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Autore: Elphie94    03/07/2017    0 recensioni
[Modern!AU] Considerato il più grandioso genio del nuovo secolo, Erik Danton vive recluso, nascondendo al mondo la ragione della sua volontaria segregazione. La sua vita cambia quando vi entra a far parte Meg Giry, una ragazza spavalda e apparentemente senza regole, che diverrà la sua nuova (quanto involuta) allieva. Tra i due non scorre buon sangue, ma nessuno, neanche Erik, può prevedere il futuro...
[Edit 2020: lievi correzioni e modifiche al testo.]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erik/Il fantasma
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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xii.


I mesi trascorrono come le foglie che cadono dagli alberi, e l'estate torrida subisce una metamorfosi: come una crisalide che si squarcia adagio, così entra l'autunno nelle case di Parigi, e anche in quella di Erik. Meg si ripara dal freddo incombente col suo solito giubbotto di pelle nera, gli anfibi dello stesso colore al posto dei sandali che le scoprivano i piccoli piedi callosi. Diventa una pianista sempre più abile, e frequenta la Maison Danton più spesso del normale. A volte Dany è con lei, ed Erik è lieto di raccontare alla bambina le meraviglie che ha visto nei suoi viaggi. Ovviamente, non parla della ragione per cui viaggiasse così lontano e così spesso. Dany sa che c'è qualcosa che non va con la sua faccia, e non poche volte, mentre siede sulle sue ginocchia, gli sfiora la maschera come a voler indovinare cosa vi cela dietro.
Ma non lo vedrà mai. Questo è il solo pensiero che sia di conforto ad Erik.
L'autunno scivola via come su una lastra di ghiaccio, e arriva Halloween. Meg costringe Erik a vedere una sfilza di film di Tim Burton, che gli rivela essere uno dei suoi registi preferiti, e davvero Nightmare Before Christmas è molto appropriato al giorno che festeggiano. Erik canticchia Re del blu, re del mai finché Dany non si addormenta sul divano, la testa appoggiata ad una sua gamba magra. La piccola dorme splendidamente, tanto che la madre è restia a svegliarla.
«C'è una cosa che non ti ho mai chiesto.» La voce di Meg è appena un sussurro, attenta a non svegliare la bambina. Le accarezza gentilmente il nugolo di capelli ricci, seduta accanto ad Erik sul divano.
«Cosa mai attira la tua curiosità, Meg?»
«Quand'è il tuo compleanno? Il mio è il tre gennaio, non so se te l'ho mai detto. L'anno prossimo compirò venticinque anni.» Sorride come se avesse raggiunto un traguardo. «E tu?» Corruga la fronte. «É incredibile che non te l'abbia mai chiesto.»
Erik si rabbuia. «È un'occasione a cui preferisco non pensare.»
Meg si fa seria. «Ma è il tuo compleanno. Persino io sono entusiasta all'idea. Quanti anni compi? O è maleducato chiederlo?» Sorride serafica.
Lui sospira. «Quarantasei.»
Lei scoppia a ridere con la sua risata luciferina. «Sei vecchio. Sei proprio vecchio.» Gli dà una spallata amichevole.
«Ma zitta» dice Erik scuotendo il capo. Non vuole pensare alla loro differenza d'età, gli fa venire il mal di testa. «Comunque, è già passato.»
«E non mi hai detto niente? Oh, avanti!» Meg si morde un labbro, improvvisamente contrariata. «Non ti ho fatto un regalo.»
«Meg, davvero, non è importante.»
«Certo che lo è, invece.» Lo guarda di sottecchi. «C'è qualcosa che ancora non mi hai detto? Esiste un motivo per cui odi il tuo compleanno o devo indagare negli anfratti della tua mente labirintica tipo Freud?»
«Sei davvero insistente.» Erik sospira, strofinandosi il naso. Beh, se avesse un naso. In questo caso, ha solo la maschera. «La gente è fortunata ad avere un naso tutto proprio.»
«Che cazzo dici?»
«Lascia perdere. Pensavo ad alta voce.»
«Sono incredibile, lo so, ma neanch'io posso regalarti un naso per il tuo compleanno.» Meg scuote il capo mentre Erik alza gli occhi al cielo. È un argomento che lo urta, e lei è bravissima ad urtare gli altri quando vuole. Questo dovrebbe saperlo.
Lei gli sfiora una spalla, improvvisamente seria. «Cosa c'è? Non ti va di parlarne?»
«No… Sì. Non lo so. Ti ho già detto tanto…»
«Non tutto.»
«Non sei un prete, non sono costretto a confessarmi con te.»
«Divertente.»
«E non sei neanche la mia terapista.»
«Dovresti contattare la dottoressa Laurent. Ti farebbe bene.»
«Tanto ci sei tu che le dici tutto.»
«Ah, certo, ora sono io che parlo troppo. Hmm.»
Meg gli tamburella le dita sulla spalla. Tic tac — sono entrambi troppo magri, riflette Erik con gli occhi socchiusi. Lei è bella, certo, non una creatura orrida come lui, ma gli fa piacere che abbiano in comune almeno questo.
«Il giorno in cui mia madre mi rivelò la mia vera faccia allo specchio… era il mio sesto compleanno.»
Meg rimane per qualche attimo senza fiato, le labbra dischiuse a formare un piccolo oblò. Poi arrossisce di vergogna.
«Non avrei dovuto pungolarti in proposito, non in quel modo. Sono stata insensibile.»
Erik scuote il capo mestamente. «Non potevi saperlo.»
«Voglio rimediare. Me lo permetti?» Lei non attende il suo assenso e si mordicchia un'unghia già rovinata — ah, lo stato delle sue povere cuticole. «Ti farò un regalo.»
«Guarda che non sei costretta.»
Meg non sembra ascoltarlo. «Un regalo speciale. Hai detto che il tuo compleanno è già passato, vero? Deve cadere tra i primi giorni di novembre.»
Lui annuisce, cauto.
«Cos'hai in mente?»
Lei sorride, accarezzando di nuovo i capelli di Dany. «Vedrai.»
«Devo preoccuparmi?»
«Ma no.»  
Nel dubbio, si preoccupa. Con lei, non si può mai sapere.


Come gli spiegherà qualche giorno dopo, lo porta in una pizzeria. Una dove ha organizzato tutto: un'area appartata, non ci sarà nessuno… E conosce il proprietario, beninteso. Quindi non deve essere in pensiero per la sua (maledetta, orrida) faccia.
«Nessuno vedrà nulla, è una cosa privata. D'accordo?»
Lui acconsente, sebbene sia nervoso — non che lo ammetterebbe mai, ovviamente. Non esce fuori da una vita… e non con una donna. Anche se non è un appuntamento, ma solo un piccolo regalo di compleanno.
Quando va a prenderla in taxi — lei lo avverte che per quella sera non userà la solita motocicletta — si stupisce nel vederla uscire dal suo appartamento con un abito rosso e grazioso sotto la pelliccia nera sintetica. È ben truccata e pettinata: i capelli corvini le ricadono sulle spalle in onde morbide che le contornano il viso coperto di fondotinta color bistro. E porta i tacchi. Non le ha mai visto qualcosa di simile indosso, prima. Deve farsi forza per non pensare che si sia abbigliata in quel modo per lui — ma no, la sola idea è ridicola.
Meg sale nell'abitacolo del taxi e riferisce all'autista l'indirizzo della pizzeria. Gli rivolge un bel sorriso, davanti al quale lui si sente sciogliere in modo alquanto ridicolo. «Allora, sei pronto?»
«Parli come se dovessimo fare un giro su delle montagne russe.»
«Anche quello sarebbe piuttosto grandioso, e ho pensato a un lunapark, ma… sai, non sei più un ragazzino. Non so se lo zucchero filato ti farebbe felice. E poi, sulle giostre, il naso finto… chissà, volerebbe via.» Scoppia in quella sua caratteristica risata roca e lui scuote la testa, anche se non è offeso sul serio.
Raggiungono la pizzeria Da Antonio — è italiano? — in poco tempo. È Erik a pagare il taxi, naturalmente — Meg lo lascia fare volentieri perché sa che è molto più ricco di quanto lei potrà mai essere, e ne approfitta — e insieme entrano nel piccolo ristorante. Che, come Meg aveva promesso, è chiuso per la serata eccetto che per loro due.
«Antonio.» Meg fa un cenno del capo alquanto amichevole ad un uomo grosso il doppio di lei, che sembra la mediocre caricatura Hollywoodiana di un boss della malavita. In realtà è una persona perbene, e sembra lieto nell'apprendere che Erik, tra le tante lingue, conosce anche l'italiano. Meg lo guarda ammirata mentre scambia qualche parola con il proprietario, e lui cerca di dimenticare la lucentezza dei suoi occhi neri, incorniciati da lunghe ciglia da gatta — l'eyeliner e il mascara le risaltano di molto lo sguardo, non può fare a meno di notare.
«Puoi toglierti la sciarpa e gli occhiali da sole» lo incoraggia lei sfilandosi il cappotto. Si siedono in un posticino appartato, ma grazioso quanto il corpicino di Meg avvolto nel morbido abito rosso.
«Hmm.»
«Qui sei al sicuro.»
Erik tentenna, ma le crede. Si sfila delicatamente la sciarpa e gli occhiali dal viso deturpato, posandoli a terra. Spera tanto che lei non gli vomiti addosso, ma non ha alcuna reazione.
«Voglio una Diavola. E una birra, assolutamente. E tu?» dice mentre scorge rapidamente il menù. Lui sbatte le palpebre, incerto se sia un sogno o meno.
«Vino. Creda che mi serva del vino.»
Mangiano e chiacchierano e bevono tutta la sera, con in sottofondo della romantica musica napoletana. Troppo romantica, in effetti, per un'uscita con un'amica, ma… a chi vuol darla a bere? È il regalo più bello che abbia mai ricevuto: un pizzico di normalità, ecco cosa gli serviva. E sebbene tremi, la accetta con gratitudine.
Ridono insieme e poi, una volta che Antonio ha portato loro il conto, battibeccano con furia su chi dei due debba pagare.
«Normalmente lascerei pagare te, visto che hai i soldi che ti escono anche dal buco del culo, ma è per il tuo compleanno. No, non ne se parla: è un regalo.»
«Non ti permetto di pagarmi la cena. Sono più vecchio di te e molto più ricco, spetta al sottoscritto.»
Alla fine si accordano per pagare ciascuno la propria metà: è meglio così. Erik si riavvolge la sciarpa attorno alla bocca e si calca il cappello in testa.
«Chiamiamo un taxi?» gli chiede lei, mentre lui l'aiuta ad infilarsi la pelliccia, ma ha un'altra idea. Non sa se sia buona o meno, ma…
«Prima di andare a casa, vorrei portarti in un posto. Una sorpresa.»
Meg sbatte le palpebre. «D'accordo.»
Erik sussurra l'indirizzo al tassista di modo che lei non origli, poi le sorride in modo saputo. «Non è nulla di sensazionale, ma… è un modo per ripagarti.»
«Non devi ripagarmi di nulla. È stato… piacevole. Molto.» Sbaglia, o un vago colorito roseo le si diffonde sulle guance?
Lei ride quando lui si scioglie il nodo alla cravatta e le benda gli occhi — col suo consenso, ovviamente.
«Ma dove mi porti?» chiede divertita. Lui la conduce per mano attraverso un passaggio segreto di sua conoscenza, lungo rampe di scale e corridoi bui.
«Eccoci. Come puoi ben vedere, non era nulla di particolarmente grandioso.»
Lei sbatte le ciglia, aggrottando la fronte. Si volta verso di lui con un sorriso.
«Ma siamo sul tetto dell'Opera Garnier.»
«Sì. Il luogo che più preferisco al mondo, eccetto la mia dimora. Vedi…» appoggia i gomiti sul parapetto, indicandole il paesaggio su cui affaccia. Parigi è uno sfarfallio dorato nella notte. «Sognavo di venire qui, da bambino. Di suonare e di vedere messe in atto le mie opere in questo teatro. Credevo fosse irrealistico e patetico, ma…»
«Eccoti qua.»
«Già.»
Rimangono a guardare il panorama per un po', frastornati da tanta bellezza.
«Danza con me.»
Lei gli tende una mano, ma lui sbatte le palpebre, perplesso, come se non capisse cosa gli stia dicendo.
«Oh, non dirmi che non sai ballare. Un uomo come te… Non posso credere che ci sia anche una sola cosa al mondo che tu non sappia fare.»
«Mi stai sfidando?»
«Secondo te?»
Erik scuote il capo, ma accetta la stretta della mano sottile di lei, che si accinge a sfilare il cellulare dalla borsetta e trovare qualche musica adatta.
«Soul… potrebbe andare. Che ne dici?»
Lui annuisce. Lei sorride e gli prende entrambe le mani: lo fa oscillare leggermente, mentre le note di At last di Etta James gli pulsano nelle orecchie.
«Ah, questa canzone è deliziosa.»
«Sapevo che ti sarebbe piaciuta.»
Si guardano negli occhi per qualche istante. È così piccola in confronto a lui — o è lui ad essere troppo alto? — che quasi non gli arriva alla spalla, malgrado i tacchi. Inutile dire che non ha mai ballato con qualcuno, prima, né qualcuno lo ha mai invitato. Erik sorride e canticchia sottovoce, coprendo il potente strumento di Etta James. Bello, sì, ma mai quanto il suo. Lei gli posa il capo sul petto — gli mozza il fiato in gola, così. Erik deglutisce — spera, non rumorosamente.
«Non avresti mai ballato con me se non avessi indossato la maschera.»
«Come?»
Lei scoppia in una risata roca e calda e gli batte un dito sul petto. «Ma sì. Non mi avresti notata nemmeno. Saresti stato troppo impegnato con qualche bella coscia lunga… Io sarei stata parte delle pareti di questo teatro, e tu un vero Don Giovanni.»
«Non è vero.»
«Sì che lo è.»
«No che non… Ah. E va bene. Sì, è vero, lo ammetto. Sono terribile.»
Lei ride e annuisce con insistenza. «Ammettere i propri difetti è il primo passo per una salutare relazione personale con se stessi, Danton. Bravo.»
«E questo chi te l'ha detto, la Laurent?»
«No, tutto made in Giry
Le ultime note del brano gocciolano via come rugiada dai petali di un fiore, riempiendo i loro timpani di suoni che tendono i muscoli dell'anima con delicatezza innata. Erik non è un uomo paziente… ma la musica esprime per lui i sentimenti a cui non riesce a dare voce.
Terminato l'anomalo lento, Meg lo guarda con un'espressione grave che gli provoca nel petto un subdolo frastuono, come una tempesta, o il palpitare rapido del suo cuore contro la cassa toracica. Sembra ponderare qualcosa, immobile. Dopodiché si divincola dalla lieve presa di lui sul suo vitino sottile e sorride nel suo solito modo saputo.
«I tacchi non mi fanno bene. Non ci ho mai ballato sopra.»
«Andavi in discoteca con gli anfibi?»
«Assolutamente sì.»
«Non hai il minimo senso estetico.»
«Certo che ce l'ho. Solo che, guarda caso, non coincide con il tuo.»
Battibeccano familiarmente fino all'arrivo del taxi — lui le presta il cappotto perché si ripari dal freddo della sera che muta in notte, con una gentilezza di modi che lei non si aspetta. La cosa la fa arrossire lievemente, o forse è un riflesso della luce dei lampioni, chissà. O magari troppo blush sugli zigomi affiliati.
Durante il tragitto in auto, Erik riflette se accompagnarla o meno fino alla porta del suo appartamento. L'etichetta lo vorrebbe, ma… sarebbe come un appuntamento. Uno vero. O forse è lui che è troppo all'antica — di queste cose conosce solo ciò ha appreso dal cinema e dalla letteratura, due fonti non affidabili.
Frattanto, Meg blatera di musica e affini. Di solito il silenzio non turba nessuno dei due, ma lei sembra non avvedersi dello stupido, stupidissimo dilemma interno di Erik.
«Rent1 è un gran bel musical. Dovresti concedergli una possibilità.»
«Lo farò.»
Sono arrivati a casa di Meg. Lui si decide e l'accompagna fino alla porta, mentre lei gli porge il cappotto che le ha prestato.
«Grazie.»
«Nessun problema.»
Ah, ecco giunto il momento dei saluti: critico. Se fosse un vero appuntamento e lui avesse fatto colpo, lei lo inviterebbe ad entrare in casa. Erik arrossisce al pensiero — che cosa ridicola.
«Che dire…» esordisce Meg, contorcendosi le dita. «Ti è piaciuto il tuo regalo di compleanno?»
«É stato ben accetto.» Erik non se la sente di spingersi oltre.
Continuano a guardarsi per qualche attimo fin troppo prolungato, il silenzio come un sudario su di loro.
Finché lei non gli si avvicina e gli posa un bacio delicato su una guancia.
Erik rimane raggelato, muto come una belva addomesticata a cui hanno brutalmente strappato la lingua. Ma per nessuno sarebbe facile domarlo, vero?
Meg gli sorride, imbarazzata.
«Ci vediamo presto. La prossima volta ti faccio ascoltare Rent. Credimi, sono ossessionata.»
«Ci credo» gli assicura lui. Quel bacio è il regalo più bello che potesse fargli: non desidera nulla in cambio, solo la sua amicizia.
Meg lo saluta con un cenno del capo e svanisce oltre la soglia del suo appartamento in un turbinio di tacchi e mascara.
Erik sbatte le palpebre alla luce dei neon, malgrado gli occhiali facciano da scudo ai suoi occhi dorati. La ragazza deve aver bevuto troppa birra, non c'è che dire.



Note dell'autrice: 1Rent: Musical rock del 1996, scritto da Jonathan Larson, ispirato a La bohéme di Giacomo Puccini. Nella versione originale avevo inserito un riferimento ad un altro musical, ma ricorreggendola a circa due anni di distanza posso dire che Rent rientra di più nei gusti e nella personalità di Meg.
   
 
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