciavano ora gli occhi e le labbra, i capelli fragili ed opachi, la pelle secca – ma le mani erano le stesse. Bianca annuì, deglutendo altre lacrime.
«Non è semplice dimenticare un amore.»
Sua madre sorrise – rose e spine nel suo sorriso, e lacrime e risate.
«Non basta battere le mani, scuotere la testa e andare via – l’amore rimane lì. È come una pianta, lo sai, no?, nel giardino del cuore. Nasce quasi per caso, il polline che vola lì da chissà dove, una coincidenza fortunata. Poi però devi faticare tanto per farla crescere bene, darle l’acqua tutti i giorni, stare attenta agli animali e ai parassiti, togliere le erbacce, potarla quando serve, stare attenta al sole e al gelo. Non cresce mica da sola. Ma tu le sai queste cose.» I suoi occhi brillavano. «Hai un cuore buono. Però se ti siedi e la stai a guardare, pensando che magari adesso ti riposi – ecco che lì ti si ammala, senza che neanche te ne accorgi, finché un giorno le foglie sono tutte secche e ingiallite, e i fiori cadono e muoiono. E penserai che puoi soltanto alzarti e andartene, o tagliarla via – ma non è così che funziona. Più è grande, più era forte e rigogliosa la pianta, più sarà difficile liberarsene. Devi stare attenta ad estirpare tutte le radici, lunghe e robuste, senza danneggiare il tuo bel giardino. Ma non è semplice, non succede in un giorno e il tuo giardino ti sembrerà brutto e spoglio per un po’, ma è normale, è così che succede.»
Bianca abbassò le ciglia mentre sua madre l’abbracciava stretta, tenendole la testa sul petto, dondolandosi gentilmente avanti e indietro.
«Ma perché? È questo che non capisco. Che è successo? Andava tutto bene…»
Si morse il labbro per impedire che tremasse; sua madre la strinse ancora.
«Non te lo posso dire io. Magari devi provare a parlare ancora con lui, mettervi seduti e parlarne, tranquilli, giusto per capire, visto che ancora non ti dà pace. O magari ti devi solo sedere con te stessa e fare due chiacchiere, perché magari la sai la risposta. Lo sai, una verità difficile da accettare è che siamo soli, sempre, non importa quanto pensiamo di essere arrivati vicini ad un’altra persona – non riusciremo mai a capirli, comprenderli nella loro interezza, carpirli fino in fondo – nemmeno tu capisci fino in fondo te stessa!»
«Viviamo come sogniamo…»
«Da soli, sempre. Eppure, quando stiamo crescendo una così bella pianta con qualcuno – perché è uno sforzo condiviso, lo sai – bisogna sforzarsi di guardargli dentro il più possibile, chiederci come li stiamo facendo sentire. Non lo so che cosa ha allontanato Adriano – magari non lo sa bene neanche lui. Forse era troppo impegnato a capire sé stesso, e non aveva tempo per quella piantina, l’ha lasciata avvizzire e seccarsi. L’importante» disse, prendendo il viso di sua figlia nuovamente fra le mani, sollevandolo per guardarla negli occhi, «è che capisci che puoi piangere, essere triste e mangiare schifezze per un po’ di giorni, perché era una bella pianta, ed è giusto dispiacersi. Basta che poi hai qualcuno qui che ti passa i fazzoletti e la crema antibrufoli.»
Bianca sorrise, ricambiando l’abbraccio. Sua madre aveva ragione, quel che le serviva era un po’ di tempo e pace per fare i conti con sé stessa – e lasciarlo andare. Quel che temeva è che il dolore avrebbe lasciato cicatrici, e la prossima volta che avesse cercato di coltivare una nuova pianta con qualcuno, sarebbe stata spaventata o insicura – se mai fosse riuscita a crescerne un’altra.
Suo padre le trovò ancora abbracciate, gli occhi lucidi, il caffè freddo e il burro mezzo sciolto. Si accigliò dietro le lenti.
«Tutto a posto? Che combinate, voi due?»
Sua madre la lasciò andare, sistemandole i capelli dietro le orecchie.
«Ma niente, niente.» Le fece l’occhiolino, prima di alzarsi e dare un bacio al marito. «Problemi di giardinaggio» disse, mentre metteva a scaldare il caffè e sistemava piatti e tazzine. Suo padre spostò lo sguardo dall’una all’altra, perplesso e sospettoso. Bianca sorrise, imburrando una fetta di pane, mentre sua madre ridacchiava e posava un altro bacio sulla fronte del marito. Lui scosse la testa e sembrò realizzare che non ne valeva la pena, allungandosi per prendere il telecomando e sentire il telegiornale del mattino. Iniziarono quindi a chiacchierare con leggerezza, distrattamente – ciascuno isolato nella propria bolla di sapone, sforzandosi di avvicinarsi agli altri fra il caffè e la marmellata. E Bianca non poté fare a meno di chiedersi se anche Adriano aveva sentito la stessa acuta, bruciante stilettata di dolore fra le costole e il cuore – forse, forse no – non l’avrebbe mai saputo.







 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Clockwise