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Autore: SomethingWild    30/06/2017    4 recensioni
[Clexa, Ranya, AU]
Lexa dirige una delle società più prestigiose di Wall Street, ma sono poche le persone con cui riesce ad essere realmente se stessa, lasciando da parte la maschera che il passato e il suo ruolo le hanno imposto. Clarke si è trasferita a New York da qualche mese per realizzare il proprio sogno, supportata dalle sue migliori amiche e in fuga da una vita che non le appartiene più.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo III

«Certo, riferirò a Miss Woods.» Dopo una breve pausa parlò di nuovo: «Buona giornata anche a lei.»
Lexa guardò Anya appoggiare la cornetta del telefono.
«Allora?» chiese, mal celando impazienza. 
«Ha detto che Octavia e Bellamy Blake hanno accettato la proposta» la informò Anya sorridendo leggermente.
«Bene.» Lexa guardò l'orologio sul polso. «Non voglio essere disturbata fino alle due.» Si avviò verso la porta dell'ufficio aggiungendo: «Passami Lincoln appena lo rintracci. Necessito del suo parere riguardo ad una clausola del contratto.»
«Non vuoi sapere chi era al telefono?» le chiese Anya con tono malizioso prima che Lexa potesse rifugiarsi nel proprio ufficio.
«No» le rispose alzando un sopracciglio e scuotendo la testa, come a sottolineare maggiormente la propria decisione. 
«Ne sei sicura?»
«Sì.»
«E se non ti credessi?»
Lexa si voltò verso l'amica, dopo un attimo di riflessione. «Quindi?»
«Era la biondina. "Clarke Griffin, della Blake&Co., volevo avvisare Miss Woods che i signori Blake hanno accettato la proposta. Porga i miei saluti ad Alexandra.".» Anya non ebbe modo di fuggire allo sguardo truce che Lexa le rivolse. 
«Non ti ha salutato solo perché sicuramente Bellamy Blake stava assistendo alla chiamata, altrimenti scommetto che l'avrebbe fatto più che volentieri: nessun sfugge al sex appeal di Alexandra Woods» continuò a canzonarla Anya.
«Direi che, se hai finito di fare la stupida, torno al mio lavoro» tagliò corto Lexa aprendo la porta. Anya mimò la frase appena pronunciata dal suo capo.
«Ti vedo» la apostrofò mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
Anya sorrise di nuovo: si divertiva troppo a prendersi gioco dell'amica, solitamente così riservata per quanto riguardava quella parte della sua vita. Soprattutto dopo Harvard.
«Buongiorno, Miss Forest.» Un giovane ragazzo dai tratti asiatici si avvicinò alla sua scrivania. Anya alzò un sopracciglio invitandolo a parlare.
«Sono Monty Green. Sostituisco il mio capo. Aveva un impegno, quindi controllerò io il piano previsto per oggi» le riferì il ragazzo.
Anya tentò di mascherare una punta di delusione e si alzò dalla sedia, invitandolo a seguirla: «Da questa parte.»
Lo condusse verso l'ascensore: «Oggi tocca all'ala ovest del decimo piano. Chiedi di Becca, gestisce la sicurezza informatica dell'edificio, ti può dare indicazioni, se hai bisogno.» Chiamò l'ascensore premendo il pulsante. Quando le porte scorrevoli si aprirono, Anya salutò Monty Green con un cenno del capo e tornò alla propria scrivania. 
Digitò il numero di telefono di Lincoln e, dopo aver salutato l'amico, passò la linea a Lexa.

Clarke si mise il cappotto e prese la borsa, prima di voltarsi verso Octavia: «Dove andiamo?»
«Ho prenotato un tavolo al giapponese vicino a Central Park.»
«Oh. Non vi dispiace se porto questo con me, vero?» Clarke prese un blocco dalla scrivania e lo mise nella borsa.
«No, tranquilla. L'importante è che non mi lascerai da sola ad affrontare Raven: l'ultima volta non è andata molto bene.» Octavia si grattò la fronte mentre a Clarke sfuggiva una piccola risata al ricordo di Raven che versava il proprio mojito sulle scarpe della mora. 
Octavia ruotò gli occhi, decisamente meno divertita rispetto all'amica: «Tanto non erano le tue scarpe, no? Possiamo andare?»
Clarke annuì e seguì Octavia verso l'ascensore.
«Andate di già?» Bellamy richiamò la loro attenzione avvicinandosi velocemente.
«Sono le sette e mezza» osservò Octavia come se stesse constatando l'ovvio.
«Lo vedo. Intendevo se volevate unirvi a me e Miller per andare a bere qualcosa. Ha litigato con il suo ragazzo ed io non sono pratico di queste cose. Magari voi potete aiutarlo.»
«Mi dispiace per Nathan, ma dovrà farsi bastare i tuoi consigli: serata fra donne» replicò Octavia chiamando l'ascensore.
«Certo che voi siete così utili quando si tratta di aiutare un amico» commentò Bellamy ricevendo uno sguardo contrariato da parte di Clarke. «Stavo solo scherzando» si affrettò a chiarire alzando le mani.
Quando uscirono dal palazzo, Bellamy si preoccupò di fermare un taxi per loro. 
«Buon divertimento. Salutate Raven da parte mia» disse loro mentre salivano sull'auto.
«Non credo Raven voglia essere salutata da Bellamy» commentò Clarke ridendo.
«No, sono d'accordo con te» confermò Octavia ricevendo uno sguardo malizioso da parte della bionda. «Non mi ci far pensare, ti prego, Clarke. A distanza di anni me ne vergogno ancora.»
«Più che vergogna, mi sembra ribrezzo» sussurrò Clarke leggermente divertita, mentre spostava lo sguardo fuori dal finestrino.
Pochi minuti dopo erano scese dal taxi sperando che Raven fosse davanti al ristorante ad aspettarle. Ma, ovviamente, chiedevano troppo. 
«Prova a chiamarla» suggerì impaziente Octavia cercando con lo sguardo eventuali taxi che si erano fermati lì vicino. 
«Provo» rispose Clarke, con il telefono già all'orecchio.
Pochi istanti dopo sentì la voce affannata dell'amica: «Sì, lo so. Sono in ritardo pazzesco.» 
«Dove sei Reyes?» chiese scocciata Octavia con un tono abbastanza alto, affinché l’amica potesse sentirla. 
«Sono qui. Datemi due secondi.» Un'altra pausa. «Sono scesa prima dal taxi quando ho visto l'ingorgo e vi sto raggiungendo a piedi.»
«Tu cosa?» Il tono di Clarke tradiva sia rabbia che preoccupazione, Octavia lo notò e lanciò uno sguardo preoccupato all'amica.
«Tranquilla. Sono qui. Guarda.» Clarke fece passare lo sguardo lungo tutto il marciapiede finché non individuò una figura in lontananza che agitava un braccio in alto per attirare l'attenzione. 
«Sei stupida, Reyes» le rispose prima di attaccare. 
«Cos'ha fatto?» le chiese Octavia, osservando Raven avvicinarsi a loro, ansimante. 
«Chiedilo a lei.» Con un sopracciglio alzato e un cenno del capo indicò Raven che era ormai a pochi passi da loro. 
«Scusate il ritardo.» Si scusò abbracciando le due amiche.
«Tranquilla. Non avevamo dubbi» commentò Octavia facendo strada verso l'ingresso del ristorante.
«Spero che il tuo super segreto sia la causa di questo tuo ritardo e della tua incosciente corsa verso di noi» disse acida Clarke.
«Tu cosa?» disse Octavia spostando lo sguardo dal cameriere, che le aveva appena chiesto il nome della prenotazione, a Raven.
La ragazza si schermì leggermente alzando le spalle, prima di rispondere al posto dell'amica, nel tentativo di sviare la questione: «Blake.»
«Da questa parte.» Il cameriere le guidò verso un tavolo posto nell'angolo del locale e lasciò loro tre menù.
Le ragazze si accomodarono e Raven non perse tempo, anticipando le domande ed i riproveri delle due amiche: «Tranquille, non mi fa male.»
«Sicuramente. Lo dicevi anche prima che ti operassero la seconda volta» le fece notare Clarke.
«Vi dico davvero. Questa mattina sono andata da Abby.» Si interruppe per due secondi, sperando Clarke non avesse notato il nome, e si corresse subito: «Dalla dottoressa Griffin e ha detto che dai controlli risulta tutto in regola.»
«Non mi fido. Se fossi in te, Clarke, proverei a chiedere conferma a tua madre» rispose Octavia, chiudendo il menù.
«Già. Stavo proprio pensando di farlo.»
«Ma tu non eri quella che non voleva averci più niente a che fare?» le domandò scocciata Raven.
«Se si tratta di me. La chiamerò domani. E se ci stai mentendo - » Puntò l'indice sotto il naso dell'amica. « - ti assicuro che non la passerai liscia.»
«Fa' pure.» Raven alzò le spalle prima di tornare a leggere il menù. 
Octavia e Clarke si guardarono preoccupate nel notare l'apparente disinteresse dell'amica, che, quando se ne accorse, le fissò interrogativa.
«Lascia perdere. Godiamoci questa serata e inizia a sputare il rospo, Reyes. Non crederai che ci siamo scordate il fine di questa cena?» 
Clarke non aveva voglia di litigare con Raven o, comunque, di affrontare discorsi che riguardassero la madre o qualsiasi problema le affliggesse. No, solo ridere, senza pensieri, sperando di ricavare più informazioni possibili dall'amica.
«Sono d'accordo.» Octavia annuì mentre il cameriere si avvicinava al tavolo.
«All you can eat?» chiese Raven.
«All you can eat» confermarono le altre due.
Lasciarono prendere le ordinazioni a Raven, che era la più afferrata delle tre in fatto di cibo e a cui, dopo tutto, spettava il diritto di scegliere ciò che avrebbero mangiato, dal momento che le dovevano offrire la cena.
Quando il cameriere si allontanò dal tavolo, Octavia non perse tempo in convenevoli: «Allora? Com'è questa nuova fiamma?» Iniziò a gesticolare. «Moro? Biondo? Alto? Basso? Muscoloso? Insomma più un tipo come Wick o qualcosa di totalmente diverso?»
«Frena. Frena. Frena, Blake. Una domanda alla volta. Ti posso dire con certezza che è qualcosa di totalmente diverso.»
«Lo sapevo» intervenne Clarke scoccando le dita. «Moro, poco atletico, poco ingegnere, molto serio, e ciò spiegherebbe il suo astio verso i tuoi ritardi.» 
«Woah. Frena anche tu, Griffin.» Raven scoppiò a ridere. 
«Allora: parla. Di' qualcosa» la incoraggiò Octavia.
Raven sbuffò: «Cosa volete sapere?»
«Quando l'hai conosciuto?» domandò Clarke.
«Tre settimane fa, quando Sinclair mi ha affidato l'intero controllo dei dispositivi telematici della società per cui lavora.»
«Perché Sinclair dovrebbe relegare il suo miglior ingegnere a svolgere dei semplici controlli?» domandò Octavia stupita.
«Oh, è un'azienda importante. Vuole evitare problemi.» 
Il cameriere si avvicinò a loro portando l'acqua. 
Raven riempì un bicchiere, prima di continuare: «E poi diciamo che non gli ho risposto molto bene quella mattina.»
«Figuriamoci! Reyes non sa tenere la lingua fra i denti» commentò Clarke sarcastica.
«Credo sia un bene, no?» 
Il commento sarcastico di Raven fece ridere le altre due.
«Va' avanti.» la incoraggiò Clarke subito dopo essersi ripresa dalla pessima battuta di Raven.
«Uhm... vediamo. Cosa posso dirvi?» Raven si portò due dita sotto il mento, pensando e cercando qualcosa da dire. Alla fine concluse: «Ditemi cos'altro volete sapere.»
«Siete già andati in terza base?» le chiese Octavia.
Raven aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore per trattenere una risata. «Terza base, davvero? Quanti anni hai, O'? Sappiamo tutti che quella faccina pudica d'angelo è una farsa.»
«Parla, Reyes. Non sviare il discorso. Anche se hai ragione.» Clarke trattenne a stento un gemito quando Octavia le tirò un calcio sugli stinchi da sotto il tavolo, mentre faceva una faccia da "ma tu da che parte stai, scusa?".
«Diciamo che il primo approccio non è stato dei migliori. È una persona così autorevole, che vuole avere tutto sotto controllo, e il fatto che volesse controllare il mio lavoro costantemente mi dava molto fastidio.» 
Raven si fermò un attimo mentre il cameriere serviva i piatti e, dopo aver preso il primo pezzo di sushi, continuò a parlare: «Continuavamo a scambiarci sguardi di sfida, insomma: io so fare il mio lavoro, non ho bisogno della supervisione di nessuno.»
«Secondo me hai sempre bisogno della supervisione di un adulto» intervenne Clarke, agitando in aria il nigiri che teneva fra le bacchette.
Raven socchiuse gli occhi e lanciò uno sguardo di falso divertimento alla bionda, mentre Octavia nascondeva con una mano il sorriso che le era appena spuntanto.
«Stavo dicendo: ad un certo punto ho iniziato a sentire la necessita di cercare continuamente i suoi occhi, ero come attratta. Così abbiamo passato la prima settimana fra insulti sussurrati e sguardi rubati.»
«Che romantica. E poi?» la esortò Clarke, volendo arrivare subito al nocciolo della questione. Se Raven si perdeva nei dettagli, voleva dire solo una cosa: era cotta. 
«E poi è successo: stavo controllando il pannello elettrico all'ottavo piano e boom.» Mimò un'esplosione con le mani, stando attenta a non colpire Clarke con le bacchette. «E va avanti così. Non mi è mai capitato di desiderare qualcuno così tanto.»
«Come se la cava?» le chiese Clarke con tono malizioso.
«Oh, Griffin. Dire che è il miglior sesso della mia vita è un eufemismo.» Raven guardò un punto imprecisato dietro Clarke.
«Reyes è in paradiso» commentò Octavia.
«Reyes è cotta da morire. È proprio andata» aggiunse Clarke facendo ruotare l'indice accanto alla tempia.
«Potete dirlo forte.»
«Quindi non lo neghi?» le chiese la bionda abbastanza stupita.
«No, perché dovrei? Non ho mai sentito questa connessione con nessuno, prima d'ora. Neppure con Wick. Lui era così apprensivo nei miei confronti. A volte stavamo giorni lontani solo perché aveva troppo timore di farmi male o che mi stancassi per la gamba. Invece lei non - »
«Lei?» Ad Octavia andò di traverso l'urumaki che aveva appena messo in bocca.
«Reyes tasta nuovi terreni.» Clarke alzò un sopracciglio maliziosamente. 
«Ehi. Non è la prima volta! Per chi mi avete preso?» protestò offesa.
Clarke scoppiò a ridere, mentre Octavia tentava di riprendersi dandosi dei colpetti sul petto.
«Scusa, non volevo offenderti. Semplicemente pensavo preferissi la compagnia maschile, voglio dire: Finn, Wick, Bellamy e tutti gli altri» tentò di giustificarsi Octavia, mentre le due amiche ridevano della sua goffaggine.
Quando la tensione si allentò, Clarke incitò Raven a continuare.
«Lei non si fa problemi. Non mi fa pesare il fatto di dover passare due minuti a togliermi il tutore. E, Dio, lo rende così sensuale.»
«Ti toglie lei il tutore?» le chiese Clarke stupita.
«Sì, si è offerta sin da subito. Non le ho neppure dovuto mostrare come si facesse.»
«Wow. Reyes, hai trovato l'anima gemella.» Octavia annuì al commento di Clarke. Raven, improvvisamente, si rabbuiò portando lo sguardo sulla barca che era stata servita qualche minuto prima.
«Già» sussurrò.
«Qual è il problema?» le chiese gentilmente Octavia notando l'improvviso cambiamento.
«Ieri sera ho fatto un disastro.»
«Spiegati meglio» la incoraggiò Clarke, posando le bacchette e incrociando le mani sotto il mento.
«Sono tornata nel suo ufficio per farle una sorpresa: il pomeriggio era stata impegnata e non avevamo avuto modo di stare insieme. Quando mi ha visto arrivare era molto felice e sorpresa. Abbiamo cenato insieme lì, poi siamo andate nel suo appartamento. Me ne sono andata senza dire niente. Mentre dormiva.»
Un oh da parte di Octavia fu l'unico commento, prima che un pesante silenzio calasse sul tavolo. 
Clarke pensò bene a cosa dire prima di parlare: «Sono sicura che capirà. In fondo mi pare di capire sia un sentimento nuovo per entrambe. Probabilmente avrebbe fatto lo stesso al tuo posto.»
«Lo spero. Non le ho neppure detto che questa mattina non ci sarei stata per la visita medica. È così orgogliosa e testarda. Non sono sicura di riuscire a rimediare.»
«Sei sicura di stare bene? Sei così poco te in questo momento. Insomma non è da te partire in quarta verso la negatività. Secondo me il tuo super segreto ti ha proprio fritto il cervello.» Clarke tentò di alleggerire la conversazione e, quando notò un leggero sorriso farsi largo sul volto di Raven, continuò: «Questo lato nascosto di te lo sta portando a galla lei: faglielo sapere.»
Raven le sorrise, senza cercare di nascondere una profonda gratitudine, e riprese a mangiare con più piacere, mentre Octavia la guardava stupita: «Dove diavolo metti tutta quella roba?»

Durante il weekend Lexa si era dedicata alla stesura del contratto con la Blake&Co., prestando particolare attenzione alle clausole che Lincoln le aveva suggerito di aggiungere affinché in futuro la Woods Corp. potesse risultare tutelata: la procedura che stavano avviando non era semplice, motivo per cui avevano dovuto tentare di predire qualsiasi evoluzione dei rapporti con la società dei Blake. 
Poiché quel lunedì mattina la sveglia non aveva suonato e Anya non l’aveva chiamata per sapere se fosse successo qualcosa, consapevole del fatto che l'amica non aveva dormito molto nelle ultime settimane, Lexa aveva aperto gli occhi che erano già le undici di mattina. Dopo l'iniziale shock si era precipitata in bagno per fare una doccia veloce e si era vestita di fretta. Prima di uscire di casa aveva chiamato Gustus ed era andata nello studio di fianco alla camera da letto per stampare il contratto e metterlo al sicuro nella borsa. 
Mentre era in macchina aveva chiamato Anya, che l'aveva rassicurata: nessuno l'aveva cercata e nessuno si era accorto della sua assenza.
Arrivata davanti all'edificio e scesa dall'auto, salutando Gustus, si era immediatamente diretta verso l'entrata, rinunciando in tal modo al quotidiano caffè da Starbucks.
«Buongiorno, bell'addormentata.»
«Anya. Non è giornata.» Si chiuse la porta alle spalle ignorando l'amica, che, giustamente, non perse tempo a rincorrerla.
«Lexa. Può capitare a tutti di addormentarsi.»
«Non a me. Non a chi ha una giornata piena e delle scadenze da rispettare.» Si passò una mano fra i capelli, com'era solita fare da nervosa o angosciata.
«Mi spieghi come può rispettare le proprie scadenze una persona che non si regge neppure in piedi per il troppo sonno?»
Anya le si avvicinò poggiandole una mano sul braccio, in segno di silenziosa comprensione. 
«Grazie» le sussurrò Lexa, poggiando la propria mano sulla sua.
«Se non ci fossi io, chi si prenderebbe cura dei tuoi bisogni fisiologici?» le domandò sorridendo Anya.
Il calmo silenzio che era sceso nella stanza fu interrotto dal bussare alla porta.
«Avanti» dissero entrambe.
«Oh, buongiorno ragazze.»
«Linc, cosa ci fai già qui?» gli domandò Anya.
«Sono passato prima per controllare un'ultima volta il contratto.» Alzò le mani e solo in quel momento Lexa notò che reggeva un sacchetto. «E per mangiare. È già quasi l'una e mezza e il mio stomaco non resiste a lungo.»
«Bene, neppure quello di Lexa. Buona colazione, Miss Woods.»
«Anya.» Lexa si passò una mano sulla fronte in imbarazzo.
«Neppure quando facevi festa al liceo ti svegliavi così tardi» commentò Lincoln ridendo e appoggiando il take away sulla scrivania.
«Devi sempre ricordarci di quando eravamo giovani e pieni di energie, Lincoln?» Anya scosse la testa, simulando un aspetto stanco e saggio.
«Vuoi unirti a noi?» la invitò l'uomo ignorando il commento.
«No, Anya ha del lavoro da fare, vero?» disse Lexa, tornando ad assumere il solito atteggiamento autoritario e incrociando le mani dietro la schiena.
«Già. Diciamo che sono indietro con un paio di cose.»
«Un paio?» Lexa inarcò un sopracciglio.
«Più di un paio. Ma questo lo prendo comunque.» Anya rubò un panino dal sacchetto prima di fuggire dalla stanza e dallo sguardo severo di Lexa.
Lexa e Lincoln rilessero e ricontrollarono il contratto mentre mangiavano.
«Direi che manca solo la firma» disse soddisfatto Lincoln. 
Lexa annuì: «Spero lo pensi anche Blake. Non tollererò altre proteste o qualsiasi atto infantile da parte sua.»
Lincoln guardò l'orologio, cambiando discorso e non volendo far innervosire ulteriormente l'amica: «Sono già le due. Dovrebbero essere qui a momenti.»
Lexa si avvicinò al telefono, digitando il numero di Anya della linea interna. Mise il vivavoce e il beep del telefono iniziò a rimbombare in tutta la stanza. 
Quando Anya rispose, Lexa non perse tempo a dare l'ennesimo ordine della giornata: «Quando arrivano i fratelli Blake falli accomodare nella sala riunioni. Avvisaci solo dopo.» 
Lexa chiuse la telefonata e si sedette sulla poltrona, mentre Lincoln le chiedeva spiegazioni.
«Facciamoli attendere: deve instillarsi nella loro testa il dubbio che io abbia cambiato idea e che non sia più disposta a proporre il contratto. E, soprattutto, facciamo capire a Bellamy Blake che sono io ad avere le redini, non lui.»
«Come vuoi.»
Pochi minuti dopo il telefono squillò, annunciando loro che era arrivato il momento che tanto attendevano.
«Sono nella sala riunioni. Ho detto loro che saresti arrivata fra qualche minuto.»
«Bene. Arriviamo.»
Uscirono insieme dall'ufficio e si allontanarono dalla scrivania di Anya, che aveva alzato i pollici, augurando loro buona fortuna.
Prima di entrare nella stanza, dalle cui pareti in vetro era possibile vedere i due fratelli Blake intenti a discutere a bassa voce, Lexa prese un profondo respiro, cercando di non far notare a Lincoln il suo reale stato di agitazione. 
"Calma, Lexa. Ce l'hai fatta. Di nuovo" pensò prima di spingere la porta ed entrare nella stanza.
I due fratelli Blake si alzarono dalla sedia porgendo i saluti ai due e Lexa e Lincoln ricambiarono le strette di mano.
Lexa fece loro segno di accomodarsi prima di prendere posto sulla sedia di fronte a Bellamy, proprio come qualche giorno prima.
«Mi sono occupata personalmente di stendere il contratto. Con la consulenza di Mr. White.» Evitò di proposito di dire "con l'aiuto", non voleva Bellamy pensasse che Alexandra Woods necessitasse dell'ausilio di qualcuno. 
Lincoln porse loro il contratto.
«Questi sono i termini finali. Come potete vedere ci sono alcune clausole in più a fine contratto» aggiunse non appena fu certa che i due stessero guardando il foglio.
Lexa notò che la mascella di Bellamy si era leggermente stretta in una smorfia.
«Potete leggere tutto con calma. Ma in questa stanza.»
Bellamy fece per protestare, ma Lexa lo ignorò alzandosi dalla sedia ed imitata da Lincoln. Come si aspettava, il maggiore dei fratelli Blake ignorò il suo sguardo intimidatorio e proseguì, dando voce alle proteste: «Avevate detto che avremmo potuto leggere il contratto fuori da questa sede, con un consulto esterno.»
«Lo avevamo detto?» domandò retorica Lexa, voltandosi verso Lincoln. «Mi dispiace, signor Blake. Non ricordo di averlo detto. Verba volant, scripta manent. Mi pare di ricordare qualcosa del genere.» Portò le mani ad intrecciarsi dietro la schiena e alzò il mento, prima di continuare: «Avrete tutto il tempo che volete. Anche tutto il pomeriggio.» Si avviò verso la porta preceduta da Lincoln, che gliela aprì.
Senza cambiare posizione, ma girando leggermente la testa, proferì le ultime parole, prima di lasciare Octavia e Bellamy da soli: «Chiamate la mia segretaria appena avrete finito di consultarvi. Vi aspetto per firmare.»
Lexa e Lincoln raggiunsero di nuovo l'ufficio, ma Anya non era alla scrivania.
«Prima o poi la licenzierò» sibilò Lexa avvicinandosi al computer della segretaria cercando qualche indizio su dove potesse essere.
«Non essere dura con lei. È sicuramente qui in giro.»
«Su questo non ci piove. Ma l'ultima cosa che vorrei è proprio trovarla.»
Lincoln la guardò confuso e Lexa si diede della stupida: come poteva lui sapere dei suoi sospetti? Si spiegò meglio: «Diciamo che ho i miei sospetti. Che hanno ragione di non essere sospetti.»
«Oh, capisco.» Lincoln sorrise prendendo la ventiquattrore che aveva abbandonato accanto alla scrivania di Anya qualche ora prima. «Direi che è meglio che vada. Ho ancora del lavoro da fare in ufficio. Ci vediamo presto.»
«Grazie mille, Lincoln.»
L'uomo si avvicinò ad abbracciare l'amica e le diede un rapido bacio sulla guancia. 
«Saluta Anya da parte mia.»
Lexa annuì mentre l'amico spariva dietro le porte dell'ascensore. 
"Bene" pensò "ora Starbucks."

Clarke stava finendo di sistemare le ultime carte del fascicolo che Bellamy le aveva lasciato prima di andare alla Woods Corp. Era stata una giornata abbastanza tranquilla, si ritrovò ad ammettere. Da quando giovedì sera aveva parlato con Bellamy, convincendolo ad accettare la proposta di Alexandra Woods, in realtà, tutto era più tranquillo in ufficio: da Bellamy stesso al clima che si respirava.
Certo, quella giornata non si era prospettata rose e fiori sin dal mattino. 
Dopo aver passato il weekend a rimandare la telefonata con sua madre, proprio quella mattina aveva approfittato di un momento di pausa per uscire sulla terrazza all'ultimo piano e chiamarla. Raven non sembrava mentire, eppure il pensiero che anche prima che la operassero per la seconda volta apparisse sincera e tranquilla l'aveva spinta, alla fine, a premere il tasto verde del cellulare.
Avrebbe mentito se avesse detto che non le si era stretto il cuore nel sentire la voce stupita e calma della madre, che, dopo mesi, aveva pronunciato il suo nome. In tal modo quella che doveva essere una conversazione finalizzata unicamente a scoprire la verità su Raven si era trasformata in una conversazione fatta di "Come stai?", "Ho sentito che..." e "Mi farebbe molto piacere se passassi il giorno del ringraziamento con noi". Noi. Sua madre e il suo nuovo compagno, Marcus Kane, un collega del padre e un amico di famiglia. Non aveva mai biasimato sua madre per aver trovato qualcun'altro da amare e con cui condividere la vita, anzi, ne era estremamente felice, considerando anche il fatto che l'uomo era vicinissimo al padre e l'aveva supportata nel desiderio di intraprendere una carriera artistica. Eppure avrebbe mentito allo stesso modo se avesse detto che a volte non provava moti di gelosia, pensando a come suo padre meritasse quella vita accanto alla moglie e alla figlia tanto quanto Marcus, se non di più.
Alla fine si era ritrovata ad accettare l'invito e la questione Raven era passata completamente in secondo piano. Fece una smorfia al pensiero dell'amica che gioiva. Ora aveva capito perché non si era lasciata intimorire dalla minaccia di chiamare la dottoressa Griffin: lei sapeva già che la madre le avrebbe avanzato quella proposta. 
Il telefonò squillò e Clarke si ritrovò a chiedersi chi potesse essere. Alzò la cornetta.
«Clarke, sono Bellamy. Avrei bisogno di un favore.»
Sentì Octavia dall'altro capo del telefono inveire contro il fratello.
«Certo, dimmi.»
«Dovresti portarmi alla Woods Corp. i documenti che ho lasciato sulla scrivania.»
«Va bene.»
«Grazie mille.»
Attaccò il telefono e si alzò dalla sedia per recuperare i documenti. 
Sarebbe tornata alla Woods Corp. Dopo quasi un mese sarebbe tornata in quel palazzo. Avrebbe potuto rivedere Alexandra Woods. Sentì lo stomaco fare una capriola e il battito cardiaco accelerare. Ignorando queste sensazioni, che non sapeva a cosa fossero dovute - o,meglio, preferiva ignorare a cosa fossero dovute- entrò nell'ascensore.
Non avrebbe potuto dire quante ore aveva passato a pensare a quel verde particolare, senza saperlo mai definire correttamente. Lo aveva cercato in ogni albero di Central Park, in ogni quadro che vedeva alla galleria d'arte di Wallace all'Università, in ogni cosa che la circondava, ma non l'aveva mai trovato: le era bastato uno sguardo per esserne rapita completamente.
Mentre fermava un taxi e durante il tragitto verso la Woods Corp. non fece altro che tentare di ricordare ogni minimo dettaglio di Alexandra Woods e di controllare il tremolio che si era impossessato delle sue gambe.
Con ancora più fatica varcò la soglia dell'edificio ed entrò nell'ascensore premendo il tasto del ventottesimo piano. 
Non si stupì affatto quando, mentre aveva la testa persa in chissà quale pensiero poco pudico e innocente, urtò una persona.
Rossa in volto alzò subito gli occhi per scusarsi. 
Le parole le morirono in gola e, se possibile, divenne ancora più rossa: aveva appena rovesciato il caffè addosso ad Alexandra Woods.





NdA
Ed eccoci alla cena e alla rivelazione del super segreto di Raven, che in realtà avevamo già tutti intuito. Lo scontro fra Lexa e Bellamy continua e il capitolo si conclude così, con Anya scomparsa e Clarke che combina guai per la Woods Corp.
Grazie mille a chi ha deciso di leggere e seguire la storia e a chi si ferma a lasciare qualche riga. Come sempre, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. 
A presto, 

Chiara
   
 
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