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Autore: Lady1990    30/06/2017    3 recensioni
[Questa storia è il seguito di "Nell", di cui si consiglia la lettura per un'adeguata comprensione.]
Sono trascorsi poco più di vent'anni dalla scomparsa di Ysril. Nell, dopo aver atteso invano il suo ritorno, ha lasciato la valle di Mesil e si è messo sulle sue tracce. In compagnia di Reeven, un improbabile ladro che somiglia in modo inquietante al suo amato demone, e altri compagni, dovrà scoprire cosa è successo a Ysril e salvarlo da una minaccia ancor più grande della guerra che incombe sul mondo intero. E se una strega arriva a complicare le cose, la missione non si profila certo una passeggiata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Heilà, salve a tutti! Rieccomi finalmente con il nuovo aggiornamento, e perdonate l'attesa.
Allora, a un certo punto in questo capitolo c'è una scena het non-con accennata (due righe), in cui però è il maschio la vittima... volevo solo avvisare per evitare reclami.
Buona lettura! ^^







 
Noara studiò con cipiglio critico le mura di Dun’har, distanti circa un miglio e mezzo dai margini del bosco in cui lei e Reeven si erano fermati per valutare la situazione. Cioè, lei valutava la situazione mentre Reeven restava in silenzio a fissare l’orizzonte con la faccia di bronzo.
Una mano appoggiata al tronco di un albero e l’altra su un fianco, lasciò vagare lo sguardo verso il cielo ricoperto di nuvoloni scuri e i cancelli della città, affollati da popolani, mercanti e soldati. Subito dopo lanciò un’occhiata a Reeven e scosse debolmente il capo. Non li avrebbero mai lasciati passare. Perché? Beh, innanzitutto a causa del diaspro rosso, che teneva lontano il male: lei era una strega e Reeven un mezzo demone, non sarebbero mai riusciti ad oltrepassare la soglia senza essere scoperti. In più, Noara non poteva rischiare di perdere Reeven, era troppo prezioso. In secondo luogo, per il loro aspetto - le guardie ti ordinavano di calare il cappuccio se tentavi di nascondere il tuo viso -, che di certo non era esattamente nella media: Reeven era una specie di semidio biondo, quando assumeva le sembianze umane almeno, e lei poteva passare tranquillamente per una principessa in incognito. Era già successo una volta, anni addietro, mentre era in visita presso un nobile. Lo scopo di tale visita era incantare suo figlio per costringerlo a uccidere il padre e vendicarsi così di quel lontano giorno in cui suddetto nobile le aveva sputato sul vestito chiamandola “strega meretrice”, per poi cacciarla dalle sue terre. All’epoca era troppo giovane e i suoi poteri troppo instabili per sperare in una vendetta degna di questo nome, ma non appena aveva raggiunto la giusta età, e specialmente la giusta avvenenza, ne aveva approfittato senza esitare. Era stato esilarante. Era stata accolta con tutti gli onori del suo presunto rango e, quando meno se lo aspettavano, aveva colpito. Non avrebbe mai dimenticato le facce orripilate di padre e figlio quando erano rinsaviti, il primo riverso a terra, boccheggiante e pallido, il secondo con una mano sull’elsa del pugnale che attraversava le carni del petto del genitore. Noara se n’era andata con un sorriso trionfante sulle labbra e una marea di nuove possibilità e rivincite a portata di incantesimo.
Scrollò le spalle e tornò al presente. Analizzò con attenzione le opzioni che aveva, quali mezzi usare per ottenere il risultato che desiderava e quale era la maniera più consona per mettere in pratica il piano. Piegò il collo e levò gli occhi al cielo, scontrandosi però con le chiome degli alberi sopra la sua testa. Sbuffò ed elargì al fogliame una delle sue più suggestive occhiate omicide.
Gli ibridi erano una vera seccatura. Se Reeven fosse stato un demone di sangue puro, a quell’ora sarebbe già stato in suo potere, un burattino da manovrare come più voleva. Ma la parte umana era più forte al momento, visto che era stata dominante per anni e anni, prima che quella demoniaca si decidesse a emergere in tutta la sua gloria. E il fatto che fosse tanto forte impediva al controllo mentale di attecchire, o all’incantesimo di durare più di qualche minuto. Serviva qualcosa di più… più. 
Potrei riprovare con quel rito…
Si morse l’interno di una guancia, riluttante ad approvare la sua stessa idea. E non poteva biasimarsi: la prima e ultima volta che l’aveva messo in pratica, era quasi morta perché aveva peccato di ingenuità. Aveva perso la presa sui sigilli di contenimento imposti sul demone e lui l’aveva attaccata proprio mentre lei era più vulnerabile, intenta a nutrirsi della sua energia vitale. 
Si toccò la cicatrice che le sfigurava il viso e un’ondata di rabbia la pervase, caricandola della giusta dose di coraggio per decidersi. Poteva funzionare… forse. Ovvio, c’erano variabili da tenere presenti, come l’imprevedibilità e la ferma volontà della parte umana di Reeven, ma quella avrebbe potuto addormentarla con un infuso potente; però, se l’avesse addormentato, non avrebbe potuto parlargli per arrivare alla coscienza demoniaca, e passare attraverso il Reeven umano a quanto pare era il solo modo per risvegliare il demone, che era l’unico che gli serviva per il rito. Quindi doveva pensare a un incantesimo che avrebbe fatto piombare Reeven in un sonno profondo e, al medesimo tempo, lo avrebbe tenuto cosciente quanto basta per recitargli all’orecchio le paroline magiche - “Nell, pericolo, nemici” - e portare a galla il lato selvaggio. Più facile a dirsi che a farsi. E occorreva tempo. Tempo che lei non aveva. Doveva arrivare al portale di Lankara prima che l’ecatombe profetizzata millenni fa dalla Sylmaran divenisse realtà. Non avrebbe trovato pace fino a quando la sua mano non avesse stritolato il nucleo del maledetto demone che l’aveva ferita, sia nell’orgoglio che nella vanità. 
Lui l’aveva ingannata, l’aveva convinta che non si sarebbe ribellato durante il rito, anzi, disse che sarebbe stato un onore aiutare una bella strega come lei a diventare più forte. L’aveva sedotta. E così Noara aveva utilizzato i sigilli più deboli, tanto per fare scena e illudersi di avere il controllo, piacevolmente sorpresa e compiaciuta di essere stata tanto fortunata da aver invocato al primo colpo un demone tanto collaborativo, gentile ed educato. Che stupida. Avrebbe dovuto prevederlo. Le sue sorelle l’avevano avvertita di non fidarsi, perché i demoni sono l’incarnazione della menzogna. Ma lui era così bello, nonostante l’aspetto disumano. Era affascinante, parlava fluentemente la lingua umana, gesticolava in modo così adorabile e scherzava riuscendo a farla ridere. Noara aveva abbassato la guardia e ne aveva pagato il prezzo. Ma presto, se il piano procedeva senza intoppi, avrebbe lavato via l’onta e smembrato in piccoli pezzi quel mostro infame, che le aveva lasciato un chiaro ricordo sulla faccia. Se fosse stata una ferita normale, sarebbe guarita con un unguento dei tanti che tutte le streghe sapevano preparare in pochi minuti; invece, purtroppo, era stata inferta da un demone, per cui non si sarebbe mai rimarginata, continuando a sfregiarla per rammentarle il suo errore fino alla morte.
Un gemito sofferente penetrò nella sua mente tramite le orecchie, dissolvendo la nebbia rossa che le offuscava la vista ogniqualvolta ripensava al passato e riassaporava l’umiliazione. Si girò di scatto, in tempo per vedere Reeven artigliarsi la casacca a livello del cuore, riversare il capo all’indietro e ruggire a pieni polmoni come se lo stessero scuoiando. 
Noara si irrigidì e indietreggiò, confusa e spaventata. Jemma planò giù da un ramo e si appollaiò sulla sua spalla per infonderle un po’ di conforto, avendo percepito le emozioni della sua padrona.
Il ruggito si esaurì e un silenzio assordante calò su di loro. Dopodiché, la strega fissò sbigottita il biondo, la cui trasformazione stava lentamente regredendo, il demone che tornava a dormire e l’umano che si svegliava da un sogno caotico e nebuloso.
Ah. Non sapevo che ci fosse un limite di tempo. Uhm. In effetti, sono ormai sette giorni che era trasformato, forse è esausto. Non abbiamo fatto soste, né dormito né mangiato...
Dovette ricredersi non appena Reeven riaprì gli occhi, più rossi del sangue. Il demone era ancora lì, vicino alla superficie, vigile, ma qualcosa lo aveva sconvolto così tanto da spingerlo a rintanarsi di nuovo nel suo angolino.
Reeven portò le mani complete di artigli innanzi a sé, guardandole come se fossero vipere in procinto di azzannarlo. Poi con la lingua accarezzò i denti aguzzi e un’espressione sconcertata gli contrasse i lineamenti. Scandagliò l’ambiente che lo circondava, notando il silenzio e l’assenza di pericoli incombenti. Infine puntò l’attenzione su Noara, pronto a chiedere spiegazioni e pretendere di sapere cosa era successo, per quale motivo avesse un vuoto di memoria e cosa diamine stava accadendo alle sue mani e ai suoi denti. Ma le parole non videro mai la luce, perché in quel preciso istante un’altra fitta lancinante gli trafisse il cuore e lo fece piegare in due dal dolore. Le lacrime si incastrarono tra le ciglia, le vene del collo si gonfiarono per lo sforzo di resistere e il viso assunse un colorito purpureo per un attimo, cedendo subito dopo il posto a un pallore spettrale. 
“Nell…” rantolò.
Noara si avvicinò cauta, le braccia protese verso di lui come a comunicargli di non avere intenzioni malvagie, e gli posò delicatamente una mano sulla spalla.
“Che succede?”
Reeven guaì e si accasciò al suolo, faticando a respirare.
“Non lo so… de-devo trovarlo… devo andare da lui…” balbettò a corto di fiato.
La strega prese il labbro inferiore tra i denti e rifletté. Aiutare Reeven a ricongiungersi a Nell non era mai stato nei piani, non poteva permettersi di perdere un’arma come l’ibrido che aveva di fronte solo per esaudire un suo capriccio. Aveva finto di accompagnarlo a Dun’har solo perché la città sorgeva a ridosso dei monti Lerisa, oltre i quali c’era il portale per Lankara, che poteva essere aperto solo da un demone - o da una strega molto potente, cosa che lei non era. Non le importava nulla di un ragazzino petulante con manie suicide, anche se aveva menzionato Ysril e un assurdo legame nuziale con lui. Sicuramente Nell era fuori di testa. Sposato con Ysril? Lui, un umano? Ma per favore. O si era inventato tutto, o Ysril lo aveva manipolato e ingannato peggio di quanto non avesse fatto con lei. E forse, stando ai suoi discorsi, la seconda opzione era più probabile. 
‘Ysril mi adora, ci amiamo tanto e ci facciamo le coroncine di fiori a vicenda’, sì, certo, e io sono un troll.
Ysril, quel demone fedifrago le aveva lasciato quella cicatrice, e l’avrebbe pagata cara. Quando aveva udito Nell pronunciare quel nome, per poco non si era tradita.
“Nell… Nell!” gracchiò Reeven.
Noara sbuffò infastidita, trattenendosi a stento dall’emettere un verso esasperato. Doveva agire adesso, mettergli il guinzaglio prima che si ribellasse.
“D’accordo, rilassati. Respira. Così, da bravo.” mormorò dolcemente, carezzandogli la schiena con movimenti ipnotici e rassicuranti.
Mentre Reeven era distratto, Noara mosse le labbra per articolare silenziosamente le parole dell’incantesimo. Le pupille inghiottirono l’iride e la magia divampò nelle sue vene, incanalandosi nelle sue dita. Quando raggiunse i polpastrelli, la strega condusse una mano dietro al collo del biondo e l’altra sulla sua fronte. Un attimo più tardi, Reeven svenne e cadde sull’erba con un tonfo sordo.
A quel punto, Noara non indugiò. Reeven era in forma umana, non proprio l’ideale, non c’erano garanzie che il rito avesse effetto, ma tanto valeva tentare. 
Mandò Jemma ad appollaiarsi su una roccia a qualche passo di distanza, scrocchiò il collo e roteò le spalle per rilassare i muscoli tesi. Poi entrò nello stato di trance necessaria per cominciare il rito. Gli occhi neri disegnarono la figura di Reeven e, con un leggero scatto della testa, sollevò il suo corpo inerte a mezz’aria, lasciandolo lì a fluttuare mentre ripescava dalla memoria le parole giuste. Erano trascorsi quasi cinquant’anni da quel fatidico giorno, ma non le aveva mai dimenticate. Presto sgorgarono dalla sua bocca sottoforma di litania e si allacciarono al corpo di Reeven come spesse catene, che avvolsero i polsi, le caviglie, il collo e il torace. 
Una volta completati i sigilli, Noara si spogliò restando nuda, eccetto per la collana di rubini che le adornava il seno. Si accostò a Reeven, stando ben attenta ai sigilli, e gli si mise a cavalcioni. Con la magia li sollevò ancora un po’, così che nemmeno i propri piedi toccassero terra: in quel momento era un conduttore di energia, un ponte, e se fosse rimasta a contatto con qualsiasi essere vivente, tale energia sarebbe passata da lei per poi disperdersi all’esterno. Invece, lo scopo del rito era assorbire per intero l’energia del demone per rinforzare il proprio corpo e la propria magia.
Slacciò i pantaloni del biondo, quel tanto da liberare il suo membro, e con gesti esperti lo portò in erezione. Quando fu duro abbastanza, si mise in posizione e lo accolse dentro di sé con un movimento fluido del bacino. Non batté ciglio alla sensazione di pienezza, e ignorò il bruciore che lo sfregamento tra pelli asciutte provocava ad ogni minimo assestamento. Altre arcane parole rotolarono fuori dalle sue labbra e intorno a lei l’aria iniziò a vibrare, carica di magia. Cavalcò l’onda senza fretta, risucchiando ogni singola goccia di energia piano piano per permetterle di adattarsi alla sua nuova dimora e divenire parte di lei. 
Prima di raggiungere il culmine, materializzò un pugnale nella mano destra. Sull’elsa erano incisi simboli magici, che si illuminarono al contatto con il suo palmo. La lama baluginò, impaziente di bagnarsi di sangue. Noara attese di percepire il seme di Reeven imbrattarle le cosce. Allora levò il braccio in alto e, in un secondo, calò il pugnale nel suo stomaco, là dove, se fosse stato un sangue puro, ci sarebbe stato il suo nucleo. Non colpì per distruggere, ma solo per scalfire, in maniera tale che l’energia sgorgasse in piccoli fiotti senza esaurirsi. Il nucleo si sarebbe ricostruito da solo non appena i sigilli di contenimento sarebbero stati rimossi.
La strega venne investita da una corrente violenta e ustionante, che la lasciò frastornata per qualche minuto. Una voce nella sua testa le gridò di non abbassare la guardia come in passato, di restare lucida, ma come poteva quando traboccava di cotanta energia da sentirsi ubriaca? Sì, era stato proprio in quell’esatto istante che Ysril l’aveva attaccata, ma con Reeven non correva rischi. I sigilli che aveva usato erano i più potenti, in grado di stendere un sangue puro, perciò figuriamoci un debole ibrido.
Accostò la lama insanguinata alla bocca e gustò il sapore corposo del sangue del biondo. Un sapore che, fortunatamente e sfortunatamente, le era fin troppo familiare, essendosi impresso a fuoco sulla sua lingua come un marchio nefando.
All’improvviso, il tempo parve fermarsi. Noara sgranò gli occhi scioccata, passandosi la lingua sulle labbra sporche di sangue, la fronte corrugata e il gelo nelle ossa. Lentamente abbassò lo sguardo incredulo su Reeven, che, imprigionato sotto di lei, la fissava allibito e furioso, le iridi rosse che trasudavano collera e spavento. 
La strega rimase immobile come una statua, non osò muovere un singolo muscolo. Era fuori di sé non tanto perché Reeven si era svegliato, quello se lo aspettava, quanto per un dettaglio che non aveva minimamente previsto o lontanamente immaginato.
“Tu sei…” 
Reeven non le fece concludere la frase. Si ritrasformò in un baleno, si contorse, ringhiò e ruggì, ribellandosi ai sigilli, che si dissolsero magicamente come se qualcuno avesse pronunciato un contro-incantesimo. 
Dei, no, ancora…
Noara si alzò e si allontanò il più velocemente possibile, allarmata. 
Jemma volò rapida verso Reeven e gli artigliò la faccia, distraendolo dalla strega il tempo sufficiente per darle modo di pronunciare un altro incantesimo.
Reeven si bloccò, gli arti costretti da una forza invisibile, e ringhiò all’indirizzo di Noara, frustrato. Tuttavia, le energie lo abbandonarono in un batter d’occhio e, come poco prima, si accasciò al suolo privo di sensi.
Noara si prese qualche istante per calmarsi e assimilare la scoperta e lo shock. 
Ha sciolto i sigilli. Ha sciolto i sigilli! Erano pure i più potenti! Com’è possibile? Un demone non ne è in grado, men che mai dovrebbe esserlo un ibrido. Oh. La parte umana. Va bene, colpa mia, sono stata avventata.
Regolarizzò il respiro, si rivestì con mani tremanti e aggiustò l’acconciatura, che si era allentata durante il rito. Jemma si appollaiò sulla sua spalla e la strega la ringraziò con un bacio e una carezza. Dopodiché rivolse l’attenzione al corpo esanime dell’ibrido, senza curarsi di mascherare la sorpresa per averne scoperto l’identità. Assurdo. Eppure era reale.
Non appena fu tornata in sé, un nuovo piano si delineò nella sua mente. Forse era stato il Fato a condurla da Reeven, il loro incontro non poteva essere stato casuale. Quante possibilità c’erano che si imbattesse proprio in lui, tra tutti? Un ghigno trionfante si dipinse sulle sue labbra e, in preda all’eccitazione, saltellò un paio di volte, reprimendo uno squittio.
“È perfetto! Jemma, siamo vicine, lui è la chiave che ci permetterà di ottenere la nostra vendetta!”
Il gufo fece lampeggiare gli occhi gialli in risposta, come se concordasse con la sua padrona.
“Bene, andiamo. Ho fatto il pieno di energia, non dovrebbe essere difficile adesso sopravvivere all’attraversamento del portale. Reeven lo aprirà per me con il suo sangue e finalmente avrò ciò che mi spetta. Ho atteso tanto questo momento, quasi non mi sembra vero…”
Il famiglio piegò la testa e la strusciò affettuoso contro la guancia di Noara, che ridacchiò. Poi la strega fletté le dita e il corpo di Reeven si librò di nuovo a mezz’aria.
“Forza, Xion sta per destarsi. Dobbiamo sbrigarci.”
Detto questo, cominciò a correre in direzione dei monti Lerisa. Jemma spiegò le ali e sparì oltre le chiome degli alberi, mentre Reeven galleggiava dietro Noara seguendola come un’appendice.

Selis emise un rantolo. Un rivolo scarlatto sgorgò dalla sua bocca e colò sul mento, imbrattandogli la barba. Abbassò lo sguardo sconvolto sul proprio petto, nel punto in cui una spada dalla foggia terribilmente familiare si era conficcata nelle sue carni, trapassandolo da parte a parte.
Nell non riusciva a parlare. Avrebbe voluto gridare, ma la voce pareva svanita. Avrebbe voluto raggiungere il figlio, ma i muscoli erano paralizzati dall’orrore e non rispondevano ai comandi. Poté soltanto guardare quell’agghiacciante spettacolo inerme, impotente, con l’anima straziata.
“Ops. Accidenti, questa non ci voleva. E ora come lo dico al re?” borbottò Dorevan, osservando dall’alto il prigioniero con cipiglio annoiato, “Perché ti sei messo in mezzo, Djibres? O forse dovrei chiamarti Lord Selis? Pazienza. Andrai a fare compagnia alla tua famigliola.” 
Selis sbarrò gli occhi e boccheggiò spaesato, quasi avesse appena ricevuto uno schiaffo.
“Ah, giusto, non lo sai. Sono tutti morti il giorno in cui ti abbiamo preso. Credevi davvero che li avremmo risparmiati? Quanto sei ingenuo.” ghignò crudele il capitano delle guardie.
Una lacrima eluse la gabbia delle ciglia e rigò lo zigomo di Selis, mentre percepiva le forze venire meno. La spossatezza lo pervase, il freddo strisciò nelle sue ossa e la vista si offuscò. 
Quando Dorevan estrasse la lama, il biondo portò una mano sullo squarcio sanguinante. Non sentiva più niente, nessun dolore, nessuna paura. Aveva solo voglia di dormire. 
Ricadde a terra con un leggero tonfo e un sospiro, morto.
Fu allora che Nell esplose in un grido straziante, che rimbalzò sulle mura delle prigioni in un’eco senza fine. Percepì una fitta al cuore e si accartocciò su se stesso, privo di fiato e singhiozzante.
“Su, su, quante scene. Presto lo raggiungerai, non temere.” lo consolò Dorevan, torreggiando sulla sua figura minuta e fragile, “Chi sei, comunque? Come conoscevi Lord Selis?”
Nell grugnì, annaspò e contrasse i muscoli. Il sangue gli ribollì nelle vene, un ronzio gli assalì le orecchie e una furia incontrollata lo accecò come non gli era mai capitato. In un attimo balzò in piedi e si tuffò in avanti per stringere la gola dell’uomo tra le mani, con tutta l’intenzione di strangolarlo e strappargli via il soffio vitale dai polmoni.
Dorevan, colto alla sprovvista, inciampò all’indietro, ma lo stupore durò solo pochi secondi. Riacquisì il controllo e tentò di scrollarsi di dosso quel ragazzino invasato con la forza, prima facendo leva sulle braccia, poi sbattendolo di schiena contro il muro. Ma Nell non mollò né allentò la presa, un’energia dirompente e rinvigorente che incendiava le sue membra come lava. 
Dorevan boccheggiò, l’inquietudine e la confusione serpeggiavano in lui come tarli molesti, distraendolo dalla lotta. Per quanto gli fosse possibile, verificò di essere solo con il ragazzino. Quindi si rilassò, lasciò fluire la magia dentro di sé e la scagliò contro Nell. Il suo corpo venne sbalzato via e urtò il pavimento delle prigioni con una violenza inaspettata. Un paio di schiocchi risuonarono nell’aria, segno che qualche osso si era sicuramente fratturato.
L’uomo lo fissò curioso, gli occhi due biglie nere in mezzo al bianco della sclera.
“Cosa sei?” domandò guardingo, “Non sei umano, questo è evidente, altrimenti non avrei avuto difficoltà ad atterrarti con la sola forza fisica. Anche se credo di doverti ringraziare: era da molto tempo che non usavo la magia, è stato davvero… liberatorio.” commentò massaggiandosi il collo con una smorfia.
Nell rantolò, tossì e rotolò su un fianco, cercando di alzarsi. Quando fu seduto, gemette di dolore. Senza dubbio aveva qualcosa costola incrinata, se non proprio rotta. Scrollò il capo con veemenza e digrignò i denti per scacciare le fitte. L’adrenalina stava svanendo, doveva sfruttarla finché poteva. 
Si tirò su a fatica, barcollando sulle gambe, e fronteggiò ancora il nemico, augurandosi che non notasse la paura che gli scuoteva i muscoli. Nell non era stupido, aveva riconosciuto la magia. Se quel soldato era uno stregone, non aveva molte probabilità di vittoria, ma doveva tentare. Doveva combattere per Selis. Doveva vendicarlo e punire l’individuo che aveva osato torturarlo e ucciderlo.
Mise a fuoco la sua sagoma possente e ispezionò l’armatura alla ricerca di un punto debole. Niente, solo il collo era scoperto. E non aveva un’arma.
Il coltello.
Occhieggiò in direzione della sua borsa, ma si avvide che era praticamente accanto ai piedi della guardia. 
Dorevan, intuendo i pensieri del giovane, si portò davanti alla borsa, sfidandolo con un ghigno a mettere in pratica il suo piano.
“Sai di non avere speranze, arrenditi.”
Nell deglutì, ma rifiutò di gettare la spugna. Camminò in cerchio attorno all’altro, che si mosse con lui senza perderlo mai di vista. Non c’era modo di evitarlo, doveva attaccarlo frontalmente. Magari, se si fosse sforzato di essere veloce, avrebbe potuto ingannarlo con qualche finta. L’armatura pareva pesante, di sicuro avrebbe rallentato i suoi movimenti. Ma c’era anche la magia con cui fare i conti. Se l’avesse colpito ancora come aveva fatto dianzi, Nell era consapevole che non si sarebbe più rialzato. Non aveva scampo.
“Ecco, lo hai capito. Ora in ginocchio, presenta la gola e fatti decapitare.” lo esortò paziente Dorevan.
“Serve aiuto?”
Nell si pietrificò, sgomento. Scandagliò il corridoio in cerca della fonte di quella voce, ma era tutto deserto. Eppure sembrava provenire da un punto vicino a lui. Osservò Dorevan, scrutandolo perplesso.
“Che c’è?” chiese il capitano, confuso quanto lui.
“Hai sentito?”
“Eh?”
Nell tese le orecchie, ma si scontrò soltanto con il silenzio.
Dorevan sbuffò una risata e roteò la spada: “Dai, è inutile che tenti di distrarmi. La tua morte è inevitabile e lo sai. Resistere è inutile, rimandare è una tortura. Coraggio, in ginocchio.”
“Vuoi aiuto, umano?”
“Ma che…?”
Nell piroettò su stesso, esaminando ogni angolo delle prigioni che riusciva a scorgere dalla sua posizione.
“Ragazzo, mi sto scocciando.” sospirò spazientito Dorevan, avanzando di un passo per obbligarlo con le cattive a fare come gli era stato ordinato.
“Sul serio non l’hai sentito?” indagò Nell, incurante dei movimenti e delle intenzioni dell’uomo.
“Sentito cosa?”
“La voce.”
Il soldato inarcò un sopracciglio e lo squadrò dall’alto, a metà tra il preoccupato e l’indulgente: “Finirà subito, se collabori.”
“Umano, ti serve aiuto? Noi ti aiutiamo. E tu aiuti noi.”
“Chi parla? Dove siete?”
“Cosa?” sbottò Dorevan, guardandolo come se fosse un animale raro e affascinante.
Nell lo ignorò, concentrato sulle voci che udiva. Erano più di una e bisbigliavano all’unisono.
“Nell.”
“Come conoscete il mio nome?”
“Selis lo ha detto prima. E il tuo nome è famoso tra di noi…”
“Sapete chi sono? Come?”
“Il tuo odore… Yssssril…”
“Mi porterete da lui? Sapete dove si trova?”
“Sì. E tu aiuti noi.”
La sua testa scattò da una parte all’altra per individuare la sorgente delle voci, finché lo sguardo non gli cadde sul buco nel pavimento alla fine del corridoio, là dove Selis aveva detto che alcuni demoni erano stati imprigionati.
“Che stai dicendo? Che lingua è?!” sbraitò Dorevan, iniziando ad agitarsi.
Raggiunse Nell in poche falcate, lo afferrò per il collo e lo sbatté al muro, sollevandolo da terra di qualche centimetro.
“Chi sei, mh? Chi ti manda? Che lingua stavi parlando?” sibilò a un palmo dalla sua faccia, gli occhi neri che sondavano i suoi in cerca di risposte.
Il ragazzo boccheggiò a corto di ossigeno e scalciò. Dorevan rinfoderò la spada, caricò un pugno e lo sferrò sulla guancia del biondo, stordendolo.
“Ti ho fatto delle domande ed esigo spiegazioni. Ora!”
Nell tossì, ma non fiatò. Un rivoletto di sangue sgorgò dal suo naso e venne a contatto con le sue labbra. Lo accolse sulla lingua e lo mischiò alla saliva, senza ingoiarlo. Un’idea si fece strada nella sua mente annebbiata e pregò gli dei che funzionasse. Scoccò un’occhiata al buco nel pavimento e, come aveva sperato, Dorevan lo imitò, distraendosi. Allora Nell sussurrò rapidamente le parole che aveva memorizzato. L’uomo si voltò di scatto, il viso una maschera di collera. Senza dargli il tempo di reagire, Nell sputò il sangue direttamente sulla sua bocca. 
Immediatamente, Dorevan lo lasciò e, premendosi le mani sulla faccia, esplose in un urlo agonizzante.
“Sì, vai così!”
Il biondino colse l’occasione al volo e incespicò verso il bordo del buco, azzardandosi ad affacciarsi. Non vide altro che buio pesto, ma sentì distintamente le voci, che in coro lo spronavano a scendere. 
Deglutì e si girò per appurare che il soldato fosse fuori gioco. Lo stomaco fece una capriola alla vista delle terribili ustioni che deturpavano la parte inferiore del suo viso, come se gli fosse stato spruzzato sopra dell’acido. Ululava di dolore e graffiava con le unghie la gola, scavando solchi rossastri nella pelle, troppo sopraffatto per badare a lui.
Nell trasse un profondo respiro. Era una pessima idea. Ma quale altra scelta aveva? Scacciò la paura relegandola in un remoto anfratto della coscienza e saltò. 
Atterrò goffamente sulla pietra, gemendo all’ulteriore fitta al costato che gli strappò l’aria. Si concesse qualche momento per riprendersi, poi si accucciò e gattonò nell’oscurità, seguendo le voci.
“Qui! Siamo qui! A destra, destra!”
“Vorrai dire sinistra!”
“Taci, sono il più vicino.”
“Vieni qui, umano! Qui!”

“Le chiavi… dove sono le chiavi? Non vedo niente.”
“Niente chiavi. Fai quello che hai fatto ora allo stregone. Usa il sangue per sciogliere le sbarre.”
“Non so dove sono queste maledette sbarre! Non vedo un accidente!”
“Segui la mia voce. Ecco, così. Ci sei. Tocca le sbarre.”
Nell ubbidì e un secondo più tardi le sue dita si strinsero attorno al ferro.
“Non siete capaci di romperle da soli?”
“Siamo deboli e affamati. Non abbiamo le forze.”
Il ragazzo sbuffo. Pensò febbrilmente, quindi condusse la mano libera al naso per raccogliere altro sangue. Tuttavia, presto si accorse che era secco, non poteva più utilizzarlo.
“Non… il sangue è secco, non posso…”
“Allunga un braccio davanti a te.”
Nell eseguì e, tempo di un respiro, qualcosa tagliò diagonalmente la sua pelle, facendo gocciolare il sangue. Non esitò. Raccolse alcune gocce nel palmo, pronunciò le parole e lo appoggiò sulla sbarra. In pochi istanti il ferro si fuse, lasciando un buco.
“Ancora! Non è abbastanza, non ci passo.”
Il biondo roteò gli occhi, ma non replicò, ripetendo l’operazione su un’altra sbarra.
“Grazzzie…”
Qualcosa di freddo e liscio strisciò al suo fianco, provocandogli un brivido lungo la spina dorsale.
“Ora noi! Vieni qui, Nell!”
Si sentì afferrare sotto le ascelle e trascinare pochi metri più in là, davanti a una cella diversa. Fuse le sbarre, il demone sgusciò fuori e di nuovo venne trascinato sul pavimento. Tenne il conto. Selis aveva detto che erano sei. Infatti, una volta aperta la sesta cella, smise di essere sballottato in giro, con buona pace delle sue membra indolenzite, spossato dalla perdita di sangue. 
La tregua, sfortunatamente, durò poco, poiché a un certo punto si sentì sollevare tipo sposina da quattro arti ossuti.
“Usciamo.”
“Lo stregone?”
“Non lo sento.”
“Trappola.”
“Morto?”
“Runkra, vai a vedere.”
“Perché io?”
“Perché sì.”
“Vai tu.”
“Qualcuno però vada!”

“Che cazzo succede?!” tuonò Dorevan dalla cima del buco.
Nell lo scrutò attentamente e vide che era quasi guarito. Le ustioni stavano sparendo, sostituite da un nuovo strato di pelle sano, effetto evidente di un incantesimo curativo.
Dannazione.
“Che si fa?”
“Lui è uno, non siamo sei. I numeri sono dalla nostra parte.”
“È uno stregone!”
“Anche noi ne abbiamo uno. Umano, sei sveglio?”

Nell mugugnò scocciato.
“Ottimo. Vai e stendilo!”
“Non ce la faccio, ho perso troppo sangue…”
“Ho un’idea. Gerk, raccogli il suo sangue. Nell, ce la fai a pronunciare l’incantesimo?”
“Mmm…”
“Fatto. Umano, è il tuo turno.”
Nell radunò le forze che gli erano rimaste e recitò le parole. Subito dopo, il demone di nome Gerk scagliò il sangue in direzione di Dorevan, colpendolo sul collo e sull’armatura. L’uomo riesumò l’urlo disperato di poco prima e inciampò, franando sul pavimento mentre si divincolava come un’anguilla.
“Muori, bastardo! Ben ti sta!”
“Via, via! Veloci!”

Si mossero tutti insieme, balzando fuori dal buco con estrema agilità. Non persero tempo con Dorevan, sapevano che contro uno stregone del suo calibro non avrebbero avuto possibilità. L’esperienza glielo aveva insegnato con la più severa delle lezioni. 
“La mia borsa!” li avvisò Nell, prima che fosse troppo tardi.
“Presa!”
Sfrecciarono lungo il corridoio, silenziosi e lesti, i sensi vigili e pronti a captare qualsiasi rumore. Nell vide il soffitto delle prigioni scorrere rapido sopra di sé, ma era troppo stanco per mettere a fuoco i dettagli. Le braccia che lo sorreggevano, per quanto scheletriche, erano forti e il ragazzo era sicuro che non lo avrebbero mai fatto cadere. Certo, i demoni avrebbero potuto abbandonarlo lì e fuggire. A-ha. Giusto. Perché stavano tenendo fede all’accordo? Non che Nell non ne fosse felice, anzi, ma la lealtà non era esattamente un tratto tipico della loro specie. Ysril era un’eccezione.
“Umano, sei vivo?” gli domandò il demone che lo stava trasportando.
“Mh.” grugnì, ricacciando indietro la nausea.
“È vivo.”
“Lo usiamo come scudo.”

“Ysril…” esalò in un soffio, come se pronunciare il suo nome servisse a evocarlo magicamente.
“Dici che è davvero lui?”
“Chi?”
“Lo sai…”
“No, non lo so.”
“Dai!”

“Cosa?”
“Uno più stupido dell’altro.”
“Parla per te. Oh, di là, di là! L’uscita è di là!”
“No, usiamo le fogne.”
“Ma ho fame!”
“Tutti abbiamo fame, ma se ci catturano di nuovo sarà stato inutile!”
“Ho fame…”
“Finiscila. Pensi solo con lo stomaco.”
“Vorrei vedere te!”
“Scendiamo, svelti!”

Ad un tratto il buio li avvolse e un fetore rivoltante attaccò le narici di Nell. Nonostante il disgusto, non commentò la scelta, perché se fosse stato lucido avrebbe optato per quella via di fuga pure lui.
“Comunque io dico che è lui. Parla la nostra lingua ed è umano. E si chiama Nell.”
“Non è il solo umano che parla la nostra lingua e si chiama Nell.”
“Sì, ma corrisponde alla descrizione.”

Nell si stupì nel notare quanto parlassero. Non stavano zitti più di cinque minuti di fila. Beh, magari poteva trarne vantaggio e scucire qualche informazione in più su Ysril, una volta che avesse recuperato le energie. Gli sembravano tutti dei gran chiacchieroni.
“Bah, per me gli umani sono tutti uguali, buoni soltanto da rosicchiare.”
“Lo rosicchiamo?”
“No! È lui, razza di vermi! È Nell.”
“Come lo sai?”
“Ha pronunciato il nome di Ysril.”
“Ah. Niente rosicchiamento, quindi?”
“Quanta pazienza…”
“Verremo ricompensati!”
“Non credo.”
“Perché?”
“Pensa a Ysril.”
“Oh.”

“Cosa…? Sta bene? Ysril sta bene?” li interrogò Nell, allarmato.
“Ceeerto! Benissimo! Una favola.”
“È più in salute che mai.”
“Già.”
“Vedo la botola!”
“Forza, forza!”
“Spingi su!”
“Poi però mangiamo.”

Una parte del biondo avrebbe desiderato rimanere immerso nel buio per non essere costretto a scoprire che aspetto avevano quei demoni; l’altra, quella più curiosa, smaniava impaziente, per nulla intimorita dalla possibilità di trovarsi faccia a faccia con dei mostri grotteschi e spaventosi.
La botola venne aperta e la pioggia gocciolò all’interno delle fogne. I demoni uscirono alla spicciolata, Nell in mezzo, le palpebre serrate per non farsi accecare dalla luce, anche se il sole era coperto dalle nubi. 
Si trovavano all’esterno del palazzo, i monti Lerisa a un paio di miglia di distanza e un manipolo di soldati tra loro e la meta. Questi impiegarono una manciata di secondi ad accorgersi dei fuggitivi e immediatamente diedero l’allarme. Sguainarono le spade, rinsaldarono la presa sugli scudi e si misero in posizione per respingere l’avanzata.
“Si mangia!”
“Con calma, ce ne sono due a testa. Nessuno faccia l’ingordo.”

Nell venne depositato a terra e lasciato lì a inzupparsi, mentre i demoni si lanciarono alla carica contro i poveri sventurati che sarebbero presto diventati il loro pasto. La lotta durò pochi minuti e l’esito fu quello previsto, a giudicare dai versi soddisfatti dei demoni. 
Nell, ormai fradicio fino al midollo, mantenne categoricamente gli occhi chiusi, rifiutandosi di assistere allo scempio. Ma fu spinto ad aprirli quando percepì due artigli intrufolarsi nella sua casacca per tirarlo su. Desiderò non averlo mai fatto.

“Io lo ammazzo.” sibilò fra i denti Qolton, marciando attraverso il bosco come un toro inferocito, i piedi che pestavano con rabbia rami e foglie senza curarsi del rumore.
“Magari non è stata colpa sua. Magari-”
“Cosa, Utros?! Magari è Reeven la vittima? Certo, ci scommetto. Infatti, lui e i guai non sono mai andati a braccetto.” sputò sarcastico.
“E le bambine?” domandò Phyroe, l’espressione funerea e non meno scossa.
“Secondo me non erano bambine.” rispose Utros, “Pensateci. In primo luogo, è strano che dei briganti le abbiano catturate e tenute come puttane: troppo giovani e neanche tanto belle. Ma anche se avessero rispecchiato i gusti di alcuni di loro, gli altri sarebbero rimasti a bocca asciutta, e in un gruppo tanto grande deve esserci equilibrio per conservare l’ordine. Avrebbero dovuto esserci più donne e più mature. Non è difficile catturare le donne - senza offesa, Phy -, soprattutto se sei in un branco di trenta e più uomini. Oppure qualche ragazzo, sai, per tutti i palati. Invece c’erano solo loro due. Le uniche prigioniere. E poi noi. È strano.”
“Arriva al punto.” lo spronò Qolton.
“Beh…” si grattò la nuca nervoso, “A volte mi è capitato di sentire delle storie… storie sulle streghe e ciò che sono capaci di fare.”
“Streghe? Non esistono le streghe!”
“D’accordo. Allora, forse, erano qualcos’altro.”
“E perché sarebbero rimaste lì? Perché si sono fatte catturare? Perché i briganti le tenevano con loro?”
“Senti, non lo so. Forse non c’entrano niente…”
“Cosa avevano in mente? Se erano creature non umane, perché sono venute con noi?” continuò Qolton.
“Non lo so! Ma loro sono scomparse, Reeven è scomparso e non so cosa cazzo pensare, va bene?!”
“Calmatevi.” ordinò Phyroe, trotterellando dietro i compagni, “Comunque, se posso dire la mia, Utros potrebbe avere ragione. Sulle streghe, intendo.”
“Phyroe, pure tu!” si lamentò il moro, mentre Utros le fece l’occhiolino.
“Abbiamo perso la memoria, Qolton. Per tre giorni ci siamo dimenticati cosa facevamo in quella radura, ci siamo dimenticati di Reeven e delle bambine e ci siamo avviati verso la costa. Questa è opera di magia. Nessuno dei miei veleni è capace di tanto. Forse quelle bambine erano streghe e volevano Reeven. Non so perché, non me lo chiedere, ma azzarderei l’ipotesi che abbia qualcosa a che fare con la sua natura demoniaca. Magari vogliono usarlo per qualche rito o che so io. Non è da escludere.”
“Baggianate!” abbaiò Qolton, scocciato.
“Sia come vuoi, non mi va di discutere. Fatto sta che dobbiamo trovare Reeven. Nell ha detto che sarebbe andato a Dun’har, perciò propongo di andare là e scoprire se Reeven gli è corso dietro.”
“Conoscendolo, direi che è probabile.” borbottò Utros.
“Bene, allora andiamo. Quanto dista?”
“Negli ultimi giorni, quando abbiamo perso la memoria, ci siamo allontanati. Ci vorranno quasi tre settimane.” disse la ragazza.
Qolton grugnì tutto il suo disappunto e imprecò sonoramente. 
“Io lo ammazzo.” ripeté, lo sguardo fisso davanti a sé e un’espressione che prometteva tutte le peggiori torture del mondo. 









 
  
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