Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Rebecca_Daniels    26/06/2017    1 recensioni
*DISCLAIMER: i nomi sono cambiati, ma i personaggi sono chiaramente appartenenti ai One Direction"
E' il 20 Agosto 2013 quando Lexi Golder, ventiduenne londinese per adozione, quasi dottoressa in Storia e fan sfegatata dei The Rush, vede la sua vita cambiare radicalmente. Che cosa potrebbe accadere se una pazza decidesse di sparare al suo grande amore risalente alle scuole medie, nonché cantante della band di cui è innamorata, durante il red carpet per il loro docu-film? Che cosa potrebbe riservarle il destino se per una volta decidesse di fare davvero qualcosa della sua vita? - Un viaggio ironico e introspettivo nella vita di una ragazza più o meno normale che forse capirà come non basta respirare per vivere. Buona lettura & Grazie xx
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic
31st March 2014




Era il giorno del primo concerto in un Wembley stadium completamente sold out.
Una pietra miliare per la carriera di qualsiasi cantante, specialmente per uno che faceva parte di una boyband nata da uno dei tanti talent show che riempivano i palinsesti televisivi.
Un sogno che diventava realtà.
Quel sogno che da bambino aveva inseguito con tutte le sue forze, suonando la chitarra giorno e notte, incurante dei calli sotto le dita e dei rimproveri di sua madre.
Ma per Nate, quel sogno, non sembrava avere più alcun senso se non poteva viverlo con lei. Perché senza Lexi nulla aveva più senso.
Era al centro del mastodontico palcoscenico su cui avevano finito di fare il soundcheck qualche ora prima, le luci abbaglianti dei fari dello stadio gli scaldavano la pelle con un calore che non gli ricordava nulla, mentre una trentina di uomini vestiti di nero continuavano ad aggirarsi indaffarati sul parterre per finire di sistemare le ultime cose, lanciandogli qualche occhiata scettica. Che cosa ci facesse lui lì, all'una di notte, per loro era un mistero, mentre per Nate era l'unica soluzione che gli era balzata in testa quando si era rigirato per la quattordicesima volta nel letto senza riuscire a prendere sonno.
Si era alzata una leggera brezza umida che lo fece rabbrividire, nonostante i jeans lunghi e stretti e la felpa pesante che aveva afferrato al volo prima di salire in macchina. Si ricordava ancora quando era entrato, quattro anni prima, dalla galleria che gli stava giusto di fronte e si era chiesto che cosa avrebbe spinto i giudici a dare una possibilità proprio a lui invece che a chiunque altro tra le migliaia di persone che si erano presentate quel giorno. Si era detto che lui aveva lo stesso diritto di stare su quel palco che avevano loro e che nulla gli poteva impedire di darsi una chance concreta per realizzare il suo sogno.
E ci era riuscito.
Non da solo, ma con quattro ragazzi assurdamente diversi da lui eppure perfettamente compatibili: per voce, presenza scenica e carattere. Era stato il destino o chiunque ci fosse ai piani superiori. Ed aveva pensato che fosse stato per merito di una volontà superiore anche il fatto che l'ultima persona che Lexi avesse guardato negli occhi quel giorno fosse stato lui e non Lucas. Perché se c'era una cosa che Nate non poteva dimenticarsi erano quelle iridi color cioccolato cristallizzate da un'emozione che per mesi si era chiesto cosa fosse. Solo in quel momento riusciva finalmente a capirla: era la consapevolezza di essere stata utile a qualcuno, di aver fatto qualcosa della propria vita e di essere stata notata dalla persona a cui aveva dedicato undici anni della sua esistenza. E non importava se questo voleva dire morire, per Lexi quella consapevolezza valeva il prezzo da pagare.
Si passò una mano tra i capelli attorcigliati, peggiorando solo la situazione: aveva rovinato tutto.
Anzi, peggio, era riuscito a fare l'esatto opposto di quello che erano i suoi piani. Grazie ai suoi stupidi errori Lexi si era sentita per l'ennesima volta “una delle tante”, come se non fosse niente di speciale, quando invece lei era tutto. O per lo meno, era tutto per Nate.
Improvvisamente gli sembrò che l'aria attorno a lui avesse assunto il peso specifico del piombo, solo per schiacciarlo al suolo e Nate non tentò nemmeno di contrastare quella forza: si sedette sul pavimento freddo del palco e chiuse gli occhi. Non sapeva più cosa fare per risolvere la situazione, aveva come la sensazione che Lexi non si sarebbe più fidata di lui, forse nemmeno se avesse ricordato tutto quello che era successo nei mesi in cui era stata in coma.
-Basta pensare Nate: ti sta uscendo del fumo dalle orecchie...
Era talmente perso nel suo personale universo di sensi di colpa che non aveva sentito i passi pesanti di Pablo avvicinarsi per sedersi affianco a lui.
-Forse hai ragione: dovrei proprio smettere di pensarci.
-Sono invadente se chiedo a che cosa stavi pensando? O meglio, a chi stavi pensando...?
-A Lexi. Stavo pensando a Lexi... Strano vero? A quanto pare non ho fatto altro negli ultimi otto mesi...
La mano forte e paterna di Pablo si abbatté sulla sua spalla, stringendola in un segno di affetto che fece sentire Nate ancora peggio: quelle attenzioni e quella comprensione doveva riceverle Lexi, non lui.
-Ho fatto un disastro Pablo... Un enorme cazzata con lei...
-Nate, ragazzo mio: mi spieghi che diamine ci fai qui se l'unica cosa che vuoi è sistemare le cose?
-Non me lo permetterà... Non mi vuole più vedere. Ne me, ne i ragazzi... Ha rinunciato a tutto.
-E tu hai rinunciato a lei?
Già: lui aveva rinunciato a Lexi? All'unica ragazza che l'avesse mai tenuto sveglio la notte per comporre melodie su melodie? All'unica donna che era diventata tutto per lui ancora prima di fargli perdere la testa con un suo sorriso? All'unica persona di cui si fosse mai innamorato?
No, lui non aveva rinunciato a lei ma si era già giocato tutte le sue chance, l'aveva ferita troppo per rimediare, anche se sapeva che nonostante tutto avrebbe cantato ogni sera quelle due canzoni pensando al suo sorriso e ai suoi occhi brillanti che lui era riuscito a spegnere.
Si accorse di essere rimasto solo sul palco, quando le luci cominciarono a spegnersi attorno a lui ed uno dei tecnici gli stava urlando di scendere, perché dovevano chiudere. A malincuore abbandonò la superficie fresca del palco e si diresse verso la sua macchina, fuori dallo stadio.
Le loro cinque facce campeggiavano sulla facciata imponente dell'edificio e Nate capì che ce l'aveva fatta, aveva realizzato il suo sogno e nonostante tutto, un brivido di adrenalina gli percorse la schiena, facendolo sentire vivo. Troppo presto, però, arrivò anche la consapevolezza che quella sensazione non era nulla in confronto al momento in cui Lexi si era addormentata tra le sue braccia qualche giorno prima, facendolo sentire l'uomo più felice sulla faccia della terra. Salì in maccchina e guidò nel silenzio assordante dei suoi pensieri verso casa.


Lexi si svegliò con un mal di testa atroce quel giorno.
Non era riuscita a chiudere occhio per tutta la notte, neanche fosse stata agitata per qualcosa. L'unica motivazione che avrebbe potuto farle stringere lo stomaco come se dovesse strozzarsi da un momento all'altro, l'aveva definitivamente eliminata con una chiamata qualche giorno prima.
Niente concerto, niente The Rush e niente Nate.
Il solo pensare quel nome le fece provare una fitta lancinante alla testa, tanto che si portò una mano alla fronte cercando di convincere il suo cervello a non esplodere a breve. Il programma per la giornata l'aveva pensato con attenzione maniacale la sera prima assieme a Mia, mentre si strafogavano di gelato al mascarpone davanti a Little Pretty Liars: niente social network, niente blog di gossip, niente giornali scandalistici e niente giri per il centro che non fossero strettamente necessari e solo nelle ore più tranquille. Non voleva incontrare fan di nessun tipo e men che meno sentirsi far domande sul gruppo o sul concerto, perché non credeva di poterlo sopportare. Lei aveva chiuso con quella storia e sperava tanto che anche il mondo se lo mettesse in testa velocemente una volta per tutte.
-Stai bene?
Lexi alzò lo sguardo e vide la testa ormai metà bionda e metà verde di Mia fare capolino dalla porta: le mancavano solamente le palline di Natale ed era pronta per prendere il posto dell'abete che mettevano solitamente davanti a Buckingham Palace. Eppure era comunque dannatamente bella. Persino fare quella constatazione ovvia le diede una fitta lancinante all'altezza delle tempie.
-Mi sembra di avere un esercito di bufali inferociti in testa.
-Benché io sia contro i farmaci testati sugli animali, ti vado a prendere un'aspirina...
Avrebbe volentieri alzato gli occhi al cielo, ma il solo pensiero le provocò l'ennesima fitta, così dovette rinunciare persino a quella piccola soddisfazione: quella giornata era cominciata malissimo. Mia sparì dietro la porta, lasciandola aperta e Lexi poté sentire un dolce aroma di tea verde che si diffondeva dalla cucina. Il sole splendeva sempre più intenso dalla tenda appena scostata della finestra, donando alla stanza e a tutti gli oggetti arancioni che la riempivano una luce calda che avrebbe rasserenato chiunque. Invece Lexi si sentiva estranea a quell'atmosfera di pace, come se non avesse il biglietto per varcarne i cancelli e potesse solo assistervi da fuori.
Un sorriso amaro le increspò le labbra perché quel biglietto era stata lei a rifiutarlo e l'unica persona che poteva incolpare per tutto era, come sempre, solo sé stessa.
-Ecco a te.
Una tazza di tea fumante e una piccola pastiglia bianca fecero capolino nella sua visuale. Li prese, ringraziando Mia con una smorfia che doveva essere un sorriso e mandò giù una lunga sorsata di bevanda assieme alla pillola. Sperava solo facesse effetto in fretta.
-Credi che secondo te dovrei tornare al mio blu?? Ieri David mi ha detto che assomiglio ad un pino...
Mia si era seduta sul bordo del letto e giocherellava sovrappensiero con le punte colorate dei suoi capelli.
-E da quand'è che tu ascolti quello che dice mio fratello?
-Beh...
Non aveva mai visto Mia così in difficoltà: ora stava letteralmente torturando le lenzuola con le mani piene di anelli e non la guardava in faccia. Sembrava quasi non le stesse dicendo qualcosa.
-Mia non è che mi stai nascondendo qualcosa vero?!
-Io... Che? No!! Cioè...
-Mia Winston dimmi tutto, ora!
Improvvisamente sembrava che tutti i bufali nella sua testa si fossero ammutoliti per scoprire che cosa stesse tramando la sua migliore amica che ora la stava guardando con l'espressione più seria di sempre.
-Diciamo che ieri sera, mentre stavo spostando la giacca di tuo fratello dalla mia macchina da cucire, dato che la mette sempre nei posti meno indicati, potrei aver accidentalmente fatto cadere quello che era contenuto nella tasca...
-Oh mio dio. Oh mio dio!! OHMIODIO!!!
Lexi stava letteralmente saltando sul letto senza riuscire bene a realizzare che cosa stesse succedendo davvero, anche se l'immagine di un oggetto si faceva largo nitida ed inequivocabile nella sua testa che continuava a rimbombare come il cielo allo scoccare della mezzanotte del 31 Dicembre.
-E sì, era una scatolina di velluto blu ed io...
-OH MIO DIO DIVENTEREMO COGNATE!!!!
Quello Lexi l'aveva proprio urlato, perché insomma: quante possibilità potevano esserci che la sua migliore amica di sempre finisse per sposare il suo insopportabile ma insostituibile fratello?? Poche, lo sapeva e per un istante si sentì incredibilmente fortuna.
Poi, però, notò la faccia di Mia e l'unica emozione che vi scorse fu panico puro. Si sistemò di fronte a lei, le prese le mani tra le sue in un moto di affetto che era decisamente insolito per una come Lexi, che era una campionessa nell'evitare il contatto fisico, e la guardò negli occhi.
-Non sei felice?
-Sì... Sì che lo sono! Non mi fraintendere Lexi: io sono la persona più felice di questa terra che David voglia passare il resto della sua vita con me, è solo che...
-Il resto della tua vita ti fa paura perché sembra davvero un sacco di tempo.
Mia abbassò la testa, lo sguardo sulle loro mani intrecciate e sorrise: alle volte le veniva il dubbio che lei e Lexi fossero davvero dotate di telepatia.
-Già... E' una cosa stupida vero?
-No, per nulla. Insomma: chi non avrebbe paura del per sempre? Però vedila così: è solo un insieme di attimi che trascorrerai con la persona giusta per te, che ami e che ti ama ogni momento di più. Tutta la tua vita passerà più in fretta di quanto tu possa pensare...
Fu allora che si rese conto di una verità fondamentale: la sua vita stava passando e lei non la stava vivendo.
Di nuovo.
Ed improvvisamente la stanza divenne soffocante e troppo piccola per quella sconvolgente consapevolezza. Stava sbagliando tutto per l'ennesima volta, come se nemmeno il fatto di aver preso una pallottola sulla spalla ed essere rimasta in coma per cinque mesi fosse servito a smuoverla dall'apatia in cui era caduta.
-Alle volte mi chiedo se ti ascolti mai quando parli...
-Perché?
Lexi si sforzò di riportare la sua attenzione su Mia, arginando momentaneamente quella piccola crisi di panico che minacciava di esplodere di lì a qualche secondo.
-Perché dai alla gente degli ottimi consigli, che però tu non segui mai.
-Io... Io...
“Io non sono così coraggiosa.”.
Solo il suono del telefono le impedì di dichiarare ad alta voce quella scomoda verità su sé stessa e gliene fu immensamente grata: quella giornata era stata già abbastanza faticosa perché fossero solo le dieci di mattina. Si alzò velocemente dal letto rischiando di finire a terra come un pero cotto, dato che un potente giramento di testa le rese le gambe molli come budini., ma riuscì a mascherare il fatto facendo finta di essere inciampata sulle lenzuola: l'ultima cosa che le serviva erano le cure apprensive di Mia. Afferrò il cellulare e rispose senza guardare di chi fosse il numero apparso sul display: sicuramente non era nessuno di interessante.
-Pronto?
-Ehi amore!
-Ciao mamma...
-Sei già sveglia?
-Sono le dieci passate ma'... Dove dovrei essere?
-No, non so... E' solo che... Visto che giorno è oggi...
-Mamma lo so che giorno è oggi e ho intenzione di viverlo esattamente come tutti gli altri giorni della mia vita.
“In completa apatia... No, basta!!”.
-Oh beh certo, certo. Ma sai, stavo pensando, che è davvero tanto tempo che non ci vediamo ed oggi viene qui anche tuo padre a pranzo, così magari potreste fare un salto sia tu che tuo fratello...
-Mamma: dovete dirci qualcosa?
Una sorta di subdola speranza cominciò a farsi spazio tra tutte le ragnatele di quella parte di cuore che Lexi aveva sempre riservato per il giorno in cui i suoi genitori sarebbero tornati assieme. Perché se c'era una cosa di cui era sicura nella sua vita, era che Karen e Morgan fossero destinati a stare assieme per prendersi cura l'uno dell'altra, perdonando magari gli sbagli che entrambi avevano commesso in passato. Le bastava osservare lo sguardo adorante con cui suo padre guardava sua madre, lo stesso che rivedeva in David quando guardava Mia o notare come il sorriso di Karen e della sua migliore amica brillassero un poco di più quando i loro compagni erano nei paraggi, per capire che quello era puro e semplice amore. Forse non era perfetto, ma era il tipo di amore che Lexi aveva sempre cercato ma che ormai aveva perso le speranze di poter trovare.
-Insomma, ecco...
-Mamma?!
-Sì, dobbiamo dirvi qualcosa ma è una cosa bella, okay?... Non puoi dirle semplicemente che vogliamo riprovarci?! ... Zitto Morgan! Così rovini tutto!
La voce di suo padre era giunta allegra e potente dall'altro capo del telefono, dato che probabilmente stava preparando una delle sue nuove ricette vegane in cucina, dove sua madre teneva il telefono.
-Farò finta di non aver sentito nulla okay? So che David e Mia devono andare a pranzo con alcuni amici ma per il pomeriggio sono liberi...
“Da quand'è che faccio da segretaria alla coppia di piccioncini?! Oh, giusto: da quando non ho più una vita mia... Solo perché non l'hai voluta tu! Non è vero! E' stato lui a rovinare tutto!!...”
-Lexi ci sei?
-Si, scusa mamma...
“Devo smetterla di farmi i dialoghi interiori: questa cosa comincia a diventare inquietante... Inquietante è il fatto che tu non voglia ammettere nemmeno con te stessa che lui ti manca da morire e che se solo lo chiamassi...”.
-Basta!
Mia si voltò verso di lei, guardandola sconvolta: forse non l'aveva solo pensato.
-Lexi, amore, tutto bene? Basta cosa??
L'apprensione nel tono di Karen le fece chiudere gli occhi e trarre un profondo respiro: doveva trovare una soluzione a quella stupida vocina dentro la sua testa che le diceva cose che non voleva sentirsi dire o sarebbe impazzita a breve.
-Niente, c'era Mia che insisteva per... Per... Per cambiare le lenzuola del letto... Nulla di che. Comunque magari passiamo per cena, che ne dici?
-Oh, va bene! Perfetto! Allora a stasera! Un bacio e salutami Mia.
Mise giù il ricevitore ed appoggiò la fronte sul muro freddo: il mal di testa era tornato peggio di prima ed ogni volta che chiudeva gli occhi le sembrava di avere dei flash di luce strani che le procuravano un certo fastidio.
-Cambiare le lenzuola, eh?
Aprendo un solo occhio, vide una Mia piuttosto sfocata dirigersi verso la porta, mentre la guardava con aria scettica. Forse le si leggeva in faccia che non stava proprio bene.


Nate tirò le punte bionde dei capelli verso l'alto per l'ennesima volta nell'arco degli ultimi dieci minuti, ma senza ottenere l'effetto sperato: lo specchio del camerino continuava a restituirgli un riflesso che non poteva essere il suo. Da dove venivano fuori quelle borse sotto gli occhi? E quel brufolo giusto in mezzo agli occhi? Non che fosse uno attento a queste cose ma quel brufolo era davvero enorme e lui non era mai stato un tipo che sfogava lo stress in quelle maniere. Ora che ci pensava, lui non era mai stato davvero stressato in tutta la sua vita. Almeno finché lei non era entrata nella sua esistenza. Ed eccolo lì, a ripensare a lei, no, a continuare a pensare a lei, dato che dalla notte precedente non aveva mai davvero smesso di farlo. Lexi si era trasformata in una sorta di chiodo fisso che gli trapanava il cervello senza dargli alcuna via di scampo.
-Guarda che ti cadono.
-Che?
-Se ti tocchi i capelli anche solo un'altra volta, ti cadranno tutti.
-Lewis non sparare stronzate, su! Tu te li sistemi ogni cinque secondi e sono ancori tutti attaccati...
-Ehi, lepricauno: non mordere per favore.
-Non rompere Lewis...
Una mano piccola e dal deciso odore di tabacco si appoggiò sulla sua spalla, poco prima che il viso spigoloso e preoccupato del suo amico impiccione facesse capolino nella sua visuale.
-Che succede Nate?
Poteva mentire alla prima persona che aveva conosciuto quando era stato ammesso nello show che gli avrebbe cambiato la vita? No, non poteva e sinceramente non ne aveva nemmeno voglia.
-Non viene, Lewis... Lei non viene. Lì fuori ci saranno quasi 80'000 cazzutissime persone ma non lei, capisci?! Lei non...
Le lacrime scesero prima che potesse anche solo pensare di fermarle e così si ritrovò immerso in un abbraccio soffocante e protettivo di cui fu infinitamente grato. Non poteva farcela da solo. Stettero così per almeno un intero minuto, in completo silenzio cosa assolutamente inusuale per Lewis, fino a quando il ragazzo non lo allontanò da sé ma solo per guardarlo dritto negli occhi e dirgli quello di cui forse aveva bisogno.
-Verrà Nate... Lei verrà, me lo sento.
-E... E come fai a dirlo?
-Perché sei stato tu a farla svegliare e anche se lei non lo sa ancora, è legata per sempre a te. Dille che la stai aspettando. Tentare un'ultima volta ti farà almeno dire di averci provato fino all'ultimo.
Se Lewis ci credeva così tanto, perché non poteva anche lui aggrapparsi a quella piccola speranza che gli stava porgendo? Prese il telefono, si allontanò da Lewis senza degnarlo di una spiegazione e si sedette su uno dei divanetti nel corridoio che di lì a qualche ora lo avrebbe condotto di fronte ad uno stadio sold out per suonare i pezzi che lui stesso aveva composto pensando a lei.
-Pensa Nate, pensa...
Ed ecco che arrivarono come un lampo in un cielo limpido.
Le parole scivolarono fuori dalle sue dita e dentro quel tweet che sperava davvero lei vedesse perché in quel momento nella testa si stava svolgendo il film della loro “conoscenza” in ospedale, quando aveva trovato la sua musa e mettere in musica e parole ciò che provava non era mai stato così semplice.
"I promised you I'll get you Through The Dark... I still hope you'll be here so we can live Happily...”.
Lo inviò senza nemmeno rileggerlo.
Doveva solo aspettare che, con o senza la memoria di quello che si era creato tra loro durante i mesi passati in ospedale, Lexi si fidasse ancora di lui e di quello che entrambi avevano sentito in quei giorni in cui si erano conosciuti, a quegli sguardi sotto la pioggia, a quelle carezze prima di cadere addormentati sul divano, a quei baci quasi scoccati che ancora gli bruciavano sulle labbra.


-Lexi, allora io vado... Ci vediamo sta sera a cena dai tuoi. Segui strettamente il nostro piano e vedrai che sopravviverai anche a oggi. Capito?
-Sì, mamma.
-Non sei simpatica Lexi.
-Oh no, sono molto simpatica... Sei tu che non cogli il mio senso dell'umorismo.
-Guarda: è meglio che vada prima di assalirti con un abbraccio da orso che potrebbe farti venire l'urticaria...Un bacio!
Mia si fermò un attimo sulla porta di casa e si voltò verso Lexi, che era appollaiata sul divano con un libro aperto in mano.
-Lexi...
-Si?
-Mi prometti che starai bene?
-Ci proverò... Vai!
La sua migliore amica le regalò un sorriso incerto e poi, in un turbinio di capelli biondi e verdi, se ne uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Improvvisamente l'appartamento divenne silenzioso e Lexi si rese conto di una cosa: non era per nulla opportuno che lei rimanesse in casa da sola, immersa nel silenzio con la testa che invece sembrava essere finita nel bel mezzo di un concerto heavy metal. Prese il computer, scelse l'unica playlist che non conteneva canzoni dei The Rush, dato che quello sarebbe stato decisamente il colpo di grazia e si rimise a leggere cercando di concentrarsi sull'amore idilliaco della protagonista invece che sulle rovine dalla sua vita sentimentale.
“E' tutta colpa mia...”.
La sua concentrazione era durata addirittura dieci secondi, prima che la solita fastidiosa vocina che aveva capito essere la sua coscienza e che ora parlava pure in prima persona, tornasse a tormentarla.
-Okay, così non funziona. Non posso far finta che oggi non sia il fatidico giorno e che il mondo al di fuori di questo appartamento non esista... Vediamo che si dice in giro...
La promessa fatta a Mia di cercare di stare bene si frantumò nell'esatto istante in cui premette l'icona di Twitter nell'elenco dei siti preferiti e una montagna di tweet sul concerto di quella sera invase la schermata del pc.
-Oh.
Un anno prima sarebbe stata lei quella a postare foto della coda al di fuori dello stadio, sperando di potersi accaparrare un posto sotto il palco all'apertura dei cancelli. Sarebbe stata in fibrillazione da settimane, avrebbe già costretto Mia a comprarsi dei tappi per le orecchie perché ogni discorso, nei giorni precedenti a quell'evento, sarebbe finito per focalizzarsi sul concerto. E poi avrebbe vissuto uno dei momenti migliori della sua vita cantando a squarciagola le canzoni di un album che erano almeno tre settimane che non aveva più la forza di ascoltare. Le sembrava tutto così lontano. Fino ad un anno prima, andare a concerti e condividere quell'esperienza con migliaia di ragazze come lei era l'unica cosa che contava davvero oltre a sua madre, Mia e la storia. Erano attimi di pura gioia di cui faceva scorta per superare l'inverno che circondava costantemente il suo cuore. Ma in quell'anno era successo di tutto e lei era cambiata.
O forse si era soltanto spenta, dopo aver scoperto che nemmeno ciò che le dava più soddisfazione era immune da provocarle cocenti delusioni.
Ricaricò la home del sito e si accorse che le ragazze erano letteralmente in subbuglio per un tweet di uno di loro. Era vero, aveva ceduto a controllare come stessero andando le cose al di fuori delle sue quattro mura protette, ma era sicura di riuscire a gestire delle informazioni che riguardassero direttamente loro e magari proprio lui?
-No, non sono così masochista. Non volontariamente almeno...
Chiuse in fretta la pagina web e riprese il libro in mano.


-Nathaniel hai per caso visto il mio cappello??
Lewis fece irruzione nel corridoio fino a cinque secondi prima deserto, dove Nate aveva cercato un rifugio da domande scomode e da tutto il caos che stava imperversando a poche ore dal concerto.
-No, non l'ho visto. Perché?
Era quello il bello di Lewis: un attimo prima era il fratello maggiore che ti rassicurava su come tutto sarebbe andato per il verso giusto ed il secondo dopo era tornato ad essere il solito rompipalle scalmanato.
-Perché credo di averlo lasciato a casa tua, l'ultima volta che sono venuto lì ed avevo promesso a mia sorella che l'avrei messo su al concerto stasera... Cazzo! Questa volta mi ammazza!
-Ma si può sapere perché ti ricordi sempre tutto all'ultimo minuto?
-Allora, lepricauno: intanto...
-Ragazzi è ora di fare l'ultimo soundcheck, venite.
Pablo era comparso in tutta la sua imponente presenza fisica nel corridoio sempre più affollato e teneva in mano l'archetto che di solito Nate usava quando doveva cantare i brani in cui suonava la chitarra.
-Cazzo!!
Due facce attonite si girarono verso di lui, che era letteralmente saltato su dal divanetto verde bottiglia su cui era seduto.
-Ho dimenticato il mio plettro porta fortuna a casa! Io non suono senza quello.
-Nate non fare il bambino, su...
-Pablo non ci pensare nemmeno! Me lo ha regalato mio padre il giorno delle mie audizioni, non posso pensare di suonare il mio primo concerto in uno stadio sold out con un plettro che non sia quello.
-E fortuna che ero io quello che si ricordava tutto all'ultimo minuto...
-Lewis: lo rivuoi oppure no il tuo cappello?
Avendo capito l'antifona, Lewis prese sottobraccio Pablo e cominciò a fare quello che gli veniva meglio al mondo, oltre cantare: raggirare le persone.
-Vedi Pablo, se tu lasci andare il nostro piccolo Nathaniel a prendere il suo plettro ed il mio cappello tutto questa sera filerà liscio, io me lo sento... Se invece ci costringerai a salire su quel palco senza i nostri amuleti, allora stasera sarà una strage degli innocenti, l'apertura del Vaso di Pandora sarà nulla a confronto e niente, dico niente, ci salverà dal fallimento!
-Quanta erba hai fumato?
-Poca, ma rimane il fatto che il lepricauno deve andare a recuperare plettro e cappello a casa sua, altrimenti siamo spacciati... Okay, era una battuta pessima.
Nate si passò una mano sulla faccia, ormai sull'orlo di una crisi di nervi, non sapendo nemmeno lui se fosse per l'aver dimenticato una delle cose a cui tenesse di più o se perché Lexi non aveva ancora dato segni di ripensamento.
-Chiamo Alberto per dirgli di accompagnarti... Ti do un'ora di tempo, in caso contrario mando la swat a recuperarti, chiaro?
Nate si lanciò su Pablo e lo abbracciò talmente forte da rischiare di fargli perdere l'equilibrio, per poi correre lungo il corridoio fino ad una delle porte sul parcheggio retrostante lo stadio: era senza fiato ma vedere Alberto già al posto di guida su uno dei loro Range Rover neri gli diede la forza necessaria per fiondarvisi dentro e dire:
-A casa mia, il più velocemente possibile!


L'angolo appuntito del libro le si era letteralmente conficcato nel fianco, quando le era caduto dalle mani. Si doveva essere addormentata senza accorgersene e per poco non le prese un colpo quando si accorse di che ore fossero. Erano le sette di sera ed in meno di mezzora Lexi si sarebbe dovuta trovare dall'altra parte della città per assistere al nuovo inizio di una vita assieme per i suoi genitori: non ce l'avrebbe mai fatta. Come se non bastasse, quel sonnellino non aveva fatto altro che peggiorare la situazione del suo mal di testa dato che, non solo le tempie continuavano a pulsare facendole presente ogni battito del suo cuore, ma un'intricata matassa di immagini non la smetteva di riaffiorarle davanti agli occhi, residui forse di qualche sogno senza senso che doveva aver fatto. Si sentiva come dentro ad uno di quei souvenir a forma di palla di vetro che bisognava scuotere per veder scendere la neve: lei era letteralmente nel bel mezzo di una bufera.
Afferrò il cellulare e chiamò senza quasi nemmeno rendersene conto un taxi, mentre cercava di capire che fine avesse fatto la porta di camera sua: possibile che qualcuno l'avesse spostata? Si infilò su la prima cosa che le capitò sotto mano: era un vestito leggero, maniche corte, con una stampa più o meno optical, sui toni del marrone, del verde e del giallo, a cui fu costretta ad abbinare una cintura scamosciata nocciola giusta sotto il seno, per non rischiare di sembrare un sacco patate (nemmeno si era accorta di essere dimagrita così tanto nell'ultimo periodo). Si infilò gli stivaletti marroni che erano sotto il letto e la collana lunga con l'acchiappa sogni che non si ricordava minimamente perché non avesse più messo, dato che un tempo era la sua preferita. Mentre ancora cercava di infilare il portafoglio e il cellulare nella tracolla, afferrò un elastico e si mise di fronte allo specchio per sistemare la zazzera di capelli che aveva in una morbida treccia laterale. Fu in quell'istante che una terribile sensazione di deja-vù le corse lungo la spina dorsale facendola impietrire.
20 Agosto di un anno prima.
Quello stesso specchio.
Dei vestiti fin troppo simili.
Un'altra lei.
Il campanello la riportò a sé stessa e Lexi si costrinse a lasciare quell'immagine di una lei che non era più capace di riconoscere, nonostante esteriormente le somigliasse parecchio.


Uscire dallo stadio era stato più semplice del previsto e il traffico verso il centro della città era stranamente scorrevole, così appena mise piede in casa e gli occhi gli caddero immediatamente su plettro e cappello si disse che quelli dovevano essere dei segni del destino. Li afferrò al volo, pronto a rimettersi in macchina dato che sembrava esserci un vero e proprio ingorgo in direzione dello stadio, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa appoggiato sul poggiolo del divano. Evidentemente Linda, la sua governante, era andata a ritirare il bucato e fino a qui non c'era nulla di strano. Ciò che invece lo fece tornare sui suoi passi per avvicinarsi al divano fu il capo in cima alla pila: lo avrebbe riconosciuto dovunque. Era quel giubbotto. Quello della premiere del film. Quello della sparatoria che aveva fatto entrare Lexi nella sua vita.
Nate non poté far altro che pensare che forse anche quello era un segno e che se anche non lo fosse stato non avrebbe avuto importanza, perché afferrò quel giubbotto e se lo mise addosso lo stesso, per avere Lexi con lui su quel palco nonostante tutto.




31st March 2014 19:25


-Ma non può fare una strada che non passi per lo stadio?!
La pazienza di Lexi era davvero al limite, non solo perché sarebbe arrivata in ritardo a cena dai suoi, ma soprattutto perché quel dannato autista aveva scelto l'unica strada che lei gli aveva accuratamente suggerito di evitare. Come poteva restare calma se era ad appena venti minuti di distanza dallo stadio in cui ci sarebbe stato anche lui? -Signorina è tutto bloccato. E' meglio che si calmi ed entri nell'ordine delle idee che arriverà in ritardo... Tutta colpa di questo stupido concerto.
-Stupido sarà lei...
-Come scusi? -Nulla, nulla...
Lexi appoggiò il gomito sulla sporgenza interna dello sportello e si sorresse la testa sempre più pesante ed intontita con la mano: fuori dal finestrino centinaia di macchine erano incolonnate ordinatamente sulle quattro corsie che si diramavano nelle due direzioni di marcia, come una colonia di piccole formiche laboriose. Poteva vedere chiaramente ogni passeggero al loro interno e si accorse che la maggior parte di loro erano ragazze che sarebbero andare al concerto e una piccola fitta di invidia la trafisse. Durò solo un attimo però: era stata lei a rifiutare tutto quello, forse con delle buone motivazioni o forse solo per paura.  


-Alberto non esiste un'altra strada? Se non sono lì entro un quarto d'ora è la volta buona che Plablo mi castra.
-Mi dispiace Nate, ma è bloccato dappertutto... A quanto pare le persone famose non possono permettersi di dimenticare le cose a casa.
Nonostante la tensione che continuava a fargli muovere senza sosta la gamba, Nate rise a quella battuta del suo bodyguard e si chiese se davvero ce l'avrebbe fatta ad arrivare in tempo per salire su quel palco. Era come se l'intera città di Londra avesse deciso di concentrarsi in quel tratto di strada tutta nello stesso momento per bloccarlo lì e farlo soffocare in quella sorta di apnea emotiva che lo circondava. Gli venne in mente che una volta, forse all'alba della loro carriera, poco prima di uno dei loro concerti in giro per il Regno Unito, Hugh aveva tentato di insegnargli una tecnica di rilassamento con l'unico risultato di innervosirsi notevolmente e di farlo ridere di gusto. Nate non era fatto per quel genere di cose: lui le emozioni voleva viverle fino in fondo, sentire lo stomaco che si contorceva quando prendeva in mano la chitarra un secondo prima che le luci sul palco si accendessero, percepire la sua testa farsi sempre più leggera mano a mano che le urla delle loro fan si facevano più forti, riuscire a contare i battiti del suo cuore che rincorreva chissà che cosa ogni volta che Lexi sorrideva.
Ed eccola là.
Sempre fissa nel suo cervello, inchiodata al suo cuore, mescolata alla sua anima.
Lexi era dovunque ed era tutto e Nate ne era così tanto assuefatto che credette di vederla nel taxi nero che era fermo dall'altro lato della strada, aspettando che il traffico si sbloccasse.
-Non può essere...
-Che cosa?
Si sedette meglio sul sedile, schiacciando quasi la faccia contro il finestrino perché non poteva credere ai suoi occhi, perchè semplicemente non poteva essere.
Lexi era lì, i capelli in una treccia come il giorno della sparatoria e gli sembrò indossasse anche un vestito dannatamente simile. Ma il suo sguardo era diverso, triste e perso a contemplare qualcosa che sembrava essere troppo lontano perché lei potesse raggiungerlo.
-Dimmi che la vedi anche tu. Dimmi che quella è Lexi!
-Ma chi? Nate che cosa stai... Oh sì, è proprio lei.
Era dannatamente splendida e Nate poté contare chiaramente i suoi battiti cardiaci, sapendo però che quella volta stavano correndo verso di lei.


La testa continuava a pulsarle come se volesse esplodere da un momento all'altro e il finestrino lasciato aperto dal tassista lasciava entrare tutto il trambusto della strada, compresi i rumori insopportabilmente forti di una cantiere a pochi metri da loro.
“Maledizione, ma ce l'avete tutti con me oggi?! Oddio la testa...”.
L'ennesima fitta le fece chiudere gli occhi e quando li riaprì tutto era diventato sfocato, come immerso in una nebbia che non si poteva trovare nemmeno a Londra in quel periodo dell'anno.
Ma lo vide comunque.
Come avrebbe fatto a non vedere quegli occhi puntati su di lei che sembravano non aver mai guardato altro in vita loro?
Come avrebbe fatto a non notare quei capelli biondi scompigliati di cui poteva ancora sentire la consistenza soffice tra le dita?
Ma soprattutto come avrebbe potuto dimenticare quel giubbotto?
“Ma io quel giubbotto non l'ho mai visto... No, aspetta un attimo è quello che aveva indosso alla...”.
Lexi non ebbe il tempo di concludere quel pensiero, perché l'espressione di Nate divenne una maschera di terrore che gli era troppo familiare. Nel momento esatto in cui i suoi occhi dalle iridi celesti come il cielo d'estate furono torturate da un moto di sgomento, apprensione e paura che non gli si addiceva per nulla, Lexi sentì un rumore secco e fragoroso provenire dal lato della strada: un enorme tubo in ghisa era caduto sull'asfalto.
Fu come uno sparo.
E tutto divenne buio.
La pallottola che volava come a rallentatore... Pablo che era troppo lontano per fare qualsiasi cosa... Una scelta da prendere... Lucas che si parava davanti a Sophia... Lo scatto quasi istintivo delle sue gambe... Il dolore lancinante di qualcosa che le trapassava la spalla... Il sorriso che le compariva sulle labbra perché aveva finalmente combinato qualcosa di utile in vita sua... L'impatto improvviso con l'asfalto duro e bagnato... E quegli stessi occhi azzurri impauriti e sconvolti ma dannatamente belli che lo salvavano per essersi messo un giubbotto da giocatore di football americano ad una premiere... E poi un fiume di sensazioni. Il panico dei primi momenti di coma, la voglia di urlare, le lacrime di sua madre e suo padre, di Mia e David... E poi Sarah, tutte le chiacchiere che le aveva regalato per farle compagnia... Il signor Finnigan e... Oddio, non poteva essere...
-Non può essere...
-Come scusi??
La voce del tassista non raggiunse minimamente la sfera d'interesse di Lexi perché ora tutto stava tornando ad essere chiaro, ogni flash assumeva contorni definiti, la testa sembrava sul punto di esplodere ma non importava perché ora ricordava. Tutto.
Sentì una lacrima scendere sulla sua guancia, lenta e fredda proprio come quelle che ora sapeva di aver versato in quei cinque mesi e il ricordo del calore di una mano che le asciugava dolcemente la costrinse a toccarsi istintivamente quel lembo di pelle che un tempo era stato graziato con il suo tocco. Le sue dita corsero poi alle sue labbra diventate improvvisamente bollenti perché anche loro ricordavano di un bacio che avevano aspettato per mesi e che alla fine lui aveva trovato il coraggio di darle.
Lui.
Lui che le aveva scritto praticamente un intero album di canzoni.
Lui che aveva scoperto come lei fosse sempre stata innamorata di un altro ma che non si era arreso.
Lui che era andato contro ogni logica e si era innamorato di lei senza nemmeno conoscerla davvero.
Lui che aveva rispettato chissà quale patto per non confessarle tutto quello che aveva fatto per lei mentre era in coma.
Lui che le aveva promesso di restarle accanto per scoprire il motivo di quel sorriso fatto nel momento più tragico della sua vita e che le aveva assicurato ne sarebbero usciti assieme.
Lui che le aveva detto “ti amo”.
Lui che era diventato tutto e che per lei aveva sconvolto la sua esistenza senza pensarci due volte.
Lui che le aveva fatto vivere davvero la sua vita.
Lui che l'aveva riportata alla vita.
Lui che era Nate Hanson.
E se ne era appena sparito in mezzo al traffico sulla sua Range Rover, verso uno stadio pieno di ragazze che avrebbero pagato per essere al posto di Lexi, per esibirsi per qualcuno che lo avrebbe apprezzato davvero e che non avrebbe gettato la spugna alla prima difficoltà come aveva fatto lei.
-Devo andare da lui... Io, io devo andare da lui. Devo andare da lui!
-Come scusi?
-Devo andare da lui!!
Ormai Lexi era praticamente saltata sul sedile, incapace di contenere la sua impazienza e se quel dannato autista non avesse fatto inversione di marcia il più in fretta possibile sarebbe scesa dal taxi ed avrebbe raggiunto lo stadio di corsa, se fosse stato necessario per arrivare a lui.
-Ma da lui chi?!
-Da Nate! Vada allo stadio, presto!!!
-Okay, okay... Lei è parecchio strana, lo sa?
-E lei non deve mai esser stato innamorato in vita sua.
Si lasciò cadere sul sedile del taxi ed una strana calma la avvolse: aveva ricomposto il puzzle, aveva trovato il pezzo mancante non solo della sua memoria ma anche dalla sua esistenza, la chiave per farne qualcosa di speciale. Aveva trovato Nate.


Quando arrivò allo stadio aveva ben dieci minuti di ritardo e la faccia di uno che aveva appena incontrato il fantasma del suo passato e c'aveva fatto una spassosa chiacchierata a quattrocchi, tanto che Pablo non trovò neanche il coraggio per rimproverarlo, ma piuttosto gli chiese che cosa avesse visto di così sconvolgente.
-Lexi.
-Lexi?! Dove? Quando?! Ma sta venendo qui?!?!
-Stava andando nella direzione opposta. Non verrà.
Scosse la testa e lanciò il cappello in mano ad un Lewis che gli stava andando incontro del tutto ignaro di quello che era successo e che cercò di capirci qualcosa, senza ottenere alcuna risposta.
Non poteva credere che quella fosse davvero la sua Lexi: sembrava spenta, senza quella luce negli occhi a mandorla che l'aveva fatto innamorare una seconda volta guardando quella stupida intervista. Era un involucro vuoto e lui aveva fallito su tutti i fronti. Le uniche cose che gli erano rimaste erano la musica e le sue fan: non poteva permettersi di deludere anche loro. Sarebbe salito su quel palco ed avrebbe cantato come se fosse stata l'ultima volta, come se Lexi fosse stata in prima fila, perché ormai Lexi e la musica erano diventate una cosa sola per lui.


Arrivò allo stadio dopo ben venti minuti: forse i più lunghi di tutta la sua vita, dato che finalmente aveva un obbiettivo da perseguire ed era impaziente di raggiungerlo. I gate erano ormai quasi vuoti e dall'interno dello stadio provenivano le urla delle fan e i bassi della band di apertura: doveva sbrigarsi.
-Biglietto prego.
Un omone enorme, vestito tutto di nero e con un cipiglio per nulla amichevole ed incline al dialogo le si parò davanti e la mise di fronte all'unico vero ostacolo di tutta quella faccenda: entrare nello stadio. O per lo meno farlo senza dover uccidere qualcuno.
“Pensa Lexi, pensa....”.
-Vede io sono con Pablo. Sono Lexi, la ragazza che si è presa la pallottola sulla spalla per salvare Lucas. Pablo mi sta aspettando.
-Senti piccola, sai quante altre ci hanno provato a rifilarmi la stessa identica storiella oggi? Almeno abbiate la cura di lasciare stare quella povera ragazza...
-Ehi, ma io sono davvero Lexi Golder! Se vuole le faccio vedere la carta d'identità, io...
-Dico davvero: non mi interessa chi tu sia. Devi avere il biglietto per entrare.
-Oh dannazione!
Lexi sbatté i piedi per terra e poi cercò furiosamente nella borsa per trovare il cellulare: c'era solo una persona che poteva tirarla fuori da quell'impaccio.
-Avanti, rispondi Pablo... Forza...
-Ehi! Sono Pablo e questa è la mia segreteria telefonica: se ci tenete tanto a lasciarmi un messaggio, parlate dopo il “bip”. Saluti!!!
-Ma che cazzo! Non è possibile che l'unica volta in cui decido di fare qualcosa nella mia vita, l'universo mi si metta contro, dai!
L'esasperazione era arrivata ad un livello tale che ormai persino urlare non era più sufficiente a farla sfogare. Ma attirò invece l'attenzione della sua soluzione.
-Lexi?! Lexi sei tu?
Si voltò verso l'entrata dello stadio, a più di duecento metri da lei e dall'energumeno che non la voleva far passare e vide un angelo che la salutava. O semplicemente Alberto, in quel momento non aveva senso sottilizzare.
-Oddio Alberto! Ciao! Sono così felice di vederti!! Oddio non ci credo! Io devo...
Ormai lui aveva raggiunto i cancelli ed aveva salutato i ragazzi della sicurezza con un cenno del capo, come si fa tra veri machi, o almeno questo fu l'inutile pensiero che le passò per la testa.
-Ma che ci fai qui fuori?
Ecco: quella era un'ottima domanda. Le prime note del video di introduzione dei ragazzi si stavano diffondendo ad altissimo volume in tutta l'area circostante e Lexi sentiva l'esigenza di esserci, perché glielo doveva. Per Nate.
-Alberto, io devo entrare. Dico davvero: devo andare a quel concerto. Devo vedere Nate e...
-E che cosa ci fai lì fuori, allora?! Ragazzi lei è con me...
La prese sottobraccio e la condusse all'interno dello stadio. Si sarebbe tanto voluta girare ed urlare a quei tipi che aveva ragione lei e che era davvero chi diceva di essere, ma si limitò a fargli una linguaccia che l'energumeno più grosso accettò scuotendo semplicemente il capo. Alle volte aveva davvero ventidue anni per nulla.
Erano entrati in uno dei corridoi che conducevano al parterre, ma lo stadio era enorme e la strada le sembrava davvero infinita, tanto che si chiese se non avrebbe perso un polmone prima di arrivare sotto il palco. Lexi sentì il rimbombare ritmico della batteria di Josh giungerle attutito dai muri che la separavano dal vivo dell'azione ed ormai era quasi convinta di aver il cuore in gola: quando si era sentita così emozionata l'ultima volta?
“Mmm, tipo quando mi sono presa una pallottola sulla spalla ed ho salvato la vita ad un paio di persone? Okay, forse non è caso di pensarci ora...”.
Si erano fermati di fronte ad una porta anti-panico e Lexi sentiva la musica penetrare in lei dalle suole degli stivali fino alle punte dei capelli: voleva entrare lì dentro e vedere i suoi occhi e il suo sorriso, perché voleva che lui sapesse, voleva che Nate scoprisse quanto gli fosse riconoscente.
“E anche che io credo di....”.
-Sei pronta?
La voce decisamente più alta rispetto al normale di Alberto la distrasse da quel pensiero che le stava provocando una certa tachicardia, costringendola a ricollegarsi con la realtà.
-Sì.
Non era mai stata così pronta in vita sua, mai così sicura di qualcosa.
E poi la porta davanti a lei si aprì.
Fu il delirio.
Decine di migliaia di voci, di volti, di mani si mescolavano in quello stadio immenso, facendola sentire allo stesso tempo piccola e parte di qualcosa di magnifico: si era dimenticata che cosa volesse dire andare ad un loro concerto. Ed una scarica di adrenalina le corse lungo tutto il corpo, facendola sentire viva, davvero. Sentiva le voci dei ragazzi che si sormontavano e si mescolavano nella settima canzone del loro concerto, ma Lexi non aveva il coraggio di alzare gli occhi verso il palco. Sapeva, anzi, sentiva gli sguardi delle ragazze sedute sugli spalti vicino al corridoio dove lei stava entrando, seguita da Alberto, che si facevano più acuti: sicuramente sarebbe finita su Twitter nell'arco di due minuti, ma non le importava. Vide Lou e tutto lo staff dei ragazzi nelle vicinanze della regia, a lato del mainstage, separati dal resto delle fan sul parterre e lesse la gioia negli occhi di Pablo. Appena gli fu a portata di mano la soffocò in un abbraccio da orso che per poco non la fece cadere a terra, per poi urlarle nell'orecchio:
-Sapevo che saresti venuta! Lo sapevo!!
Già: perché tutti lo sapevano e lei no? Perché tutti erano a conoscenza di quello che era successo in quei cinque mesi e nessuno le aveva mai raccontato nulla? Era divisa in due: da una parte l'irresistibile voglia di volgere la sua attenzione verso il palco e perdersi in quelle iridi celesti che l'avevano salvata; dall'altra la voglia di scoprire perché fosse rimasta all'oscuro di tutto per così tanto tempo, creandole un'infinità di problemi di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Ma come sempre, ci pensò Pablo a risolvere la situazione.
-Dimmi che ti sei ricordata tutto...
Un'ondata di lacrime minacciava di bagnarle le guance nel giro di due secondi perché quello era davvero troppo, per chiunque. Pablo le si avvicinò e la prese per le spalle, guardandola dritta negli occhi e le disse l'ultima cosa che le serviva sapere per decidersi a rischiare il tutto per tutto.
-Lui voleva dirtelo... Tutti noi volevamo, ma i medici ci hanno detto che era troppo pericoloso per il tuo equilibrio emotivo, ma erano cazzate: dovevamo raccontarti tutto... Mi dispiace Lexi!
Sentiva il cellulare vibrare impazzito dentro la borsa, forse a causa di tutte le notifiche di Twitter che le stavano arrivando o per le chiamate di sua madre e di Mia, ma non le importava nulla perché quello che Pablo le aveva appena urlato contro per colpa della musica altissima era la cosa più importante che potesse mai dirle.
“Voleva dirmelo... Lui voleva dirmelo...”.
Forse gli sorrise, forse gli disse anche grazie mentre si sganciava dalla sua presa, Lexi non riusciva a capire bene che cosa stesse facendo, perché l'unico punto che stava diventando il suo centro gravitazionale era su quel palco e stava splendendo come un diamante in mezzo ad una montagna di carbone.
Era dannatamente stupendo.
Da togliere il fiato.
La maglia bianca, senza maniche, lasciava scoperti i muscoli tesi delle braccia, mentre suonava la sua Gibson rossa e avorio. I pantaloni neri, stretti attorno alle gambe magre, sembravano fatti apposta per farlo sembrare una dannata rockstar: i capelli con il ciuffo in aria, leggermente arruffati perché chissà quante volte vi aveva passato le mani in mezzo a causa del nervosismo; le gocce di sudore che gli imperlavano leggermente la fronte per lo sforzo di rendere quella serata assurdamente memorabile per chiunque fosse in quello stadio; il sorriso sghembo che gli stava decorando le labbra sottili e arrossate per le migliaia di volte in cui le aveva morsicate poco prima di salire sul palco; e i suoi occhi... I suoi occhi erano l'infinito. Ed erano tutto. Le promesse che le aveva fatto, la speranza che le aveva donato, la gioia che le aveva assicurato sarebbe tornata nella sua vita, l'amore per quello che faceva e per chi gli voleva bene. L'azzurro brillante delle sue iridi era la vista più spettacolare che Lexi avesse mai avuto occasione di guardare e si sentì fortunata. Perché se davvero per una volta la sua vita stava andando per il verso giusto e lei stava tentando di viverla davvero, allora lui si sarebbe accorto di lei. “Lexi, ma secondo te? In mezzo a sessanta mila persone si accorge proprio di...”.
-Sei qui.
Quelle sessanta mila persone che Lexi era assolutamente convinta l'avrebbero nascosta ai suoi occhi, ora erano tutte concentrate su di lei e per poco non si sentì esplodere la faccia, ma non per loro. Per Nate. Per quel pesce lesso che la stava fissando a bocca aperta nel bel mezzo di un palco mastodontico, illuminato a giorno da migliaia di fari. Ma era il pesce lesso più bello che avesse mai visto.
Non riuscì a farci nulla perché due lacrime dispettose ed assolutamente inopportune decisero di scendere comunque lungo il suo viso, che era appena finito sui maxi schermi ai lati del palco: se il suolo non l'avesse inghiottita in quel preciso istante, soccombendo al peso dell'imbarazzo che stava provando, non sarebbe accaduto mai più. Ma forse aveva parlato troppo presto.
Zach si avvicinò ad un Nate completamene impietrito e gli batté una mano sulla spalla, sorridendogli come solo chi sapeva di aver sempre avuto ragione su tutto poteva fare e con ogni probabilità gli sussurrò all'orecchio anche un “te l'avevo detto” che i microfoni intercettarono lo stesso. Ma fortunatamente tutti erano troppo concentrati ad ascoltare quello che Hugh stava dicendo, fosse anche solo per sbloccare quella situazione surreale.
-Bene gente! Questa sera ci ha fatto il grandissimo onore di donarci la sua presenza una delle ragazze più coraggiose che noi cinque abbiamo mai avuto occasione di incontrare!! Dobbiamo tutto a lei, letteralmente! Quindi fate un bel applauso di benvenuto alla sola ed unica Lexi Golder!!
Ecco: quello era il momento adatto per essere ingurgitata dal prato dello stadio e sperare di non tornare in superficie prima delle due seguenti ere geologiche. Un intero stadio stava urlando il suo nome ed applaudendo e Lexi credette davvero di star a sognare perché tutto quell'affetto e quell'amore lei non se li meritava, non potevano essere per lei... In fin dei conti aveva solo fatto quello che chiunque altro al posto suo si sarebbe sentito in dovere di fare. Ma forse per tutta quella gente non era così. Forse aveva davvero fatto qualcosa di straordinario. Forse non era così normale come credeva.
-Fatevi sentire, forza!!
Quello era Lucas che poi le mimò un “grazie” con un sorriso grato che le fece stringere il cuore, perché anche lui le voleva bene. Lucas non solo sapeva chi fosse ma l'apprezzava come persona e la riteneva degna di tutta quell'attenzione.
“Assurdo....”.
Lewis si avvicinò al punto dov'era e la salutò toccandosi leggermente il cappello, come un gentleman d'altri tempi e la fece sorridere, perché lui era così: genuino e sé stesso fino all'ultima fibra del fluente ciuffo di capelli castani che gli contornava il volto.
-Okay, okay... Un attimo di silenzio per favore.... Vorrei... Vorrei dire due cose prima della prossima canzone.
La voce calda e stranamente impacciata di Nate si fece sentire sopra il rumore assordante degli applausi e della grida e tutto lo stadio sembrò sparire in un solo colpo. Erano solo lui e lei, uno di fronte all'altra, le luci che illuminavano ogni sfumatura di emozione che gli si imprimeva sul viso, le mani di entrambi che torturavano qualcosa, lui il plettro portafortuna, lei il braccialetto che loro le avevano regalato.
Era la resa dei conti.
Era uno di quei momenti in cui sembrava che tutta la loro vita non fosse stata che un lungo, contorto percorso per giungere lì, in quel preciso istante da vivere.
Era Il Momento.
-Questa canzone io... Beh, io l'ho scritta per te Lexi... Per te, che sei una delle donne più forti che io abbia mai conosciuto... Non che ne abbia incontrate così tante, però insomma, voglio dire...
-Vai avanti Nate!
Quello era stato Lewis a parlare e per una volta Lexi gli fu grata per la sua boccaccia incapace di stare zitta.
-Lexi, quando ho visto quella pallottola colpirti ed ho notato il sorriso che avevi dipinto sul volto mi sono chiesto perché... Ed ho continuato a chiedermelo per tutti quei cinque dannatissimi mesi in cui eri bloccata su un letto d'ospedale ed ora non mi interessa se i dottori mi hanno obbligato a non raccontarti nulla, io non ce la faccio più... Perché so che tu c'eri quando ti ho cantato per la prima volta questa canzone, quando ti ho promesso che avrei scoperto il perché di quel sorriso e che ti avrei aiutata a tornare a sorridere ancora, quando ti ho detto che ti amavo.
Il cuore di Lexi si bloccò per un attimo e la consapevolezza di quelle due parole sussurrate dalle sue labbra a poca distanza dalle sue, mentre l'ormai familiare odore di disinfettante della stanza d'ospedale veniva coperto dal suo profumo, si fece largo in lei ed altre lacrime si aggiunsero a quelle che erano cadute poco prima, accompagnate questa volta da un sorriso. Uno di quelli incondizionati, che non si potevano fermare nemmeno se ci provava con tutte le forze, perché dovevano sorgere ed illuminare anche uno stadio acceso per un concerto.
-Io ti amo Lexi Golder, perché sei ciò che di più speciale sia mai capitato nella mia vita e questa canzone è per te. E' per noi. Questa è Through The Dark!
I suoi occhi furono tutto quello che Lexi vide davvero. Quegli occhi l'avevano salvata. Quelle mani l'avevano guidata attraverso il buio di un tunnel che non sembrava finire mai. Quelle labbra l'avevano tenuta ancorata alla realtà per cui doveva combattere. Quella voce era stata il suo conforto, la sua gioia, la sua vita ed ora stava cantando solo per lei la promessa che le aveva fatto più di sette mesi prima e che aveva mantenuto appieno. Nonostante tutto. Nonostante tutti.
Oh I will carry you over
Fire and water for your love
And I will hold you closer
Hope your heart is strong enough
When the night is coming down on you
We will find a way through the dark...
Lexi era viva. Si sentiva viva davvero.




Hi sweethearts!
Eccoci qui. Penultimo capitolo. Non credevo sarei mai arrivata a questo punto. Non pensavo che qualcuno avrebbe seguito questa storia che ha subito sempre e solo rifiuti (in primis dalla sottoscritta, che non l'ha più toccata per un anno intero dopo averla finita). Quindi non posso che dirvi GRAZIE. Dal profondo del mio cuore. Grazie anche da parte dei Nexi. Di quel Nate(Niall) che ha appena dichiarato al mondo il suo amore per Lexi, incurante del fatto che così lei sarebbe finita al centro di una vera e propria bufera mediatica, che così chiunque avrebbe potuto dire la sua sulla loro storia. Di quel Nate che ha finalmente capito come l'amore possa superare tutto, anche i lati negativi della fama e le insicurezze croniche di una ragazza. Ma soprattutto, grazie da parte di Lexi. Quella vecchia e quella nuova. E specialmente quella che spera di avervi fatto vivere l'emozione surreale ed indimenticabile di sentirsi dire che si è amati da qualcuno di speciale.
Stranamente, questo è stato uno dei capitoli che ho scritto con più facilità, forse perché avevo chiara questa scena sin dall'inizio della storia o forse semplicemente perché volevo anche io che i Nexi riuscissero a rincontrarsi come si deve. E' stata una liberazione per tutti. Una riconferma (per me che faccio molta fatica) che continuare a credere nell'amore ha i suoi vantaggi.
Spero davvero di sapere le vostre opinioni, i vostri pareri e le vostre critiche: ve lo aspettavate così? Speravate in qualcos'altro? Fatemi sapere **
Grazie ancora, davvero e al prossimo (ed ultimo) capitolo.
A presto
Lots Of Love xx
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Rebecca_Daniels