Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Zena    03/07/2017    0 recensioni
Tic, tic. Tic. L'ultima goccia s'infrange contro la base del lavandino, scivolando lenta verso la piletta. Le dita affusolate e tremanti del mago sono arpionate alla ceramica; il viso contratto in una smorfia, invece, evita accuratamente d'incontrare il proprio gemello nello specchio.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Tic, tic. Tic. L'ultima goccia s'infrange contro la base del lavandino, scivolando lenta verso la piletta. Le dita affusolate e tremanti del mago sono arpionate alla ceramica; il viso contratto in una smorfia, invece, evita accuratamente d'incontrare il proprio gemello nello specchio.
Uno, due, tre. Conta piano, cercando di non lasciarsi prendere dal panico. Uno, due, tre. Né il labbro tumefatto né le sfumature violacee sotto la palpebra hanno dato cenno di svanire: una parte di sé lo rimprovera per non essere corso in Infermeria, data la gravità delle ferite, ma l'altra, quella più orgogliosa e risentita, gli rammenta che non può mostrarsi sconfitto di nuovo. Uno, due, tre. Se si concentra, riesce ancora a distinguere delle screziature vermiglie nell'asettica acqua intenta a scivolare via giù dal tubo di scarico. Ha deciso che non sa curare quelle dannatissime ferite da solo e ha anche deciso, alla fine, che uscirà da quel bagno lo stesso. Così gli altri potranno bisbigliare Ha avuto ciò che si meritava e i callosi palmi di chi gli ha sfregiato il volto verranno accolti da calorose strette di mano.
«Per Merlino, Malfoy!»
Uno, due, tre. La mascella del giovane viene contratta in un movimento istantaneo nel frattempo che questo si volta verso la professoressa. Minerva McGonagall lo osserva dal fondo del corridoio, lo sguardo vagamente velato di preoccupazione. Non ha mai apprezzato il comportamento del ragazzo, ma ciò non significa che gioisca delle sue disavventure, specie se di quella portata.
«Che cosa le hanno fatto alla faccia?»
Uno, due, tre. Draco stringe le labbra fra di loro, forse per trattenere la tempesta di parole che s'è aggrovigliata sulla base della lingua, semplicemente prediligendo all'accusa un silenzio quasi stantio. Un paio di anni addietro non ci avrebbe pensato due volte a nominare i colpevoli. Oggi il colpevole è lui.
Fosse solo la faccia il problema, poi.
«Malfoy, per cortesia, risponda. È una cosa seria.» Un tono che non ammette repliche. A Draco non è mai piaciuto che gli si rivolgesse così: gli dà la sensazione di essere sotto controllo, sottomesso ad un'entità di cui è difficile liberarsi, quasi come una maschera. Lo fa sentire usato. Ed è stanco di essere usato.
«No, non lo è.» Esala, dopo ancora qualche attimo di silenzio. Fa per umettarsi le labbra, ma il bruciore che s'espande poi per tutta la bocca lo costringe ad una smorfia.
Minerva McGonagall non ha molta pazienza. «Non faccia il bambino. È evidente che qualcuno le stia dando fastidio e...»
«Ah, sì?» La disarmante apatia con la quale Draco interrompe la docente non è un riflesso solo del suo umore attuale, quanto più di una serie di circostanze che l'hanno portato a dover combattere quotidianamente con quella pesante sensazione di vuoto. Per quanto il vuoto possa essere pesante, s'intende. Se non ha senso, per lui tuttavia ha assunto un significato ben preciso.
Minerva sta per replicare qualcosa circa l'educazione e il rispetto dovuto agli adulti, ma qualcosa, in quel momento, la spinge a lasciar perdere. Piuttosto aggrotta la fronte, esaminando il rampollo con aria critica: «Lasci almeno che l'accompagni in Infermeria, non può girare per i corridoi in questo stato!»
Non s'oppone. Sebbene una crescente sensazione di vergogna si stia impossessando di lui, come veleno o malattia virale, Draco affianca l'anziana donna con l'intenzione di ignorare le decine di occhi puntati su di sé, tutti sull'attenti, tutti con la medesima ombra nello sguardo, tutti che, in sostanza, vanno sussurrando Ha avuto ciò che si meritava.

 

«Meno cinquanta punti a Grifondoro.»
«Cinquanta
«Sei diventata matta? È la tua stessa Casata!»
«No, sono serissima. E se continuate ve ne tolgo altri cento.»
«Non sei una professoressa, Granger. Non puoi farlo.»
«Vedi questa medaglietta qui? C'è scritto “Caposcuola”. E se non ve ne andate subito la Trasfiguro in una spranga e la uso per giocare a hockey con i vostri denti.»
Uno, due, tre. Inspira a fondo, Hermione, mentre appunta qualcosa sul proprio quadernetto, calcando la penna d'oca con talmente tanta forza da rovinarne la carta. Hopkins e Wilson sono ancora lì a fissarla atterriti, le mani che lentamente abbandonano la camicia del ragazzo che avevano precedentemente imprigionato contro la parete, nel probabile tentativo di inscenare una rissa. Lei non ha fatto in tempo a guardarlo in volto: il bullismo – specie nei confronti di chi non è nella posizione di difendersi da solo – la disgusta a prescindere, non importa chi si ritrova a impersonare le veci della vittima.
«Stai scherzando, spero.» Hopkins solleva un sopracciglio, lugubre. «Proprio tu, che sei stata considerata una degli eroi della guerra, adesso prendi le difese di Malfoy?»
Malfoy? La Grifondoro sposta finalmente il proprio sguardo verso il ragazzo incriminato, abbandonato a se stesso sul pavimento. Il suo respiro, affannato e irregolare, rimbomba nelle orecchie della fanciulla il ritmo dello stupore: uno, due, tre. Non vi è più traccia del primogenito spocchioso e arrogante che l'è parso di conoscere durante tutti questi anni. Hermione indurisce la mascella, tornando a guardare i due concasati con un'ombra di delusione nello sguardo. «Tu non hai capito proprio un bel niente della guerra, Hopkins.» Sibila, ancor più indispettita di prima. Sente la rabbia premere sulle base dello stomaco: non dovrebbe prendersela tanto, perché così come non apprezza il bullismo, poco le piacciono pure i codardi. Pensa che Draco abbia fatto delle scelte discutibili e di certo continua a disprezzare la posizione ch'egli ha assunto in passato, ma è convinta che non si meriti nulla di tutto questo. «Tanto imparerai in punizione, dato che non ho intenzione di fartela passare liscia. Te lo dico un'ultima volta, Hopkins,» e qui incrocia le braccia sotto al petto, «prendi il tuo amico e vattene, prima che vi tolga altri cento punti a testa
Uno, due, tre. Inspira. I passi dei Grifondoro spariscono in fondo al corridoio quando Hermione torna a rivolgere la propria attenzione a Draco, ancora immobile sul pavimento. La pelle, una volta diafana, è ora cosparsa di macchie rosse e viola: se fosse un'altra persona, e se questa fosse un'altra storia, probabilmente Hermione si sarebbe spaventata. Ciò che ormai fa paura, tuttavia, è che ormai s'è abituata alla violenza. Sono passati mesi dall'ultimo scontro, ma la guerra – per lei, per loro – non è mai finita.
Uno, due, tre. Inspira. «Malfoy, andiamo in Infermeria.»
Silenzio. Per la prima volta in vita sua, Hermione Granger non ha la più pallida idea di come comportarsi. Non si trova davanti una difficile equazione di Aritmanzia, o la risoluzione di un Incantesimo, una parola del tutto nuova oppure – ancora – una crisi di Ron, tutte cose che saprebbe gestire benissimo. Si trova davanti a Draco Malfoy, che, al contrario, ha sempre gestito malissimo, a prescindere dalla situazione e dal contesto.
Ci riprova. «Malfoy, ho detto...»
«Lo so benissimo cosa hai detto.» Si ritrova a costatare, con un po' di stupore, che persino la sua voce è cambiata: se l'arroganza non ne distorce le note, allora una pallida stanchezza arriva a fare ombra tra questa e quell'ottava. Ma Hermione non è la sua psicologa, così trattiene uno sbuffo e, inavvertitamente, gli afferra il braccio sinistro per spingerlo a sollevarsi. «Allora non sei sordo. Perfetto, perché dovresti proprio...»
«Non mi toccare!» Lo vede sgranare gli occhi e strattonare il braccio per liberarsi della presa, mentre, non senza difficoltà, si tiene al muro per rimettersi in piedi, preso da una frenesia quasi febbrile. Hermione ritira la mano, ben contenta di assecondarlo, ma non può negare – per un momento – di aver provato qualcosa di molto simile al senso di colpa. Eppure, si dice, non ha nulla di cui rimproverarsi: sta solo cercando di fare quello che avrebbe fatto con qualsiasi altro studente.
Decide di fare finta di niente.
«Devi andare in Infermeria. Se non lo fai le tue ferite peggioreranno e...»
«Non m'importa.»
Non gli importa? A Draco Malfoy, la cui primaria caratteristica è quella dell'auto-conservazione, non importa del viso tumefatto? «Non è vero.» Insiste lei, ravvicinando talmente tanto le sopracciglia tra di loro da formare un solco proprio in mezzo. È probabile che le verrà una qualche ruga, tante sono le volte ha assunto quell'espressione. «Devi andare in Infermeria.» Ripete.
E a quel punto scoppia a ridere. Sì, a ridere. Se non ha senso, per lui tuttavia ha assunto un significato ben preciso. Così ride, Draco, ride senza gioia, senza allegria, ride così forte che sente le costole fargli male – uno – e il viso bruciare – due – e la testa scoppiare – tre – e perciò ride, ride ché non c'ha senso, ride fintanto che il fiato glielo permette, sentendolo accartocciarsi in un angolo come carta stropicciata e poi persa. «Dio, Granger,» mormora alla fine, il viso che si svuota di qualunque espressione, come una marionetta dai fili recisi, «lasciami in pace...». E ride, ride ché non c'ha senso, ride fintanto che il fiato glielo permette, sentendolo accartocciarsi in un angolo come carta stropicciata e poi persa.

 

Questa volta è diverso.
Hermione è perfettamente consapevole di ciò mentre, con movimenti quasi meccanici, sposta la camicia impregnata di sangue quel che basta per permettere alle proprie mani di raggiungere i lividi. Il fisico asciutto ed esile del ragazzo nasconde giusto qualche muscolo dovuto forse al Quidditch, ma non è abbastanza per permettergli di difendersi dalle angherie altrui. O magari non vuole. Certe volte, si ritrova a pensare, Malfoy è proprio un mistero: non ha la più pallida idea di chi lui sia. Un po' come due sconosciuti che sanno a memoria il posto dove sorge ogni cicatrice che l'altro si porta appresso, senza però aver davvero ascoltato la storia che si cela dietro.
La sirena li guarda incuriosita dall'alto, imprigionata nel suo mondo di acrilico e pittura. Draco, sdraiato contro le mattonelle del bagno, è rimasto in silenzio per quasi tutto il tempo. Ha provato a ribellarsi quando Hermione l'ha praticamente trascinato lì dentro a forza, dopo averlo recuperato sfinito e senza forze in uno dei corridoi dei Sotterranei, ma dopo non ha più detto niente, arreso alla cocciutaggine della Grifondoro, che, dal canto suo, s'è convinta che sarebbe rimasto zitto per sempre. Non che le dispiaccia, veramente. Per questo quasi sussulta quando la voce di lui la raggiunge all'improvviso, sebbene modulata in un debole sussurro.
«Perché lo stai facendo?»
«Non lo sto facendo per te.» Precisa, inarcando un sopracciglio. Draco Malfoy non la impietosisce. Certo, non può negare di essere almeno un po' dispiaciuta per lui e tutto quello che sta passando, tuttavia la compassione nei suoi confronti si ferma lì: tutto quello che sta facendo, ora come ora, lo fa perché non sopporta le ingiustizie. «Lo sto facendo perché non è giusto.» Spiega infatti, afferrando la Pozione disinfettante.
Lui non risponde, o almeno non subito. Volta un po' il capo di lato, facendolo aderire al pavimento, gli occhi chiari che osservano i tubi dorati della vasca. «Non ha senso.» Sbotta, irrigidendosi.
«Malfoy, se non ti rilassi restiamo qui fino a dopodomani, e dato che perdere tempo in mia compagnia non è esattamente uno dei tuoi hobby, sto cercando di renderti le cose più facili. Quindi,» umetta le labbra, «vedi di rimandare le crisi esistenziali.»
«Non sto avendo una crisi esistenziale.» Scoccarle un'occhiataccia dal basso è difficile, perciò Draco deve avere un vero talento; non che debba sforzarsi molto, in realtà: tutto il bruciore che quella dannatissima Pozione gli sta infliggendo è un secondo ottimo motivo per rivolgerle tutto il proprio astio. Il terzo, non meno importante, è che si sta permettendo di toccarlo. È vero, a questo punto è un po' tardi per tirarsi indietro, ma ciò non significa che avere le sudicie dita della Grifondoro su di sé lo faccia impazzire, specie perché già in generale tende ad evitare il contatto fisico, trovandolo davvero piacevole solo in rari, rarissimi casi. E questo non è uno di quelli.
Uno, due, tre. Inspira. «E allora qual è il problema? Oltre a quello mentale, s'intende.»
«Ma guarda, la micetta tira fuori gli artigli...»
«Sto solo facendo il mio lavoro.»
«E insultarmi fa parte del tuo lavoro?»
«Quello puoi considerarlo un extra
«Magari vorresti pure umiliarmi in pubblico, la prossima volta...»
«Non ho alcuna intenzione di farlo. Adesso torna a stare zitto, mi distrai.»
«Insomma,» quasi ringhia quella parola tra i denti, «si può sapere cosa vuoi? Soldi? Riconoscenza? Un lavoro?»
Hermione lascia perdere le lesioni del Serpeverde solo per ricambiare l'occhiataccia di poco prima, anche se questa nasconde un cipiglio più severo, quasi materno. «No, Malfoy. Non mi aspetto niente in cambio e nemmeno lo voglio.»
Uno, due, tre. «Impossibile.» Replica lapidario, il biondo. «Nessuno fa niente per niente.»
«Niente di quello che tu potresti darmi è nel mio interesse.»
«E allora perché lo fai?» Domanda ancora, sempre più nervoso.
«Te l'ho detto,» Hermione, dal canto suo, è tranquillissima, «lo faccio perché non è giusto.»
Draco torna a spegnersi. A lei viene da pensare che sia un po' come quegli incendi che si fanno grandi con poco, ma che si estinguono velocemente, distruggendo ciò che li circonda nel minor tempo possibile. Poi, scuotendo il capo, fa per tornare a pulirgli le ferite, quando lo sente emettere un lamento troppo forte per essere ignorato. «E ora cosa c'è?» Gli chiede, confusa: non è nemmeno arrivata a sfiorargli il petto...
«Niente.» Svia lo sguardo, cercando di mostrarsi indifferente. Hermione lo guarda ancora per un po'; sposta lo sguardo su di sé e si accorge di avergli poggiato la mano libera sul braccio sinistro, che ora allontana senza pensarci due volte. È adesso che, non riflettendo sulle conseguenze del suo gesto, prende a raggomitolare la manica della camicia, il respiro che le si raggrinzisce all'altezza del petto. Uno, due, tre. «Che diamine...» Draco prova ad allontanarsi, ma il dolore si sposta con lui e, alla fine, cede ad esso, rimanendo immobile.
Hermione abbandona la camicia, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. Il Marchio Nero che gli infanga la pelle è attraversato da tagli che deve essersi procurato da solo, alcuni già diventati cicatrice, altri ancora intenti a rimarginarsi. Se la pelle fosse bosco, allora infiniti ruscelli ne dividono le querce, infiniti squarci dell'anima calpestata di un solo, stanco ragazzo. Uno, due, tre... Hermione ci prova a contarli, lo giura, lo giura, ma sono troppi, sono semplicemente troppi... Uno, due, tre e già s'è persa, non conta più, Hermione, non conta più... Uno, due, tre...
«Vai al diavolo, Granger!» Lui non le dà il tempo di dire niente: ignorando le lacrime che arrivano persino a pizzicargli gli occhi, cala di nuovo la camicia sulla pelle. Eccola, la sua sconfitta: e ad osservarla è di nuovo una dei vincitori. E non una qualunque: una Sanguemarcio. La Sanguemarcio. L'imponente senso di vergogna che ne ha sostituito qualunque altra emozione nuota ora in Draco con insistenza, non permettendogli di pensare ad altro, le labbra contratte in una smorfia di disgusto. Nemmeno lui comprende se è più indirizzato alla Grifondoro o più verso se stesso.
«Malfoy, questo è...»
«Non sono affari tuoi.»
«Draco
«Ti stai prendendo troppa confidenza, Granger. Porta il tuo spirito da crocerossina altrove, ti va?»
«Sì che sono affari miei.» Sentenzia allora, incrociando le dita sul grembo. «Ormai l'ho visto. Sono anche affari miei. Questo è... Non è giusto!»
«La sai una cosa, Sanguemarcio?» Ancora quell'epiteto. Hermione sgrana gli occhi, trattenendo un sussulto; adesso è lei a sentire il proprio braccio pulsare, lì dove Bellatrix Lestrange ha inciso per sempre la carne. Per un attimo si era illusa di riuscire a mettere da parte i rancori passati, eppure adesso si è convinta che Draco non cambierà mai: resterà sempre lo stesso spocchioso ragazzino del primo anno. «La vita non è giusta. Mi dispiace dover essere io a distruggere il tuo mondo di favole.»
«Sul serio?» Lei scatta all'in piedi, allontanandosi dal corpo distrutto del ragazzo. Draco non lo sa, ma lei lo ha sempre difeso. Quando gli altri sussurravano Ha avuto ciò che si meritava, rispondeva Non tutti hanno lo stesso coraggio. Ora, però, comincia a pentirsi di essersi schierata dalla sua parte, anche se relativamente. «Un mondo di favole? Sul serio? Ma vaffanculo, Malfoy! Non sei l'unico ad avere delle cicatrici! Non sei l'unico ad aver visto la guerra! Non sei l'unico a...»
«Facile parlare dalla parte dei vincitori, non è vero? Ti adulano ad ogni mossa, Granger, è ovvio che prima o poi saresti finita con il montarti la testa! “La migliore strega della sua età”... Certo, come no.»
«Pensi che io mi consideri una santa? Non ci sono vincitori in una dannatissima guerra!»
«E allora perché sono sdraiato qui sul pavimento, adesso, incapace di muovermi?»
«Non puoi scaricare su dei bulletti le tue colpe.»
«Ho avuto paura, okay?» Sta quasi urlando, Draco, tremante come solo la terra può essere. «Ero dannatamente spaventato! Lui ha minacciato di uccidere i miei genitori! E lo avrebbe pure fatto, anzi, lo stava già facendo, perché... Erano sempre più spenti e più vuoti... Non li avevo mai visti così. Tu non capisci. Magari è vero, Silente voleva darmi una mano, ma ha sbagliato così tante volte! Così tante volte! Come potevo sapere che con me sarebbe stato diverso? Come potevo sapere che non mi stesse usando? Io non sono come te, Granger! Io non sono un eroe! E non voglio nemmeno esserlo... Non ho mai chiesto a nessuno di mettermi in questa situazione del cazzo! Non ho nemmeno mai chiesto la vostra compassione o di essere capito... Voglio solo...» Deglutisce. «Lasciami in pace, maledizione...»
Uno, due, tre.
Silenzio.
Hermione si passa una mano tra i capelli crespi, le labbra serrate tanto da formare una lunga linea piatta. Lei non vuole lasciarlo in pace. Non più.
«Sai,» inizia, mentre riprende il suo lavoro, «Draco Malfoy non mi fa pena. Draco Malfoy è un grandissimo idiota che dovrebbe smettere di farsi male in questo modo.»
L'ennesima risata di scherno abbandona le labbra del biondo, che ora torna a guardarla, indisponente. «E a te cosa importa, Granger? Ti sei forse innamorata di me?»
«No.» Risponde secca, quasi esasperata dall'attitudine sarcastica di lui, inarcando un sopracciglio. «Penso solo che tu non abbia più bisogno di stare da solo.»
Uno, due, tre.
Silenzio. E poi: «Perché?»
«Perché anche se Draco Malfoy è un grandissimo idiota, un codardo e un egocentrico...»
«Hai finito con gli insulti?»
«...non è un mostro. Forse ha fatto qualche scelta sbagliata, o molto più di qualche, non sta a me giudicare. Ma se c'è una cosa che so, e che so con certezza, è che Draco Malfoy non è un mostro.»
Uno, due, tre.
Silenzio.
Il Serpeverde sgrana gli occhi, privato forse per la prima volta delle parole per ribattere. Ma come fa a saperlo? si domanda, abbassando lo sguardo. Come fa a saperlo? Il mio braccio è Marchiato e sono stato io ad aprire la strada ai Mangiamorte... Come fa a saperlo? però non glielo chiede, no. Resta lì in silenzio. Così. Senza dire una parola. Non – una – parola. E lentamente torna a guardarla, sempre in silenzio, sempre senza parole. E si domanda ancora: Come fa a saperlo? e quasi ci crede, stavolta, forse non è un mostro, forse non è un mostro e magari Hermione ha ragione. Magari. Il punto è che quasi ci crede, ma non ci crede del tutto. Quasi. E se stesse mentendo? E se mi stesse prendendo in giro? Qui, sulle piastrelle che hanno conosciuto il sapore della Morte, le dita della ragazza hanno appena terminato di guarirgli le ferite. Non avrebbe dovuto, ecco. Non avrebbe dovuto sprecarsi tanto. Ma allora perché? Perché non mi allontana come farebbe chiunque altro? Perché non mi lascia in pace? Qual è il suo dannato problema? Però non glielo chiede, no. È che non gli vengono le parole. Non c'è una dannata parola. Manco una. Da non crederci. E il bello è che lui ci pensa alle parole, eh! Ci pensa. Ci sta pensando. Se c'è un posto dove esse si rinchiudono, tipo un grande cassetto dentro la testa, di quelli grandi ormai usurati, insomma, se c'è questo posto, qualcuno deve averlo ucciso. Allora smette di cercare nel cassetto e inizia a cercare dentro di sé: magari le parole si sono raggrumate da qualche parte, no? Hanno confuso la strada, chissà, si sono fermate a prendere un caffè, un caffè che è durato ore, perché magari pure le parole hanno perso le loro parole... e le parole delle parole hanno perso le parole... e adesso sono tutte mute, sì, tutte mute... come gli stolti. Magari, si dice, si sono appiccicate alla fronte, incastrate sotto le unghie, appese all'ombelico, che diavolo ne sa, hanno cercato di arrampicarsi sulle ossa e poi sono sparite in mezzo ai muscoli... come gli stolti... cioè, fa un po' ridere, a pensarci... ché non c'ha senso, questo, non c'ha proprio senso... e sta delirando, magari... ma non sa come fare, no, non sa come riprendersi le parole... E tutto quello che viene da dire, a questo punto, è solo un misero: «Grazie.» Così. Una sola parola. Una – sola – parola. Ed è detta pure talmente piano che basta un nonnulla per coprirla, che so, un respiro, un battito di ciglia, un nonnulla ed è già sparita. Una sola parola. È da matti.
Ed è da matti pure il sorriso di Hermione, a questo punto. Ma non ci si stupisce più di nulla, no? Hermione sorride – con quel sorriso da matti – e scuote il capo, mentre lo aiuta a rimettersi seduto. «No.» Stavolta non è nemmeno arrabbiata. Bisogna sentirselo dire con dolcezza, ecco. «No, Draco. Non devi ringraziarmi.»

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Zena