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Autore: Ardesis    22/06/2017    9 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Conte Hans Axel von Fersen aveva deciso di stabilirsi definitivamente sul suolo francese dopo sette anni trascorsi prima in America e poi in viaggio per l’Europa. Il suo ritorno a Parigi aveva colto la corte alla sprovvista ed Oscar, distante da Versailles per un periodo di meritato congedo, ne era venuta a conoscenza soltanto tramite sua madre. 

La gioia che aveva provato nel ricevere quella notizia era stata violenta come la scarica di un fulmine ma si era esaurita altrettanto velocemente. Perché Fersen non l’aveva informata di suo pugno? Dov’era finita quella confidenza, tanto simile all’amicizia, che avevano condiviso anni prima?

Mai prima di allora Oscar si era trovata nella sgradevole circostanza di sentirsi prigioniera nella propria dimora e di voler fare ritorno a Versailles al più presto. Voleva vederlo, apprendere dei viaggi e degli incontri che aveva vissuto, conoscere la trasformazione del suo animo e del suo cuore. Amava ancora la Regina?

Gli interrogativi erano troppi, la curiosità bruciante e trascorrere le giornate alla finestra, con gli occhi piantati sulle cancellate d’ingresso, sperando che in un qualsiasi momento si spalancassero per far entrare la carrozza di Fersen, le aveva logorato la mente e l’umore.

Aveva cominciato a trascurare gli allenamenti con la spada, a disertare i pasti e a guardarsi allo specchio più spesso e in modo diverso. Il giovanotto efebico con il corpo asciutto che vedeva nello specchio, improvvisamente non le piaceva più. Se davvero la mela d’oro finisce sempre per essere consegnata ad Afrodite -niente di più tristemente vero, lo vedeva tutti i giorni con i propri occhi- Oscar, così credeva, non poteva avere speranze.

Per la prima volta nella sua vita, si era scoperta a desiderare di essere desiderata e desiderabile in un modo che, a pensarci, la faceva arrossire. Solo dopo aver cercato, risoluta, di combattere quell’impulso, che le sembrava tanto contrario ai principi su cui aveva costruito la sua persona, alla fine aveva deciso di cedere.

 

 

 

 

 

Una brezza tiepida e profumata d’erba umida smuoveva dolcemente le lunghe tende che incorniciavano le finestre e riempiva l’ampio spazio della biblioteca facendo fremere le fiammelle delle candele. 

Oscar si accomodò sul divano di velluto verde di fronte alle finestre affacciate sul parco mentre André stappava la bottiglia e versava il vino nei bicchieri.

-André, sei silenzioso.-

Lo provocò Oscar a bassa voce, assaggiando il vino con la punta delle labbra.

-Oggi sono stato a Parigi.- Spiegò lui con un tono sommesso, mentre le si sedeva accanto -Ho visitato la tomba dei miei genitori, poi mi sono attardato in città per svolgere qualche commissione.-

Oscar stirò le labbra e conservò un cortese silenzio.

-L’arsura del primo pomeriggio mi ha spinto a cedere al richiamo di un boccale di birra fresca.- continuò lui -Nella locanda in cui mi sono fermato c’erano degli uomini che lanciavano coltelli su un ritratto della Regina. Sono rimasto in disparte ad ascoltare ciò che dicevano e, parola mia, non ho mai udito una rassegna di insulti tanto volgari. Ne ho persino imparato di nuovi.-

-Imprecavano contro Sua Maestà?-

André si rigirò il calice tra le mani.

-Sì, Oscar. Le hanno attribuito i più svariati e sconci epiteti. Alcuni piuttosto fantasiosi, devo riconoscerlo. Pare che il popolo non veda di buon occhio la permanenza della sovrana al Trianon, lontano dalla Reggia e dai suoi doveri.-

Le nocche della mano con cui Oscar stringeva il bicchiere sbiancarono e André ebbe timore che il cristallo esplodesse da un momento all’altro tra le sue dita.

-Le disgrazie della povera gente non dipendono certamente dalla permanenza della Regina al Trianon.-

Lui annuì e si strinse nelle spalle.

-Siamo d’accordo, Oscar, ma la gente ha bisogno di un capro espiatorio. La miseria dilaga e, dove arriva, infonde insofferenza. La gente è convinta che i soldi delle imposte finiscano nelle tasche dell’aristocrazia e che alimentino gli eccessi della corte.- 

Oscar arrossì visibilmente e non disse nulla. Con un sospiro profondo si avventò sul bicchiere e bevve un lungo sorso di vino senza respirare. André, incuriosito, la osservò assottigliando lo sguardo. Oscar era come la superficie di uno stagno, era evidente quando qualcosa la toccava. Ma per quanto fosse semplice intuire quando la sue mente era turbata, tanto era difficile, d’altra parte, indovinarne le cause. In quel caso, cosa poteva aver causato quelle insolite increspature? Dissapori con suo padre? Voci di lutti o di disgrazie? La notizia del ritorno di Fersen? 

Non riuscì a concludere la propria indagine. A catturare la sua attenzione fu un’impertinente goccia di vino che sfuggì dalle labbra di lei per cadere a macchiarle il colletto della camicia candida. Gli occhi e i pensieri di André si concentrarono su quella piccola chiazza sanguigna che si spandeva tra le fibre della stoffa, e poi scivolarono per effetto della gravità lungo lo scollo e sui lacci morbidi che non congiungevano a dovere i lembi della camicia. Si riscosse subito, paonazzo in viso, e tornò in fretta all’argomento interrotto.

-Non si può negare che Sua Maestà abbia perso molte simpatie da quando si è allontanata dalla Reggia.-

Mormorò con gli occhi nel bicchiere. Oscar gli diede ragione con un cenno della testa e prese a battere un dito su un lato del calice seguendo il ritmo delle proprie riflessioni.

-Quando riprenderò servizio a Versailles, mi spingerò fino al Trianon e oserò chiederle di fare ritorno alla Reggia.-

André sorrise sardonico e inclinò la testa fino ad appoggiarla sul proprio braccio disteso sopra lo schienale del divanetto.

-Temo che non si lascerebbe persuadere nemmeno da te, Oscar. C’è solo una persona che ha su di lei un’ascendente più grande del tuo. E non mi riferisco alla Polognaç.-

Oscar sbatté le palpebre più volte poi abbassò gli occhi.

-Fersen.-

Disse e, mentre si sfiorava distrattamente le labbra con un dito, si accorse che il proprio viso era bollente, le guance scottavano. Guardò allarmata André, che sorseggiava il vino ad occhi chiusi, ignorando o fingendo di ignorare il calore febbrile che lei sentiva di emanare.

Un‘improvvisa mancanza d’aria la spinse ad abbandonare in fretta il divano e a raggiungere la finestra. Mentre guardava la luminosa falce di luna sospesa nel cielo, prese atto di non poter più nascondere ad André i sintomi di quella passione dolorosa che la consumava ormai da giorni, né di volerlo fare. Optò per una mezza confessione.

-André, già lo sai, tu sei il mio più caro amico, siamo cresciuti insieme e abbiamo condiviso momenti importanti della vita. Mi hai sempre ascoltato e dato buoni consigli.-

André allontanò il bicchiere dalle labbra e deglutì a vuoto. Era raro che Oscar assumesse quel tono di voce, languido e mite.

-Io vorrei capire cos’è l’amore, cosa comporta, come lo si riconosce. E credo che tu mi possa aiutare.-

Si voltò verso di lui solo dopo aver terminato la frase e scoprì che André la guardava senza fiato, con due linee nette sulla fronte, tra le sopracciglia.

-Sono stata troppo brusca, André? Perdonami, so che è un tema delicato, io stessa sto facendo fatica ad affrontarlo. Sono certa che tu abbia conosciuto l’amore, anche se non me l’hai mai confessato, forse per paura che parlarne con me potesse essere sconveniente.-

André si sistemò sul divano, raddrizzando la schiena come se per rispondere fosse stato opportuno assumere una posizione composta. Si schiarì la gola e si preparò ad adottare un atteggiamento sincero e allo stesso tempo distaccato. “Mi chiedi uno sforzo notevole, Oscar.”

-Come faccio a spiegarti l’amore, Oscar? Non sono sicuro di riuscire a trovare le parole giuste, anzi, preferirei non provarci nemmeno. D’altra parte, ognuno descriverebbe l’amore a modo proprio, perciò ti risponderò, ma sarò inevitabilmente approssimativo. Per me l’amore è ciò che infonde il coraggio di sacrificare se stessi per il bene altrui.-

-Come una forma di devozione?-

-Per quanto mi riguarda, Oscar, sì.-

Lei annuì e fece indietreggiare le braccia fino ad appoggiare i gomiti sul davanzale. Rimase in silenzio a lungo, con gli occhi fissi nel vuoto e il respiro lento e leggero.

-Grazie, André, sento di avere le idee più chiare. Ora ti toglierò dall’imbarazzo di questo discorso chiedendoti un favore.- disse infine -Domani mattina dovresti procurarmi l’elenco di tutti i balli che si svolgeranno a corte nei prossimi giorni. È importante.-

 

 

 

 

 

Dopo aver ricevuto da Andrè la lista dei ricevimenti che si sarebbero tenuti a Versailles e dopo averne accuratamente scelto uno in cui fossero garantite la presenza di Fersen e l’assenza della Regina, una mattina a colazione, senza preamboli né giri di parole, Oscar chiese a Marron di fornirle entro tre giorni un abito femminile da ballo e lo fece col tono pacato di chi commenta svogliatamente il tempo atmosferico.

Nonostante in un primo momento Marron fosse stata assalita dal dubbio che non si trattasse d’altro che di uno scherzo, si impegnò con la sua solita solerzia a soddisfare la richiesta di Oscar e riuscì a procurarle il vestito in anticipo di un giorno, un bell’abito bianco, ricco di finissimi ricami, appartenuto in passato alla prima delle sorelle Jarjayes -la più simile ad Oscar per fisicità- e ritoccato qua e là per aggiustarne le proporzioni. “Indosserò una tovaglia” aveva scherzato Oscar non appena l’aveva visto, ma con un sorriso compiaciuto sul volto.

 

 

 

 

Quando giunse, infine, il giorno del ballo, Marron si mostrò molto più agitata e trepidante di quanto non fosse Oscar. Stabilì severa che la toeletta sarebbe cominciata nel primo pomeriggio con un bagno caldo e che sarebbe continuata fino a sera davanti allo specchio. E non fu ammesso neanche un fiato di replica.

-Bisogna sistemare questo groviglio.-

Annunciò solenne brandendo la spazzola. Lisciò e pettinò con energia le arruffate ciocche lucenti di Oscar, soffermandosi a lungo sui nodi, numerosi e tenaci, tirando e strattonando i capelli come se non considerasse il fatto che ci fosse una testa attaccata ad essi.

-È un supplizio.-

Si lamentò Oscar a bassa voce, stringendo gli occhi ad ogni violenta spazzolata.

-Il corsetto ti piacerà ancor meno, Oscar.-

Replicò aspra la governante, trionfando sull’ennesimo garbuglio di capelli. 

Il corsetto, per l’appunto, ad Oscar non piacque affatto. Rimpianse amaramente la leggerezza della camicia e la comodità dell’uniforme, mentre Marron la imprigionava in quella gabbia di stecche dure, tirando i lacci con la stessa energia con cui le aveva pettinato i capelli.

-Finalmente avrai l’aspetto della contessina che sei.-

Cinguettò la governante, invitandola ad alzare le braccia per indossare la crinolina. Oscar arricciò il naso e sbuffò infastidita. Il titolo di “contessina” le stava più stretto del bustino.

La vestizione richiese molto tempo e Marron non si risparmiò di far notare quanto fosse stato saggio cominciare la toeletta con largo anticipo. Il cielo si era ormai fatto buio oltre le vetrate delle finestre, quando finalmente la governante, dopo aver aggiustato un fiocco e vaporizzato un ultimo sbuffo di profumo sul collo di Oscar, esclamò eccitata:

-Sei un incanto, cara!-

E tutta tremante di emozione, la prese per mano e la condusse davanti allo specchio. Oscar scambiò un lungo sguardo con il proprio riflesso. Non riusciva a credere ai propri occhi. La sconosciuta che si affacciava dall’altro lato del vetro non assomigliava affatto ad un ridicolo spaventapasseri agghindato, come lei aveva previsto. Era, invece, una donna elegante e sensuale, di cui Oscar stessa si invaghì. 

-Persino le statue di Versailles si volteranno per ammirarti, Oscar.-

La voce di André fu poco più di un sussurro, ma riempì la stanza. Oscar lo vide nello specchio dietro di sé, fermo sulla soglia della porta, con una spalla appoggiata sullo stipite e una mano in tasca, e, senza voltarsi verso di lui, provò nervosamente a cercare una traccia di derisione sul suo viso. Non trovarla fu un sollievo tale che il nodo alla sua gola si sciolse.

-Mi sentirei più a mio agio se al posto di un ventaglio avessi in mano una spada.-

Gli disse. Lui si addentrò in silenzio nella stanza, attratto da quella bianca schiena scoperta che richiamava continuamente il suo sguardo. Quando fu vicino ad Oscar, però, si accorse di provare uno strano miscuglio di emozioni, quasi lo stesso sentimento che gli era capitato di nutrire nei confronti degli elaboratissimi dolci che venivano presentati in pompa magna sulla tavola del re, ricoperti da ninnoli di zucchero, mosaici di canditi e colate di glassa che seducevano la vista ma annoiavano la gola, annullando il sapore del dessert vero e proprio. Ne era attratto e al contempo nauseato.

-Il ventaglio non sarà una spada, ma non dubito che nelle tue mani possa essere un’arma ugualmente letale.-

Scherzò, sperando che lei non percepisse il suo vero umore, e si sentì sollevato quando intravide l’ombra di un sorriso sulle sue labbra.

-Per l’amor del cielo, si farà tardi!- esclamò Marron, ricordando a tutti la propria presenza -André, caro, accompagna la Signorina alla carrozza.-

Ci fu un lungo, soffocante attimo di silenzio. Oscar trattenne il fiato, André si sentì prudere le mani, ma nessuno dei due osò emettere un suono. Mai prima di allora avevano avuto tanta consapevolezza dell’abisso tra i propri ruoli. Lui le offrì il braccio e lei lo accettò come se fosse il gesto più naturale del mondo, come se avessero sempre fatto così.

 

 

 

 

 

 

La carrozza di Oscar non aveva ancora lasciato il cortile di Palazzo Jarjayes, quando André salì in sella al proprio cavallo con l’intenzione e l’urgenza di raggiungere al più presto Parigi. Galoppò a briglie sciolte nella notte fresca e profumata, senza fermarsi nè rallentare, finché non si trovò davanti all’ingresso del bordello. Appena prima di entrare, esitò a chiedersi se Oscar avesse già raggiunto Versailles, poi le voci e le risate delle prostitute affacciate alle finestre si presero tutta la sua attenzione e il puzzo di perversione gli riempì il petto e i pensieri. Entrò nella casa di piacere col passo pesante e, lontanissimo dall’essere il ragazzo impacciato di dieci anni prima, chiese di Cerise, la ragazza della prima volta -e delle volte successive. La timidezza e l’imbarazzo che aveva provato in passato erano ormai un ricordo sbiadito.

-Il mio bel André.-

Miagolò lei quando lo vide entrare nella stanza.

-Ho bisogno di te, Cerise.-

Con un gesto della mano Cerise lo invitò a sedersi sul letto mentre lei chiudeva la porta, poi lo raggiunse, lenta e sinuosa, padrona di ogni singolo movimento del proprio corpo e perfettamente consapevole dell’effetto che scatenava.

-Oh, io capisco perché soffri.-

Mormorò accucciandosi sopra le sue gambe.

-La donna di tuo cuore vuole un altro uomo.-

Gli prese il volto tra le mani e gli posò un bacio appena sopra l’angolo della bocca. 

-È molto sciocca.-

Aggiunse con voce leggera, premendo le labbra carnose sulle sue.

Gli diede un bacio lungo, di una lentezza struggente. Succhiò via a minuscoli sorsi tutta la sua amarezza e gli riempì la bocca di dolci promesse.

Il dolore di André si mitigò, divenne semplice malinconia e infine si sciolse in puro desiderio fisico, prepotente e doloroso. Cerise se ne accorse. Gli guidò le mani sulla propria veste, morbida e senza l’ingombro di lacci da sciogliere, e se la lasciò sfilare dalla testa. 

Non c’era alcuna incertezza nei suoi gesti e nemmeno volgarità, eppure lui ancora non riusciva a non vacillare di fronte a quel corpo nudo che gli si offriva generoso e senza vergogna.

Le sfiorò la schiena liscia e si chinò sul suo collo per assaggiare la sua pelle scura, profumata di essenze orientali. Che sapore aveva, si chiese, la pelle candida di Oscar? Quale bocca avrebbe mai avuto il privilegio di scoprirlo? Non la sua, ne era certo.

Si distesero sul letto spingendosi a vicenda con carezze sempre più profonde. Lei scivolò sotto di lui, lo aiutò a liberarsi dei vestiti e schiuse le cosce sorridendo a labbra strette. C’era dell’amaro nella dolcezza di Cerise, una punta lievissima, come in un candito d’arancia. André si trattenne a scrutare nel baratro profondo di quei limpidi occhi neri che brillavano nel chiarore delle candele e vi trovò panorami notturni di luoghi lontani e sconosciuti. A quale Paese apparteneva? Dov’era cresciuta? Cosa l’aveva portata a vendersi per denaro?

-Cerise, mi aiuterai a dimenticarla per almeno un’ora?-

Le domandò. Lei scosse la testa e allargò il sorriso.

-Se vuoi dimenticare devi bere, ma tu non vuoi dimenticare. Chiudi gli occhi, mio bel André, e immagina che Cerise è lei* e Cerise lo sarà.-

 

 

 

 

*mancanza di congiuntivo voluta! Gli “errori” nelle battute di Cerise evidenziano il fatto che lei non sia francese.

   
 
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