Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    21/06/2017    6 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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KINTSUGI

 
“Take my hand, tonight,
Let’s not think about tomorrow
Take my hand tonight
We can find some place to go
Cause our hearts are locked forever
And our love will never die.
Take my hand tonight
One last time.”
(Simple Plan – Take my hand)

 
 
Sanshiro arrivò con la moto in un posto che sembrava uscito da un romanzo fantasy: una baita, una tettoia per i cavalli, un camino di pietra, tavoli di legno.
La luce del chiaro di luna era talmente vivida che filtrava tra i rami degli alberi, creando macchie luminose; innumerevoli lucciole contribuivano, con le loro luci fluttuanti, a creare un paesaggio fiabesco.
Su uno dei tavoli, il ragazzo notò lo zainetto colorato di Midori. Spense la moto e smontò, dirigendosi fuori dagli alberi, dove un basso ponticello sormontava un piccolo torrente.
Midori era lì, chinata in avanti, i gomiti appoggiati alla ringhiera di legno, i lunghi capelli castano chiaro appena mossi dalla calda brezza estiva, con indosso i suoi calzoni azzurri di cotone leggero e la camicetta a fiorellini senza maniche. Lo guardò per un attimo, come intimorita, poi tornò a rivolgere l'attenzione all'acqua che ruscellava sui sassi arrotondati e che scorreva poco sotto di lei; Sanshiro pensò di non aver mai visto niente di così vicino alla perfezione.
Midori aveva sentito il rumore della moto e, sulle prime, si era spaventata, pur sapendo che non c'erano pericoli in quella zona; poi aveva riconosciuto Sanshiro e si era tranquillizzata, finché non lo aveva visto scendere dalla moto e venire verso di lei. Il senso di inquietudine l'aveva riassalita: che diavolo ci faceva lì? Cosa voleva da lei? Era tornata a guardare l'acqua, sapendo che non sarebbe riuscita a sopportare un altro alterco con lui.
Poi decise di non farsi prendere in contropiede: si raddrizzò e lo guardò fermarsi di fronte a lei, al centro del ponte, bellissimo e serio, con la camicia bianca a maniche corte tenuta fuori dai jeans neri. Parlò per prima, determinata a non farsi più mettere sotto: gli aveva già chiesto perdono, e aveva ancora un po' di dignità; già le pesava e la feriva sopportare il cuore spezzato, ma anche l'umiliazione, proprio no.
– Se sei venuto a sgridarmi un altro po' per la mia incoscienza, ne ho avuto già abbastanza. E se è… per l'altra cosa, allora ti prego, basta anche lì. Ti ho già detto a suo tempo che mi dispiace, ma non ho più voglia di chiedere un perdono che non otterrò; abbi misericordia.
– Dori, io… – cominciò lui, incerto.
Dori? Da quanto tempo non sentiva la sua voce chiamarla così? Sospirò, al pensiero di come il suono di quel diminutivo, pronunciato da lui, la facesse sentire bene; le parole con cui Sanshiro proseguì riuscirono a sorprenderla.
– Senti… sono io che devo chiederti scusa. Mi dispiace per come ti ho trattata in questi ultimi tempi; hai commesso degli errori, ma capisco che tu abbia anche passato dei momenti terribili, e… so di averteli resi ancora più difficili.
Midori lo guardò a bocca aperta, letteralmente sconvolta: tutto si sarebbe aspettata, ma non questo. Possibile che dicesse sul serio?
– Midori, tu… avrai anche combinato un casino, okay, ma io cosa ho fatto per impedirtelo? Un bel niente. Ti ho accusato di aver fatto tutto da sola, di avermi escluso dalle tue decisioni, ma io… te l'ho lasciato fare, in fondo. La verità è che forse mi sarei dovuto arrabbiare con te molto tempo prima di lasciarci, invece che dopo; avrei dovuto trovare un modo per metterti con le spalle al muro e convincerti a confidarti con me; avrei potuto…
– Sì, certo, avresti potuto, avresti dovuto… dove andiamo col senno di poi? Non tormentarmi così, Sanshiro! Se sei qui per illudermi e poi darmi un'altra staffilata, ti avviso che stavolta non riuscirei a sopravvivere! Non ce la posso fare, ti prego! – esclamò accorata, rendendosi poi conto di cosa stesse dicendo.
Era pur sempre Sanshiro, che aveva di fronte, e lui non era né vendicativo, né perfido: pur offeso e ferito, non avrebbe mai fatto niente del genere, lo sapeva.
– Tu… non devi chiedermi scusa. Sono stata io a lasciarti, e ho fatto apposta a farlo in quel modo crudele e stupido.
– Ma perché? È questo che non riesco a spiegarmi. Mi hai persino accusato di voler solo portarti a letto! Se avessi voluto solo quello, pensi davvero che avrei avuto la pazienza di aspettarti più di sei mesi? Non abbiamo mica quindici anni, Dori! Mi sarei stufato prima, e avrei cercato altrove quello che tu non volevi darmi, non credi? Lo ammetto, mi hai massacrato… e ho… creduto di odiarti, in certi momenti.
– Era esattamente quello che volevo! Visto che sarei dovuta partire, e per andare non esattamente dietro casa, ho pensato che se tu mi avessi odiata, mi avresti dimenticata più in fretta. Mi avresti, giustamente, relegata nel posto destinato alle tante persone bastarde che si incontrano nella vita! Non avresti più pensato a me… e saresti stato libero. Non si soffre per una stronza, dico bene?
– No, spiegami, razza di testolina bacata… Stai dicendo che lo avresti fatto… per non farmi soffrire?
– Lo scopo era quello, ma a questo punto so di aver solo peggiorato le cose.
– Infatti… non è così, che funziona – sospirò lui, rassegnato.
– Mi hai accusata di non credere in noi due, che per me fosse solo un gioco, ma non è mai stato così. E se ho gestito tutto così male, è stato solo perché quello che provavo per te era talmente immenso, e potente… che mi spaventava a morte! Non mi era mai successo niente del genere e, proprio per questo, non volevo promesse e nemmeno dichiarazioni troppo importanti. Poi… intorno a Natale avevo cominciato a pensarci sopra, solo che subito dopo c'è stato quell'orribile periodo senza tregua, con la battaglia sulla Luna, ed Erika, e… la prigionia nel Sahara. Tornata un po' di calma, all'inizio di marzo più o meno, avevo deciso che non si poteva continuare così, che anch'io avrei voluto molto di più! Avevo pianificato di dirtelo. Ti ricordi quella sera, sulla balconata del Faro?
– Pensi che potrei dimenticarmela? È stato il momento più intenso di tutto il periodo che abbiamo passato, diciamo così… insieme. Quello che mi aveva fatto pensare: "Accidenti, sta' a vedere che si sblocca finalmente qualcosa". Quella sera sono riuscito a controllarmi per miracolo, solamente perché avevo il turno incombente, ed ero convinto che tutto fosse solo… rimandato al primo momento tranquillo.
– Allora che sia maledetto quel turno… perché anch'io credevo così. Non vedevo l'ora di mettere tutto in chiaro e di… fare… – si interruppe imbarazzata, poi riprese – Solo che avevo cominciato a soffrire di mal di testa, e a fare quegli strani sogni, di notte, e all'improvviso, proprio da quella sera, sono diventati terribili e ancora più dolorosi. E hanno cominciato a tormentarmi anche di giorno, soprattutto nei pochi momenti che riuscivo a passare con te. Io… temevo davvero che nella mia testa ci fosse qualcosa che non funzionava più! E ho pensato di aspettare un altro po', per vedere se sarebbero passati, invece le cose sono peggiorate al punto che ho deciso… che non potevo coinvolgerti in quel delirio… ne avevi già abbastanza a cui pensare.
– Hai davvero creduto che non sarei stato capace di starti vicino, in un momento così?
– Al contrario! È proprio perché sapevo che lo avresti fatto! Non volevo ingabbiarti con… un essere strano come me. Nemmeno Pete è riuscito a convincermi che in fondo… siamo tutti esseri strani. Mi dispiace, Sanshiro, non ho avuto abbastanza rispetto per te, da capire che la scelta avrebbe dovuto essere anche tua.
Sanshiro incrociò le braccia sul petto, come a volersi difendere da qualcosa, forse dalle sue stesse emozioni; si lasciò sfuggire un sospiro, tentando di seguire i ragionamenti contorti della ragazza.
– Avevi davvero deciso di volere di più dalla nostra storia, prima di cominciare a… stare male? E bada che non sto parlando di sesso. Non solo, per lo meno.
Midori annuì, sommersa da quelle emozioni contrastanti che le si agitavano dentro.
– Te l'ho detto, avevo cominciato a rimuginare su una cosa che Briz mi aveva detto la sera di Natale: disse che se lei avesse avuto una storia come la nostra, avrebbe voluto amore, promesse, giorni e notti… Avrebbe voluto tutto, a maggior ragione col pericolo che la guerra potesse far finire ogni cosa da un momento all'altro. Mi stavo convincendo che avesse proprio ragione, quando è cominciato l'incubo delle allucinazioni e delle voci. Credevo di essere malata, pazza… E non volevo legarti a un mostro! E adesso finiamola, ti prego! Sono stufa di scuse, di mi dispiace e di perdoni da chiedere o da concedere! È andata così: avevamo qualcosa di immensamente prezioso tra le mani… e lo abbiamo rotto. O meglio, io… l'ho rotto – concluse la ragazza, tornando a chinarsi sulla ringhiera del ponticello, con la testa fra le mani.
Sentì Sanshiro avvicinarsi alle sue spalle, e la sua voce risuonare bassa e serissima.
– Smetti di paragonarti a un mostro… e perdonami tu, se quella sera, quando ci hai raccontato tutto, me ne sono andato così arrabbiato senza dirti nulla, facendoti pensare proprio questo. Non sopportavo che tu mi credessi capace di dare importanza al tuo luogo di origine. Dori, con tutto quello che stiamo passando, non mi sembra proprio così strano, che tu venga da… come si chiama…? Pijon? Ma che mi importa se tu vieni di lì, o da qualunque altro assurdo posto ai confini dell'Universo! Tu per me sei Midori Fujiyama, sei la figlioccia di Doc, sei…
Stava per dire: "Sei la mia ragazza", ma si bloccò, sentendo che la voce gli si spezzava.
Midori non rispose né si mosse, non sapendo cosa dire; chiuse gli occhi, lasciando libere un paio di lacrime brucianti, finché, con un lieve sobbalzo, li riaprì accorgendosi che Sanshiro le stava allacciando qualcosa intorno al collo. Abbassò lo sguardo e vide il ciondolo con la trasmittente che lui le aveva regalato per il suo compleanno, e che lei gli aveva restituito, lanciandoglielo sgarbatamente, quando lo aveva lasciato. Sentì il calore delle sue mani sulle spalle e quello del suo respiro tra i capelli, ma ancora non ebbe il coraggio di muoversi, né di parlare; si accorse di trattenere il fiato, di avvertire in gola il battito del suo cuore e nella testa il rombo del sangue, che le scorreva impazzito nelle vene.
– Sai… – cominciò lui a voce bassa – tempo fa chiesi a mia nonna come fosse possibile che lei e il nonno fossero sposati da più di cinquant’anni. E lei mi rispose: "Siamo nati in un’altra epoca: un’epoca in cui le cose, quando si rompevano, si aggiustavano, invece di buttarle via…" 
Midori prese un respiro… quelle parole le portarono alla mente una cosa.
– Kintsugi1 – mormorò, alzando appena lo sguardo davanti a sé.
– Cosa…?
– Quando un prezioso oggetto di porcellana si rompe, può essere riparato con la tecnica del Kintsugi… quel sistema con cui le crepe, invece di venire nascoste, vengono esaltate mescolando al collante della polvere d'oro. Così l'oggetto, in questo modo, aumenta di valore, diventa più prezioso, anche in senso metaforico, perché dimostra di aver vissuto, di avere una storia, un passato… – spiegò Midori sottovoce, sentendo qualcosa di simile alla speranza farsi strada nel suo cuore.
– Mi stai dicendo… che la nostra relazione meriterebbe di essere riparata in questo modo? – le chiese Sanshiro, anche lui con una nota speranzosa che gli vibrava nella voce.
– Non lo so… La crepa che abbiamo causato è… una voragine. Ce ne vorrà, di polvere d'oro – rispose lei.
Sanshiro le fece scivolare le mani dalle spalle e le allacciò le braccia intorno alla vita, chinando poi la testa, quasi a sfiorarle la spalla con la fronte.
 
Sanshi-Dori-ponticello
 
 
Le sue parole sussurrate le solleticarono l’orecchio.
– Vado a rapinare Fort Knox… o a cercare l’Eldorado o le Miniere di Re Salomone. E se vuoi venire con me, in questa avventura…
Midori si voltò di scatto tra le sue braccia, e gli afferrò la stoffa della camicia con fare lievemente aggressivo.
– Se voglio? Mi chiedi se… voglio? Sì, maledizione, ! Voglio qualcosa di più grande, di più forte e prezioso! Voglio il Kintsugi! Non importa quanto oro ci vorrà e dove dovremo andare a cercarlo! Voglio te, accidenti! Ti voglio dannatamente, ogni giorno, ogni notte della mia vita, in qualsiasi forma e declinazione possibili!
Sanshiro non ebbe bisogno di una sillaba in più: qualunque altra parola stesse per uscirle dalle labbra, lui la mise a tacere con un bacio. Dopo il primo attimo di smarrimento, Midori si lasciò travolgere da quella passione che entrambi, in qualche modo, avevano sempre tenuto a freno.
Fu una rivelazione, una sensazione del tutto nuova per tutti e due, come se fosse il loro primo bacio; eppure… fu anche come tornare a casa dopo tanto tempo.
– Oh, Dio, come mi sei mancata – sospirò Sanshiro tra i suoi capelli, quando riuscirono a staccarsi.
– Anche tu… oh, ma perché hai smesso di baciarmi! – protestò Midori, facendogli scivolare le braccia intorno al collo e cercando di nuovo le sue labbra.
Sanshiro la strinse forte, come se avesse il terrore di vederla svanire. Non riusciva a credere di averla di nuovo tra le braccia, ma le dita della ragazza fra i capelli, la sua bocca bruciante fusa con la propria, il corpo morbido e sinuoso premuto contro il suo, erano sensazioni meravigliosamente vere. Senza smettere di baciarla, visto che non voleva venire sgridato di nuovo, la spinse contro la barriera di legno del ponticello. Midori ci si appoggiò con il fondo della schiena, attirando il giovane contro di sé e… un crack fragoroso echeggiò nella pace silenziosa della notte, quando un palo della ringhiera si schiantò  improvvisamente. Sanshiro e Midori finirono rovinosamente nel ruscello, sollevando una pioggia di schizzi di acqua fredda. Per fortuna il piccolo ponte era a un'altezza di non più di mezzo metro, e le pietre erano lisce e arrotondate; l'acqua era bassa e non attutì un granché la caduta, ma fu sufficiente per inzupparli dalla testa ai piedi.
– Midori, tesoro, ti sei fatta male? – esclamò Sanshiro preoccupato, aiutandola a sedersi sul greto, con l'acqua che ruscellava loro intorno.
– Insomma, stavo meglio mentre ti baciavo… E tu? – gli chiese, togliendosi dal viso un paio di ciocche di capelli bagnati.
– Forse mi ritroverò qualche livido, ma pazienza.
– È stato bruttissimo! – esclamò lei, tremando, mentre Sanshiro si alzava in piedi, sollevandola poi tra le braccia e portandola sulla sponda erbosa.
Quando la posò a terra, e si distese accanto a lei, la sentì singhiozzare, ma si accorse subito, con sommo sollievo, che la ragazza non stava piangendo: stava letteralmente sbellicandosi dal ridere.
– Oh, Dio, non posso crederci! E Briz mi aveva pure avvertita di stare attenta al palo pericolante e di non finire a mollo! – ansimò Midori, sdraiata sull'erba e bagnata come un pulcino.
– Ah, fantastico, ma dove avevi la testa? – esclamò lui, contagiato da quella risata.
– Beh, mi scuserai ma, proprio come te, su quel ponticello mi sono un po' distratta.
– Ah, ti sei distratta? E con cosa? – chiese lui, facendo l'ironico, chinandosi su di lei.
– Ma, non saprei. Tu che ne pensi? – disse Midori abbracciandolo e, con le labbra a sfiorargli l’orecchio, a voce bassissima gli sussurrò:
– Sanshiro, io ti amo.
Lui spalancò gli occhi, sorpreso e senza fiato.
– Sei… sicura di quello che hai appena detto, vero? Perché… non me lo hai mai voluto dire prima d'ora e… sai che cosa significa, per noi giapponesi. Non… non è una cosa che diciamo molto spesso…
– Ma io non sono giapponese – replicò Midori sorridendo, col viso inondato dal chiaro di luna.
– Già, dimenticavo: tu sei… un E.T. 
A quell'uscita ricominciarono a ridere, e quando riuscirono a smettere di ridere ricominciarono a baciarsi; e quando riuscirono a smettere di baciarsi, risero di nuovo, abbracciati sull'erba. Sanshiro le accarezzò il volto e i capelli bagnati.
– Ti amo, mia bellissima aliena. Mi piace, potertelo dire.
– E a me piace tanto sentirlo. Anch'io ti amo.
– Mi prometti una cosa? Da ora in poi, qualunque pensiero, dubbio o sensazione ti passi per la testa, che ti possa dare la minima inquietudine, me lo dirai. Starti vicino non sarà mai un peso, per me; la nostra storia non sarà mai una gabbia, facile o difficile che sia.
– Lo farò, te lo prometto.
Le loro voci si spensero in sussurri e altri baci, inframmezzati a carezze e sorrisi. E poi di nuovo baci… Finché Midori staccò le labbra da quelle di lui, tremando come una foglia e con la pelle d'oca.
– Sanshiro io… s-sto m-morendo di f-freddo – articolò battendo i denti.
– Hai ragione, accidenti, siamo fradici. L'aria è rinfrescata e l'acqua era gelida… – disse Sanshiro alzandosi e tirando in piedi anche lei – Dobbiamo tornare alla fattoria e toglierci questa roba bagnata di dosso, o ci prenderemo una polmonite.
– No, aspetta… non alla fattoria – disse Midori, prendendolo per mano e trascinandolo verso gli alberi.
Si fermò davanti alla baita e infilò le dita in una fessura tra due tronchi, a lato della porta, cercando qualcosa.
– Che diavolo stai facendo? – le chiese Sanshiro, che cominciava anche lui a sentire brividi di freddo, con la camicia bagnata appiccicata addosso.
– Cercavo questa – disse la ragazza, mostrandogli una chiave.
La porta venne aperta, in un attimo furono dentro e Midori se la richiuse alle spalle.
L'atmosfera era buia e un po' soffocante, e la sensazione di freddo passò in un lampo. La ragazza aprì una delle finestre, facendo entrare il frinire dei grilli e la luce bianca della luna, che mostrò loro la stanza: quattro letti a castello dai materassi coperti da lenzuola di cotone a fiori colorati, una scaffalatura con coperte e asciugamani, un angolo cucina e una porticina che celava un minuscolo bagno.
– Briz mi ha parlato del Rifugio degli Elfi talmente tanto, che ormai è come se ci fossi già stata: so tutto quello che c'è da sapere su questo posto – disse Midori avvicinandosi a Sanshiro, spingendolo con dolcezza contro una parete e cominciando a sbottonargli la camicia.
– Midori…
– Sanshiro, dimmi che non stai per chiedermi cosa sto facendo!? Lo hai detto tu, che dobbiamo toglierci di dosso i vestiti bagnati… – lo sfidò la ragazza con un sorriso angelico eppure, allo stesso tempo, incredibilmente malizioso.
– Sì, ma…
– Ma cosa, mio bel terrestre? Non sei curioso di vedere se la tua bellissima aliena è fatta come tutte le altre ragazze?
– Sei proprio sicura, allora…
– Mai stata tanto sicura di qualcosa, amore mio. L’hai detto anche tu: siamo grandi, e direi che abbiamo perso anche troppo tempo – disse lei, dolce e decisa, facendogli scivolare le mani prima sul petto nudo e poi sulle spalle, sfilandogli la camicia che cadde per terra.
A quel punto, Sanshiro non trovò proprio più nulla da obiettare; non che si fosse particolarmente impegnato in tal senso, bisogna dirlo. Riprese a baciarla, stavolta spingendola lui contro la parete, una mano sulla sua guancia che, poi, le scese lungo il collo, cominciando a slacciare uno a uno i bottoncini della camicetta, la quale finì ben presto sul pavimento, in un mucchietto informe, sopra alla sua. La luce della luna gli rivelò un reggiseno di pizzo blu che lui trovò adorabile, lasciandogli presagire che Midori fosse mille volte meglio di ogni altra terrestre che avesse mai visto. Glielo disse tra un bacio e l'altro mentre, un po' spingendosi, un po' tirandosi, andavano a lasciarsi cadere sul materasso del letto più vicino. Sanshiro scivolò con le labbra sulla gola delicata della ragazza, stordito dal profumo dolce di vaniglia della sua pelle. Una cosa folle, da mangiarsela di baci: cosa che stava effettivamente facendo.
Parole sconclusionate e tenere si stemperarono nell'ennesimo bacio, mentre Midori si inarcava contro di lui, stringendolo su di sé e accarezzandogli i capelli e la schiena.
Le loro mani non riuscivano più a stare ferme, anche se Sanshiro si sforzava di non avere fretta: avevano tutta la notte, c'era tutto il tempo. Con tenera lentezza, la fibbia della cintura dei suoi jeans venne slacciata, seguita dai calzoni azzurri di Midori e, con qualche contorta manovra, anche questi indumenti finirono ammucchiati sul pavimento di legno grezzo. A dividere i loro corpi, la stoffa rimasta era ormai ben poca, e sapere che non sarebbe rimasta lì ancora per molto, infiammò i loro baci e i loro sensi.
Finché Sanshiro si staccò di soprassalto, fulminato da un pensiero.
– Midori, oddio, sono uno stupido! Anzi siamo stupidi in due! Non abbiamo… insomma, non siamo…! Non ho niente per… proteggerci. E se…
– Shh, stai tranquillo Sanshiro – gli disse, posandogli un dito sulle labbra – Te l'ho detto che, prima di incasinare tutto, avevo deciso di dare una svolta al nostro rapporto, no?
– Sì… e allora? Che vuoi dire?
– Voglio dire che… quella sera al Faro, dopo il nostro incontro ravvicinato, quando mi hai salutata per iniziare il turno, io sono andata dalla dottoressa Mori e… ho preso delle precauzioni. E da allora, anche se poi è successo di tutto, da quel lato lì è rimasto tutto sotto controllo. Sono ancora… protetta, ecco; non dobbiamo preoccuparci di niente.
Sanshiro si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, e la guardò con un misto di ammirazione e contemplazione che l'avrebbe fatta innamorare ancora di più, se ciò fosse stato possibile.
– Allora ti ho convinto, che avevo deciso di far evolvere le cose? Che anch'io volevo molto di più?
– Convintissimo. E comunque, sappi una cosa: è solo perché non è il momento giusto, ma se tutto andrà come deve, l'idea di un figlio con te, un giorno, non mi spaventa affatto. Anzi…
– Neanche a me: la cosa è assolutamente reciproca, mio bel comandante – concluse Midori, prima di riprendere da dove, poco prima, il pensiero preoccupante di Sanshiro li aveva interrotti. Stavolta fu lei a staccarsi appena, dopo poco.
– Davvero non ti preoccupa… essere il primo? – gli chiese lei sulle labbra, esitante, cercando il suo sguardo.
Sanshiro scosse appena la testa, serissimo.
– Non lo sai che ogni uomo vorrebbe essere il primo, per la propria donna?
– Così dicono, ma… tu sai che invece ogni donna vorrebbe essere l'ultima?
Sanshiro sorrise, annuì sfregandole il naso e le labbra contro la guancia, e rispose piano, scendendo a baciarle il collo e la spalla, scostando la spallina del reggiseno.
– Allora… direi che non c'è problema, giusto?
– Giustissimo… – convenne Midori, prima che i loro respiri si mescolassero nuovamente.
I loro gesti si fecero più audaci, le carezze diventarono impazienti mentre ognuno liberava la pelle calda e fremente dell’altro dagli ultimi indumenti che ancora li separavano. Bocche affamate baciarono, morsero e assaporarono… Mani curiose esplorarono senza pudore e il desiderio crebbe, appiccando un fuoco che divampò lentamente, ma senza scampo. Amore e passione si fecero spazio, dilatandosi prepotenti, profondi e intensi, annientando il tempo e il resto del mondo, portando i corpi dei due giovani a fondersi uno nell’altro, finalmente liberi nella più dolce, bollente e appagante delle prigioni.  
 
* * *
 
Sanshiro si svegliò che era ancora notte; Midori dormiva accoccolata contro di lui, la luce della luna piena entrava dalla finestra a illuminare la sua pelle chiara e vellutata, insieme alla fresca aria notturna. Il giovane afferrò un lembo del lenzuolo a fiori e coprì sommariamente i loro corpi, stringendo un po' più a sé la ragazza e accarezzandole i lunghi capelli. Il movimento fece luccicare il braccialetto che gli amici gli avevano regalato diverse ore prima, e lui si soffermò ad osservare l’ornamento.
Midori aprì lentamente gli occhi e notò Sanshiro che si studiava pensoso il braccialetto: il simbolo in acciaio cromato dell'Infinito brillava debolmente, e le ricordò il nome del suo caccia da guerra.
– Sanshiro…  
– Ehi, ti ho svegliata, scusami.
– No, non fa niente. A cosa ti faceva pensare, l'Infinito? – gli chiese Midori, sollevandosi su un gomito e cercando il suo sguardo.
– Al tuo caccia – confessò lui.
– Lo immaginavo… Anch'io ci stavo pensando, sai…
Sanshiro la interruppe, stavolta mettendole lui un dito sulle labbra, intuendo correttamente i pensieri della sua compagna.
– Midori, fai quello che ritieni giusto: sento di non poterti proibire di combattere.
– Ti preoccuperai per me… Lo so che tu non vorresti.
– Oh, beh, questo è poco ma sicuro, ma tu… quante volte muori di ansia per me, quando combatto col Gaiking?
– Ogni volta, fin dalla prima battaglia, credo. Mi piacevi già tanto e non riuscivo a capacitarmene.
– Allora segui la tua coscienza, amore mio, e facciamo il nostro dovere. Solo, fidati degli ordini di tuo padre, di quelli di Pete, ed eventualmente anche dei miei. Sempre.
Midori annuì, mentre Sanshiro le attirava il viso verso il suo per baciarla, stringendola sopra di lui.
– Ah, e per la cronaca, – aggiunse tra un bacio e l'altro – anche tu mi piacevi tanto, già dall'inizio. Solo che ero un po' frastornato e preso dalle responsabilità che mi erano piombate tra capo e collo, tra tutto quello che dovevo imparare, la paura di non farcela e Pete che mi criticava continuamente, non avevo molto tempo per pensarci…
A un certo punto il giovane si accorse che a Midori veniva da ridere; non gli sembrava di aver detto qualcosa di così divertente. La guardò con aria interrogativa, ma allo stesso tempo incuriosito da quella strana ilarità, e lei si affrettò a spiegargli.
– Scusami, ma mi è venuta in mente un'altra cosa che mi disse Briz la sera di Natale, riguardo al fatto che io non volevo promesse.
– Se è un'altra delle perle di saggezza della nostra amica, non me la posso proprio perdere: in fondo è anche grazie a lei, se siamo qui, adesso. Anche se devo dire che, per quanto sia brava a dare consigli agli altri, non combina un accidente quando si tratta di sé stessa.
– Hai ragione, l’ho pensato anch’io, di recente. Comunque, la Vigilia di Natale mi chiese se, avendo così paura che uno di noi due potesse morire, ero davvero sicura di voler correre il rischio che accadesse, senza sapere come sarebbe stato… fare l'amore con te.
– Ti ha detto così? Haha! Avrei voluto vedere la tua faccia in quel momento!
– Meglio di no: il rosso bordeaux non mi dona. Beh, in ogni caso… quello fu il primo momento in cui cominciai a valutare l'ipotesi di dare davvero una svolta a tutto, e a pensare che Briz avesse proprio ragione.
– Bene, e adesso che hai avuto la risposta? Ce l'aveva?
– Oh, sì, eccome se ce l'aveva! Avrei davvero dovuto darle retta molto prima.
Sanshiro ricominciò a sbaciucchiarsela, tra un sorriso e una carezza.
– Che ci fai con uno come me, Green di Pijon? – le chiese, senza ancora riuscire a credere alla direzione che avevano preso le loro vite, in quella calda notte italiana, così lontani dal loro paese.
– Mi sembrava che te ne fossi accorto, di cosa ci faccio…
– Ah, ecco! Stai con me perché sono bravissimo a fare sesso! – la prese in giro Sanshiro.
– Beh, adesso, bravissimo… Che ne so io? Non ho metri di paragone… – lo ripagò lei, con la stessa moneta.
– Eh, allora… dovrai credermi sulla parola.
– Credo di preferire i fatti – gli sussurrò, ricominciando a fargli piovere baci sul viso, sulle labbra, sul collo…
– Dori, tesoro… di nuovo? Non dirmi che non ne hai avuto ancora abbastanza – disse Sanshiro col fiato corto, scostandola da lui per un attimo, per guardarla negli occhi – Perché sarebbe già la terza vol…
Midori gli chiuse la bocca con la sua e non lo lasciò continuare per un po'.

 
Sanshi-Dori-Italian-Night

– Uhmm… Non vorrai mica dire che ti dispiace – gli mugolò sulle labbra.
La risposta di Sanshiro fu repentina e inequivocabile: la afferrò con decisione e la rovesciò sotto di sé, lasciando poi che l’irruenza si stemperasse con la dolcezza e pensando che in fondo nemmeno lui ne aveva avuto ancora abbastanza. Probabilmente non ne avrebbe mai avuto a sufficienza, di quella meravigliosa creatura dello spazio che la sorte, per qualche strano motivo, aveva deciso di destinare proprio a lui.
 
* * *
 
– Accelera, Sanshiro, sono le otto e venti! E il Drago era pronto a partire alle otto! Sai chi lo sente, adesso, il nostro preciso e puntiglioso Capitano? – gridò Midori incitando il giovane.
Lui obbedì prontamente e aumentò la velocità, mentre Midori, stringendolo più forte, lo rimproverò scherzosamente:
– Ma come hai potuto addormentarti così?
– Ah, fantastico, la colpa è mia, adesso?! Beh, direi che sono più che giustificato: non è che tu mi abbia fatto dormire molto, stanotte! E, scusa se te lo dico, ma ronfavi pesante anche tu, amore mio! – rispose Sanshiro, con una risata.
– Io non ronfo! – esclamò ridendo anche lei.
Quella appena trascorsa era stata la notte migliore della sua vita, anche se adesso era un tantino preoccupata all'idea di affrontare gli amici.
Le ragazze quella notte si erano organizzate per dormire alla fattoria con Jessica, mentre i ragazzi, compreso Tom, avevano passato la notte a bordo del Drago perdendosi in chiacchiere su motori, battaglie e robot, ed entrambi i gruppi non avevano potuto fare a meno di notare come Midori e Sanshiro brillassero per la loro assenza.
E dai messaggini non irrispettosi, ma piuttosto salaci, che entrambi avevano trovato sui rispettivi cellulari quella mattina, era alquanto evidente che tutti sospettassero che la notte non l'avessero passata in solitudine. Arrivare insieme, e pure in ritardo, sarebbe stata la conferma finale, la classica ciliegina sulla torta.
Infatti, quando giunsero alla fattoria, l'equipaggio al gran completo, insieme ai Del Rio, li stava aspettando.
Vederli scendere dalla moto e venire verso di loro con le mani allacciate fu per i loro amici, che avevano sperato tutti in una riconciliazione, un vero sollievo. Sollievo che ben presto si tramutò in affettuosa malizia, negli sguardi che non poterono fare a meno di soffermarsi sugli abiti della coppia, tutti stazzonati dall'aver trascorso la nottata ammucchiati umidi sul pavimento, e sui volti imbarazzati e stanchi, che però non riuscivano a nascondere la felicità che brillava loro negli occhi. Yamatake fece un finto cipiglio, picchiettandosi teatralmente un indice sul polso sinistro, su un immaginario orologio, in un gesto più che eloquente, ed esclamò:
– È questa l'ora di arrivare, due sciupanotte che non siete altro?
Sanshiro allargò appena le braccia con aria di scusa, come a far capire che impegni improrogabili li avevano trattenuti. Yamatake si limitò a semisoffocarlo con un braccio attorno al collo e ad arruffargli i capelli, dimostrandogli tutta la sua comprensione e scatenando un attacco di ilarità in tutta la truppa.
Dopo di che, tutti si accinsero a salutare a malincuore i padroni di casa. L'arrivederci più malinconico fu senz'altro quello di Briz a Jessica, Filippo e Anita, ma anche quello fra Tom e Pete non fu uno scherzo, quanto a livello di commozione: nessuno sapeva quando, e soprattutto se, si sarebbero rivisti, ma la speranza la fece da padrona in ogni saluto e abbraccio che si scambiarono.
Mentre si dirigevano a bordo del Drago, Sanshiro fu, di nuovo, amichevolmente preso in giro dagli amici.
– Ehi, passato un buon compleanno? – gli fece Bunta, spintonandolo leggermente con una spalla.
– Meglio di come tu hai passato il tuo – non poté fare a meno di ribattere Sanshiro, pur con un vago senso di colpa sapendo che Bunta non vedeva la fidanzata Solange di persona dall’inizio della guerra.
Midori intanto si lasciava affiancare da Briz e Jamilah, sapendo di non poterla scampare nemmeno lei.
– Briz, – cominciò – abbiamo cercato di lasciare tutto in ordine, però abbiamo dormito al Rifugio e…
Briz la interruppe, e sollevò un sopracciglio in un'espressione più che significativa.
– Che? Avete dormito? Si dice così, adesso? Dai, va là! E comunque piantala, cosa vorresti, pagare l'affitto? Offre la casa, tranquilla! – rise Fabrizia, mettendo un braccio attorno al collo dell'amica – Persino Anita ha capito che stanotte si è ricomposta una frattura che tutti temevamo irreparabile.
– Appunto. E se vi dicessi che io e Sanshiro abbiamo passato la notte a parlare? – la sfidò Midori.
– E dai! Tutta una notte insieme, da soli e… avete solo… parlato? – chiese Jamilah, incredula.
Midori la guardò con un'aria serissima, come non aveva mai avuto in tutta la sua vita.
– Naah, ci sei cascata!? – sbottò poi – E comunque, io taccio, c'è un regolamento sulla privacy! Ah, Briz, devo comunicarti, però, che l'avvertimento riguardo al ponticello… non è servito a niente: un'altra cosa che purtroppo toccherà a Filippo riparare.
– Dio, no, siete finiti davvero a mollo? Ma non è vero! Ora mi spiego lo stato pietoso dei vostri abiti – esclamò Briz, dandosi una manata sulla fronte. Poi agitò le mani: – A questo punto, non voglio più sapere niente a prescindere!
Midori non poté fare a mano di ridere e andò a rifugiarsi sotto al braccio di Sanshiro che, incurante della presenza degli altri, la strinse a sé con fare vagamente possessivo. Il suo sguardo sembrava dire al mondo: “Lei è mia! Nessuno osi toccarla!”  E, alla faccia della riservatezza orientale, le stampò un bacio sulla bocca, come a ribadire che stavolta la cosa era davvero seria e definitiva.
Il dottor Daimonji osservò la scena con la coda dell’occhio, con un sorriso tra il soddisfatto e il commosso. Ci sarebbe stato il momento, per due chiacchiere con la sua figlioccia per augurarle ogni bene; ora voleva lasciare che si godesse il suo momento di felicità. Poteva solo pregare che la guerra non interrompesse tragicamente questo momento di gioia e che questo avvenimento potesse aprire gli occhi anche a qualcun altro.
Il suo sguardo si staccò da Sanshiro e Midori per spostarsi su Fabrizia e sul loro Capitano e, infine, su Sakon e sulla sua bella assistente; gli venne da scuotere la testa perplesso, mentre si incamminava sulla rampa dell’astronave.
Il Drago Spaziale sollevò la sua mastodontica mole nel cielo italiano e nel giro di pochi minuti, per chi rimaneva a Terra, non fu altro che un piccolo punto nell'azzurro. 
 

> Continua…
 
 
 
La faccenda del Kintsugi l’ho trovata sul web mentre cercavo tutt’altre cose, e mi è piaciuta così tanto, che non ho potuto fare a meno di appropriarmene, perché il suo significato metaforico sposava perfettamente con questo capitolo, secondo me. Al punto che ho deciso di usarlo persino come titolo.
 
Nella prima stesura questo capitolo era più lungo, e siccome lo era già, pure troppo, quello precedente, qui ho deciso di togliere l'ultimo pezzo e di aggiungerlo al prossimo, che era più corto. Così, giusto per complicarmi la vita :D

 
  
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