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Autore: Stella Dark Star    06/07/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo trentatre
Riflessioni notturne
 
Andrea prese un grosso ciocco di legno e lo gettò nel fuoco facendo sollevare una nuvola di cenere e fiammelle. In genere non era compito suo ma, a quell’ora era l’unico ad essere ancora sveglio, ad eccezione delle guardie all’esterno del palazzo. Riprese posto sulla poltrona e si versò un calice di vino. Aveva perso il conto di quanti ne aveva bevuti, sapeva solo che i servitori avevano riempito la caraffa due volte prima di ritirarsi per la notte. Bevve un lungo sorso e posò il calice sul ripiano del tavolo. Inevitabilmente, sollevando lo sguardo finì per guardare il punto esatto in cui era stato Rinaldo quella sera. Sentì una stretta allo stomaco che per poco non gli fece rigurgitare il vino. Si sentiva in colpa. Con gli occhi della mente poteva ancora rivedere ciò che era accaduto lì in quello studio, quando Rinaldo si era presentato in preda al panico e aveva confessato il proprio piano di prendere la Signoria con la forza. Povero stolto, non poteva sapere che dietro la porta Messer Guadagni non attendeva altro che quella sua confessione per far intervenire le guardie. Andrea non aveva avuto scelta, era stato complice di quell’inganno a spese di quello che era suo alleato e amico. Ma d’altronde, il suo modo di governare stava distruggendo la Repubblica e non vi era da stupirsi che i cittadini reclamassero il ritorno dei Medici in città. Eppure… Strinse con forza il pugno, non riusciva a perdonarsi quel tradimento nei confronti di Rinaldo. Rilassò la mano e si lasciò andare sullo schienale. Con quale coraggio avrebbe potuto guardare in faccia Ormanno dopo ciò che aveva fatto? Il rumore della porta che si apriva lo distrasse da quei pensieri molesti. Volse lo sguardo. Sull’uscio vi era Francesco, vestito solo della camicia da notte e con le babbucce ai piedi.
“Francesco, cosa fai ancora sveglio?” Senza attendere la risposta, gli fece cenno con la mano di avvicinarsi.
Il ragazzino chiuse la porta e andò a prendere una sedia che poi accostò alla poltrona del padre. Sollevò lo sguardo penetrante su di lui: “Padre, stai male per via dell’arresto di Albizzi?”
Andrea lo guardò sorpreso: “E tu come lo sai? Eri già andato a dormire quando è accaduto.”
“Non sono più un bambino. Non sottovalutarmi.”
“Già!” Suo malgrado Andrea accennò un sorriso, ma subito tornò serio: “Comunque sì, è per questo. Io e Rinaldo ci conosciamo da tutta la vita, eravamo alleati e… E’ stata dura decidere.”
“Ora hai un problema più grande a cui pensare. Sento le grida dei cittadini. Rivogliono i Medici. Ma i Medici sono nostri nemici, non puoi permettere che tornino.”
Andrea non si stupì che il figlio fosse a conoscenza anche di questo. Era un ragazzino intelligente ed era chiaro che era molto interessato alla vita politica e agli intrighi. Forse un giorno avrebbe lasciato la guida del Banco dei Pazzi a lui. Anche se Antonio e Jacopo erano i maggiori, il primo era totalmente disinteressato a quella vita e il secondo aveva un carattere troppo ritroso e insicuro. Ad ogni modo, ciò che Francesco aveva detto era vero. A cosa era servito far imprigionare Rinaldo se Cosimo era già in fila per prendere il suo posto? Per una volta avrebbe voluto essere lui al comando della città.
Neanche gli avesse letto nel pensiero, Francesco se ne uscì con una domanda: “Potresti proporre alla Signoria di dare a te il comando. Sono certo che faresti un lavoro migliore di Albizzi e di Medici.”
Andrea accennò un sorriso di gratitudine al figlio: “Ti ringrazio per la fiducia. Ma non è così semplice. Io non sono abbastanza potente, forse non lo sarò mai. E conquistare l’approvazione dei cittadini e degli altri membri della Signoria non è cosa facile.”
Francesco fece spallucce: “Gli altri hanno ottenuto il potere con l’inganno, perché tu dovresti fare diversamente? Se fossi al tuo posto, schiaccerei i miei nemici come insetti e poi mi occuperei del benessere di chi mi è fedele.”
Non aveva torto, il ragazzo. Se pensava anche solo alla metà degli atti disonesti commessi da Rinaldo e Cosimo, gli venivano le vertigini. Certo lui non era uno stinco di santo, ma con in ballo la guida della Repubblica di Firenze si sarebbe comportato in modo esemplare. Il problema era che ormai era quasi certo che Cosimo sarebbe tornato in città a causa dei suoi astuti giochetti. Era stato lui a mandare in frantumi l’alleanza tra gli Albizzi e i Contarini, manovrando il Doge di Venezia e, a quanto detto da Guadagni, aveva sventato un complotto dei milanesi ai danni di Firenze. Ovvio che il popolo lo amava! Si sistemò meglio sulla poltrona e si portò una mano al mento, immergendosi in un pensiero. Gli tornò in mente il dialogo sentito per puro caso tra Marco Bello e Tommaso. Non sapeva i dettagli, ma era certo di aver capito che forse Lorenzo de’ Medici era un assassino. Se avesse trovato le prove di tale fatto, avrebbe potuto screditare quella famiglia agli occhi di tutti e…chissà, forse conquistare il favore del popolo. Non era poi così impensabile. Tornò al presente e allungò lo sguardo sul figlio che lo stava osservando in silenzio. Il suo consiglio gli aveva acceso una fiamma dentro, un desiderio di prendersi ciò che voleva invece di vederselo soffiare da sotto il naso.
Accennò un sorriso: “Credo di poter fare qualcosa, figliolo.”
Il volto di Francesco si illuminò di una sinistra gioia, un sorriso perfido si dipinse sulle sue labbra. Per essere un ragazzino così giovane aveva già le idee chiare su cosa voleva dalla vita e portare il nome dei Pazzi sulla vetta del potere era una di queste.
*
La luna splendeva alta nel cielo, la sua luce si rifletteva sull’acqua del canale e sulle pareti dei palazzi rendendo il paesaggio un unico manto d’argento. Da ore Lucrezia si stava ubriacando di quella vista per ritrovare la pace interiore, seduta ai piedi di una dormeuse, stringendosi le ginocchia al petto, i capelli sciolti che ricadevano con grazia e una profonda tristezza negli occhi segnati dalle lacrime. Seguendo la linea del canale, il suo sguardo si perdeva nei ricordi di momenti felici, di numerose passeggiate, di giochi e scherzi che le avevano scaldato il cuore, ma poi un brivido le attraversava la schiena ed ecco che la felicità veniva tagliata di netto dal ricordo di ciò che era accaduto quella sera all’ennesimo ballo in maschera. Come era potuto succedere? Aveva visto Jacopo ubriaco innumerevoli volte, ma mai si era comportato in quel modo. Quante volte si erano sfiorati con innocenza? Quante volte i loro sguardi si erano amalgamati senza secondi fini? E allora perché era finita così? Provò a chiudere gli occhi, ma ancora una volta nel farlo rivide Jacopo sporgersi su di lei, sentì le sue labbra risucchiarle il collo, le sue braccia tenerla stretta come catene. Scosse il capo, lasciò che due lacrime lasciassero i suoi occhi portandosi via anche il ricordo di quella visione. Perché? Erano amici, avevano fatto così tante cose insieme. Era stato lui a ridarle il sorriso, a darle una speranza di ritrovare la felicità, a sostenerla nei momenti difficili. Non riusciva a ricordare un solo giorno senza di lui.
“E allora perché?” Disse con voce soffocata da un singhiozzo.
Anche se stava piangendo, riportò lo sguardo verso la luna, pregandola di darle una risposta. In un momento era cambiato tutto. In un momento aveva perso tutto. Davvero non riusciva a trovare una spiegazione al comportamento di Jacopo e in un angolo del suo cuore temeva di essere lei la causa, in un qualche modo. Gli aveva involontariamente dato false speranze? 
Non siete la candida fiorentina che fingete di essere.”
Con queste parole l’aveva accusata, per giustificare il suo abominevole gesto. Ma lui non poteva sapere di Andrea, perciò…a cosa si riferiva? Doveva essere stata lei a sbagliare, per forza. E ora, cosa ne sarebbe stato di lei? Non aveva il coraggio di rivedere Jacopo e probabilmente lui non voleva più vedere lei dopo il suo rifiuto, dopo averlo offeso e spinto giù dal divano della sala. Senza la sua amicizia non le restava più niente, ancora una volta si ritrovava sola e svuotata. La luna brillava con una forza divina, sentiva la sua luce sfiorarle il viso come una carezza. Non voleva pensare a nulla. Basta. Chiuse gli occhi e si affidò alla clemenza di Dio.
Li riaprì subito nel sentire un rumore, o almeno lei credette di farlo subito, invece la luce del giorno la contraddisse. La luna era sparita e nel cielo un sole timido cercava di farsi strada tra le nuvole grigio perla.
“Lucrezia, sei qui! Ho una notizia meravigliosa!”
Voltò lo sguardo e vide Piero venirle incontro con un gran sorriso sulle labbra. Si sedette accanto a lei e le accarezzò il viso, una cosa che non faceva da molto tempo: “Amore, ti senti bene? Da ieri sera sei strana. Prima hai voluto andartene dalla festa dove ti avevo raggiunto, sotto tua insistenza, e ora ti trovo qui in veste da camera tutta sola.”
Lei scosse il capo leggermente, per non sfuggire al suo tocco, quindi cercò di abbozzare un sorriso: “Nulla. Devo essermi addormentata guardando la luna. Era uno spettacolo bellissimo.”
Piero sorrise: “La mia romantica moglie. Ma ora devo dirti una cosa importante. Mio padre è appena stato qui per darmi la notizia. Quasi non potevo crederci!” Prese respiro e scandì le parole: “Torniamo a Firenze!”
Lucrezia sgranò gli occhi: “Non è vero!”
“E invece sì! Torneremo con l’arrivo della primavera! L’esilio è finito! Albizzi è stato imprigionato e il popolo vuole che la nostra famiglia torni al comando!”
Adesso sì che aveva voglia di piangere, dalla gioia però! Gettò le braccia al collo di Piero e lasciò che lui l’avvolgesse in un abbraccio sincero e pieno di calore. Le sue preghiere erano state ascoltate. Chi avesse sbagliato e perché ormai non aveva più importanza, poteva considerare l’amicizia con Jacopo un capitolo chiuso.
  
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