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Autore: Duncneyforever    07/07/2017    0 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Ero così arrabbiata, così furiosa con l'uomo che aveva permesso e assistito a quello scempio, che nemmeno mi ero accorta del fatto che il suddetto uomo fosse ( e tuttora sia ) nudo, completamente nudo, dalla testa ai piedi. Appena in tempo ho volto lo sguardo, prima che una presenza indesiderata facesse capolino nel mio centro visivo, ma non ho potuto far a meno di notare uno sprazzo di curata peluria rossa anche nella parte bassa dell'addome, il che mi ha fatta sorridere incontrollabilmente. Schneider ha notato quel piccolo sorrisetto sorto sulle labbra e il rossore sulle mie guance ma, diversamente da quanto mi aspettasi, adesso sorride anche lui.

- Questa non te l'aspettavi - asserisce il rosso, gonfiando altezzosamente il petto lattiginoso e mostrandomi, involontariamente, un particolare roseo del suo bassoventre. Io, strizzata in un angolo e con le mani sistemate a grata davanti al viso, lo supplico di mettersi qualcosa addosso, provando un'emozione ben più forte del semplice e comune imbarazzo. Ormai il mio viso bolle, surriscaldato dal calore irrequieto e scostante del disagio, ma lui non se ne cura: mi osserva - in apparenza con fermezza irremovibile - tenendo gli occhi fissi, saldi in un luogo imprecisato, dove quel magnifico grigio blu delle sue iridi incontra le più ardenti fiamme dell'inferno e dove un leggero scintillio nei suoi freddi occhi nordici riesce a divampare con l'ardore di mille soli. Ignorando un fruscio tra le lenzuola in lontananza, dove giacciono rannicchiate le giovinette della notte scorsa, prende tra le mani un paio di calzettoni neri - presi da un cassettone accanto al letto - e prende ad infilarseli con una lentezza indescrivibile, flettendo le gambe toniche e mettendo appositamente in mostra il suo corpo bianco e levigato. Mi guarda ancora una volta, poi avvolge il ciuffo corallo tra le dita affusolate e sfila una sigaretta dal pacchetto appoggiato sul comodino, accendendola e inspirando il fumo a brevi boccate. 

- Credevo che i nazisti non fumassero - scosto finalmente le mani dal viso, pur percependo ancora il malessere di prima, e indurisco i lineamenti, seccata dalle indecenze cui debbo sempre partecipare in presenza di Rüdiger. Lui scrolla le spalle e sgranchisce la schiena, poi domanda cosa mi sia successo per essermi ridotta così e formula assurde ipotesi in cui accusa Andrea di essermi saltato addosso oppure incolpa me, insinuando che io ci sia andata a letto di mia spontanea volontà per rimborsarlo - della camicia, si intende. - 

- Come osi infangare il suo nome?! O il mio?! Sono stati i tuoi cani fascisti a farmi questo! E tu - esclamo, puntando il dito contro di lui - tu eri presente, razza di barbaro! La tua indifferenza mi è costata cara, poteva uccidermi! Come hai potuto permettere che mi toccassero! Come... - Con un fil di voce mi accanisco contro di lui, sfogando la mia frustrazione con deboli pugni appena scagliati sul suo petto, due perle nocciola piene di delusione e amarezza e tanto, tanto odio nel cuore. Lui non si scosta di un sol centimetro, sorbendosi impassibilmente il mio sfogo, finché non abbasso mollemente le braccia, respirando in modo affannoso e irregolare. Sfiora il mio avambraccio con le dita, poi mi afferra il polso, avendo capito che con le buone non mi sarei più fatta toccare da lui. Non dice nulla, non mi chiede perdono, mi stringe a sè con freddezza e quel gesto che avrei voluto mi confortasse e mi donasse calore, in qualsivoglia modo potrei chiamarlo, non potrei mai definirlo un abbraccio. Sto persino peggio di prima. 

- Mi hanno fatto male. - Strattono il braccio per liberarmi dalla sua morsa e gli pianto gli occhi addosso, in parte oscurati dai boccoli ribelli, grandi e umidi di lacrime, le stesse che ho coraggiosamente ricacciato indietro per non dargliela vinta. 

- Non volevo andasse a finire così - risponde, atono, senza dar segno di rimpianto. Una folta coltre di nebbia offusca il chiarore del suo sguardo, mentre mi ordina di non guardarlo più con questi occhi. Torna a concentrarsi sulla sigaretta lasciata a mezz'aria, senza far più caso a me, poi si volge di nuovo e mi ritrova nella stessa posizione. - Nein- mi dice, emettendo un suono gutturale e sospirando, forse seccato, forse dispiaciuto, chi lo può sapere... Si avvicina nuovamente e prende il mio viso con una mano sola, in una stretta che non ammette repliche, stringe le mie guance, i miei zigomi, finché un piccolo diamante liquido non sfugge al mio controllo, tracciando una scia umida fino alle sue dita, fino a bagnargli la parte di pelle compresa tra il pollice e l'indice.

- Lasciami stare Rudy - faccio leva per liberarmi, riuscendoci e avviandomi verso la porta. - Goditi pure il resto della vacanza - accenno alle due sciacquette ancora ko sotto le lenzuola, con un certo disgusto, prima di sbattere la porta dietro di me. Corro di sotto senza voltarmi indietro, sfrecciando fuori dall'albergo con la paura che il rosso mi stesse seguendo e incrociando un uomo alto una mia volta e mezza, dai capelli corti e dal sorriso smagliante, un uomo meglio noto come il tenente Andrea Martini, proprio a lato dell'hotel, come se mi stesse aspettando. 

- Chi si rivede! Alla fine mi hai seguita eh? - Biascico, con il fiatone, piegandomi in avanti e appoggiando i palmi sulle ginocchia. Il moro mi porge galantemente il braccio, trascinandomi verso sè; 

- volevo assicurarmi che restassi in vita - 

- volevo sbrigarmela da sola - 

- ma lo hai fatto... - Mi guarda con aria divertita, sbattendomi in faccia l'evidenza. 

- Non ti fidi di me? - 

- Non mi fido di lui - mi rassicura, tenendomi sotto braccio, lontana da ogni pericolo e dal crudele mondo che ci circonda. Sarà anche per via della sua stazza, ma averlo vicino mi tranquillizza, mi fa sentire protetta e importante, stargli accanto mi rende felice, eppure non riesco a capacitarmi del fatto che lui non sia poi tanto diverso da Rüdiger: è pur sempre un ufficiale fascista, una camicia nera senza scrupoli che gambizza la resistenza con la forza e con il sangue di uomini innocenti, povere anime votate al sacrificio per la libertà, ancora così distante, un miraggio nella terra di nessuno. Forse mi sembra surreale il sol pensiero che una persona come lui, così gentile, così normale, possa essere in grado di uccidere un suo simile a sangue freddo, per poi tornare alla normalità come se nulla fosse successo. A quanto sembra è un buon soldato, fedele seppur insoddisfatto, esegue ordini e non può disobbedirvi ma non ha mai apertamente manifestato il suo essere contrario alle crudeltà che il regime è solito perpetrare ed è questo ciò che più mi inquieta. Ho visto Roma, la mia amata capitale, bella come non l'avevo vista mai; grande, pulita e splendente, i raggi del sole irradiavano le sue meraviglie, i suoi monumenti, le sue statue, i suoi giardini... Quasi piansi, la prima volta in cui la rividi. Sembra un sogno, accecante come tutto il resto, distorce la realtà, camuffa gli inganni, gli omicidi, le torture ed i massacri, le vittime immolate sull'altare della patria perchè Roma torni a rappresentare ed essere quel sogno, la capitale del mondo. Forse ora capisco cosa intendesse Hannah Arendt con " banalità del male ", capisco quali differenze ci siano tra Andrea e Rudy, o tra Rudy e la maggior parte dei soldati tedeschi che fin ora ho conosciuto: Andrea è un uomo al servizio dello stato, uccide perché gli viene ordinato, pur essendo pienamente consapevole della gravità delle sue azioni; i crucchi che si aggirano vagabondando per i terreni aridi di Auschwitz, così come per le strade lastricate di Roma; giovanotti membri della Hitlerjugend a caccia di belle ragazze o attempati signori rintanati in squallide locande a trangugiare fiumi di birra per dimenticare gli orrori vissuti in trincea... Essi sono toltalmente, tristemente ignari di ciò che fanno e credono di essere nel giusto, di purificare la patria dal germe impuro della razza ebraica, portatrice di veleni moderni quali capitalismo e democrazia, sono così impegnati ad assecondare le smanie di potere di Hitler che non si rendono minimamente conto di star distruggendo ciò per cui tanti in passato hanno lottato e dato la vita, di star sciacquando via il sangue di quei bambini, le colonne portanti dell'Europa, dalle loro mani prima di mettersi placidamente a tavola la sera. Non vengono dilaniati dai sensi di colpa accarezzando le testoline bionde dei loro figli, inzaccherati dello stesso sangue? Qui interviene una terza categoria, una ristretta cerchia di persone cui Rudy è affiliato a pieno titolo: i mostri, i bastardi, i veri responsabili del genocidio, nonchè ariani modello e perfetta èlite del Reich millenario. Credevo che il colonnello, infondo, fosse un uomo come ogni altro, finché non ho visto i suoi occhi bluastri colorarsi di geenna, sprizzare un'insana gioia nell'atto di uccidere quel ragazzo inerme, sprovveduto, riverso al suolo senza via di scampo. Ho veduto quel suo piacere insano, quella rabbia indomabile e ne ho avuto paura. Ho trovato che la sua divisa si intonasse bene al suo cuore, nero come gli anfibi che portava prima che venissero spruzzati di gocce scarlatte e, insieme a quel piccolo paragone, ho concepito l'idea che il male fosse ben radicato nella sua anima, che fosse dovuto ad un'indole malvagia e che non fosse soltanto il frutto di un plagio collettivo. Eppure continuo ancora a sperare, per motivi ignoti, che vi risieda ancora del buono in lui e che anche la sua anima possa, un giorno, essere salvata. 

- Ti sei incantata piccola? - Andrea mi sbandiera una mano davanti al viso, probabilmente chiedendosi cosa passi in questa mia zucchetta affollata di pensieri. Sono tentata di chiedergli cosa prova, ad uccidere intendo, ma non vorrei incasinare ancora una volta le mie idee, indagare su una persona in apparenza buona e accusarlo di un crimine a cui, personalmente, non ho assistito. E se non avesse mai freddato nessuno? Non l'ho mai tenuto in conto ed è quasi improbabile, ma è pur sempre un'ipotesi. 

- Tutto bene, stavo solo pensando - rispondo, in modo vago, ammirando il bel cielo azzurrino. - È proprio una bella giornata oggi, non trovi anche tu? - Lui annuisce distrattamente, poi mi dice di aver preso una giornata libera e mi propone di far qualcosa di diverso, magari fuori porta ( e fuori dalla portata del rosso ). Manifesto con gioia il desiderio di vedere il mare dato che, pur vivendo in una penisola che ne è bagnata per tre quarti, da quasi due anni non ne vedo neppure l'ombra. 

- Va bene, va bene, ma aspetta un istante che mi sto facendo vecchio! - Entrambi torniamo all'appartamento di corsa, o meglio, io corro via e lui mi insegue come un disperato per non perdermi un'altra volta e, in men che non si dica, sono in camera da letto a cercare la mia valigia che, chissà perché, non riesco a trovare. 

- Ma guarda tu dove me l'hai messa, polentone! - Pigolo, indispettita, intravedendo uno scorcio marroncino sulla sommità dell'armadio, dove quasi di sicuro giace la valigia di Friederick. 

- Cosa dici? Ti serve una mano? Non riesco a sentirti... - Mi guarda dall'alto verso il basso, poi raddrizza la schiena per mostrarsi in tutta la sua imponente mole. Il gigante e la bambina, mi viene da pensare. Gli salgo con i piedi sulle scarpe e faccio per arrampicarmi su di lui quando, d'improvviso, mi prende per le cosce e mi alza, portandomi su, alla sua altezza; interdetta sul da farsi, afferro impacciatamente il bagaglio e salto di nuovo a terra. 

- Non sono una bambola - faccio presente, sbattendo le ciglia e imitando la vocetta di uno di quei giocattoli. Lui mi arruffa i capelli con una mano, poi mi dice ( o forse ordina? ) di cambiarmi e di mettermi qualcosa sopra al costume. 

- Certo che siete tutti strani forte - borbottolo, entrando in bagno e chiudendo la porta a chiave. Non che non mi fidi, però è sempre meglio essere prudenti. Poi da dove arriva tutta questa confidenza solo loro lo sanno. Sono io che ispiro tenerezza? Mi vedono come un giocattolo? Mah, tutte queste domande mi faranno diventare pazza prima o poi. 

- Uffa, ma dove l'avrò messo?! Ah, eccolo! - Finalmente ho trovato il costume! È un bikini molto semplice, con una trama maculata, di un color ocra scuro e nero, il più coprente che abbia trovato tra tutti quelli che avevo in casa. Non so perché lo abbia preso, forse era semplicemente lì sul divano tra le cose da riporre nei cassetti e lo avrò preso per sbaglio. Intanto, però, lo rimiro ed una consapevolezza mi colpisce come un fulmine a ciel sereno: i bikini moderni ancora non si usavano nei primi anni quaranta, furono inventati nel quarantasei, a quanto mi ricordo. Non è possibile, tutte a me! Non ho il coraggio di chiedere ad Andrea di comprarmi qualcos'altro dopo il quello che ha speso per questa camicia ma, d'altro canto, non ho nemmeno il coraggio di farmi vedere da lui così... Non è abituato a vedere completini " succinti " come questo, come non lo è nessuno in questo periodo. Massì, io esco lo stesso! Non ho proprio voglia di starmene qui ad oziare tutto il giorno e poi, ahimè, mi sono dovuta ( controvoglia ) spogliare davanti a cani e porci, quindi che sarà mai qualche innocuo bagnante se messo a confronto loro? Così pensando, decido di uscire dalla stanza con il mio amato bikini e con un vestito estivo di cotone bianco e azzurro a coprire il tutto, le scarpette di tela, occhiali da sole neri dalle lenti giganti e borsetta stampata - e borchiata - con crema solare e pochi altri oggetti a tracolla, più un'altra borsa con due asciugamani scippati dal bagno. Andrea sembra aver visto un extraterrestre... Non ha parole, poveretto. 

- Da dove hai detto che vieni tu? - 

- Da casa mia - e, con un sorrisetto furbo, inizio a scendere le scale, seguita a ruota da lui, che ancora cerca di capire da dove provengano i miei strani vestiti. - Conosci un posto poco affollato in cui fare il bagno? Non vorrei che tutti mi fissassero, sarebbe decisamente troppo strano. E non vorresti anche tu un po' di riservatezza? - Ci pensa un attimo, poi accenna di sì con il capo e mi accompagna nel vialetto interno alla via principale dov'è parcheggiata l'auto, un'alfa romeo 6c, una bella macchina di fine anni trenta, di un bel rosso acceso e, a prima vista, mai usata. 

- Certo che la tieni bene - mi complimento, accarezzando piano la vernice ( non sia mai che gliela graffi. ) 

- È come una figlia per me. - 

- Lo vedo - commento sottovoce, criticando il modo in cui guarda quest'oggetto inanimato, ovvero con riserva, quasi con amore ma, per sua fortuna, tratta anche me con galanteria e rispetto, altrimenti mi sarei offesa e non poco, credo che sarei arrivata al punto di esser gelosa dell'automobile. Non senza una certa stizza, apro lo sportello con la massima cura e mi assicuro di lasciare la portiera attaccata al veicolo una volta chiusa. Dopo aver compiuto entrambi questa prassi, ci avviamo verso la spiaggia. Andrea premette subito che ci vorrà un po' di tempo, almeno quarantacinque minuti, sebbene il caldo all'interno della vettura già inizi a farsi soffocante. Con il suo consenso, metto mano alla manopola e abbasso il finestrino, godendomi il venticello estivo e il turbine di inebriante frescura che esso provoca, che scuote giocosamente i boccoli cioccolato, che libera la mente da ogni preoccupazione. Cullata dal rombo scoppiettante, dalle risate dei bambini, dal fruscio del vento, inizio a canticchiare " Roma-Bangkok " un brano per lui sconosciuto, per me familiare, come la vita che mi sono lasciata alle spalle. 

- È bella questa canzone - e inizia anche lui ad intonare il ritornello, dimostrando di non avere una voce così grezza e profonda come, invece, mi aspettavo. 

- Appero, hai capito a' Golia! - 

- Sorpresa sorpresa - mi dice, sorpassando una delle poche macchine presenti sulla carreggiata. Non che alle persone non piaccia il mare, ma le auto sono sempre state costose e in questi tempi di guerra sono considerate, a tutti gli effetti, un lusso. Non ne ho viste molte adesso che ci penso, ho visto molte più persone in bicicletta o a piedi. Mi affloscio sul sedile, attendendo di vedere la linea blu spiccare oltre l'orizzonte, cantando qualcosa di tanto in tanto e parlando con Andrea, arroventato neanche fosse un groenlandese nel deserto del Sahara. Se solo non mi avesse liquidato con la scusa della mia età e degli ormoni a go go che, secondo lui, mi fanno bollire il sangue nelle vene, ora starebbe meglio. Tsk, uomini, e poi sarei io quella eccessiva? Smetto di parlare e mi appiccico al finestrino, con gli occhi pieni di ricordi, non appena inizio a percepire nell'aria la brezza marina, sapida di quel buonissimo ed inconfondibile odore di salsedine. Vorrei inspirare a pieni polmoni, riempirmi di quel profumo fino a non poterne più, fino ad espirare, quasi drogata di quell'essenza... Ma non ce la faccio, non riesco a non pensare a quella puzza di carne bruciata che mi ha invaso le narici non appena ho messo piede nel lager, al gorgogliare di stomaco che ne è conseguito, alla vista appannata dal fumo traboccante dalle fosse comuni e dalla cenere che si depositava come macabra neve su ogni cosa. Ricordo di aver preso in mano uno di quei " fiocchi " una volta e ricordo che un tedesco di ronda era scoppiato a ridere. Non capivo, poi mi è stato detto cosa fosse. Ho urlato, ho pianto, ho lasciato che quel brandello di ciò che una volta era stata una persona cadesse al suolo, poi sono andata a sciacquare, con l'acqua, con il sapone, con le lacrime, rimpiangendo di essere stata tanto stupida da non capire subito. Ed è per questo che mi accontento di respirare aria buona e profumata, senza troppe pretese e in buona compagnia. 

- Ti piace? - Vedo la spiaggia, le palme, i cavalloni frangersi contro gli scogli e non potrei essere più felice. Oh Andre, perdonami, non riesco a trovare parole per dirti quanto io te ne sia grata! Se solo Friederick fosse qui con me, povero ragazzo, persino Ariel, nel suo triste susseguirsi di disgrazie, è stato più fortunato di lui, è stato un uomo di mondo e ha potuto vedere questi prodigi! 

- Non solo mi piace, lo trovo semplicemente favoloso! - Batto le mani contenta come una pasqua e lui non fa in tempo a posteggiare l'auto che, con uno slancio smisurato, gli salto al collo, abbracciandolo a mo' di orsacchiotto. Sento il suo respiro mozzarsi, non tanto per la stretta, quanto per l'emozione e, sebbene il biondino sia per me insostituibile, Andrea riesce a distrarmi, a colmare, almeno in parte, il vuoto dovuto alla sua mancanza. 

- Dai, cucciola, mi fa caldo - 

-  ti farò affogare - lo minaccio al fine di ottenere un abbraccio e, solo dopo averlo ottenuto, mi stacco trionfante dal suo corpo sudaticcio - puoi anche spogliarti adesso, non vorrai mica star lì a guardarmi tutto il tempo? Vieni con me su, non fare il maniaco! - Gli faccio una linguaccia, trascinandolo con tutta la poca forza che ho sulla sabbia fine, dorata come i capelli del mio Fried, dislocato chissà dove in una zona remota della Francia, sicuramente lontana dal mare. Lancio via le scarpe ansiosa di immergermi, inizio a spogliarmi, percependo il peso degli sguardi delle poche persone accampate tra le dunette e sul bagnasciuga e, in un batter d'occhio, mi tuffo in acqua alla bene e meglio, lasciando totalmente andare il corpo e svagare la mente. Il mare è calmo e tiepido, riscaldato dal sole già abbastanza alto nel cielo, sicché invito anche il moro ad entrare, pur sapendo che lui ha indosso una camicia, dei panataloni e, sottostanti, dei comuni boxer. Niente costume. 

- Non lasciarmi sola - mi lamento, emergendo di poco dall'acqua e mostrando gli occhioni dolci. Chissà come, riesco a convincerlo e presto anche lui si alleggerisce di qualche capo, raggiungendomi a tentoni. Nel punto in cui sono ora, sospesa a mo’ di galleggiante, lui tocca benissimo e riesce a svettare pur essendo a mollo. 

- Sai che sei una piccola rompipalle? - Mi schizza una manata d'acqua sul viso, sapendo benissimo che ne avrebbe ricevuta una da parte mia. 

- Sai che sei un barbaro? - 

- E tu allora? Ti sei vestita come una selvaggia! - Alla sua provocazione, imito il " roar " di una tigre e scuoto la chioma bagnata, non più boccolosa come prima. 

- Micetta - rimette a posto le ciocche fradice, rinfacciandomi il fatto di aver miagolato e non ruggito, come una tigre. - Meglio che mi allontani va, chissà cosa starà pensando la gente di noi. -

- Se qualcuno chiederà, dirò che sei mio zio, così non avranno più niente da ridire - zompetto fino a riva, affondando i piedi nella sabbia e strizzando i capelli. Non oso stringere anche le coppe del reggipetto per svuotarle d'acqua. Le donne più mature sono allibite, coprono gli occhi ai mariti e rimproverano i loro figli maschi, mentre alle ragazzine il mio completo sembra piacere, si avvicinano per guardarlo meglio e per chiedermi dove lo abbia acquistato. Quando Andrea mi richiama a sè mi accomiato da quelle ragazze, stendo a terra l'asciugamano e mi ci siedo su, lasciando un briciolo di spazio anche per lui. 

- Potevi anche prenderne un altro - 

- l'ho preso infatti! Però è anche vero che ho bisogno della tua ombra - mi sdraio, assicurandomi di essere proprio sotto la zona non illuminata, sbirciando la sua espressione di soppiatto. 

- Sara, siamo già all'ombra della palma - 

- sì e allora? - Mi tira un buffetto su una guancia e mi chiama " prepotente ",ovviamente per scherzo ma, per dispetto, mi fingo offesa. Si avvicina un ragazzino, pressappoco della mia età, e ci guarda imbarazzato. Andrea ha un fremito, forse dovuto all'ansia, ma prende a parlare con la solita calma; 

- tutto bene, ragazzo? - 

- Sì, sì signore ehm... volevo solo chiedere a sua figlia se volesse giocare a palla con noi. - Arrossisce, indicando un gruppetto di giovani poco lontani. Sembra davvero un giovanotto carino e cordiale, tuttavia ho visto la mascella del moro serrarsi istericamente alla parola " figlia " e non saprei cosa rispondendergli. Devo ammetterlo, mi stava scappando una risata, la sua reazione è stata troppo simpatica. 

- Sai, non vorrei che restasse senza compagnia - 

- Oh, se è per questo non c'è problema! Mia madre è sola, non ha un marito che si ingelosisca. - Ci da le spalle per salutare una donna dai corti capelli biondo fragola, ancora giovane e piacente. 

- Guarda caso, anche tu sei solo! Eh, che ne dici papino? Dopo tutto, è una bella donna... - Se potesse, scommetto che digrignerebbe i denti e mi manderebbe direttamente a quel paese, tuttavia, decide di lasciarmi andare, non prima di avermi linciata con lo sguardo. Gli faccio " ciao " con la mano e, insieme il ragazzo, che ho scoperto chiamarsi Luca, raggiungiamo gli altri. Luca ha i capelli castano chiaro e gli occhi di giada, come quelli del mio aggressore. Non capisce perché non riesca a guardarlo e si convince che io lo trovi ripugnante. Mi spiace, mi dispiace, ma è troppo doloroso: rivedo ancora quel tedesco, le sue mani sporche e tozze sotto i miei vestiti e provo orrore. Lui se ne accorge. Intanto, abbasso lo sguardo e prendo in mano la palla.

- Come ti chiami, bella? Sei una dei nostri? Sai com'è, ultimamente siamo circondati dai Fritz... - Un altro ragazzo, magro, abbronzato, mi rivolge la parola, appoggiato da due ragazze pressappoco uguali, molto probabilmente gemelle. 

- Mi chiamo Sara e, potete stare tranquilli, sono italiana al cento per cento. - Contenti della mia risposta, i tre si presentano come fratelli, Marco il maggiore, Maria e Angelica le sorelle minori. Luca, invece, è il migliore amico di Marco. 

- Di dove sei? - Prendo atto di dover guardare in faccia il mio interlocutore, almeno per educazione e, con uno sprint di risolutezza, riesco a focalizzare la mia attenzione solo ed unicamente sulle gemme smeraldine del castano, pure e vivaci, libere da quel lampo di lascivia che insozzava gli occhi del tedesco, così bello e così letale. 

- Sono nata in una piccola cittadina del nord, ma non ho vissuto in Italia di recente. Sapete, sono stata in Germania per qualche giorno, poi in Polonia per tre settimane e non so per quanto ancora ci dovrò restare. A Roma, purtroppo, sono solo di passaggio. - 

- Come mai in " Cruccolandia "? Non sarai mica fidanzata con uno di quelli? - Marco si guarda intorno, diffidente, per assicurarsi che non ci siano tedeschi nelle vicinanze. 

- Ma anche no! Sono amica di un tedesco, è vero, ma è un ragazzo buonissimo, altro che! È quel bastardo del suo superiore che ha deciso di coinvolgermi nei suoi loschi affari, neanche fossi sua moglie. Aspetto solo che torni il mio amico da Parigi per svignarmela! - Maria mi lancia un'occhiata eloquente, come se avesse capito tutt'altra cosa; sorride maliziosa e assottiglia gli occhietti furbi, neri come la notte. 

- Oh che romantici, una fuga d'amore! - La ragazza prende a saltellare, battendo le mani con entusiasmo.

- La solita civetta! Finiscila! - Angelica le tira uno scappellotto, cercando di mettere un freno alle fantasie sdolcinate della " fangirl ". Mi sento molto in imbarazzo in questo momento, Andrea ha preso le distanze dalla madre di Luca per assicurarsi che io stia bene e pare alquanto impensierito, preoccupato per via del mio insolito pallore. - Forse è meglio che rassicuri quell'uomo, chiunque sia, deve essere molto in pensiero per te. - 

- Hai ragione - e, senza attendere altro, gli faccio sapere che è tutto ok e che crucciarsi per me non è più necessario. Il castano, al contempo, mi fa presente il fatto che io lo abbia chiamato " papà " ed io, ridacchiando, confesso di averlo chiamato in quel modo per scherno, per sfotterlo, parlando terra terra. Per intratterli tra una battuta e l'altra di pallavolo, invece, racconto loro le mie strane vicissitudini, surclassando la parte in cui mi sono " teletrasportata " assieme a Friederick, lasciandoli sorpresi e meravigliati. Mi porgono tante domande a cui rispondo in modo più o meno completo, magari censurando particolari troppo crudi, indecenti, inconfessabili. 

- Non credevo ci potessero essere delle persone così crudeli - Angelica ha la pelle d'oca e tutto questo dopo averle descritto brevemente la personalità di Schneider, il suo pensiero e le sue abitudini. - Ho sempre pensato che mio fratello fosse stronzo, ma qui, Sara, tu mi stai parlando del diavolo, non può essere un uomo, non ci può essere tanto male in una sola persona. - Marco sbuffa, piccato, ringraziando mentalmente l'adorata sorellina del bel complimento ricevuto ma lei, come avesse un sonar, riesce a captare la provocazione e minaccia di prenderlo a scarpate davanti a tutti. 

- Tu ci vivi assieme? - 

- Più o meno, purtroppo non posso andare da nessuna parte senza di lui - provo una certa vergogna nel dirlo, però è anche vero che non ho nessuno qui, se non le poche persone gentili che ho conosciuto e gli " amici " di comodo che mi sono dovuta fare per impedire che mi succedesse qualcosa di brutto. È fondamentale avere degli amici, specialmente se influenti, perché una volta entrati nella tana del lupo è quasi impossibile uscirne fuori. Rüdiger sarà pure un ragazzetto odioso ed egocentrico, ma è pur sempre un ufficiale nazista e il suo status mi garantisce una certa sicurezza. Le SS a guardia del campo, proprio come i prigionieri stessi, non ricevono più stimoli esterni, non hanno più contatti con il mondo al di fuori del lager e, per questo motivo, diventano animali, incontrollabili e brutali e la protezione di Schneider, la sua benevolenza e simpatia tornano ad essere una priorità per me, un bottino ambito e conteso come oro. 

- Certo che, per essere uno scricciolo, hai il coraggio di un leone - Luca mi ripassa la palla, mettendo in evidenza due adorabili fossette sulle guance. 

- Non è vero, anzi, a volte provo una paura tale che mi viene difficile anche solo parlare. - Seguo Andrea con lo sguardo e vedo che si è alzato in piedi, cosicché consegno il pallone a Maria e saluto a malincuore i ragazzi, sapendo che verosimilmente non li rivedrò più. 

- Tornerai? - 

- Farò il possibile, ve lo prometto - e lo farò davvero, ma non credo sarà possibile, essendo alle dipendenze di quel tirannello. Mi allontano con un certo dispiace e mi ricongiungo al moro, che appare contento di avermi di nuovo con sè. Anche noi abbiamo sbagliato ad affezionarci così l'uno all'altra, è stata una mossa poco avveduta da parte nostra, poichè trovo davvero inverosimile ch'io riesca a rivederlo, una volta tornata ad Oswieçim. Non potrebbe venire a trovarmi e, in ogni caso, non glielo permetterei; non augurerei mai a nessuno di vedere ciò che ho visto io in quel postaccio. Eppure è stato facile volergli bene, è sempre stato carino con me, mi ha trattata come una sua pari, non mi ha screditata in quanto donna e non ha approfittato della sua prestanza fisica per schiacciarmi alla sua volontà, come avrebbe fatto chiunque al posto suo. È un brav'uomo, mi riesce difficile immaginare che non lo sia. 

- Ti sei fatta degli amici, a quanto vedo - 

- Non dovevo, lo so. Ho trascorso la maggior parte della mia vita in solitudine, non so perché adesso io inizi a percepire il bisogno di compagnia. Le persone che mi circondano sono fuori dalla mia portata, generali, ufficiali maggiori, veterani, nazisti o fascisti che siano, io non sono come loro, non sono come te, Andre. Mi capisci? - Lui ne rimane interdetto, ma annuisce gravemente, deluso del fatto che io mi senta sola, anche con lui. Lo conforto, dicendo di essere solo una ragazzina e di aver anche bisogno dell'amore di mamma e papà che lui, ovviamente, non mi potrà mai dare. Tornati a casa, verso le sei passate, veniamo aggrediti della colf, che ci rimprovera il fatto di non averla avvertita prima. Andrea le rimbecca di non aver eseguito neanche la metà dei compiti che aveva richiesto e lei, infastidita, intima di volersi licenziare ma poi, resasi conto di aver disperatamente bisogno di denaro, si scusa per la scenata e torna al suo posto, pregando umilmente il " padrone " di non liquidarla e di perdonare il suo scatto d'ira. Lui si limita a sospirare e dopo una lunga riflessione decide di concederle la " grazia ". In seguito alla dipartita della donna, ricca di convenevoli, trascorriamo il resto della serata insieme, chiacchierando e cenando con un manicaretto a base pollo e verdure, preparato dallo " chef " in persona. Non ho cuore di dirgli che la carne è stopposa e decisamente troppo salata, per cui trangugio il tutto con una velocità spaventosa per evitare di tener troppo in bocca quell'abominio, preparato con tanto amore e dedizione. Solo dopo aver digerito a fatica, un processo durato quasi tre ore, mi metto a letto, nel suo letto dato che, proprio nel mezzo di una discussione, ho iniziato a sentir calare le palpebre e mi sono accucciata in un angolo, sotto il suo sguardo intenerito. Nel cuore della notte, però, sento il telefono squillare e Andrea, assonnato e ancora frastornato, distende il braccio verso la cornetta per rispondere alla chiamata. Non capisco tutto ciò che viene detto, sento parlare di un problema, descritto dall'uomo all'altro capo come un " incidente di percorso " e, con gli occhi appena dischiusi, riesco a vedere il suo viso contrarsi e lo sguardo pensieroso. La situazione non mi piace. Lui balza giù dal letto e prende a vestirsi, mette la camicia nera e una giacca con delle mostrine, mi accarezza il viso e mi chiede di non pensarci, di tornare a dormire. 

- Dimmi cos'è successo, riguarda te? - 

- Riguarda la nostra giurisdizione. Mi hanno detto che un paio di ebrei hanno violato il coprifuoco imposto dalla legge e che i " luogotenenti " tedeschi hanno già preso provvedimenti. - 

- Q-quanti s-sono gli ebrei? - 

Due... L'ultima cifra che avrei voluto sentire. 

 

 

 

 

 

 

 

NOTICINA: 

1) geenna, sinonimo di inferno 

 

 

 

 

  
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