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Autore: Hinata_bokee    21/06/2017    0 recensioni
Dal testo:
“Lui non rispose. Non rispose nemmeno alle successive urla disperate che sfuggirono dalle mie fauci spalancate.
Faceva male. La gola bruciava e soprattutto doleva a causa di un groppo che non riuscii a mandar giù.”
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hinata's POV
 
Durante le scuole medie, non avevo mai nessuno che potesse alzarmi un pallone. A volte chiedevo a dei compagni durante l'intervallo o alla fine dei loro allenamenti di basket, altre volte mi allenavo con un gruppo di madri.
Dopo la prima partita della squadra di pallavolo maschile delle medie, dopo quella sconfitta straziante, iniziate le superiori, lo rividi. Rividi colui che mi aveva stracciato alla mia prima partita ufficiale. Il "re", lo chiamavano. Inizialmente credevo fosse un elogio alla sua bravura nel gioco, poi mi venne spiegato che, in realtà, era solo uno di quei soprannomi che ti segnano a vita -o quasi- talmente sono crudeli. Perché lui era il "re egocentrico", era un "dittatore" respinto dai suoi stessi compagni sul campo di battaglia.
Immedesimarsi in un individuo, in un capo, abbandonato dal proprio popolo nel momento di portare quest'ultimo alla vittoria...beh, era straziante. Per lui doveva essere straziante tal pensiero, questa memoria. Una palla lanciata in aria, passata ad un alleato, il quale, però, si era dileguato. Avevano lasciato indietro il loro dittatore, gli si erano ribellati e l'avevano mandato in panchina. Ma dopotutto, se lo sarà pur meritato un trattamento simile, no? Eppure io non vidi mai quel "dittatore" tanto odiato dai suoi compagni delle medie. Certo, ci siamo sempre comportati da rivali, per noi ogni occasione era buona per proporci una sfida. Bastava un semplice sguardo e subito correvamo a perdifiato per vincere quella gara a "chi arriva per primo all'allenamento", a "chi arriva per primo al bus", "chi arriva primo al bagno", ...
Col tempo, quel rivale, quel re che volevo spodestare, quel ragazzo che volevo sconfiggere a tutti i costi, divenne il miglior partner che potessi desiderare. Ah, non fraintendete, partner nel senso di compagno di squadra. Partner perché lui era l'unico con cui potessi sfruttare quella mia schiacciata. Un urlo "a me", seguito da un salto rapido ed alto e, senza neppure aprire gli occhi, il mio palmo si posava sulla palla ed essa si precipitava dall'altra parte della rete. Certo, non funzionava sempre, ma ogni volta che quel pallone finiva sulla pavimentazione degli avversari, provavo una sensazione stupenda. E quelle alzate spettacolari, così precise, perfette, erano un mio unico privilegio e ne ero talmente entusiasta. Finalmente avevo trovato qualcuno che mi alzasse una palla, quel qualcuno che mi era sempre mancato negli anni passati, qualcuno di cui potevo fidarmi al 100%.
Eppure, nonostante tutto ciò, mancava ancora qualcosa, mancava ancora un tassello di questo puzzle incompleto...puzzle che, forse, non riuscirò mai a finire.
Una sera, dopo l'allenamento, io e Kageyama abbiamo iniziato a litigare. Non ricordo neppure per cosa, sono ancora sotto shock per via di ciò che ho vissuto. Rammento solo di averlo chiamato con quel soprannome che tanto detesta, "re"...
Non ho neppure avuto il tempo di scusarmi con lui. Dopo altre urla, entrambi furenti, ricevetti una pallonata in pieno viso. Una pallonata talmente potente che caddi a terra.
Col viso arrossato per via del colpo ricevuto, corsi fuori dalla palestra. Forse gli dissero di andarsi a scusare, forse i senpai lo rimproverarono, perché lui mi seguì. Mi seguì fino all'ultimo.
Sapendo di averlo alle calcagna, non volendogli più rivolgere parola fino a quando non avessi sbollito la rabbia, corsi il più velocemente possibile. Non mi accorsi del semaforo rosso. Solo quando fui in mezzo alla strada, mi resi conto che avrei fatto meglio a fermarmi, che non sarei dovuto scappare dal mio problema.
Vedendo i fari di quel camion enorme puntati sul mio corpo minuto, sentendone il clacson dal rumore assordante, sapendo che, anche provandoci, il guidatore non sarebbe mai riuscito a fermare in tempo il veicolo, tremante ed immobile a causa della paura, credetti che sarebbe giunta la fine. In parte, avevo probabilmente ragione. Kageyama si precipitò da me, spintonandomi dall'altra sponda della strada. Lì, in quel preciso istante, quel mio puzzle di emozioni e ricordi, si frantumò. Così come il mio cuore. Non riuscii a muovermi, ero terrorizzato. No, Tobio stava bene, doveva stare bene. Scosso da continui e rapidi movimenti oscillatori, causati dal terrore dell'inevitabile, mi avvicinai al corpo di lui, giacente sull'asfalto freddo della strada.
 
«...Ka-...Kageyama...»
 
Lo chiamai con voce flebile ed occhi spalancati, con pupille ridotte a due puntini lucidi. Lui non rispose. Non rispose nemmeno alle successive urla disperate che sfuggirono dalle mie fauci spalancate.
Faceva male. La gola bruciava e soprattutto doleva a causa di un groppo che non riuscii a mandar giù.
Non osai toccarlo, temendo di potergli far più male, ed attesi l'arrivo dell'ambulanza, chiamata dall'uomo al volante di quel mezzo che travolse il moro.
Ed ora eccomi qui, ad attendere, assieme ai miei compagni di squadra, di poter finalmente rivedere il mio alzatore, dopo quello straziante incidente.
Odio gli ospedali, li ho sempre odiati. La maggior parte delle motivazioni per cui ci si trova in questi posti, è per pessime notizie, quali: la morte di un proprio caro, un amico o un parente che si è ferito in chissà quale maniera. D'altro canto, però, per alcuni si trasforma in un luogo di salvezza. Spero sia questo il caso di Kageyama, lo spero con tutto il cuore. Soprattutto perché la colpa di tutto ciò è mia...Se solo non fossi corso via, starebbe bene. Certo, sarebbe arrabbiato, infuriato nero con me, ma starebbe bene.

«...dovrei esserci io lì...Tutto questo non è giusto...È colpa mia se è lì dentro, legato a degli stupidi macchinari per restare in vita.»
 
Borbotto disperato, tra me e me, fissando il vuoto in direzione della pavimentazione scura.
 
«Tra poco potremo entrare...»

Interviene Sugawara, nel vano tentativo di tirarmi un poco su di morale. Peccato che questa volta, non funzioni. Niente potrebbe funzionare, il mio umore è sotto le scarpe, probabilmente è sprofondato talmente tanto da poter raggiungere l'altra parte del pianeta.
Appena sento la porta aprirsi, provocando il consueto "click", scatto in piedi. Il dottore non ha neppure il tempo di avvisarci del fatto che possiamo entrare, che subito corro veloce in stanza.
Ciò che vedo non mi piace affatto.
Mi avvicino al ragazzo steso sul lettino, mettendomi in ginocchio accanto ad esso, osservandolo con iridi coperte da un velo umido e lucido. I miei occhi stanno per straripare di lacrime, le mie gote si tingono subito di un rosso acceso e non riesco a trattenere un singhiozzo che sfugge dalle mie labbra, seguito immediatamente da altri. Il mio corpo trema in preda a degli spasmi, mentre alcuni entrano ad osservare la scena. In stanza, ci siamo solo io, Daichi, Sugawara e l'allenatore Ukai, il resto della squadra è rimasta in corridoio, evidentemente.

«Svegliati...Svegliati, dannazione! Non è divertente, stupido. Ti prego...apri quei dannatissimi occhi e torna ad urlarmi contro che sono un cretino, un idiota, tutto quello che vuoi, lanciami addosso anche un pallone, fammi pressione sulla testa con le mani, tirami i capelli, ma...p-per favore...svegliati...»

Non rispose neppure a questo. I sottili sipari di pelle rimasero abbassati, coprendo le iridi scure di lui e mettendo fuori gioco ogni mia speranza, senza annientarla del tutto, però.
So che quel camion l'aveva preso in pieno con una potenza elevata e che se avesse preso me, con ogni probabilità, data la mia corporatura esile, sarei deceduto sul colpo, ma qui si tratta di Kageyama, lui è forte, lui ha la forza fisica e la forza vitale per lottare, per restare in vita, per trasformare quel filo sottile che lo separa dal sonno eterno in un ponte stabile che l'avrebbe riportato dalle persone a cui tiene. Prima o poi risponderà alla mia chiamata.
   
 
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