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Autore: ludo22    23/06/2017    2 recensioni
-D-d-dove sono? Cosa è successo?- chiese con la voce ancora arrocchita dal lungo sonno, ad una figura leggermente chinata in avanti e il cui volto era in ombra, ma che riconobbe immediatamente, anche se c’era qualcosa di strano nella sua figura.
Forse era per l’abito d’alta sartoria blu sgualcito o per la barba lunga e sciatta di diversi giorni, ma…
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Capitolo più che altro riempitivo e di “sviluppo” dei personaggi. Me ne scuso infinitamente, ma andava fatto prima o poi (meglio poi che prima direbbe mio cugino, ma vabbè).

-Presenza di flashback e di sogno porn! (scusa mamma!) (spero, comunque, che non lo sia troppo, dato che il rating è arancione. Se pensate che lo debba alzare, ditemelo che è un attimo, insomma).

-Siamo solo al secondo capitolo e già ci infilo del porn!, Dio santissimo!

Per il tredicesimo punto a uno sgozzamento davanti agli occhi di Mycroft XD.

-Non ho mai studiato medicina (e non ci tengo, decisamente, ad iniziare oggi), quindi per qualsiasi errore/discrepanza sentitevi pure libere di prendervela con la mia ignoranza in materia.

-Sto già lavorando al terzo capitolo? Yes!

-Nello scorso capitolo mi sono scordata di dire che sono presenti spoiler sulla quarta stagione di Sherlock (se si escludono le prime due puntate, perché Mary? Che male vi ho fatto per portarmi via anche lei?).

-C’è poca presenza di Mycroft nel capitolo, lo so, me ne scuso ma è difficilissimo far parlare il mio pulcino spennacchiato e bellissimo, specie se non sei un genio (e io non lo sono) ma c’è un sacco di Molly, per cui spero di aver rimediato in qualche modo.

-Ci tengo anche a precisare che non condono il gesto di Sherlock, e che se fossi Molly gliel'avrei fatta pagare cara, ma questo è ciò che è uscito una volta che ho cercato di tirare le fila di tutto. 
Abbiate pietà di me, ve ne prego!
 
 
Hold every memory as you go and every road you take will always lead you home
 
Show me your doubts and I’ll make you believe,
Yeah, you’re still here,
You ain’t gone
-Take what I can get; Matthew Mayfield-
 
 
 
INCONTRIAMOCI TRA MEZZ’ORA AL DIOGENES CLUB –MH

QUELLO DI DUE ANNI FA NON È STATO UN ATTO CASUALE, QUINDI, LA PREGO DI USARE IL MASSIMO TATTO E IL PIÙ TOTALE RISERBO IN MATERIA –MH

Molly era corsa fuori dal Bart’s, non appena Mycroft Holmes l’aveva chiamata, pensando al peggio.

Ma Sherlock era sveglio, ed era cosciente, ed era vivo.

Aveva pensato anche di chiamare i suoi migliori amici, ma alla fine aveva desistito.

Un po’ per volere del fratello, molto più perché i rapporti con la coppia si erano andati, via via, sempre più raffreddando.

Anche con la signora Hudson non c’era più la chimica che le aveva legate.
 
Forse era perché mancava il collante che aveva unito il loro piccolo gruppo.

Forse era perché non avevano poi molti interessi in comune.

Forse era perché, tutto sommato, Molly addossava ancora la colpa a John per quella nefasta notte…
 

Due anni prima
 
 
-Molly, mi dispiace…- aveva pianto John al telefono.

John non era la tipologia d’uomo che si metteva a piangere per niente, quindi doveva essere successo qualcosa, a Mary, a Rosy, a Greg, alla signora Hudson, o a Sherloc…

No, a Sherlock non poteva essere successo niente.

-Cosa è success…?-

L’aveva lasciato la sera prima, stanco ma felice della risoluzione di un caso, nell’appartamento che, tempo prima, aveva condiviso con John.

Lo stesso John che adesso le singhiozzava al telefono.

-Molly, mi dispiace. Sono stato un idiota e…-

La corsa in taxi non era stata nient’altro che una macchia sfocata e un continuo trillare del suo telefono, cui non aveva mai risposto, troppo immersa nel suo dolore.

Stando a Greg c’era stata un’esplosione nell’appartamento 221B di Baker Street.

Fuga di gas.

O, più probabilmente, quel matto di Holmes si era messo di nuovo a pasticciare con gli esplosivi, aveva sentito dire da un paio di persone, fuori dal suo luogo di lavoro.

Ti prego, non prendere anche lui, ti prego, non prendere anche lui, ti prego, non prendere anche... 

John non era in casa e Molly sapeva, sapeva, che se ci fosse stato lui, non sarebbe successo niente, perché era John quello che sapeva prendersi cura delle persone, perché era John quello che sapeva cucinare, perché era John quello che…

Ti prego, ti prego, ti prego…

-Come sta?- aveva urlato a Mary, non appena aveva riconosciuto la bionda figura dell’amica, fuori dall’ospedale.


(-Come stai?- gli aveva chiesto, secoli prima.

Era ironico e, al tempo stesso, non lo era per niente il fatto che lo stesse chiedendo ad un’altra persona quando il soggetto era sempre lo stesso.)


-È ancora sotto ai ferri… Molly…- non c’era stato bisogno di aggiungere altro.

La donna era corsa il più velocemente che poteva verso il reparto di chirurgia d’urgenza.

La sala d’aspetto era estremamente fredda e impersonale, ma pulita.

Le pareti erano di un azzurrino ghiaccio mentre il pavimento era di lucido marmo bianco.

L’unica fonte di luce, oltre al lampadario, era la finestra che dava sulla sala operatoria dove stavano operando Sherlock.

-Signorina Hooper, come lei probabilmente ben sa…- ricordava di aver dato uno spintone a Mycroft Holmes e di essersi avvicinata al vetro dietro il quale la migliore equipe di medici di Londra… dannazione!, probabilmente dell’intera Gran Bretagna, stava lavorando!

Ricordava di aver appoggiato la fronte contro il cristallo gelido e di aver poggiato la mano sinistra contro di esso.
A Sherlock non era mai piaciuto troppo contatto fisico e, anche se sotto ai ferri del chirurgo, Molly sperò che quel piccolo gesto gli portasse fortuna.

Torna da me, Sherlock Holmes, ti prego, torna da me…

Aveva chiuso gli occhi e aveva iniziato a pregare un Dio in cui non credeva pur di non vederlo morto.
Due lacrime le erano scese lungo le guance, sporcandogliele di mascara.

C’erano talmente tante cose che avrebbe voluto dirgli… Talmente tante esperienze che avrebbe voluto che lui facesse…

-Signorina Hooper,- aveva urlato Mycroft per farsi sentire sopra il battito del suo cuore, prendendola delicatamente per il polso.

Molly si era affrettata a strappare il braccio dalla presa dell’uomo e, voltandosi come una furia, aveva urlato:

-Non mi toccare!-

Dopo qualche istante di silenzio si rese conto che Mycroft non aveva urlato e che era stato Greg a prenderla per l’osso carpale e che c’erano John con, in mano, un bicchiere di quello che sembrava essere caffè e gli occhi lucidi, Mary con una tazza di the e lacrime fresche, la piccola Rosy che, pur essendo troppo piccola per capire quello che stesse succedendo, aveva lo sguardo spento, e la signora Hudson, lì con loro.

-Si riprenderà, cara, vedrai! Lo fa sempre!- la signora Hudson le si era avvicinata e le aveva messo una mano su una spalla, ma nel suo tono di voce c’era una tristezza che Molly non aveva mai sentito.

-Si, deve riprendersi! Ha assolutamente ragione, signora Hudson!- aveva riso istericamente Molly.

La sua risata, quando rideva a quel modo, era maniacale, ma non se ne curò, e rise così per diversi minuti, mentre Rosy si mise a piangere, disperata.

Passarono ore.

Mycroft accavallava e scavallava le gambe ad intervalli regolari, sbuffando di tanto in tanto e scrivendo, con dita sempre più rapide, sullo schermo del suo Iphone, John tirava su con il naso, Greg stava immobile, seduto leggermente in disparte, Mary aveva dovuto riportare a casa Rosy, ma che aveva fatto promettere sia a lei che al marito di chiamarla, in caso di necessità, la signora Hudson, borbottava qualcosa di incomprensibile e Molly, che non si era ancora mossa da dove si trovava.

Il braccio le aveva iniziato a dolere già da parecchio tempo, ma non osò staccarlo nemmeno per un secondo dal vetro che la separava da lui.

Dicono che il tempo guarisca tutte le ferite, ma la donna per la prima volta in vita sua, dubitò della saggezza popolare.

È la morte che cambia tutto, il tempo non può fare niente al riguardo. Se morissi oggi, mi mancherebbe terribilmente il suono della tua voce. Mi mancherebbe la saggezza dei tuoi consigli. Mi mancherebbero le storie sui casi che risolvi con John, e solo stare vicino a te. Quindi penso di no, il tempo non cambia niente, mi mancheresti oggi come domani e come dopodomani ancora e così via fino al resto dei miei giorni. Mi mancheresti e basta.

Gli unici rumori che lei riusciva a sentire erano il ticchettio dell’orologio posto sopra la sua testa, il cuore che sembrava le battesse nelle orecchie tanto era assordante, e il bip delle macchine nella sala operatoria, oltre alle attutite parole che i medici e gli infermieri si scambiavano di quando in quando…

Le uniche cose che riusciva a vedere dall’angolo in cui si trovava erano i piedi bianchi e nudi dell’uomo, l’elettrocardiogramma e i due dottori che si chinavano continuamente alla ricerca di ulteriori danni.

Era già qualche ora che il primo chirurgo, con i tre specializzandi al suo seguito, si era unito al primo, per concentrarsi interamente sulla testa dell’uomo che sembrava essere più ostica.

Fa che non muoia, fa solo che non muoia, fa solo che non…

La peggiore battaglia è quella tra ciò che senti e ciò che sai, era solito ripetere suo padre.

Molly non aveva mai davvero capito cosa significasse, fino a quel momento, pensò, malcelando un singhiozzo strozzato con un leggero colpo di tosse.

Perché se il suo cuore le diceva che l’organo che pompava sangue di Sherlock batteva ancora, la mente le diceva che se il dottor Frank, uno dei migliori chirurghi del paese, ci stava mettendo tanto non significava niente di buono.

-Me l’hai promesso, ricordi Sherlock?- disse a voce più alta del previsto la donna a nessuno che non fosse lui.

Mycroft alzò leggermente un sopracciglio, ma non disse niente.

John nemmeno la sentì, troppo intento a cercare un fazzoletto nelle tasche dei pantaloni.

Mary finse di non aver capito.

Greg stava parlando a bassa voce al telefono.

La signora Hudson si era appisolata su una scomoda sedia di ferro.

Rosy era stata portata dai vicini.

Fu in quel momento che entrambi i medici alzarono le mani e si diressero stancamente verso la sala di sterilizzazione.

-Come sta?- chiesero tutti, tutti meno lei e Mycroft.

Lei perché ne sapeva abbastanza di medicina da sapere, e il fratello perché per una persona che era ancora più brava di Sherlock nel riconoscere le espressioni facciali di una persona, era un gioco da ragazzi riuscire ad indovinare il referto.

-È in coma, non è vero, dottore?- chiese con tono grave l’uomo dai capelli scuri.

Il chirurgo sembrò sconvolto dalla viva partecipazione di tutto il loro piccolo gruppetto perché chiese chi di loro facesse parte della famiglia Holmes.

Mycroft si guardò per un attimo intorno, prima di rispondere:

-Tutti, dottore. Tutti facciamo parte della famiglia Holmes.-

-In questo caso…- il dottore sembrò poco convinto della risposta, ma non potendo avere un riscontro pratico nell’immediato, decise di rispondere. -Sì, è entrato in coma.-

-Ci sono possibilità che si svegli?- chiese Mary.

-Ce ne sono sempre, ma in questo caso direi che non sono molte.- spiegò pazientemente il dottore, mentre la signora Hudson tratteneva il respiro, -Inoltre, casomai si svegliasse non potrebbe più tornare a fare tutto quello che faceva prima. Il suo organismo ha letteralmente inspirato tanto di quel fumo per la fuga di gas da rischiare di morire solo per quello. Abbiamo rilevato nel suo sangue un’ingente tasso di anidride carbonica che ha danneggiato permanentemente, temo, il polmone sinistro e…-

-Cioè niente più investigazioni? Ma ne morirebbe, povero caro!- la signora Hudson era davvero adorabile quando fingeva di non capire.

-Signora Hudson, Sherlock non si sveglierà probabilmente mai più!- urlò Molly voltandosi verso di loro, arrabbiata.

Perché si rifiutavano di capire?

Nessuno di loro sarebbe più stato in grado di sentire la sua voce, di vederlo imbaccuccarsi nel pesante Belstaff grigio piombo, di passarci del tempo assieme, ma tutti fingevano il contrario.

-Molly…-

-No, Greg!- la donna interruppe il poliziotto -La colpa di tutto ciò è solo di quell’inetto di John! Tutti sappiamo quanto Sherlock possa essere distratto, e lui l’ha lasciato lì, senza supervisione alcuna, e…-

Una mano ferma ma insospettabilmente dolce la guidò, spingendola, fuori dalla stanza, mentre ancora stava urlando.

-E lasciami!- ringhiò allo sconosciuto che l’aveva allontanata dal gruppo.

-Signorina Hooper,- la voce autoritaria di Mycroft Holmes la aiutò a tornare, almeno in parte, sulla Terra. -a tutti mancherà molto Sherlock, ma non credo che lui volesse che si scagliasse contro il suo migliore amico e la sua proprietaria di casa, nonché vostra amica.-

-Non voleva nemmeno finire in coma vegetativo, penso, eppure eccoci qui!- continuò a ringhiare Molly, sorpresa, ma in maniera negativa dall’atteggiamento del maggiore degli Holmes.
 
Non era così che sarebbe dovuta andare!

Se Mycroft Holmes fosse stato un uomo davvero onesto, avrebbe sguinzagliato tutti i membri dell’MI6 alla ricerca del vero colpevole.

Se Mycrof Holmes fosse stato un uomo di veri principi, avrebbe dato la caccia personalmente all’uomo che aveva lasciato aperta quella stupida tubatura del gas…

La verità era che Molly lo voleva arrabbiato, tanto e forse pure più, di lei.

Il Mycroft sofista poteva anche andare a farsi benedire, per quello che la riguardava.

-Così stanno le cose! Lei, più di tutti, dovrebbe sapere che l’amore non basta a salvare una persona. Amare, sfortunatamente, non è mai abbastanza.- ribatté dolcemente lui, -E non dubiti mai, nemmeno per un istante, che quando troverò il responsabile di ciò, egli non morirà tra atroci sofferenze!- aggiunse poi, con tono letale e mortifero, che davvero poco si addiceva all’uomo e che per questo glielo rese ancora più spaventoso ai suoi occhi, prima di voltarsi e lasciarla lì.
 

Un anno e nove mesi prima
 
 
-Dovresti riiniziare a frequentare i locali, Molly!- la voce, un pochino ovattata da qualche singhiozzo residuo che ancora le faceva stringere la gola in una morsa, di Mary la raggiunse.

La bionda stava sfogliando distrattamente le pagine di un giornale di moda, mentre l’altra teneva la mano di Sherlock come se ne andasse della sua vita.

-So che potrei farlo, ma non voglio.- rispose semplicemente la donna.

Mary uscì dalla stanza lasciandosi dietro il giornale.
 

Un anno e sei mesi prima
 
 
-Credi che a lui piacerebbe vederti così?- le urlò John.

-Non credo che gli sarebbe piaciuto nemmeno finire in coma, eppure…- lo sfidò Molly.
 

Un anno prima
 
 
-Signorina Hooper…-

-Molly. Chiamami pure Molly.- sorrise stancamente la donna, bagnando la fronte del degente con un fazzoletto di stoffa chiaro.

-Va bene, signorina Hooper, credo sia inutile che lei rimanga ancora qui!- disse la voce aristocratica di Mycroft Holmes.

-Cosa intendi dire?- chiese la giovane, lo sguardo fiammeggiante.

Era chiaro il messaggio che gli stavano mandando le iridi scure: valuta attentamente di cosa vuoi parlare, se non vuoi finire come lui!

-Ehm… Intendo dire…- si corresse immediatamente l’uomo. -…Voglio dire che il mondo è enorme. Ci sono sette milioni di persone sulla Terra. E… Sherlock potrà anche essere stato il suo primo amore, ma questo non significa che debba essere l’unico. Sono certo che non gliene farebbe una colpa se mai decidesse di andare avanti e voltare pagina. Ne ha passate di tutti i colori con il mio fratellino e… Beh… Sa come si dice, no? Devi lottare contro alcuni giorni orrendi, per guadagnarti quelli più belli. E lei di giornate brutte ne ha avute più che a sufficienza, mi pare.- disse Mycroft, la voce più dolce di quanto lei si aspettasse.

-No! Non posso lasciarlo! Non posso lasciarlo! Non posso lasciarl…- ripeté Molly, come un’invasata, stringendo il fazzoletto al punto da farsi diventare bianche le nocche delle mani.

-Sherlock è celebrarmente morto, signorina.- le ricordò lui. –Possiamo fare ben poco per lui. E anche se potessimo fare qualcosa…-

-La speranza c’è sempre.- lo interruppe la donna.

-Ho sentito dire che quando ami una persona la proteggi, da tutto e tutti. Io non sono stato in grado di farlo.- quella di Mycroft sembrava una confessione, più che un discorso in generale. -Non è forse questa, l’essenza stessa dell’amore? Essere sempre presenti per l’altra persona, qualunque cosa accada?-

Molly guardò fuori dalla finestra, verso quella in cui sapeva essere la direzione in cui si trovava il Tamigi.

-No, non sempre. A volte, l’amore non basta.- rispose, ricordando le parole che lui stesso aveva utilizzato con lei, l’anno prima.

Il maggiore degli Holmes era noto per il suo pragmatismo e per il suo buonsenso, ed era cosa rara sentirlo parlare di sentimenti e similari.

-E se si svegliasse?- chiese Molly, gli occhi grandi e imploranti.

-Sono certo che non accadrà stasera. Mentre a lei servirebbe proprio un bel bagno caldo e un letto confortevole e comodo su cui stendersi e riposare.- ridacchiò stancamente l’uomo, accompagnandola alla porta.

Una volta che la giovane fu uscita, Mycroft si girò per incontrare lo sguardo del tutto assente, ma accigliato, come se avesse sentito di cosa stavano parlando lui e la signorina Hooper, del minore.

-Oh, non ti ci mettere anche tu adesso!- borbottò. -Sai benissimo che è la cosa più giusta da fare.-
 

Otto mesi prima
 

-Qual buon vento, signorina Hooper?- sorrise l’uomo, riordinando il fascicolo che gli avevano portato dall’ufficio.

Oramai era raro che chiunque gli venisse a fare visita.

Nessuno l’aveva fatto apposta, supponeva il maggiore degli Holmes, ma quando ti ritrovi a dover fare da baby sitter ad un uomo che non riusciva nemmeno più a sentire il dolore, era inevitabile che certe cose cambiassero.

E la signorina Hooper era rimasta al suo fianco per più tempo di tutti, eccezion fatta per lui.

(Ma lui e Sherlock erano fratelli, quindi, magari, il suo sacrificio non gli sarebbe valso la pace eterna...)  

La povera signora Hudson non aveva retto che una settimana, due ore, cinque minuti e zero secondi al capezzale di Sherlock, prima di decretare che quello, per lei, era troppo.

Lestrade era stato il secondo a mollare, addossando la colpa al lavoro, con un record di ben un mese, diciassette giorni, sedici ore, quindici minuti e ventiquattro secondi poi era stata la volta degli Watson, anche se con tempi diversi.

Mary, con suo grande rammarico, aveva resistito per quattro mesi, trenta giorni, quindici ore, trenta minuti e dieci secondi, John per sette mesi, otto giorni, dieci ore, tredici minuti e due secondi.

Molly arrossì.

-Sono solo venuta a fare un salutino!- commentò impacciatamente.

-Oh, non si deve giustificare con me, signorina!- Mycroft alzò leggermente le spalle, a disagio.

Lei lo chiamava tutte le sere, anche se non era assolutamente necessario, come le ripeteva ogni notte, e si informava di un po’ di tutto, ma era chiaro che volesse parlare quasi esclusivamente di lui.

E a Mycroft sarebbe piaciuto davvero moltissimo darle qualche bella notizia su quel frangente, ma non ce ne erano mai.

-Volete che vi lasci un minuto da soli?- chiese dopo qualche istante di imbarazzante silenzio.

-Come? Oh, no, no, grazie…- cercò di ribattere velocemente la donna, ma troppo tardi, visto che Mycroft Holmes si era già alzato e si stava sgranchendo le gambe, intorpidite dal lungo stare seduto.

-Vado a prendere un caffè alla macchinetta qui all’angolo, se vi servisse una mano...-  commentò in tono volutamente leggero, sparendo dietro lo stipite della porta.

Molly rimase per qualche secondo ferma, prima di arrampicarsi sul letto.

-Ciao!- sussurrò solo.

E forse, forse, era solo la sua immaginazione, ma gli sembrò che Sherlock sorridesse, quando chiuse gli occhi e si accoccolò contro il suo petto.
 

Sei mesi prima
 

Si era appena appisolato quando Molly ricomparve.

La donna si limitò a sorridere e a posargli una pesante coperta sulle membra stanche.

Il mattino dopo, al suo risveglio, Mycrof Holmes trovò un piccolo post-it giallo sul corpo, ormai sfatto, del fratello.

Tornerò.

Molly Hooper
 

Due mesi prima
 

-Devo dirti una cosa!- proruppe Molly al telefono.

-Dimmi!- disse Mycroft, incuriosito, scribacchiando un piccolo appunto su un block notes.

Era la prima volta che la donna non si interessava, per prima cosa, al fratello.

-C’è già da qualche tempo una persona nella mia vita e…- mormorò la giovane. Mycroft si preparò mentalmente ai gridolini e alle urla di giubilo che sarebbero arrivate di lì a poco. -… e mi ha chiesto di sposarlo!-

-Beh… Ma è… Uao! Una notizia grandiosa!- Mycroft Holmes non si era mai particolarmente interessato al matrimonio, considerandolo, come Sherlock, inutile, se non addirittura dannoso, ma sapere che ci fosse qualcuno nel mondo tanto forte da riuscire a chiedere la mano di Molly e non pensare di essere solo un sostituto temporaneo del fratello minore era una di quelle cose che gli davano nuova fede nell’umanità.

-Volevo chiederti se andava bene se venivamo a fare la vostra conoscenza.- ridacchiò impacciata la donna.

-Certo, certo, quando vuoi.- ribatté velocemente Mycroft, fingendo un’allegria che non gli apparteneva.

-Che ne dici di… Adesso?- due leggeri colpetti sulla sua spalla destra lo fecero voltare di scatto, per trovarsi davanti una splendida giovane donna che lo abbracciò stretto.

L’uomo si sforzò e ricambiò l’abbraccio, battendole piano la mano destra contro le scapole.

-Mycroft Holmes, è sempre un piacere vederti.- sussurrò lasciandolo andare.

-Potrei dire lo stesso per te, signorina Hooper!- commentò lui, prendendosi un secondo di più per osservarla bene.

Capelli appena fatti dal parrucchiere, cappotto nuovo, trucco discreto ma presente…

Un uomo sulla trentacinquina dietro di lei si schiarì rumorosamente la gola.

Troppo gel nei capelli, completo di arta sartoria, tracce di crema per il viso, profumo troppo forte, figlio unico, tifoso del Chelsea, probabile Tories…

-Oh, scusate, Alex lui è Mycroft, Mycroft, Alex.- i due uomini si strinsero la mano e si sorrisero amichevolmente.
-Come sta?- chiese frettolosamente Molly, entrando nella stanza d’ospedale per vederlo lì, immobile, come sempre.

-Non so cosa lei si aspetti, signorina Hooper, davvero. Non è cambiato molto da ieri sera.- il maggiore degli Holmes alzò giocosamente gli occhi al cielo.

-Non si sa mai!- mormorò Molly, seguendo il profilo del braccio di Sherlock con la mano sotto le coperte, per arrivare a stringergliela.

-Le va un caffè?- chiese Mycroft all’altro uomo, che annuì piano con il capo.

-Vuoi qualcosa, tesoro?- chiese Alex alla futura sposa, con solo un minimo di incertezza nella voce.

-Come? Oh, no, grazie.- sorrise lei, sedendosi sull’unica sedia disponibile nella stanza.

E, finalmente, i due uomini la lasciarono sola con lui.

 -Ciao, Sherlock!- disse piano, -Come stai? Sì, so che non puoi rispondermi, ma io te lo domando sempre lo stesso. John e Mary stanno bene, così come la piccola Rosy. Ha i capelli di John, ma il resto è tutta la sua mamma. Greg è stato promosso e la signora Hudson è sempre più matta da legare. Sai che si è comperata una Ferrari? Una Ferrari, ma dimmi tu! Ce la vedi la signora Hudson su una Ferrari?- ridacchiò compiaciuta, -Mi chiedo cosa penseresti di Alex… Sì, so che si mette troppo gel nei capelli, e che vota Tories, ma nessuno è perfetto, no? Se ti piace tanto quanto piace a me, non muovere un muscolo.- aggiunse poi, -Beh, direi che va bene, allora, no?- borbottò, sentendosi appena un attimo tradita.

Perché, nella sua fantasia, ci sarebbero dovuti essere loro due, non lei ed Alex!

Lui l’amava, per Giove!

L’aveva ammesso anche di fronte a John e al fratellone.

-Facciamo un ultimo tentativo, ti va?- sussurrò, girando la testa a destra e a sinistra, per controllare che la via fosse libera.

-Torna da me, ti prego, Sherlock, torna da me!- sussurrò.

Ancora nessuna risposta.

Molly si limitò a scuotere le spalle e ad alzarsi, proprio quando arrivarono Mycroft e Alex, chiacchierando amabilmente.

-Allora, siamo pronti per andare via?- chiese il suo fidanzato, lanciando un’occhiata sghemba all’uomo sdraiato nel letto.

Lei si limitò a sorridere ed a annuire con il capo.

-Mai stata più pronta in vita mia!- sospirò, buttando un’ultima occhiata veloce a Sherlock.

-Vi accompagno all’entrata!- propose Mycroft.

L’invito fu accolto con una vigorosa stretta di mano tra i due uomini e l’urletto di gioia di Molly.

Nel letto, non visto da nessuno, l’uomo mosse il dito indice, mentre il lieve bip che monitorava le sue onde celebrali si fece sentire, dopo molto tempo.   
 
****

 
Lui voleva parlarle, quindi l’aveva fatto.

Quando si era seduto sul taxi, direzione casa sua, quando aveva sorriso stancamente al suo portiere, quando si era trascinato sulle scale che lo avrebbero portato al suo appartamento, quando aveva suonato al suo campanello, l’unica cosa a cui aveva pensato erano le parole che le avrebbe rivolto.
 
Mi dispiace, Molly…

Non sarebbe dovuto succedere in questo modo, Molly…

Non sono riuscito a proteggerti come avrei dovuto Molly, lo so…

Quando Sherlock guardò impotente -fa che non sia in casa, fa che non sia in casa, fa che non sia…- la porta aprirsi, le parole gli erano rimaste incastrate da qualche parte sulla lingua. Parole come scusa, e mi vergogno, e ti ho ferita per l’ennesima volta, e se non vorrai mai più vedermi ti capisco perfettamente.

Le parole erano lì, sulla punta della lingua, ma nel momento in cui vide i suoi occhi fissarlo dalla porta di casa, nel momento in cui guardò le ossute, diafane dita girare la maniglia, il mondo sembrò fermarsi e iniziare a girare al contrario. Le parole che aveva accuratamente pensato lo lasciarono.

Lui la guardò e le sue mani si mossero da sole verso di lei, imploranti. Gentili. Prudenti.

Il suo pollice incontrò la sua guancia, poi il mento, per infine arrivare ad accarezzarle il labbro inferiore.

Lei tremò, guardandolo dal basso.
 

Lui tremò, guardandola dall’alto.

La porta si aprì del tutto e le mani di lei corsero al suo viso, come attirate da un magnete. Piccole mani, piccole dita si posarono sulle sue guance e Sherlock si ritrovò improvvisamente ad avanzare. Era nel suo appartamento, adesso, incurante della mancanza di un invito.

Si sentì in imbarazzo, terribilmente consapevole del rumore del suo cuore.

Del rumore del suo respiro.

Molly deglutì e annuì piano con il capo quando lui le si avvicinò ulteriormente. Lui coprì le mani che non gli avevano mai lasciato il volto con le proprie, e con un altro lento cenno lei fece un passo avanti.

Era tra i suoi piedi.

Nel suo spazio personale.

Il calore del suo corpo, del suo respiro, lo fece rabbrividire. Guardare quel piccolo sussulto fu sufficiente a farla indietreggiare e a metterle voglia di allontanare le sue mani da lui. I riflessi dell’uomo furono abbastanza pronti da stringerle appena più forte, per impedirle di scappare via. Scosse il capo. Si sporse, di un altro paio di centimetri.

Gli occhi di lei erano scuri e luminosi quando lei alzò nuovamente lo sguardo verso di lui che realizzò, solo in quel momento, che l’unica cosa che contava davvero era che lei era lì e che era al sicuro.

Avvertì quella presa di coscienza esplodere come una bomba dentro di lui. I muscoli si tesero, i neuroni in fiamme. Il suo corpo sapeva che quel gioco era appena iniziato. Lei si accigliò leggermente -fraintendendo le sue reazioni, forse- ma, prima che riuscisse ad indietreggiare, lui avanzò di un passo ancora, arrivando a far scontrare le loro fronti dolcemente.

Molly sospirò quando le loro pelli si toccarono e chiuse gli occhi.


Come se si fossero messe d’accordo secoli prima e il suo cervello non ne fosse stato consapevole che in quell’istante, le sue mani scesero fino a stringerle la vita. Le mani di lei scesero con le sue, coprendole, riscaldandole, arenandosi.

Sherlock voleva farlo per lei.

Quando riaprì gli occhi per guardarlo in viso, lui non riuscì proprio più a trattenersi perché le sorrise.

Un sorriso dolce, pensò.

Un sorriso da idiota, suppose.

-Stai…?- prima che riuscisse a finire la domanda, lei si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò.

Quel bacio fu come un segreto, una richiesta sussurrata.

-È vero.- sentì la sua voce parlare, per l’ennesima volta quella sera senza l’autorizzazione preventiva del suo cervello. -È vero, l’ho solo realizzato troppo tard…-

-Non è troppo tardi.- mormorò lei, le braccia che gli andarono a stringere appena più vigorosamente la vita. -Non è troppo tardi. Non lo sarà mai con me!-

E Molly lo spinse nuovamente verso di sé. Baciandolo di nuovo. Non erano domande, questi baci, però. Erano dichiarazioni d’intenti. Affermazioni e scuse e preghiere. Marchiavano la sua pelle chiara e gli rubavano aria dai polmoni. Facevano un male cane e guarivano allo stesso tempo.

Così era come baciava Molly Hooper, e Sherlock Holmes realizzò che era così che voleva essere baciato per il resto dei suoi giorni.

Le loro braccia andarono a circondare l’altro, corpi che si incontravano, e poi la schiena di Sherlock urtò accidentalmente qualcosa di duro.

-Ahi!- sussurrò, un po’ impacciato, realizzando di trovarsi nella sua camera da letto. Era divertente il fatto che non fosse nemmeno un po’ sorpreso di trovarsi lì. Una voce, dentro la sua testa, gli imponeva di aspettare. Una voce dentro la sua testa gli imponeva prudenza. Peccato che avesse smesso di piegarsi ad essa. Oh, se aveva smesso di piegarsi ad essa.

Ruzzolarono nella camera da letto nell’oscurità più nera e, più per fortuna che per abilità, caddero sul letto, in un’informe massa di corpi e capelli. Risero fino a rimanere senza fiato. Pelle e capelli a formare sempre nuovi e sempre interessanti angoli. Le pallide luci dei lampioni erano l’unica fievole fonte di luce nella stanza e lui si fermò. Guardò verso il basso, dove era caduta Molly, stesa sotto di lui. Gli sembrò disordinata. Stanca. Raggiante e luminosa. Lei lo guardò di rimando e fu lui, stavolta, a muoversi. Lui a chinarsi. Lui che non riusciva a smettere di baciarla, di assaporarla, maledicendo il suo bisogno di aria, nel mentre che provava ad ignorarlo.

Le mani di Molly ci misero relativamente poco tempo a sbottonargli la camicia -lui capì che gliela stava sfilando solo quando la sentì scivolare via dalle spalle- e sbatté un paio di volte le palpebre, sorpreso di trovarsi a petto nudo. La donna si accigliò e aprì la bocca, come per porgergli le sue scuse…

-Non me lo aspettavo, tutto qui.- disse lui, senza fiato.

-Quindi stai… Non ti senti a…-

-Sto bene, Molly.- disse, la voce ferma e sicura, quando un pensiero improvviso gli invase la mente. -Sei sicura di…?-

-Dio, si!- annuì lei con convinzione, gli occhi brillanti e il sorriso in grado di accecarlo, se non ci avesse fatto attenzione.

Alzò le braccia sopra la testa e, dopo qualche umiliante ed imbarazzante secondo in cui Sherlock fallì nel realizzare il più che esplicito invito, le sfilò la sottile camicia da notte, lasciando il suo piccolo seno perfetto libero.


Molly si morse il labbro inferiore, quando lui si fermò per qualche secondo in più del necessario a osservarlo, pensando, forse, a tutte le cose crudeli che aveva detto su di lei in sua presenza. Avvertì, improvvisamente il peso di tutto ciò che le aveva detto. Di tutto ciò che aveva pensato. Di tutto ciò che le aveva fatto, con il passare degli anni.

-Sei maledettamente bella.- le disse con reverenza, carezzandole delicatamente il viso, mentre lei arrossì. Sorrise di piacere. Gli sembrò quasi di sentire un’ondata di gratitudine che proveniva da lei, e lei soltanto. -Sei incredibilmente e maledettamente bella, Molly Hooper.-

-Anche tu lo sei, Sherlock.- la donna si accigliò leggermente,- Cioè non sei bella, sei bello, perché sei un uomo e…- il letto fu squassato dalla risata piena di lui e da quella più musicale di lei. -Okay, penso sia meglio che facciamo silenzio tutti e due.-

-Penso che tu abbia pienamente ragione.-

E lui la strinse contro di sé, premendo quel piccolo ma resistente corpo sotto di lui. Questa volta, quando lei lo baciò, fu differente. Migliore. Più sicuro di sé. Gli -e si- sfilò abilmente anche il resto dei vestiti, muovendosi con sorprendente efficacia, nonostante il buio della stanza.

Una volta che ebbe finito -una volta che furono entrambi nudi- lei fece rotolare Sherlock, in modo che fosse lui a stare sotto, disteso tra le sue cosce sottili. Il calore della sua pelle e il leggero profumo di arancio amaro e gelsomino che le appartenevano erano sufficienti ad intossicarlo. Il suo membro era adesso così duro che lui stesso dubitò di riuscire ancora a pensare lucidamente. Molly intrecciò le loro dita in una morsa strettissima, palmo contro palmo, e baciò ogni nocca, accigliandosi quando vide le croste lasciate dal suo recente alterco con la cassa da morto -che doveva contenere il suo corpo, che doveva contenere il suo corpo, che doveva contenere il su…-.

Per un istante o due gli sembrò che lei volesse chiedergli il motivo dietro ai leggeri segni sulla pelle chiara, ma si limitò a scuotere il capo -non era ancora in grado di parlare di Sherrinford. Parte di lui si chiese distrattamente se sarebbe mai stato pronto a parlare di Sherrinford con lei-, e lei si limitò ad annuire e a baciarlo con ancora più passione.

Sherlock prese in mano il suo membro e si spinse con un po’ di imbarazzo dentro di lei.

Molly emise un lungo, basso mugolio di compiacimento quando lui entrò, abbastanza da renderlo folle di desiderio.

E poi si unirono. Poi fecero… L’amore. Sherlock suppose che era quello il termine perfetto per quello che stavano facendo in quel momento. Spingevano, e godevano, e si intrecciavano insieme, i corpi che si muovevano erano due, ma che cercavano di fondersi in uno. L’atto in sé per sé era esattamente come ricordava fosse: bagnato, e imbarazzante, e piacevole. Il corpo che prendeva il sopravvento sulla lucida ragione.

Ma facendolo con Molly, era diverso, realizzò.

Nel farlo con Molly, l’atto stesso trovava una sua ragion d’essere, aveva un suo significato. Il mondo si apriva ora a lui come un tenero bocciolo di rosa. Contesto emotivo, lo avrebbe chiamato qualcun altro, e seppur quelle stesse parole erano state usate per ferirlo prima, lì non potevano più toccarlo.

I loro gemiti e le preghiere e le suppliche non erano la somma totale di come si sentiva lui, ma sarebbero stati una precisa approssimazione, una rappresentazione. La cosa che stavano facendo lui e Molly insieme era più che il semplice scopare o procreare: erano un alfabeto di sentimenti in cui non servivano parole. Ogni movimento dei suoi fianchi, ogni bacio erano messaggi. Ogni sospiro strozzato, ogni sorriso, ogni mugolio che riusciva a sottrarle avevano un preciso significato che era molto più del qui e ora. Nell’esatto momento in cui credette di non farcela più, Molly venne.

Sentì distintamente le ginocchia cedere sotto il suo peso e l’urlo che le uscì dalla bocca.

Il suo orgasmo fu meraviglioso. Rumoroso, e senza paura, e contagioso.

Il suo piacere condusse direttamente Sherlock all’oblio tanto desiderato, al punto che, dopo qualche secondo, anche lui si ritrovò debole e senza fiato come lei.

Ci volle un po’ ad entrambi per recuperare le forze, una volta che furono venuti. Istintivamente lui fece passare un braccio attorno alla vita di lei, per tenersela più stretta. In quel modo, riusciva a sentire il battito del suo cuore contro il petto, che combaciava con il suo.

C’erano parole che gli sarebbe piaciuto dire ora.

Parole sulla devozione e sui sentimenti e, persino, sulla gratitudine.

Sherlock Holmes era grato, forse per la prima volta in vita sua.

Grato per il fatto di essere ancora vivo per vederla.

Grato per il fatto che lei non gli fosse stata portata via.

Ma non le disse.

Scoprì di non essere in grado di dirle.

Si domandò distrattamente se dovesse preoccuparsi per non essere in grado di parlare.

Il giorno dopo, si disse, l’avrebbero rifatto e sarebbe stato diverso. Migliore. Sarebbe stato più esperto, forse, sarebbe durato più a lungo, quasi certamente. Con un po’ di pazienza e familiarità avrebbe imparato a renderlo un’esperienza squisita anche per lei.

Dopotutto lei era la sua Molly, ed era il minimo che meritasse.

Ma quello sarebbe stato il giorno dopo. Quella notte avrebbero semplicemente condiviso lo stesso letto.

Molly si accucciò più stretta a lui e si mise a disegnargli invisibili ghirigori sulla pelle del braccio e, per una volta, Sherlock Holmes si autorizzò a sentirsi felic…
 

-Signor Holmes, ci sono visite per lei.- disse una voce musicale, sfortunatamente, non quella che aveva sperato di sentire. -Oh, mi scusi, stava dormendo.-

-No, non stavo dormend…-Sherlock realizzò immediatamente che iniziare a parlare del suo palazzo mentale con l’infermiera che aveva la lingua più lunga del mondo non lo avrebbe agevolato di certo nel farlo dimettere alla svelta, -Se è mio fratello, lo cacci pure fuori!- borbottò Sherlock, alla fine.

-Troppo tardi, caro fratello.- disse la voce falsamente festosa di Mycroft entrando nella stanza, -Lei può andare.- aggiunse poi, voltandosi verso l’infermiera.

Completo di Armani, barba fatta da poco, per colazione ha bevuto un caffè e ha mangiato dei biscotti alla crema di bourbon…

Sherlock si chiese se a qualche agente dei servizi segreti britannici fosse stato dato il dubbio onore di portare tutti i giorni dei vestiti puliti a Mycroft in quell’ospedale e se si, quanto lo pagassero. 

-Veramente è proibito lasciare solo un paziente con un visitator…-

Gli occhi blu dell’uomo si posarono per una frazione di secondo appena sulla paramedica, ma sufficiente a farla indietreggiare per la paura e a farla scappare.

-Vacci piano, Mycroft. Lei è la mia preferita tra tutti gli imbecilli che popolano questo ospedale.- si lamentò Sherlock.

Mycrof alzò poco elegantemente gli occhi al cielo.

-Ricordi qualcosa?- chiese infine sedendosi delicatamente sulla sedia, posta di fianco al letto dell’uomo.

-Assolutamente niente!- mentì. Se Mycroft lo voleva tenere all’oscuro di determinati particolari, lui avrebbe fatto altrettanto, decise.

E, comunque, sarebbe stato abbastanza imbarazzante rivelargli i dettagli della sua breve incursione nel suo palazzo mentale, ragionò.

Oltre che insensato.

Lui e Molly Hooper erano... conoscenti (seppur la patologa avesse una cotta per lui, quello erano, niente di più, niente di meno).

Probabilmente avevano fatto un qualche tipo di esperimento sul suo cervello.

Gli occhi del maggiore degli Holmes sembrarono come spegnersi, mentre il resto del viso rimase impassibile.

-Capisco… Bene! E’ ora che torni all’MI6.- si limitò a dire l’uomo.

-Tra quanto mi dimetteranno?- chiese il degente, con un luccichio strano negli occhi celesti.

-Ti paio, forse, un medico?- chiese l’altro, all’apparenza lievemente irritato, ma divertito all’interno.

-Oh, andiamo Mycroft… Tu sai sempre tutto.-

Il maggiore fece un piccolo sussulto, come se si fosse appena ricordato di un particolare non visto, e assottiglio inquisitoriamente gli occhi. 

-Sherlock, sei assolutamente certo di non ricordare niente?-

L’interpellato sgranò gli occhi, sperando che quel semplice gesto bastasse a confondere il fratello, anche se non aveva la minima idea di cosa dovesse ricordare.

-Assolutamente, Mycroft.- lo prese in giro.

Mycroft, un pochino accigliato, uscì dalla stanza e si diresse a piedi verso il Diogenes club.

Era tempo di capire se poteva davvero fidarsi della signorina Hooper!  
 
   
 
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