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Autore: Hikari_Sengoku    30/06/2017    1 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Hollow
 
Lo odiava. Era palese. Lo odiava nel profondo.
L’aveva umiliata fino all’inverosimile senza dire una parola! Lei non aveva superato le duecento a serie, e lui ne aveva fatti 600 nello stesso tempo.
E fosse stata la prima volta, che ancora non sai cosa aspettarti… no! Era la seconda, e si era lasciata umiliare quasi apposta. L’aveva chiamato lei, che rabbia! Cominciava a pensare di avere una passione per il masochismo.
Non era stata neanche minimamente alla sua altezza, ma come aveva solo potuto pensare di poter sfidare uno che avrebbe potuto sollevare pesi anche solo con le orecchie?!?!
Sperava solo che la giornata seguente andasse meglio. Il nonno aveva accennato qualcosa sulla pratica… l’unica cosa che poteva fare era sperare per il meglio.
 
La mattina dopo si svegliarono entrambi in un bagno di sudore. Era tardi, e si crepava di caldo. Cori si contorse ancora per qualche secondo nel letto, disfacendo ancora di piú le coperte. Alla fine si alzò e con sommo sforzo si diresse in bagno. Cinque minuti dopo, un gelido bicchiere d'acqua svegliava Zoro senza il minimo rispetto per il suo ennesimo riposino di bellezza.
“Svegliati, bellezza. È l’ora di uscire”
“Non fare la donna vissuta con me, testa-riccia” mugugnò lo spadaccino rivoltandosi nel lettone. Cori andò lí ed ancora assonnata lo scosse con tutta la forza che il cervello le permetteva di avere senza doversi svegliare del tutto. Alla fine si stancò e uscì in giardino ancora con il pigiama a bolle blu indosso.
Suo nonno, proprio come la mattina precedente, li attendeva sul retro, stavolta con uno strano costume verde e un po’ di trucco dello stesso colore sulla faccia. Un vecchio materasso sembrava attendere solo lei, steso lí all’ombra della casa.
“Devo andare a vestirmi?” biascicò assonnata la ragazza, osservando la mancanza delle trappole infernali del giorno precedente.
“No tranquilla. Anzi, piú stai comoda meglio è” le rispose gentilmente il vecchio, sorridendole dal dondolo delle rose tea.
Cori fece finta di non aver sentito il brivido di preoccupazione che per un attimo le aveva stretto lo stomaco alle parole dell’ex-marinaio. A suo parere, non poteva esserci niente di buono dietro le parole che il nonno le aveva rivolto. Mentre rimuginava sul fatto, Zoro arrivò, stropicciandosi gli occhi cisposi dal sonno ed osservando distrattamente la situazione di fronte a lui. Mentre il ragazzo dilettava il mondo con un suo sbadiglio, il nonno si alzò e si pose di fronte a loro.
“Cori, nipotina mia, stai per assistere per la prima volta all’apertura di un warmhole!” le annunciò l’uomo, ignorando palesemente lo spadaccino. “Non spaventarti. A meno che io non urli, è tutto nella norma” Ecco, dire “non spaventarti” era il modo migliore per lei di spaventare qualcuno, pensò schiacciandosi gli occhi nelle orbite dalla stanchezza (dovuta al caldo piú che altro).
“Ehi, bimbetta. Paura?” ghignò Zoro nella sua direzione.
“Ehi! Io non ho mai paura!” si pavoneggiò Cori puntando le mani sui fianchi. “E poi, bimbetta a chi? Ti ricordo che abbiamo solo un anno di differenza*!”
“Da come sei vestita, non si direbbe” rispose Zoro con estrema calma.
“Tu! …Maledetta iena!” sibilò insultandolo.
“Raffreddate i bollenti spiriti, miei adorati fanciulli. State per assistere ad uno degli spettacoli piú clamorosi dell’ultimo lustro! Ma che dico, dell’ultimo decennio! Ecco a voi… Mr. Frog, per coloro che parlano giapponese, Kaeru-san!”
Zoro sollevò un sopracciglio come a dire “questo è matto”.
“L’hai già fatto anche con papà questo scherzo, non è vero? Quando era molto piccolo. Una volta mi ha raccontato di un certo Kaeru-san che ogni tanto lo veniva a trovare…” chiese Cori, anche lei leggermente basita. Da suo nonno proprio non se l’aspettava. Di solito non era esattamente così euforico.
“Potrebbe essere possibile. Ma ora non ha importanza! Preparatevi, potrebbe tirare un po’ di vento, all’inizio” annunciò quello che adesso assomigliava piú ad un clown che al nonno di Cori. Si scrocchiò le dita.
Nel giro di due secondi l’immagine del nonno venne inghiottita, o forse ricoperta, non avrebbe saputo dirlo meglio al momento, sostituita dalla grossa sagoma muta di un uomo alto piú o meno due metri, completamente nera. Aveva contorni netti, squadrati. Le dita assomigliavano piú a degli artigli.
La sagoma infilò le dita fra due lembi d’aria, aprendoli. Con una mossa rapidissima, la sagoma nera ostruì il varco e lo richiuse, sparendo al suo interno. Al suo posto, una colonna d’aria tremolava, fremente come per una ferita. Pochi secondi dopo, un secondo varco si aprì due metri piú in là. La sagoma lo ostruì di nuovo prima di essere espulsa senza tanti complimenti. I piedi avevano creato un solco nel terreno frenando. Una volta di fronte ai due ragazzi attoniti, si fermò, torreggiando su di loro. Per un po’, l’uomo li fissò (senza effettivamente guardarli. Non aveva occhi) dalla sua ragguardevole altezza, beandosi dei loro sguardi stupefatti, e per una volta silenziosi.
Poi com’era apparsa sparì, lasciando posto a suo nonno, che sorrise.
“Cosa diavolo è successo?” chiesero in coro i due ragazzi.
“Hehehe. Ora vedrete con i vostri stessi occhi. Datemi le mani” chiese Kaeru-san, che dopo aver parlato si lasciò di nuovo avvolgere da quella sagoma nera.
“Prima tu, bimbetta” mugugnò la giovane insalata, guardando torvo l’uomo. Non si fidava di lui, ora piú di prima.
Cori afferrò la mano artigliata, esitante. Doveva dirlo, in quel momento anche lei faticava a fidarsi di suo nonno. Non ebbe nemmeno il tempo di dire a, che tutto divenne nero.
 
 
 
Zoro vide la ragazzina afferrare la mano. Appena le due mani si sfiorarono, il corpo di Cori venne ricoperto di quella misteriosa sostanza nera, e cadde a terra, ora alta piú di due metri. Di lei non era rimasta che una sagoma nera, glabra e slanciata, priva di occhi, naso e bocca. Le dita artigliate dell’uomo si strinsero intorno a quelle della nipote, per poi tirarla su, al suo fianco. L’altra mano era ancora tesa verso di lui, mentre la testa della ragazza pendeva inesorabilmente verso il basso, sovrastando di dieci centimetri buoni quella del nonno. Zoro non aveva idea di quello che stava accadendo, ma non doveva essere niente di buono se Cori aveva reagito cosí. Sguainò la katana incerto.
“Ehi. Cosa le stai facendo, vecchio?” lo minacciò. Quello sembrò ignorarlo del tutto, lasciando addirittura la mano tesa verso di lui. Zoro voleva attaccarlo, ma temeva che entrandoci in contatto attraverso la spada, quella sostanza l’avrebbe inghiottito come aveva fatto con Cori. Digrignò i denti, ringhiando, mentre la presa si stringeva intorno alla katana prima di rinfoderarla. C’era un unico modo.
Zoro afferrò la spalla di Cori, e
Tutto si fece Nero.
 
 
 
Ma non era quel nero da inchiostro, o da notte, o quello da palpebre chiuse. Era proprio il nero Nero, quello degli incubi piú profondi.
Zoro era solo, cieco, sordo, muto, privo di tatto e gusto. Solo la mano stringeva ancora qualcosa, ma non avrebbe saputo dire cosa, se non avesse saputo di aver stretto prima di sparire la spalla della ragazzina. Strinse la presa, non aveva voglia di perdersi. Abbassò l’altra mano sull’elsa delle katane, ma nonostante percepisse di stringere qualcosa, non ne sentiva l’esperienza al tatto. Percepiva anche se stesso, in piedi. Non sentiva il terreno sotto i piedi. Se era morto, l’Inferno non gli piaceva per niente. Inerme, annoiato, privo di qualsiasi genere di riferimento spaziale, si sentiva… ingabbiato. E non gli piaceva neanche un po’.
 
 
 
Cori ci mise un paio di minuti a processare la situazione. Sul momento, la mancanza di punti di riferimento l’aveva talmente spiazzata da farla cadere per terra. Non era sicura nemmeno di averla toccata, terra. Ancora incerta, si era sentita tirare su per la mano. Tenendo la testa china per concentrarsi, aveva provato ad andare a memoria. Teneva quella cosa per mano, quindi doveva trovarsi di fronte a Zoro adesso. Oddio, quanto le dava fastidio l’idea di non poter urlare (c’aveva provato, non si era sentita) o vedere qualsiasi cosa. Sperava solo che fosse temporanea, del genere che finisse nel giro di due minuti. All’improvviso, qualcosa le strinse la spalla. Avrebbe voluto scrollarsela di dosso, ma non riusciva nemmeno a sentirla, figuriamoci a stringerla. Poi sentì la presa stringersi ancora, e considerando che le stava frantumando scapola e clavicola, capì che doveva essere Zoro. Poi la cosa la tirò, lei si aggrappò a quello che sperava fosse il fianco di Zoro, ma la forza di quell’essere era tale da non lasciargli scampo. All’improvviso, sentì la sua coscienza gonfiarsi e contrarsi, al ritmo del respiro. Le sembrò di invadere uno spazio infinito, per poi tornare a rimpicciolirsi al nulla. La forza la attrasse di nuovo a se, e poco dopo sentì di nuovo di starsi espandendo e contraendo, per poi essere sputata via con forza. Due secondi dopo, la mano lasciava la presa e lei e Zoro venivano catapultati con forza sul vecchio materasso. Il fiato le si mozzò in gola, e se non fosse stato per gli anni di allenamento, il collo si sarebbe spezzato quando il corpo, rotolando, aveva poggiato completamente sulla testa. Zoro la seguiva a ruota, rotolando sopra di lei, tanto da darle una forte testata nello stomaco e l’elsa della katana spinta con forza contro l’incavo del gomito. Stesi l’uno di fianco all’altra, ripresero fiato e si bearono dei raggi del sole sulla pelle, del loro calore intenso, della luce prepotente fra le palpebre ed il rumore delle fronde degli alberi nelle orecchie. Dopo quella sorta di Inferno nero e vuoto, il giardino sul retro sembrava un paradiso.
Il vecchio si avvicinò loro, che subito scattarono in difesa, saltando in piedi sul materasso, allontanandosi.
“Ehi, ehi, ehi, calma ragazzi, non vi voglio fare del male” cercò di calmarli avvicinandosi piano piano.
“Ah, no?” ringhiò Zoro a spada sguainata.
“ Nonno, mi spieghi che cazzo è successo? Non è stata esattamente l’esperienza che mi aspettavo quando hai detto che sai creare dei warmhole. Perché non ci hai avvertito?” gli chiese quasi urlando la ragazza, ancora in difesa.
“Hehehe. Credo di essermelo dimenticato. È da qualche anno che non faccio cose del genere” ridacchiò l’altro pentito.
“Quanti?” disse Cori, con quella che sembrava piú un’affermazione che una domanda.
“Saranno una quarantina” mugugnò l’uomo. Rumore di mascelle che cadono.
“CHE COSA?” urlò lei.
 
 
Dopo una serie di improperi, minacce e spiegazioni piú o meno estorte, i ragazzi, immusoniti, si risedettero a gambe incrociate sul prato. O meglio, solo Cori sul prato, perché Zoro dopo le spiegazioni si era sommariamente disinteressato alla cosa e ne guardava indolentemente gli sviluppi dal tetto.
La ragazza fissava il nonno con lo sguardo piú accusatorio che fosse riuscita a trovare. “Spiega come si fa.”
“Come, hai fatto tutte queste storie…” cominciò il vecchio. Cori lo interruppe alzandosi e afferrandogli il polso. “Spiega. Come. Si. Fa. Punto.” Rispose categorica per poi lasciarlo. Lo sguardo dell’uomo si incupì. “Ti farò allenare con questo varco giá fatto. Io lo terrò aperto e tu proverai ad evocare quel potere”
“Fammelo riprovare” gli chiese Cori porgendogli la mano, atona. Dentro di se, si stava preparando a registrare quelle stesse sensazioni e provava a processarle per capire come fare ad evocarlo da sola. L’ex-marinaio le prese la mano ed evocò di nuovo il potere. Di nuovo, l’esperienza la schiacciò, ma non riuscì a trovare il famoso bandolo della matassa. Il potere si sciolse, ma lei ancora non ci aveva capito niente.
Strinse forte gli occhi, cercando di riportare a galla quella strana sostanza. Da quel poco che aveva sentito, era sicura di averla percepita emergere sulla sua pelle come da grosse bolle ulcerose. Tentò e ritentò, ma niente.
“Niente, non ci riesco” sospirò.
“È perché non gli dai il comando giusto. È una cosa genetica, come arricciare la lingua. Se non dai il comando giusto al tuo corpo, non si attiverà mai” le spiegò il vecchio.
“Mmm, grandioso. E come faccio a capire qual è il comando giusto?” chiese.
“Non lo so. Il corpo è il tuo.”
“Sei veramente di grande aiuto”
“Facciamo cosí. Io ti attivo il potere, tu ti eserciti a mantenerlo e ad usarlo per tutta la mattinata, ok? Poi questo pomeriggio ti faccio provare il varco” le disse. Cori sospirò.
“Se è proprio necessario”
La mano calò sulla spalla e tutto divenne di nuovo buio. Solo dopo Cori pensò che non sapeva disattivarlo, ma ora era troppo tardi. Mantenerlo, adesso che la mano del nonno si era staccata, non era difficile. Anzi. Quella sostanza tendeva ad appiccicarsi fastidiosamente alla pelle, come il petrolio alle ali di un pennuto. Incapace al momento di mettere un passo dietro l’altro, provò (piú per abitudine che per altro) a strofinarsi la faccia. Ovviamente non sentì niente, ma percepì la resistenza della testa contro le mani. A memoria, si girò verso gli alberi di fondo e si sedette, cercando di spegnere l’interruttore di quel bizzarro potere.
Dopo due ore di silenzio e cecità più che assoluta, quel posto cominciava a starle davvero stretto. Aveva camminato alla cieca in lungo ed in largo, su e giù, a destra ed a sinistra, in ogni luogo dove le testate contro i vari oggetti del giardino le permettessero di andare. Era abbastanza sicura, per il divertimento di Zoro che la stava sicuramente osservando (come poteva perdersi un momento tanto esilarante della sua vita?), di essere andata a sbattere per lo meno tre volte contro il dondolo, due contro il recinto ed una decina contro alberi e sterpaglie. E non riusciva a venirne fuori. Di aria sembrava ce ne fosse a sufficienza, ma dopo così tanto tempo cominciava a soffocare. Le sembrava addirittura di avere le febbre, anche se non poteva averne la certezza. Non ce la faceva piú. Era una situazione da incubo.
 
Zoro, dalla sua comoda postazione soprelevata aveva osservato la ragazzina (anche se adesso superava i due metri) e si era fatto grasse risate ad ogni botta che dava. Alla fine quella si era seduta e non si era piú rialzata, togliendogli il divertimento di vederla sbattere come una falena impazzita lungo tutto il giardino. Doveva ammettere che aveva avuto fegato ad aver voluto provare di nuovo quell’esperienza. Non era di sicuro da tutti resistere per due ore in quelle condizioni. Egli stesso ci avrebbe pensato due volte.
 
Il nonno tornò verso l’ora di pranzo a liberarla da quella immane tortura, e lei stava giá pensando di fracassarsi la testa contro qualcosa pur di attirare l'attenzione su di se e farsi liberare. Le posò di nuovo la mano sulla spalla e la sostanza si riassorbì all’interno del suo corpo. Morire di caldo non era mai stato così bello, e lei non si era mai sentita così viva. Zoro la osservò. Era febbricitante, la pelle era rossa e lucida e ansimava come se avesse corso per miglia, gli occhi sbarrati. L’ex-marinaio l'aiutò a rialzarsi.
“La febbre è normale, passerà nel giro di due ore. Il tuo corpo ha reagito alla mancanza di calore” le disse facendola sedere, esausta. “Ragazzi, oggi pic nic!”
Zoro saltò giù dal tetto.
Cori temeva le sue prese in giro. Non le andava di ascoltare le sue frecciatine caustiche.
“Allora? Come sono andata?” chiese Cori piú per spezzare il silenzio che per altro. “Non sono stata capace di evocarlo come di disattivarlo, non sono stata un granché”
“Per essere una frana, sei andata piuttosto bene.” Le sorrise Zoro.
Il fracasso di stoviglie cadute a terra interruppe quella che stava diventando una conversazione imbarazzante. I due accorsero. Steso bocconi fra le pentole in soggiorno, il vecchierel canuto e bianco gemeva leggermente con la bocca aperta.
“Nonno! Che hai? Che ti succede?” chiese Cori, ancora frastornata per la febbre. Con delicatezza afferrò il vecchio sotto le ascelle e lo portò sulla poltrona. Zoro si guardò intorno, temendo forse un attacco a sorpresa. Cori nel frattempo era corsa in cucina e adesso tentava di rianimare l’uomo con un bicchiere d’acqua. Quello gemette ancora, svegliandosi.
“Cori, non ti preoccupare, non è niente…” mugugnò l’uomo stringendo le labbra e alzandosi con l’aiuto di un bastone
“Come non è niente? Sei svenuto!” gli si oppose la nipote.
“Mi sembra di averti detto cosa sta succedendo o sbaglio? Smettila di andare in escandescenza” rispose l’anziano riafferrando il cestino del pranzo che era miracolosamente riuscito a salvare. Zoro con una sola occhiata si decise e se ne fece carico, lasciando la nipote ad assistere il nonno fino al giardino sul retro. Il pranzo venne consumato nel silenzio piú totale, mentre Cori rimuginava sul fatto, sentendosi fra le altre cose perfettamente inutile. Poi il vecchio si alzò e le disse che era il momento di riprovare ancora, che avrebbe aperto il varco per lei e lei ci sarebbe dovuta passare attraverso. Questa volta andò molto meglio. L’anziano uomo si era trasformato e aveva creato il varco, ostruendolo con la sua massa nera perché non facesse danni, e aveva anche attivato il potere di Cori che, sebbene ancora febbricitante, era decisa a finire quella cosa il prima possibile. A tentoni trovò il varco, chiuso dalla massa del nonno. Ci infilò un braccio all’interno, e all’improvviso la sua massa si espanse naturalmente, occupando tutta l’apertura. Una forza incredibile l’attirava dall’altra parte. Appena vi fu passata attraverso, questa si richiuse e lei venne sputata con forza dall’altra parte senza colpo ferire.  O meglio,  il colpo c’era stato, e pure bello forte, quando una volta sputata fuori si accorse di non saper frenare.
Il nonno le insegnò la differenza tra tunnel universale e multiversale , facendole sentire da vicino l’immensa energia scaturita dal warmhole in salotto, totalmente differente dal misero risucchio dell’altro. Poi tornarono in giardino e continuò a farle fare pratica con gli atterraggi, mentre Zoro si allenava ignorato da tutti. Non vedeva l’ora che quella storia avesse fine.
 
A sera, Cori era esausta, distrutta, stanchissima. Stesa sull’erba fresca, si consolò pensando che per lo meno aveva imparato a trovare da sola l’uscita dai varchi (le distanze erano diverse nel tunnel, e ci si era dovuta abituare. Più la meta era lontana, piú era veloce il passaggio), anche se era inutile se non avevi punti di riferimento, e aveva imparato a frenare. Non sapeva ancora trovare le entrate però, e non era mai riuscita ad evocare il potere da sola.
 
Dei passi si avvicinarono dalle fratte. Cori stava per chiamare Zoro, quando si rese conto che i passi non erano i suoi, e nemmeno quelli del nonno. Subito rotolò e si rimise in piedi.

“Tu?”
 
 
 
 
 
 
 
 
*Zoro ha solo un anno più di Cori perchè essendo la storia ambientata dopo la saga di Thriller Bark, Zoro ha ancora diciannove anni se non sbaglio.
Ok, questo è ufficialmente uno dei capitoli piú faticosi che io abbia mai scritto. Ho la seria impressione che il mio Zoro sia un po’ OOC. Troppo taciturno, inattivo… prometto che cambierà dai prossimi capitoli. A parte questo, che ve ne pare? Siamo solo all’inizio di una lunga epopea, miei cari lettori. Chi sará mai il Personaggio Misterioso di questo capitolo? Che ve ne pare delle capacità di Cori?  Ho descritto bene i momenti? Le critiche sono molto ben accette! Per chi ha letto o visto Bleach, il titolo sará piú che chiaro. Distrutta da caldo ed esami, la vostra
                                                       Hikari_Sengoku


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