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Autore: Tigre Rossa    01/07/2017    4 recensioni
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.
Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.
‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’
Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.
Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.
‘Posso, invece.’
Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.
Non lo perderò, non più, mai più.
‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’
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Reincarnation AU-Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9 – Ossigeno

 

 

 

Tu sei stato ossigeno puro. Stavo annegando e mi hai salvato, ti sembra poco?

—  Grey’s anatomy

 

 

 

 

 

 

Oin si sistema gli occhiali spessi come fondi di bottiglia sul lungo naso storto, mentre i suoi occhi vigili ed esperti mi studiano in modo enigmatico mentre mi rimetto la maglia.

Dis sembra accorgersene, perché gli chiede con tono urgente, tentando però di nascondere almeno in parte le sua preoccupazione “Va tutto bene, dottore?”.

Il medico soppesa la domanda per un lungo momento, e sia io che mia sorella restiamo in silenzio, attendendo non senza tensione la sua risposta.

“A livello medico la situazione è rimasta invariata.” borbotta alla fine, senza mai distogliere lo sguardo indagatore da me  “La conta dei globuli bianchi è ancora molto bassa e i valori sono rimasti in generale più o meno gli stessi dell’ultima volta. Eppure in qualche modo sembri molto più sano rispetto a due mesi fa, e il tuo volto sta riacquistando colore.”.

Lo dice come se fosse un qualcosa di straordinario, che non si sarebbe mai aspettato, e ammetto che per un momento io stesso rimango un po’ stranito.

Io, sano? Ma se non riesco a camminare per più di quindici minuti senza dovermi sedere, se non riesco a sollevare niente di più pesante di una busta della spesa, se anche prendere a pugni il cuscino dopo un incubo mi fa restare senza fiato e con le mani tremanti!

Però . . . in effetti, a pensarci, mi sento un po’ meglio rispetto a quando sono tornato. Non in maniera eclatante, ma in qualche modo . . . non so, è come se pian piano mi stessi abituando a questa nuova condizione del mio corpo, come se stessi scendendo a parti con esso ed accettandone i ritmi e i limiti.

Sento lo sguardo d’aquila di Dis perforarmi la pelle, quasi stesse cercando il più piccolo indizio di questo praticamente invisibile miglioramento, ma Oin richiama di nuovo la mia attenzione, chiedendomi con lo stesso tono che un detective riserverebbe ad un testimone chiave “Stai mangiando adeguatamente? Fai pasti regolari?”

“Diciamo che ci provo.” rispondo stringendomi nelle spalle, per quanto non sia affatto vero. Non sono mai stato un grande amante della buona cucina nemmeno prima dell’arruolamento, e da quando sono tornato ho perso completamente l’appetito e evito il cibo il più possibile. Ma questo non è certo qualcosa da rivelare al proprio medico curante, specialmente se si vuole evitare un  cazziatone da Oscar e una nuova dieta categorica e controllata al milligrammo.

Mia sorella mi fulmina con lo sguardo e nega subito la mia bugia, incrociando le braccia “No. Anzi, salta molto spesso pranzo e cena.”.

Le lancio un’occhiataccia, ma ormai il danno è fatto. Il dottore però non sembra arrabbiato per quella rivelazione, ma solo confuso.

Tirandosi soprappensiero la barba, chiede ancora “Allora stai facendo quelle passeggiate che ti avevo consigliato?”

Sorpreso, mi ritrovo ad annuire “Sì, in effetti. Esco un po’ tutti i pomeriggi.” ammetto, evitando accuratamente di rivelare perché o con chi esco ogni singolo giorno da quasi due mesi ormai. Dis non mi darebbe più pace, se venisse a scoprirlo. Sono già fortunato che, dopo quell’interrogatorio a sorpresa in camera mia, Kili abbia lasciato cadere nel dimenticatoio la cosa e non abbia più detto niente. Meglio non tentare troppo la sorte.

Oin si lascia sfuggire un piccolo vittorioso sorriso “Bene!” esclama, battendo le mani dalla soddisfazione.

 “È un’ottima cosa. Probabilmente è per questo che sembri stare meglio, seppur leggermente. Uscire alla luce del sole aiuta il tuo corpo a riabituarsi alla vita quotidiana e a riprendere le sue normali funzioni più in fretta. Inoltre, instaurare una nuova abitudine e crearsi una routine ha un grande impatto sulla psiche, ed influisce molto anche sulla ripresa fisica di un individuo dopo un forte trauma.” dice tutto soddisfatto, per poi farsi più serio “In cosa consistono queste passeggiate e quanto durano? Provi forte affaticamento?”

Mi prendo un attimo prima di rispondere “Non sono nulla di che. Semplicemente esco fuori da casa, cammino fino a quando le gambe non iniziano a tremarmi, mi siedo in un parco, aspetto che la stanchezza si attenui e poi ritorno a casa. Tutto qui. Non sto fuori mai meno di mezz’ora, a volte anche un po’ di più.” mi limito a dire, ignorando volutamente tutte quelle volte che sono stato via una o due ore e il fatto che queste passeggiate non abbiano affatto la finalità di riprendermi più in fretta, ma piuttosto di staccare un po’ la mente da tutto questo. L’incidente, il rientro in patria, l’ospedale, le cure, questa sensazione di essere rinchiuso in una gabbia da cui non potrò mai uscire e in cui ogni mio movimento viene monitorato, nemmeno fossi un animale selvatico e pericoloso.

“Uhm.” commenta, aggrottando la fronte “Vai mai con qualcuno?”

La mia mente corre per un breve momento a Bilbo, al suo sorriso luminoso e a quegli occhi blu che aspetto con ansia di rivedere ogni singolo pomeriggio. Bilbo, che ieri per distrarmi dal pensiero del controllo da Oin mi ha portato in una piccola libreria che vende libri antichi e prime edizioni di grandi classici, e mi ha strappato la promessa di scrivergli subito dopo la visita. Bilbo, che da quando è arrivato sta rendendo sopportabile tutto questo.

“No.” mento, e al mio fianco sento Dis studiarmi attentamente, come se non credesse alla mia risposta.

Dopo un secondo di silenzio, il dottore scuote appena la testa “E’ una buona cosa che tu esca, ma non va bene così. Non dovresti mai spingerti al limite, aspettare di stare male per riposarti. E, soprattutto, dovresti uscire con qualcuno. Giusto per sicurezza, in caso di un improvviso attacco di debolezza o una crisi. Non è sicuro che tu resti solo tanto a lungo.”

Quest’ultima frase tocca un nervo scoperto e mi fa scattare , quasi senza rendermene conto “Io faccio quello che mi sento di fare. Se voglio uscire e quando voglio uscire sono affari miei. E sono libero di scegliere con chi passare o non passare il mio tempo. Se voglio uscire da solo, posso farlo come un qualsiasi uomo adulto. Non ho bisogno di nessuna balia, nessun infermiere, nessuna babysitter.”

Afferro la mia giacca, me la infilo e con un cenno gelido mi congedo dal medico, sbottando un freddo “Buona giornata.”.

Me ne vado senza degnare nessuno di un secondo sguardo, nemmeno Dis che, dopo delle scuse frettolose, mi segue di corsa, i tacchi alti che battono velocemente sul pavimento lucido dello studio.

“Thorin, aspetta!” mi chiama, il tono abbastanza forte per raggiungermi ma non troppo per disturbare gli altri pazienti in attesa.

Continuo testardamente a camminare, fino ad uscire dallo studio e raggiungere la macchina, dove però sono costretto ad aspettare mia sorella, che mi raggiunge con un’espressione a metà strada tra l’irritato e il confuso.

“Si può sapere perché hai reagito in quel modo? Oin non ha detto niente di male, anzi, è stato molto gentile.” mi rimprovera, portandosi dietro alle orecchie una ciocca di capelli sfuggita dal suo chignon sbarazzino “Devi smetterla di buttare addosso il tuo malumore sugli altri. Non è giusto, e non fa bene a nessuno.”

 

Incrocio le braccia e mi appoggio allo sportello della macchina, le gambe che iniziano a tremare impercettibilmente per quella mezza corsa senza preavviso “Non è malumore. E anche se fosse, ne avrei tutte le ragioni. Il tuo caro medico voleva appiopparmi un controllore che mi seguisse ogni volta che metto piede fuori di casa, nemmeno fossi un carcerato durante l’ora d’aria. Ora non posso avere trenta minuti per me senza dover essere tenuto d’occhio?” sibilo, non senza rancore.

Capisco che, a livello medico, Oin non abbia tutti i torti, ma il pensiero di dover essere seguito da qualcuno per forza, anche per quel poco tempo che riesco a prendermi per me e che mi fa sentire ancora bene . . . no, non riesco a sopportarlo.

Dis stringe le labbra, come se le mie parole fossero uno schiaffo doloroso ma non inatteso “Lo sai che è necessario. Finché il tuo corpo non si riprenderà completamente, dobbiamo stare tutti molto attenti a qualsiasi cosa. So che è stressante, ma presto finirà, vedrai.”

Scuoto la testa con amarezza “Non succederà. Potrò anche migliorare, seppur di poco, ma non mi riprenderò mai del tutto. Questo, tutto questo, non finirà mai, non completamente. Sono stati abbastanza chiari a Peshawar.” stringo con forza le mie piastrine, fredde al tatto e in questo momento stranamente estranee “Quindi cosa dovrei fare, passare il resto della mia esistenza a vivere con te e i ragazzi, farmi controllare ed assistere in qualsiasi cosa per paura di cadere a terra e spaccarmi la testa? Questo non è vivere, Dis. E lo sai anche tu.”

La mia sorellona resta in silenzio, i grandi occhi d’aquila fissi nei miei ma incapaci di negare quella realtà, fino a quando non riescono più a sostenere quel contatto. Prende ad armeggiare con la borsa e, senza una parola, tira fuori le chiavi ed apre la macchina, facendomi cenno di entrare.

Lo faccio con meccanicità, aprendo lo sportello e sedendomi quasi senza rendermene conto.

Solo quando Dis mette in moto e ci infiliamo nel traffico mattiniero di Londra poggio la fronte contro il finestrino.

Chiudo gli occhi, lasciando che quella sensazione di vuoto si espanda dentro il mio petto fino a impadronirsi di tutto quanto e lasciarmi solo con quella certezza, quell’unica, fredda certezza di essere prigioniero in un corpo che mi tradisce giorno dopo giorno, un destino che mai avrei scelto per me, una vita che non sento mia, e che forse non lo sarà mai più.

Resto solo con la consapevolezza di essere spezzato, e di non poter in nessun modo essere aggiustato.

 

 

o0O0o.

 

 

Da: Bilbo a:Thorin 13:40

Ehi, non ti sei fatto sentire tutto il giorno. Tutto ok?

 

Da: Thorin a: Bilbo 13: 48

Sì, certo. Scusa, ho avuto altro per la mente.

 

Da: Bilbo a:Thorin 13:50

Non preoccuparti. Com’è andata la visita?

 

Da: Thorin a: Bilbo 13:53

Come al solito. Senti, possiamo incontrarci? Ho bisogno di vederti.

 

Da: Bilbo a: Thorin 13:54

Ma certo. Sei sicuro di star bene?

 

Da: Thorin a: Bilbo 13:59

Sì. Ho solo avuto una mattina pesante.

 

Da: Bilbo a: Thorin 14:00

Ho capito. Ti ci vuole un po’ di svago, allora!

 

Da: Thorin a: Bilbo 14:01

Bilbo, non credo proprio che sia il caso.

 

Da: Bilbo a: Thorin 14:02

Ah, no no. Devi assolutamente distrarti. Fidati di me. Ti fidi di me, no?

 

Da: Thorin a: Bilbo 14:03

Sì, ma . . .

 

Da: Bilbo a: Thorin 14:04

Allora niente ma. Ci penso io a te, ora.

Fatti trovare tra un’oretta all’indirizzo che ti invierò fra poco. Possibilmente, senza tutti quei pensieri neri che ti stai sicuramente trascinando dietro da dopo la visita. Non accetto scuse o ritardi.

 

Da: Thorin a: Bilbo 14:06

Mio Dio, sei impossibile.

 

Da: Bilbo a: Thorin 14:07

Lo prendo come un complimento.

 

o0O0o.

 

 

Osservo attentamente fuori dal finestrino la fila ordinata di case che si ripetono tutte uguali, l’una accanto all’altra, copie perfette di una realtà finta. È facile trovare zone residenziali così, in questa parte di Londra. Infinite piccole case con un ancora più piccolo giardino, le finestre minuscole e il camino che non viene mai accesso perché conviene di più usare il riscaldamento. Niente che le distingua, niente che permetta a chi le guarda di intuire che ci vive davvero qualcuno, là dentro.

Sbruffo e sto per distogliere lo sguardo, quando una piccola casetta, diversa dalle altre, colpisce la mia attenzione in maniera quasi magnetica.

Come tutte le sue gemelle, è piccolina e circondata da un minuscolo giardino, eppure è completamente diversa; sa’ di vero, di vissuto e un po’ di follia.

Il tetto è fatto da mattoni rossi e le pareti sono di un intenso giallo giunchiglia, mentre la porta, minuscola e probabilmente dipinta a mano, è verde come l’erba. Il giardino, a differenza degli altri poco curati e spenti, è un’esplosione di colori. Piccolissimo ma tenuto con cura, è completamente in fiore. Girasoli, lilla e non so cos’altro riempiono quel fazzolettino di terreno, e una pianta arrampicante è attorcigliata attorno al tronco di una rigogliosa quercia, quasi posta a mo’ di scudo per difendere la casa e chi ci abita. La recinzione che divide quel minuscolo universo a sé stante è di un lucente verde smeraldo, e una cassetta della posta a forma di scrigno fa bella mostra di sé accanto al cancello, sempre verdissimo. Tutta la casa sembra quasi uscita da un romanzo, da una storia fantastica colma di luce e colori, dal sogno di un bambino mai cresciuto, e riesce per un momento a strapparmi un sorriso, e per un attimo resto confuso quando il taxi si ferma proprio di fronte ad essa.

Mi volto verso l’autista, che mi lancia un’occhiata strana e, notando la mia confusione, borbotta “Siamo arrivati, signore. Questo è l’indirizzo che mi ha dato.”.

Aggrotto la fonte, tornando a osservare l’insolita casetta. Ho dato al tassista l’indirizzo inviatomi da Bilbo, immaginando che fosse quello di un qualche negozietto vintage o roba simile come al solito, e non . . . beh, questo.

“Signore?” mi chiama di nuovo l’autista, evidentemente impaziente di riprendere il suo lavoro.

Pago la corsa e scendo dal taxi, e mentre riparte e si allontana resto per qualche lungo momento immobile di fronte a questa strana casa.

Alla fine mi riscuoto e mi avvicino al cancello verdissimo, che è socchiuso e ha attaccato proprio al centro un foglietto di carta, dove una elegante scrittura quasi indecifrabile, da scrittore, recita :”So cosa stai pensando e sì, questo è l’indirizzo giusto. Muoviti ad entrare ora, ti prometto che la casa non ti divorerà e che non comparirà nessun coniglio bianco o cappellaio pazzo.’

Scuoto appena la testa divertito, mentre stacco il foglio dal cancello e lo piego con attenzione per poi infilarmelo in tasca. Anche se non è firmato e se non avevo mai visto questa scrittura prima d’ora –se si escludono quei numeri tracciati di fretta sul palmo della mia mano, ovviamente-, non mi ci vuole niente per indovinare chi abbia scritto quel buffo bigliettino.

Senza riuscire a reprimere un sorriso spontaneo, entro nel piccolo giardino e mi guardo un attimo attorno, perdendomi in quel minuscolo angolino verde che esplode di vita. Mi viene spontaneo sfiorare con una mano il tronco della quercia, che sembra giovane ed antica allo stesso tempo, e quando raggiungo la porticina verde per un attimo esito, prima di bussare due volte.

Tempo cinque secondi netti e il viso sorridente di Bilbo fa capolino dall’uscio, i grandi occhi blu che brillano come lapislazzuli e le mani macchiate d’inchiostro nero.

“Sei venuto!” esclama in modo quasi luminoso, come se non si aspettasse davvero di vedermi lì.

Mi stringo delle spalle, un po’ preso alla sprovvista da questa reazione.

 “Sempre questo tono sorpreso.” mi limito a ribattere, per poi aggiungere “E poi, cos’altro avrei potuto fare? Mi hai praticamente costretto a venire, o sbaglio?”

 

Non sarei riuscito a stargli lontano comunque, nemmeno se lui non mi avesse imposto di raggiungerlo subito dopo quel messaggio, scritto d’istinto ma che non rinnego. Avevo un tale bisogno di vederlo, ho un tale bisogno di stargli vicino, dopo quello che è successo stamattina, che . . . semplicemente, non avrei potuto non venire.

 

Lo scrittore mi fa una linguaccia, per poi spalancare completamente la porta e farmi cenno di entrare “Dai vieni, almeno la smetti di brontolare.”

Entro, lasciandomi guidare da lui in quella che sembra più una microscopica tana che una vera casa.

L’ingresso è minuscolo e pieno di piante, mentre un numero sproporzionato di capotti e giacche è appeso alla parete vicino ad uno specchio lunghissimo ma semplice. Un lungo corridoio pieno di quadri e scaffali colmi di roba lo collega al resto della casa; sui due lati ci sono quattro porte chiuse, e alla fine c’è un gigantesco salotto- cucina.

Resto fermo per un momento, osservando un po’ stupito la stanza. Al centro, attorno ad un tavolino in mogano, stanno una poltrona verde malva e un divano rosso papavero dall’aria comoda e stra-usata, sul lato dentro c’è l’angolo cottura  e un tavolo semplice ma robusto, mentre su quell’opposto si apre un’ampia finestra dalle tende dorate. In fondo c’è un grande camino, come quelli di una volta, e accanto una televisione e una collezione di dvd da fare invidia a un vero cinema.

Ma la cosa più straordinaria sono i libri. Sono letteralmente ovunque, in ogni angolo disponibile; sopra il camino, per terra in colonne ordinate, su mobiletti sparsi qua e là, su degli scaffali random attaccati alla parete. Sembra fatta praticamente da soli libri, e nonostante la singolarità ispira una sensazione di tale pace, di tanta quieta serenità, che quasi non mi rendo conto di essermi lasciato sfuggire un sospiro.

“Questa è casa tua?” chiedo spontaneamente a Bilbo, che sta osservando la mia sorpresa un po’ compiaciuto.

Sbruffa, incrociando le braccia “No. È la casa di un vecchio pazzo che ho ucciso e seppellito sotto la quercia per poterla usare solo questo pomeriggio.” risponde con un pizzico di sarcasmo, per poi sollevare un sopracciglio e  ribattere, chiaramente divertito ora “Secondo te?”

“Ok, domanda un po’ stupida.” ammetto, passandomi una mano tra i capelli e cercando di non fare caso a come mi senta già più leggero rispetto a questa mattina, nonostante sia in compagnia di Bilbo da appena mezzo minuto.

“Solo un po’?” ripete con l’accenno di un sorriso, e poi il suo viso si fa più serio, mentre i suoi occhi vagano pensierosi per la stanza “A essere precisi, era la casa dei miei genitori. È passata a me quando è morto mio padre, ma in origine l’aveva fatta costruire per la mamma come regalo di nozze.”

“Oh.” Non so cosa dire, soprattutto quando accenna alla morte dei suoi genitori, con un tono quasi malinconico che non gli avevo mai sentito usare prima d’ora. Non mi aveva mai parlato della sua famiglia e avevo dato per scontato che i suoi fossero ancora vivi, considerando la sua età. Non avrei mai immaginato che così giovane si portasse già dietro un lutto talmente grande.

 “Doveva amarla molto.” È tutto quello che riesco a dire, e mi rendo conto nel momento in cui quelle parole lasciano le mie labbra che forse è la cosa più sbagliata che potesse uscirmi fuori.

Si limita ad annuire, lo sguardo perso oltre la finestra, nel giardino pieno di vita “Probabilmente l’amava anche troppo.” commenta, e la voce quasi fredda e lontana, di chi avrebbe tanto da dire ma non può, non se non vuole precipitare di nuovo nel baratro.

Per un attimo esito, incerto su cosa dire e cosa fare, ma poi, quell’ombra che gli oscura lo sguardo si attenua, e quando si volta di nuovo verso di me il suo tono si fa più leggero e un piccolo sorriso fa capolino sul suo viso “Siediti, dai.”.

Un po’ stordito, faccio come mi dice e mi siedo al lato sinistro del divano, che è ancora più comodo di quanto già sembri, mentre Bilbo va nella zona cucina ed apre il frigorifero, studiandone accuratamente il contenuto.

“Vuoi qualcosa da bere?” chiede senza voltarsi, per poi elencare svelto “Ho the, limonata, aranciata, succo d’uva e un po’ di vino rosso. . . non so se puoi bere alcool, però.” aggiunge poi, un po’ incerto.

La mia mente corre immediatamente a Oin e a Dis, alla visita di quella mattina e a tutte le cose che dovrei e non dovrei fare, e per un attimo mi sento di nuovo infiammare dentro.

Fanculo mi dico, scacciando via quei pensieri.

Ho seguito abbastanza ordini per tutta una vita nell’esercito, e non ho intenzione di continuare a farlo ora che non sono più un soldato. Sopratutto non da chi non ha idea della battaglia che sto combattendo.

“Tecnicamente non potrei, ma sono sempre stato un cattivo ragazzo.” rispondo, desiderando in quel momento più che mai qualcosa che possa aiutarmi a scacciare questo fuoco doloroso che mi brucia dentro. O che lo faccia aumentare tanto da cancellare qualsiasi altra cosa, in alternativa.

Il padrone di casa sbruffa.

 “Beh, io no.” ribatte, per poi tirare fuori una caraffa piena di un denso liquido viola. Prende un bicchiere pulito dal lavello lì accanto e chiude la porta del frigo con un disinvolto movimento del fianco, che per un attimo mi ipnotizza letteralmente.

Versa la bevanda nel bicchiere, lascia la caraffa sul tavolo e mi raggiungere, porgendomelo con aria quasi irritata, se non fosse per il leggero scintillio nel suo sguardo “Toh, succo d’uva. Così impari ad infrangere le regole e a coinvolgermi come tuo complice.”.

Alzo gli occhi al cielo, un po’ infastidito da come abbia completamente ignorato la mia richiesta e un po’ divertito dalla sua espressione a metà strada tra il serio e il giocoso.

“Non c’è bisogno che anche tu mi faccia da infermiere.”  ribatto con le braccia incrociate, seppur senza freddezza “Non lo verrà a sapere nessuno, e poi a chi importa se bevo qualcosa che non dovrei?”.

Bilbo aggrotta la fronte, come se avessi appena detto la cosa più stupida del mondo.

“Non ho alcuna intenzione di farti da infermiere. Sei grande e grosso abbastanza da saper badare a te stesso.” ribatte deciso, per poi aggiungere “Ma questo non significa che io possa lasciarti fare tutto quello che ti pare indiscriminatamente. Non fa niente che non ci sia nessun altro a vederlo e a cui possa importare se infrangi le tue direttive. Se ti fa stare male, importa a me, e questo basta. ”

La sua risposta, concisa e sospendente, mi coglie completamente impreparato, e resto per un lungo momento a fissarlo, perso in quei risoluti occhi blu che non hanno alcuna intenzione di darmela vinta, e non per senso di colpa, dovere o altro.

No.

A lui importa davvero se mi faccio o non mi faccio del male.

A lui, molto semplicemente, importa di me.

 

‘A chi importa?’

‘A me. A me importa se ti fai del male. A me importa di te, dannato Thorin Scudodiquercia. Mi importa, e non ho alcuna intenzione di vederti distruggere te stesso in questo modo!’

 

Gli importa da sempre.

 

Scuoto appena la testa, quasi a voler scacciare quel pensiero, ma alla fine allungo una mano e prendo quel dannato succo. Nel farlo, le mie dita sfiorano appena le sue, e per un attimo lo vedo trattenere il fiato, ma i suoi occhi restano fissi nei miei, fieri ed impossibili da spezzare.

Porto il bicchiere alla bocca e mando giù tutto in un fiato, ignorando completamente il sapore acerbo ed orribile della bevanda e senza mai distogliere lo sguardo dal suo, quasi in una sfida silenziosa.

Quando finisco, stringo il bicchiere vuoto tra le mani e osservo il suo viso illuminarsi di un sorriso vittorioso, e resisto a stento all’istinto di alzare nuovamente gli occhi al cielo.

“Contento ora?” mi limito a sbruffare, e Bilbo annuisce, il sorriso che si fa ancora più grande.

“Molto.” si allunga verso di me e si riprende il bicchiere, attento questa volta a non toccarmi nemmeno per sbaglio nonostante la mia pelle sia già tesa e formicolante, quasi in attesa del suo tocco “Era così terribile come temevi, allora?”.

“Mille volte di più.”

Lo scrittore si lascia sfuggire un sbruffo divertito “Su, non lamentarti, poteva andarti molto peggio.” dice, tornando in cucina per lasciare il bicchiere nel lavandino ed aprire la dispensa “Potevo rifilarti una tisana al sambuco.”

“Perché, hai davvero delle tisane?” chiedo, mentre mi sistemo più comodamente sul divano e lo osservo iniziare a tirare fuori scatole di biscotti, dolci, cioccolata e confezioni di patatine a non finire.

“Ho tutti i generi di tisane esistenti. E di the. E di camomille. Di questo settore non manca niente, in casa mia.” conferma fieramente, mentre raccoglie tutto quel bendiddio e lo deposita sul tavolino di fronte al divano.

“E nemmeno del settore ‘schifezze varie’, vedo.” commento, mentre l’osservo tornare ancora in cucina e tirare fuori pasticcini e frittelle “Pensare che ho sempre ritenuto le tisane un genere di bevande riservato solamente alle vecchiette con tanti gatti e fin troppo tempo libero.”

Fa una smorfia, mentre apre un mobile lungo lungo e si mette in punta di piedi per aggiungere lo scaffale più alto. La corta maglietta verde si solleva, lasciando intravedere una candida striscia proibita di pelle da cui tento di distogliere, seppur con difficoltà, lo sguardo.

 “Beh, io sono l’eccezione che conferma la regola, allora. E poi, devo compensare in qualche modo la quasi completa assenza di alcool nei miei scaffali, no?” aggiunge senza rendersi conto di nulla, tentando di afferrare un qualcosa di indefinito fuori dalla sua portata e rischiando quasi di perdere l’equilibrio.

“Ehi, lascia stare, c’é roba più che a sufficienza.” gli faccio, notando la sua difficoltà e l’imponente quantità di cibo che sta raccogliendo.

“Ma se non basta nemmeno per un aperitivo.” obbietta incerto, ma alla fine si arrende e rimedia alla sua sconfitta tirando fuori da non so dove delle ciambelle e dei cornetti, che coronano il piccolo banchetto che ha messo su nel giro di . . . non so, tre minuti forse?

Osservo un po’ stordito il tavolino ormai pieno, mentre lui batte allegro le mani e annuncia un vittorioso ‘buon appetito’, per poi lasciarsi scivolare sul divano a meno di quindici centimetri da me.

“Ma quanto cibo hai?” chiedo, da una parte sinceramente sorpreso, e dall’altra solo per non pensare a quell’eccessiva vicinanza e al fatto che mi basterebbe allungare una mano per stringere le sue e . . .

Lo scrittore si stringe nelle spalle, all’apparenza senza accorgersi della tempesta che questa fragile vicinanza tra di noi mi sta improvvisamente scatenando dentro. “Mai abbastanza.” È la sua spontanea risposta, mentre apre un pacchetto di patatine e ne divora una manciata bella piena nel giro di mezzo secondo.

Questo mi strappa un sorriso, seppur esitante e quasi timido “Non riesco a credere che con un tale assortimento di cibo tu non sia fortemente obeso, invece di essere sottile come un ragazzino.” commento, studiandolo per un attimo e tentando di non soffermarmi eccessivamente sulle clavicole che danno mostra di sé dal collo a v della maglia. Fallendo, ovviamente.

“Devo ringraziare il mio metabolismo per questo immenso privilegio.” risponde con semplicità, prendendo un’altra generosa porzione di patatine e staccando un bel pezzo di cioccolata “Dai, serviti.”

Dopo un momento di incertezza, mi allungo per prendere un paio di patatine, per quanto il cibo sia realmente il mio ultimo pensiero al momento. Lascio vagare un po’ lo sguardo per la stanza, e quando raggiungo l’angolo cucina la conversazione di prima mi ritorna alla mente e quindi decido di continuarla.

“Quindi non bevi?” chiedo, sinceramente incuriosito.

“No no, non reggo nemmeno un goccio.” nega quasi con entusiasmo, mandando al contempo giù un pasticcino  “Quella bottiglia di vino la conservo solo per gli ospiti. Ho un brutto rapporto con l’alcool.” Di fronte al mio sguardo interrogativo, si limita a fare un’espressione colpevole “Mi sono ubriacato con una lattina di birra una volta, e da allora lo evito come se fosse il demonio.”

Questo è talmente ridicolo che non riesco a fermare uno sbruffo divertito, che ovviamente nota e gli fa aggrottare la fronte.

“Perché ridi?” fa, afferrando una ciambella.

Scuoto la testa, quasi a voler negare di star trattenendo la risate, ma poi non posso fare a meno di commentare “Niente, è che non ho mai sentito di un uomo adulto incapace di reggere l’alcool e fiero di ciò.”

Bilbo fa una smorfietta che non può essere descritta in nessun modo se non adorabile e borbotta,  continuando a mangiare in piccoli morsi la sua ciambella “Oh, ma io non sono un uomo adulto.”.  Mi fa l’occhiolino, prendendomi ora palesemente in giro “Sono uno scolaretto ancora ingenuo ed innocente secondo i suoi occhi da falco, non è vero capitano Durin?”.

Mi lascio sfuggire l’ennesimo sbruffo, l’angolo della bocca che si solleva all’insù di propria volontà.

 “Sfotti, sfotti pure.” ribatto mentre lui ridacchia, e per un attimo mi sento così semplicemente sereno e senza pensieri che quasi non riesco a ricordare quanto intense fossero la mia rabbia e la mia rassegnazione questa mattina.

Ma, all’improvviso, lo scrittore si passa quasi nervosamente una mano tra i ricci ramati e per un attimo temo che mi stia per chiedere la ragione dell’urgenza nei miei messaggi, la spiegazione di questo mio bisogno quasi doloroso di vederlo.

Si lecca le labbra e quando le socchiude per parlare mi preparo psicologicamente a dire un’altra bugia, perché non potrei sopportare di ammettere anche con lui la mia debolezza, la mia ennesima sconfitta, ma poi mi prende completamente di sorpresa per l’ennesima volta.

“Io, ehm, avevo pensato che potevamo fare un pomeriggio pop-corn, chiacchiere e film.” balbetta, senza riuscire stranamente a incontrare il mio sguardo “Un classico pomeriggio non sense, che risolve sempre tutti i problemi e non ti fa pensare a nulla. S-se a te va bene, ovviamente.”.

Una morsa delicata e piacevole mi stringe il cuore, lasciandomi dolcemente senza fiato.

Non solo ha capito che non sono in vena di rispondere a nessuna domanda e che non ho alcuna voglia di parlare.

Non solo ha deciso di lasciarmi i miei spazi e di non pretendere spiegazioni nemmeno se mi sono praticamente precipitato a casa sua alla ricerca di sollievo.

Ha capito che ho bisogno con tutto me stesso di non pensare, di allontanarmi da tutto e semplicemente perdermi in una beata leggerezza, almeno per un po’.

Ha cercato il modo migliore per farmi sentire al mio agio. Ha pensato a un modo reale per distrarmi e farmi stare bene.

Come diavolo fa a leggermi dentro in questo modo ogni singola volta?

Come fa a sapere sempre quello di cui ho bisogno, quello che provo e sento?

Come fa a conoscermi tanto bene da togliermi sempre il fiato?

Sorrido, un sorriso sincero e sollevato questa volta.

 “Ci sto.” rispondo, e subito i suoi grandi occhi blu guizzando, quasi increduli, al mio volto “Hai già scelto il film?”.

“No, non avevo idea di cosa potesse piacerti.” nega, stringendosi nelle braccia per poi fare una piccola smorfia ironica “Anche se, a occhio a croce, non credo tu sia un tipo da commedia romantica.”

“No, decisamente no.” confermo divertito e poi lo seguo fino alla tv, dove mi mostra con aria feria la sua collezione di film, invitandomi a scegliere qualcosa.

Salto immediatamente tutti i titoli di guerra che conosco, deciso a non pensare almeno per qualche ora  alla vita che mi sono lasciato alle spalle e che non potrò più riavere, e un numero sorprendente di fantasy e film storici che ho già visto o con i ragazzi o con Frerin. Alla fine entrambi concordiamo per un thriller dal titolo accattivante e ci sistemiamo sul divano mentre il film inizia, entrambi seduti ai lati opposti.

Bilbo a dire il vero è praticamente rannicchiato su se stesso e stringe tra le mani una ciotola di pop corn che finiscono nell’arco dei primi dieci minuti, ma a parte qualche commento qua e là non sembra seguire davvero il lungometraggio. E nemmeno io lo faccio.

Passiamo tutte e due le lunghe ore del film a lanciarci sguardi di nascosto, un po’ come la prima volta che siamo usciti insieme e ho concesso a me stesso di credere davvero di poter trovare qualcosa di buono in tutto questo casino che è diventata la mia attuale vita.

Gli occhi di Bilbo, timidi e impacciati, mi cercano quando credono che sia preso dal film, e quando li colgo fissi sulle mie labbra scattano subito via, le guance che gli si colorano lievemente di rosso, e da quel momento restano fissi sullo schermo.

Io, invece, mi prendo tutto il tempo che voglio per osservarlo come non ho mai fatto prima d’ora. Lascio stare completamente il film dopo i primi venti minuti, e i miei occhi non fanno che sfiorare lentamente e con attenzione quasi maniacale ogni suo più piccolo dettaglio, le minuscole lentiggini che gli attraversano la pelle candida, i lenti ricci ramati, quegli occhi blu troppo imbarazzati per incontrare i miei.

Lui non se ne accorge, o forse semplicemente non gliene importa, oppure è troppo imbarazzato per rendersene conto, e io rimango a guardarlo, e questo mi calma più di quanto voglia ammettere anche solo a me stesso.

Poterlo guardare, guardare il suo corpo minuto e sottile da ragazzino e il suo viso così familiare nonostante l’abbia visto relativamente poche volte, mi infonde una serenità e una sensazione di pace incredibili.

Resto così, lo sguardo perso su di lui, fino a quando i titoli di coda non mi richiamano alla realtà e Bilbo non si stiracchia, simulando una tranquillità che a giudicare dal rossore sulle sue orecchie non prova davvero, e io mi costringo a distogliere lo sguardo.

“Bel film.” commenta semplicemente, come se l’avesse davvero seguito con attenzione “Anche se c’erano dei buchi di trama enormi. Lo sceneggiatore dovrebbe allenarsi un po’ di più.”.

“Scommetto che tu avresti saputo come riempirli.” lo prendo lievemente in giro, tentando di adattarmi al suo tono normale e rilassato.

“Certo.” afferma sicuro di sé “Tempo fa ho scritto una sceneggiatura per un film d’azione. È divertente e non troppo difficile, se uno riesce a ricordarsi che sta scrivendo per degli spettatori e non dei lettori.”

Accenno un sorriso di fronte alla sua sicurezza e a quell’orgoglio malcelato che traspare dalle sue parole solo quando parla della scrittura. Poi, mi viene in mente una cosa e aggiungo, con finta noncuranza “Sai, Fili mi ha prestato la sua copia di ‘Cuore d’inchiostro’. Ha detto che glielo leggevi la sera quando gli facevi da babysitter. Davvero gli facevi da babysitter?”

Bilbo sobbalza, sorpreso, e finalmente si volta verso di me “Oddio, ce l’ha ancora? Credevo l’avesse buttata.” commenta abbastanza stupito, per poi stringersi nelle spalle “Comunque sì, davvero. Ho conosciuto Dis quando ho iniziato a scrivere, e tra una cosa e l’altra le ho dato una mano con i ragazzi quando erano ancora piccoli.”.

Un piccolo sorriso spontaneo gli illumina il volto, mentre ripensa a quel periodo ormai così lontano, e continua quasi intenerito “Fili aveva otto anni, Kili appena tre. Erano due piccole pesti adorabili, e più che essere un babysitter ero una sorta di complice di giochi ed avventure. Pian piano siamo cresciuti insieme, anche se la differenza d’età era comunque abbastanza. Abbiamo finito per passare molto tempo insieme quando sono diventati adolescenti, sono entrati nella mia cerchia di amicizie come delle piccole mascotte e ora siamo la tipica pazza combriccola che sembra uscita da una scadente commedia americana.”.

“È una bella cosa.” osservo, e lo penso davvero, e in qualche modo il pensiero che i miei ragazzi abbiano avuto Bilbo a tenerli d’occhio quando io e Vili non potevamo farlo mi fa sentire stranamente in pace.  Mi costringo a tentare di scacciare quella sensazione e osservo, cercando di prenderlo in giro “Anche se così devo considerarti una sorta di nipote adottivo, e la mia già citata teoria sulla tua somiglianza con uno scolaretto si rafforza sempre di più.”

“Ehi!”

Ridacchio alla sua espressione offesa, ma vedendo che non accenna a scomparire decido di riprendere la questione romanzo, nel tentativo di rimetterlo a suo agio “Comunque quel libro è davvero ancora esistente . . . non del tutto integro, però.”

Il viso dello scrittore si rilassa finalmente, almeno un po’, e fa una smorfia divertita mentre si tamburella l’indice sulle labbra, quasi stesse cercando di ricordare qualcosa. “È vero, una volta Kili e Fili hanno giocato a tiro alla fune con il libro al posto della fune. Gli hanno strappato la copertina e l’introduzione.” spiega “E Fili si divertiva a tagliare con le forbici gli angoli delle pagine. Ah, e Kili ha vomitato sulle prime pagine del terzo capitolo dopo una scorpacciata di caramelle gommose. Sì, direi che ne ha passate proprio tante, quel povero libricino.”

“Uhm” non avendo ancora sfogliato il volume, non mi ero ancora reso conto di questi particolari “Eviterò quella parte, allora.”

Questo coglie di sorpresa Bilbo, che mi lancia un lungo sguardo sorpreso “Quindi hai davvero intenzione di leggerlo?” chiede infine, inclinando appena la testa.

“Sì, certo.” rispondo molto semplicemente “Perché, non dovrei?”

Improvvisamente le guance gli si colorano di rosa e i suoi grandi occhi blu fuggono lontano, come se non avessero la forza di incontrare i miei “No, cioè, sì, c-cioè . . .” balbetta, senza riuscire a trovare le parole “N-non devi sentirti costretto solo perché l’ho scritto io o roba simile.”

L’ennesimo sorriso spontaneo, di nuovo. Non posso trattenerlo, non di fronte a un Bilbo imbarazzato e balbettante. Mi faccio appena più vicino, non troppo per non sembrare invadente, ma abbastanza perché lui possa rendersene conto “Voglio leggerlo perché sono sinceramente curioso.” ribatto, anche se si sarebbero infinite altre ragioni, ragioni che però lui non è pronto a sentire e forse nemmeno io ad ammettere davvero “E poi voglio sapere come mai il rinomato signor Baggins, dalla vena maliziosa così marcata, sia diventato uno scrittore di tanto successo senza scrivere romanzi erotici.” aggiungo, il tono volutamente scherzoso.

Lo scrittore a questo punto diventa completamente rosso e grida un scandalizzato “Thorin!”.

Scoppio a ridere, senza più riuscire a trattenermi, e lui mi rifila immediatamente una gomitata vendicatrice nel fianco sinistro, forse nel tentativo di zittirmi.

 

Quasi senza rendermene conto, mi porto la mano al fianco, che pulsa piacevolmente.

Quando ero sul campo gomitate, schiaffi, pugni e piccole risse erano un po’ il nostro linguaggio segreto, l’unico modo che avevamo per scherzare, mostrare affetto o sollievo, sostenere quel peso insopportabile che eravamo costretti a portarci dietro giorno dopo giorno.

Non si parla, in guerra. In mezzo al sangue e la morte le parole perdono senso e significato, e tutto quello che ci resta sono le azioni, i piccoli gesti. Qualsiasi contatto andava bene, per noi soldati, purché ci ricordasse che non eravamo soli, in quell’inferno fin troppo tangibile.

Non parlavo mai, prima di guidare un’offensiva, ma stringevo il braccio ad ognuno dei miei ragazzi, una silente promessa che sarebbero tornati. Quando tornavamo da un missione, Dain mi rifilava sempre lo stesso doloroso pugno alla spalla, e Watson rassicurava i feriti con pacche delicate e minuscoli sorrisi. E quando ero appena una recluta, Vili mi scompigliava sempre i capelli cortissimi.

Sono passati mesi dall’ultima volta che qualcuno mi ha toccato così.

Erano mesi che nessuno mi colpiva per scherzo, quasi temendo che un semplice tocco potesse mandarmi in frantumi. Erano mesi che nessuno mi toccava davvero, se non per assicurarsi che stessi bene o per stringermi la mano.

E poi, ecco Bilbo, che lo fa come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Lui, l’unico a non trattarmi come se fossi qualcosa di delicato, sul punto di rompersi da un momento all’altro.

 

Mi poggio contro lo schienale del divano, borbottando un “Dai, lo sai che scherzo.” e trattenendo l’ennesimo sorriso alle sue promesse di vendetta.

Lascio che il mio sguardo scivoli da lui al resto della stanza, che è così dannatamente piena di Bilbo da lasciarmi senza fiato, e mi viene spontaneo dire “Mi piace la tua casa. Ha un che di confortevole.”.

Questo sembra placarlo, perché mi lancia un’occhiata sorpresa ma anche lievemente soddisfatta, mentre il rossore diminuisce piano piano, e un piccolo sorriso gli incurva le labbra carnose.

“Grazie.” risponde, guardandosi attorno quasi con affetto “È un po’ piccola, incasinata e folle, ma è comunque casa.”

Come te. penso, ma non ho il coraggio di dirlo, non ad alta voce almeno.

“Mi piace proprio per questo.” mi limito a ribattere, e qualcosa di caldo illumina quegli occhi di zaffiro, adesso di nuovo fissi su di me.

Un momento di silenzio, e poi Bilbo sussurra con voce seria e senza mai distogliere lo sguardo dal mio “Allora puoi venire qui quando vuoi. Prendilo un po’ come un rifugio segreto quando il resto del mondo si fa troppo opprimente.”.

Questa offerta, così spontanea e così inaspettata, mi coglie completamente di sorpresa come quando, quasi un mese fa, durante quella videochiamata improvvisata mi aveva offerto la sicurezza di casa sua senza quasi pensarci.

“Perché?” non posso fare a meno di chiedere.

Si passa una mano tra i ricci ramati, scompigliandoli un po’ “So bene come ci si sente quando si ha bisogno di scappare almeno un po’ in un posto sicuro.” spiega molto semplicemente “E se vuoi, questo può essere il tuo, di posto sicuro.  Almeno ogni tanto, fino a quando non ne troverai uno migliore. Possibilmente che non somigli a una soffitta un po’ grande trasformata in libreria.” aggiunge, accennando a un sorrisetto complice.

“E il tuo rifugio qual è?” chiedo, perché non voglio soffermarmi su tutto quello che queste parole potrebbero nascondere, né sulla tempesta che hanno appena scatenato dentro di me, né sul modo in cui i suoi occhi sembrano letteralmente incapaci di lasciare andare i miei.

La sua risposta è immediata, e rivelata senza un pizzico di incertezza “Le storie. Tutti quei mondi fantastici che nascono dalla fantasia sono sempre stati il mio rifugio segreto, fin da quando ho memoria.”.

Inclino appena la testa, studiandolo attentamente. In qualche modo, lo sapevo già. Ma sentirglielo ammettere, stranamente, fa quasi male. E non capisco perché. “È per questo che sei diventato uno scrittore? Per avere sempre nuovi posti sicuri in cui scappare?”.

“Non esattamente.” si stringe nelle spalle, e dopo un momento di esitazione chiede “Tu perché sei diventato un soldato?”.

Trattengo il fiato, e per un attimo sono tentato di rifiutarmi di rispondere. Ma poi mi perdo ancora nei suoi occhi, e le parole escono da sole dalle mie labbra prima che io possa fermarle “Perché era l’unica strada per uno come me. L’unico vero futuro che vedevo davanti. Perché rendeva la mia vita completa, e gli dava un senso, un valore, un significato. Perché combattere era tutto quello che sapevo fare, e mi fa . . . mi faceva sentire vivo.”.

Bilbo annuisce, come se l’avesse sempre saputo e stesse soltanto cercando una conferma “Per me è lo stesso.” ammette, ripagando la mia sincerità “Scrivere non è solo un modo per fuggire, è il mio giubbotto di salvataggio. Senza di essa, affogo. La scrittura è l’arma di chi è spezzato dentro e nonostante tutto cerca ancora di rimettere insieme i pezzi. Le parole mi hanno sempre tenuto vivo, nonostante tutte le ferite, e così ho fatto delle parole la mia vita.”.

Qualcosa, in quelle parole, mi colpisce come una pugnalata, e non posso fare a meno che avvicinarmi un altro po’ a lui e a cercare i suoi grandi occhi blu.

“Sei spezzato dentro, Bilbo Baggins?” sussurro quasi con urgenza, e quando vedo i suoi occhi chiudersi per un momento sento qualcosa dentro di me urlare.

Ma poi, lo scrittore riapre gli occhi, e in essi vedo riflesse solo una calma rassegnazione e una forza antica, impossibile da incrinare.

“Tutti abbiamo le nostre ferite.” afferma con decisione, senza però rispondere davvero alla mia domanda “Sta a noi impedirgli di buttarci a terra e cercare di curarle nei migliori dei modi.”.

Ripenso a tutte quelle ferite mai guarite che mi porto addosso e dentro, e in questo momento mi sembra così impossibile vederle rimarginarsi che le sue parole mi appaiono solo delle vuote promesse, simili ai fantasmi dolci e dolorosi che vedo ogni volta che chiudo gli occhi.

“E quando non siamo capaci di curarle?” mormoro, distogliendo lo sguardo e stringendo con forza i pugni.

Bilbo resta in silenzio, ma poi le sue mani macchiate di inchiostro si posano sulle mie e le stringono delicatamente, come se stessero sfiorando il più prezioso dei tesori. Non posso fare altro che osservare quasi incantato le mie mani, le mani che hanno stretto tante armi e portato tanta morte ormai inutili, strette tra le sue dolci e gentili, il cuore prigioniero di una sensazione che ho provato così forte solamente nei miei sogni.

La voce di Bilbo, quando riprende a parlare, è dolce come un canto antico e mi spinge a rialzare lo sguardo per perdermi di nuovo in quei grandi occhi blu.

“Bisogna trovare qualcosa che le addolcisca, almeno un po’.” sussurra, accarezzandomi appena il dorso della mano destra col pollice, in una timida e tenera carezza “Qualcosa che ci insegni di nuovo come respirare.”

Puoi essere tu il mio qualcosa?

Puoi essere tu a salvarmi, ora che non ho la forza di salvare me stesso?

Potrei dirlo, potrei davvero dirlo.

Quelle parole sono lì, sulle mie labbra, pronte per essere pronunciate, ma alla fine restano incastrate tra un respiro e l’altro.

Ma non c’è veramente bisogno che io lo dica. Perché dentro di me so già la risposta. Forse l’ho sempre saputa, fin da quando ho guardato in questi maledetti occhi di zaffiro per la prima volta.

 

Ho sempre fatto attenzione a chi lasciavo entrare nella mia vita e soprattutto nel mio cuore, quella vecchia cosa rovinata che mi porto dietro come un peso e di cui spesso vorrei liberarmi.

Ho sempre limitato i miei sorrisi a poche persone, i pochi capaci di conquistarsi la mia fiducia e quell’affetto che ho negato per tutta la vita, se non a quella manciata di persone che mi porto dentro.

Ho sempre posto un muro di cemento tra me e il resto del mondo, per timore di un’altra pugnalata, un’altra delusione, un’altra ferita.

 

Eppure, con Bilbo sento di non averne più bisogno.

Con lui, so di potermi fidare.

Non so come o perché, ma è così.

Non ha bisogno di conquistarsi la mia stima o il mio affetto, perché già gli spettano, in modo incondizionato.

Non ho idea di come abbia fatto, ma si è infiltrato nella mia vita senza che potessi tenerlo lontano, sta buttando giù quel muro con i suoi sorrisi spontanei, i suoi ricci ramati e quei occhi che gridano al mondo sincerità.

Non ha bisogno di lottare per un mio sorriso, perché ne è diventato l’unica ragione quasi senza che me ne rendessi conto.

Non deve entrare nel mio cuore, perché sento che giorno dopo giorno, sorriso dopo sorriso, sguardo dopo sguardo, lo sta facendo, lentamente ma inesorabilmente, suo.

Non so come o in che modo, ma questa sensazione è così forte, dentro di me, e al contempo così stranamente antica, che non ho difficoltà a capire che in realtà è così.

Bilbo Baggins mi sta rubando il cuore, e io non ho alcuna intenzione di impedirglielo.

 

 

o0O0o.

 

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:02

Davvero hai iniziato il tuo primo libro con ‘c’era una volta’?

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:10

Non ci credo, lo stai leggendo sul serio!

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:12

Certo. Ti avevo detto che l’avrei fatto. Ma davvero, ‘c’era una volta’?

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:13

Oh, finiscila. È un inizio classico, ma funziona sempre.

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:14

Per chi non ha fantasia, forse.

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:15

Supera la prima riga, e poi ne riparliamo. Mi hai scritto solo per criticare l’incipit del mio primo romanzo scritto quando avevo appena 15 anni?

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:17

Sono già al quinto capitolo, veramente. Quando il protagonista salva la vita a quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio, per essere precisi. E comunque no, non ti ho scritto solo per questo. Volevo ringraziarti.

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:18

Per cosa?

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:20

Per oggi. Mi hai fatto stare bene come non mi succedeva da tanto tempo. Sei stato come una boccata di ossigeno dopo ore ed ore sott’acqua.

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:22

Non devi ringraziarmi. Volevo solo farti sorridere, almeno un po’.

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:23

Ci sei riuscito. Ci riesci sempre.

 

 

  
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