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Autore: TheSlavicShadow    29/06/2017    3 recensioni
Caso: Terra-3490.
Il 47esimo modello pacifico ha beneficiato principalmente dalla relazione tra Capitan America, Steve Rogers, e Iron Woman, Natasha Stark.
Agendo da deterrente per i comportamenti più aggressivi degli altri, ha consentito al Reed Richards di questa Terra di portare a termine con successo il programma di registrazione dei supereroi e di avviare l’Iniziativa dei 50 Stati.
{Il ponte - Capitolo due da Dark Reign: Fantastic Four n. 2 del giugno 2009}
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Dicembre 1999

 

Si era trascinata lentamente in salotto invece di andare in cucina quando aveva sentito qualcuno suonare il pianoforte. Anche senza guardare sapeva che era sua madre. Solo lei suonava e cantava con tanta grazia tra tutte le persone che conosceva. Era rimasta sulla porta a guardarla. Come sempre era vestita in modo impeccabile anche per stare a casa. Non l’aveva mai vista con un capello fuori posto e ogni tanto era convinta che anche il giorno in cui l’aveva partorita lo aveva fatto con tanta eleganza da essere uscita perfetta dalla sala parto.

La osservava e pensava che sua madre non era stata molto più vecchia di lei quando aveva sposato Howard Stark. Era stato uno scandalo. La giovane figlia dei Carbonell che sposava un uomo che aveva più di vent’anni più di lei.

Quando era stata più giovane, a volte si era messa a sfogliare l’album di nozze dei genitori. Le piaceva il vestito da sposa che indossava sua madre. Molto alla Grace Kelly. E quando era una bambina sognava di avere un vestito simile un giorno. Sognava di avere delle foto simili, e soprattutto che qualcuno la guardasse con tanta dolcezza.

Le piaceva guardare quelle foto perché i suoi genitori sembravano davvero molto innamorati.

E forse lo erano davvero stati, forse lo erano ancora. Del resto, Howard non era più stato lo stesso donnaiolo che era in gioventù. Non era un santo, non lo sarebbe mai stato, ma forse il loro matrimonio era più sereno di molti altri dell’alta società.

“Non è buona educazione spiare dalla porta.” Maria Stark aveva smesso di suonare e si era voltata verso di lei. “Stavo giusto per venire a svegliarti. A che ora sei rientrata? E dov’è finito quel bel pigiama che ti ho comprato?”

“Tardi. O presto. Dipende da che punto lo guardi.” Si era spostata dalla porta, dopo aver guardato i pantaloni di tuta usurati e una maglietta orrenda che aveva addosso, solo per andare a sedersi sul divano. Era ancora stanchissima, nonostante avesse dormito tutto il giorno. Il jet lag la uccideva ogni volta che andava o tornava dall’Europa. Non le ci era voluto molto per sdraiarsi nuovamente nonostante si fosse appena alzata dal letto. Aveva osservato sua madre sorridere e poi riprendere a suonare. Era una melodia che conosceva fin troppo bene. Una canzone che le cantava quando era piccola. Parole accompagnate da carezze sui suoi capelli, e infine scivolava lentamente nel sonno.

Aveva chiuso gli occhi e si era lasciata cullare dalla musica. Aveva sentito quella melodia tante volte quando era piccola prima di addormentarsi.

“Chi è questa barbona sul mio divano?”

“Svegliati, tesoro, e saluta tuo padre.”

Non appena aveva sentito la voce di suo padre si era alzata di scatto. Era in quel momento l’ultima persona che voleva vedere. Avevano litigato solo pochi giorni prima del suo rientro. Ed era rientrata dall’Europa solo perché lui aveva voluto così.

“Sei in partenza?” Lo aveva osservato. Era vestito anche lui di tutto punto. “Amo tornare a casa per Natale. Te ne vai subito tu.”

“Caro, sii comprensivo. Stava studiando in Europa.” Maria non aveva smesso di suonare, ma non aveva bisogno di guardarli per sapere che stavano per iniziare a litigare ancora una volta.

“E cosa stava studiando? Come finire sulle copertine di giornali spazzatura anche in Europa?”

“Sì, anche.” Aveva sorriso. Non era colpa sua se a Londra aveva conosciuto qualcuno imparentato con la famiglia reale e aveva voluto divertirsi un po’.

Howard l’aveva guardata severamente. Da quello che ricordava, la guardava così ogni volta che apriva bocca.

“Fammi un favore. Puoi non incendiare la casa e fare altri danni prima di lunedì prossimo?”

“Ah, quindi è lunedì? Buono a sapersi, così posso organizzare al meglio quel mio toga party. Dove andate?” Si era voltata verso la madre, infilandosi le mani nelle tasche e dondolandosi sui talloni. Sapeva che questo avrebbe dato fastidio ad Howard.

“Tuo padre mi porta alle Bahamas per una breve vacanza.”

Aveva guardato prima uno e poi l’altro. Stava odiando suo padre che l’aveva fatta tornare a casa e ora se ne andava senza di lei. Non che lei volesse partire con lui, ma era una questione di principio per lei.

“Forse dovremo fare un piccola deviazione.” Howard aveva con nonchalance guardato l’ora sull’orologio da polso, mentre Natasha si spostava e si andava ad appoggiare contro il muro.

“Al Pentagono. Giusto?” Dal modo in cui Howard l’aveva guardava sapeva di aver indovinato e questo l’aveva fatta ghignare. Suo padre non cambiava mai. “Non preoccuparti, mamma, è buonissimo il menù festivo della mensa militare.”

“Dicono che il sarcasmo sia un mezzo per misurare il potenziale. Se fosse vero un giorno diventerai qualcuno.” Howard l’aveva guardata negli occhi e lei aveva ricambiato il suo sguardo. Lei era già qualcuno. “Prendo i bagagli.” Scuotendo la testa era uscito dal salotto e solo allora Maria aveva smesso di suonare.

La donna si era voltata verso di lei e aveva sospirato. “Gli manchi molto quando non ci sei.”

“Oh, lo vedo. Torno a casa e se ne va lui. Proprio una grandissima dimostrazione di amore genitoriale.” Aveva con lo sguardo seguito la donna che si alzava dallo sgabello e le si avvicinava. “Almeno a Natale ci siete o posso andarmene anch’io da qualche parte? Sai, avrei almeno un paio di inviti molto interessanti a cui rispondere.”

“Tasha, tuo padre è solo preoccupato per te. Sei giovane e stai facendo molto parlare di te. Non sempre in positivo, tra le altre cose. Siamo entrambi preoccupati, ma so che almeno vagamente sai cosa stai facendo.” Maria le aveva accarezzato una guancia con il dorso della mano. “Per Natale saremo a casa e festeggeremo qui, noi quattro da soli. Jarvis preparerà un ottimo pranzo come al solito e poi staremo insieme. Ti porterò qualcosa di carino dalle Bahamas.”

Aveva sospirato e proprio allora suo padre era rientrato con i bagagli. Lo aveva guardato, e doveva ammettere che per la sua età aveva ancora molta forza. E sapeva che doveva stare zitta, ma era più forte di lei.

“Cos’è? Ti sei iniettato anche tu un po’ di siero del supersoldato?”

“Molto simpatica.” Howard l’aveva guardata e dal suo sguardo sapeva che avrebbe detto qualcosa che non le piaceva. “Magari potresti approfittare della mia assenza per fare pace con Steve, senza scopartelo.”

Per un attimo era rimasta in silenzio, osservandolo darle la schiena ed uscire.

“Vai a farti fottere, Howard! Tu e Rogers! Magari è quello che sogni da sempre!” Gli aveva urlato, sicura che lui potesse ancora sentirla.

Non aveva smesso mai di rinfacciarle il fatto che era andata a letto con Steve. E lo aveva saputo quando una sera lei aveva bevuto troppo e ridendo aveva detto che Steve li evitava tutti a causa sua. Howard non era uno stupido e aveva subito capito cosa doveva essere successo tra i due. Forse Steve Rogers glielo aveva poi anche confermato.

“Tasha!” Maria aveva stretto una mano sulla sua spalla e lei l’aveva soltanto guardata. “Tasha, non ascoltarlo. Chiama James mentre noi non ci siamo. Organizzate tutte le maratone che volete e divertitevi mentre noi non ci siamo. O se proprio vuoi, chiama quel ragazzo che stai frequentando adesso.” Aveva fatto una smorfia. Sua madre sapeva sempre tutto, anche quando lei non diceva nulla. “Ti voglio bene, tesoro mio.”

“Anch’io, mamma.”

Maria le aveva sorriso dopo averle dato un bacio sulla guancia, e subito dopo usciva dal salotto e Natasha l’aveva solo seguita con lo sguardo.

 

✭✮✭

 

“Quanto hai bevuto?”

Natasha aveva aperto gli occhi e si era trovata di fronte Steve Rogers che la osservava seduto sul tavolino da caffè. Non lo aveva sentito né entrare né avvicinarsi. Doveva essere anche quella una delle abilità di un supersoldato.

Si era passata una mano sugli occhi, stringendo di più le dita sul collo della bottiglia che aveva nell’altra mano. Non si era neppure cambiata una volta rientrata in casa. Jarvis si era occupato di mandare via la maggior parte di quelli che li avevano seguiti a casa dopo il funerale. Per lo più soci di qualche tipo di suo padre.

Ricordava vagamente il tragitto fino a casa. Jarvis aveva guidato e le aveva anche parlato, ma lei non si ricordava di avergli mai risposto. Quando Jarvis aveva parcheggiato la macchina davanti all’ingresso, Rhodes le aveva aperto la porta. Le era rimasto accanto tutto il tempo che avevano trascorso al cimitero. Le aveva tenuto la mano, senza mai lasciarla neppure per un istante, incurante di tutti quelli che li circondavano. E poi l’aveva abbracciata non appena aveva messo piede fuori dalla macchina e non ricordava come si era trovata seduta in soggiorno con le con le persone che erano state più vicine agli Stark negli anni. Obadiah le aveva messo un bicchiere in mano e lei aveva bevuto senza fare complimenti anche quando l’alcool le aveva bruciato la gola.

“Se sei reale e non un’allucinazione, allora troppo poco.”

Steve aveva fatto un debole sorriso e le aveva tolto la bottiglia di mano. Non si erano parlati dall’episodio di Tiberius Stone.

Lui non si era più fatto sentire e lei per orgoglio non lo aveva più cercato.

“Sono tutti preoccupati per te.”

“Sono preoccupati per le Stark Industries, per i contratti con lo S.H.I.E.L.D. e quelli militari. Non sono preoccupati per Natasha Stark. Sono preoccupati perché non possono lasciare l’azienda in mano a una diciannovenne.”

“No, sono preoccupati per te, per questo hanno mandato me a vedere come stavi visto come li hai buttati fuori di qui.” Steve le aveva stretto la mano. Era calda proprio come la ricordava. “Hai bisogno di qualcosa?”

“Di quella bottiglia, grazie.”

“Ti concedo un altro bicchiere, ma non l’intera bottiglia.” Steve si era alzato e aveva preso un bicchiere pulito. Quello che le aveva dato Obadiah era finito contro il muro quando aveva iniziato ad urlare a tutti i presenti di andarsene e di lasciarla da sola. Parlavano solo delle sue future responsabilità e avevano iniziato a litigare tra di loro per questo. Soprattutto Fury e Obadiah. Litigavano per il futuro delle Stark Industries e per il ruolo che lei avrebbe dovuto avere. “Mia madre è morta quando avevo 18 anni.”

“Lo so, Rogers. So tutto di te. O meglio, del te del 1940.” Aveva svuotato il bicchiere con un solo sorso e poi aveva guardato Steve. “Perché sei qui?”

“Non potevo lasciarti da sola.”

“Come qualche tempo fa? Sarai di nuovo il bel principe azzurro che mi salva e poi mi spezzerai il cuore e te ne sbatterai il cazzo?” Si era alzata dal divano e aveva maledetto i tacchi che non aveva ancora tolto. Alzandosi aveva messo male il piede e aveva bestemmiato tra i denti. Aveva tolto solo allora le scarpe, lanciando anche loro contro il muro e colpendo un soprammobile che si era di conseguenza rotto in mille pezzi. Faceva parte della collezione di ceramiche di sua madre. Le ceramiche di cui era sempre orgogliosa e che tutti si fermavano ad osservare. Molte erano antiche. Molte erano dei regali che Howard le aveva fatto nel corso degli anni. “Che cazzo… Sai cosa è stata l’ultima cosa che ho detto ad Howard? Di andare a farsi fottere! Ti pare una cosa normale? Esce di casa rompendo le palle e io gli urlo di rimando! E ora non potrò più farlo! Questa è stata l’ultima cosa che mai potrò dirgli! Te ne rendi conto?” Si era portata una mano sul viso. Era stata forte, era stata di ferro per tutti quei giorni. Non aveva versato neanche una lacrima, neanche durante la funzione. Era rimasta stoica mentre le bare venivano calate e coperte di terra. “Domani i giornali saranno occupati a discutere del mio outfit e del make-up! Cazzo, ho passato due ore stamattina a farmi sistemare capelli e trucco ed era l’ultima cazzo di cosa di cui potesse interessarmi! Ho addosso un abito di alta sartoria cucito apposta per me, per questa occasione! C’era un sarto che fino a stamattina girava per casa per finire di sistemarlo! Cosa vuoi che mi freghi se mia madre non avrà qualcosa da ridire sul mio comportamento mentre sono così elegante o Howard che mi rompe le palle per il semplice fatto che esisto?”

Non voleva piangere. Non davanti a Steve. Era una donna forte e glielo avrebbe dimostrato. Non poteva piangere e farsi vedere fragile. Howard non ne sarebbe stato felice. Odiava quando piangeva e glielo rinfacciava ad ogni litigio.

Howard non le avrebbe più potuto urlare contro e lei non avrebbe mai più potuto mandarlo al diavolo.

“Puoi piangere, Tasha. Puoi farlo. Questo non ti rende meno forte, anzi. Ho visto come ti sei comportata oggi. Tua madre sarebbe orgogliosa di te.” Steve l’aveva abbracciata e in quel momento era l’unica cosa che potesse desiderare.

Anche se era arrabbiata pure con lui. Era così arrabbiata che avrebbe voluto dargli tutti i pugni che non gli aveva dato quella mattina a Boston. Non le importava se lui era un supersoldato, se dandogli un pugno probabilmente si sarebbe rotta una mano - nella sua testa immaginava un supersoldato molto simile a Terminator - o se sarebbe solo sembrata una stupida ragazzina ferita dalla vita, da lui, da tutto quello che la circondava.

“Io non piango.” Aveva appoggiato la fronte contro il suo petto. Non aveva il coraggio di ricambiare il suo abbraccio. “Gli Stark non piangono.”

“Tutti piangono. Tu, io. Forse anche Fury. Anche Peggy piange, e questo non sminuisce il fatto che lei sia una delle persone più forti che io conosca.”

Istintivamente si era aggrappata alla sua camicia. Lo odiava perché sapeva che Steve aveva ragione. Ma in quel momento lui era l’ultima persona da cui voleva farsi vedere piangere. Era orgoglio. Solo quello. Jarvis l’aveva vista piangere. Rhodes l’aveva vista piangere. Peggy l’aveva vista piangere. Davanti a Steve non voleva farlo. Anche solo perché era sicura che Steve sapesse che aveva pianto quella mattina dopo essersi nascosta nella propria officina.

“Facciamo così. Ora andiamo in camera tua. Ti preparo un bel bagno caldo e cerchi di rilassarti un po’. Che ne dici?”

Aveva solo annuito. Aveva paura ad aprire bocca. Aveva il terrore che la sua voce fosse tremante, sull’orlo del pianto. E non voleva.

Steve l’aveva presa in braccio e lei aveva passato le braccia attorno al suo collo stringendolo con forza e nascondendo il viso contro il suo collo. In quel momento non le importava del fatto che gli avrebbe sporcato la camicia con il trucco.

Odiava sé stessa e anche Steve, perché in quel momento, tra le sue braccia, lei si sentiva al sicuro. Si sentiva più protetta di quanto non lo fosse stata in quei ultimi dieci giorni.

“Credevo ti saresti precipitato qui non appena avessi saputo dell’incidente.”

Steve le aveva davvero preparato un bel bagno bollente, come piacevano a lei. L’aveva aiutata a togliere il vestito, ma da vero gentiluomo quale era, era uscito dal bagno fino a quando lei non si era immersa nella vasca. Aveva usato la scusa che andava a prenderle dei vestiti puliti, ma non poteva farlo perché non sapeva dove li tenesse. Quella era la prima volta che Steve Rogers vedeva la sua stanza.

“Volevo, ma ero disperso in Africa.”

Era seduto con la schiena appoggiata contro il bordo della vasca e lei non riusciva a togliere gli occhi dal suo profilo. Erano rimasti in silenzio per diverso tempo prima che lei lo rompesse.

“Oh, sempre lo S.H.I.E.L.D. che ti tiene occupato. Così occupato che ci è voluto un anno e mezzo e un funerale per farti tornare?”

Doveva stare zitta. Sapeva di dover stare zitta. Avrebbe solo rovinato anche quel momento di pace che stavano avendo. Ma era più forte di lei, e quell’abbandono le bruciava ancora. Perché lo aveva vissuto proprio così.

“Avrei voluto farlo prima, ma non sapevo come farlo. So di averti ferita e non avevo nulla da dire a mia discolpa.”

“Però hai confermato ad Howard che siamo stati a letto insieme.” Aveva visto Steve fare una smorfia, e si era allora spostata. Aveva appoggiato le braccia sul bordo della vasca e vi aveva appoggiato il mento sopra, senza smettere di guardare Steve. Lui fissava le piastrelle. Dovevano davvero essere molto interessanti se rapivano così la sua attenzione. “Non ha mai smesso di rinfacciarmelo, sai? Probabilmente non mi ha mai ritenuta alla tua altezza e con molta probabilità aveva ragione. E sai quali sono state le ultime parole che mi ha rivolto?” Lo aveva guardato ancora. Steve aveva voltato il viso verso di lei e solo allora aveva notato la tristezza nei suoi occhi. Non sapeva per cosa esattamente, se per loro o per Howard o per tutto un insieme di cose. “Mi ha detto di fare pace con te in sua assenza. Senza scoparti.”

“Quello che ti ho detto quel giorno lo penso ancora. Sei sempre molto importante per me. Questo non è mai cambiato.”

“Te ne sei andato. Dopo una notte di sesso. Sai che non riesco a crederti?” Aveva allungato una mano e gli aveva accarezzato il viso. Steve aveva messo una mano sulla sua e la guardava.

“Tasha, sono nato nel 1921. Sessant’anni prima di te.”

“E sei rimasto congelato fino all’altro giorno. Cosa vuoi che mi interessi quando sei nato? Sei vivo adesso. Stiamo condividendo insieme questo momento.” Aveva inarcato le labbra in quello che poteva sembrare un sorriso, non spostando la mano dal suo viso. “Anche se dobbiamo discutere con Fury del tuo sfruttamento. Gli anziani dovrebbero stare a casa.”

Steve aveva sorriso e questo le aveva riscaldato il cuore. Le era mancato quel sorriso.

“Deciditi, non posso essere giovane e vecchio allo stesso tempo.”

“Steve, hai delle bretelle addosso. Nessuno porta più le bretelle. Non i veri giovani almeno.”

“Sono comode e sono sempre eleganti.”

Natasha aveva scosso la testa, e poi lo aveva guardato ancora. Steve le sorrideva. E lei era felice di averlo lì in quel momento.

Era grata a tutte le persone che in quei dieci giorni si erano aggirate per casa. Jarvis non l’aveva praticamente mai persa di vista. Era stato un santo. L’aveva accompagnata in obitorio quando l’avevano chiamata per il riconoscimento dei corpi. Anche se era stata una cosa inutile. Tutti conoscevano Howard e Maria Stark. Rhodes era arrivato due giorni dopo. Aveva dormito con lei ogni notte, tenendola stretta e accarezzandole la schiena fino a quando non si addormentava. Anche Peggy Carter era arrivata subito, continuando ad aggirarsi per casa e organizzando il funerale. Gliene era grata, perché lei non avrebbe saputo da che parte iniziare. Nick Fury era passato un paio di volte accompagnato dall’Agente Coulson per vedere come stava. E Obadiah Stane era passato ogni sera, portando notizie dall’azienda e della stampa. Lei non aveva voluto leggere o sentire nulla riguardo all’incidente.

Ma nonostante tutto quel via vai di persone le era mancato Steve. Le era mancata la sua presenza rassicurante, il suo sorriso, i suoi abbracci. Steve che le era stato accanto in quei tre anni come poche altre persone lo erano state, e che non c’era nei dieci giorni peggiori.

“Volevo telefonarti.” Aveva ammesso a voce alta, ed era sicura che la sua espressione fosse cambiata da come la stava guardando Steve. Non c’era più nessuno sorriso sulle sue labbra. “Anche solo per sentire la tua voce. Forse dopo avrei subito chiuso la chiamata.”

“Volevo farlo anch’io, ma ero sicuro che non mi avresti mai risposto.” Si era spostato. Aveva lasciato la sua mano e si era inginocchiato di fronte a lei. Steve la guardava e lei non riusciva a togliere lo sguardo dal suo. Aveva di nuovo allungato un braccio, stringendo la stoffa della camicia tra le dita. Steve aveva fatto un piccolo sorriso, mettendo la mano sulla sua, mentre con quella libera questa volta le accarezzava lui il viso.

“Avresti dovuto almeno tentare.” Lo aveva guardato, prima di fare leva contro il bordo della vasca e sporgersi verso di lui. Lo aveva baciato senza farsi troppi pensieri. Alle conseguenze avrebbe pensato in un altro momento. Lo aveva baciato e la mano di Steve che era stata sulla sua guancia si era spostata alla sua nuca. Poteva sentire le sue dita calde sulla pelle e che si intrecciavano ai suoi capelli.

Non voleva pensare al fatto che fosse bagnata, che stesse bagnando anche Steve, e avesse forse anche allagato il bagno quando con la grazia di una balenottera azzurra si era spostata ulteriormente per poter continuare a baciare Steve che stava rispondendo ad ogni suo bacio. E a Steve non doveva aver dato alcun fastidio essere ricoperto di acqua e schiuma, visto come l’aveva presa in braccio ancora grondante di acqua calda.

“Mh… Sei così felice di vedermi, Steven?” Gli aveva morso un labbro e aveva adorato il leggero rossore sulle guance dell’uomo. Sperava che questo lato di Steve non sarebbe mai cambiato.

“Ma stai zitta…” Aveva mormorato, imbarazzato, e l’aveva baciata di nuovo. Solo una volta aveva potuto assaporare il desiderio di Steve, ma le era mancato. Era qualcosa che aveva cercato sulle labbra di altre persone, ma non erano Steve. Perché nonostante tutto, nonostante la distanza e la lontananza, i suoi sentimenti per Steve non erano mai cambiati.

Lo aveva abbracciato. Aveva affondato le dita tra i suoi capelli. Aveva stretto le gambe attorno alla sua vita. Steve la sorreggeva senza mai staccarsi dalle sue labbra e lei era incurante della propria nudità, o del fatto che Steve fosse ancora completamente vestito. Ci avrebbe pensato dopo a spogliarlo. Voleva solo godersi le sue labbra sulle proprie, le sue mani sulle propria pelle.

Con Steve presente in quel momento, poteva dimenticare tutto quello che la circondava. Poteva fare finta che andasse tutto bene. Poteva abbandonarsi tra le sue braccia e avere la certezza di essere al sicuro, di essere protetta, di essere amata. Steve era tornato per lei. Era abbastanza stupida e innamorata da potergli quasi perdonare quell’ultimo anno e mezzo. Aveva cercato Steve in tutti i partner che aveva avuto in quei mesi, ma non ne aveva trovato neppure una traccia. In nessuno. Neppure una minuscola particella di quello che era Steve Rogers e di come la faceva sentire. Poteva anche non provare nulla per lei, ma riusciva a farla sentire amata anche con un semplice bacio. E questo lo aveva sempre creduto pressoché impossibile.

Steve aveva ricoperto il suo corpo di baci e carezze languide. E lei riusciva soltanto a mormorare il suo nome. Faceva male e la faceva sentire completa. Era come se il suo cuore si stesse spezzando ancora un volta al ricordo di come era finita e si stesse allo tempo risanando sotto le attenzioni che Steve le riservava.

L’aveva stretto con forza. Aveva allacciato le braccia attorno al suo collo, affondando le unghie nella sua pelle. Aveva nascosto il viso contro il suo collo e forse ad un certo punto lo aveva anche morso, mentre una mano di Steve teneva la sua schiena che si inarcava ad ogni spinta.

“Non lasciarmi più…” Aveva sussurrato contro la sua spalla, convinta che Steve non potesse sentirla. Ma doveva averlo fatto, perché aveva girato, baciandola dove riusciva, e aveva risposto alle sue parole.

“Sarò sempre con te, Tasha.”

E lei voleva crederci. Voleva crederci che Steve sarebbe rimasto. Che dopo ogni missione sarebbe tornato da lei. Voleva crederci. Voleva credere di essere abbastanza importante per Steve per farlo sempre tornare da lei. Voleva crederci davvero.

 
   
 
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