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Autore: Feni_rel    08/07/2017    2 recensioni
[Gundam Iron-Blooded Orphans]
La vista del Flauros impegnato in una battaglia contro lo shiden bianco pilotato da Eugene fu come una zannata dritta sul cuore. Il suo cuore, che era già stato lacerato dalla morte di Shino e che ora Arianrhod si stava divertendo a ridurre a brandelli.
“Se proprio dovevate usarlo…” nemmeno lui si riconosceva in quel tono basso e grave “almeno dovevate cambiargli il colore!”
What if della serie Gundam Iron blooded Orphans
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci qui con il terzo capitolo. Chi ci sarà a bordo del Flauros appena sceso in campo?
Seguiteci e avrete la risposta!!
Grazie a voi che leggete <3




III Capitolo



“I nostri sono in difficoltà!”


Alcuni ragazzi giunsero trafelati nel reparto meccanico di Tekkadan su Chryse. Kassapa rivolse loro l’intera attenzione, visto che erano quelli che comunicavano con i piloti dei mobile suit in campo. Avevano tutti lo sguardo sconvolto. “Arianrhod si è impossessata del Flauros! E lo stanno usando contro di noi!” Annunciò uno di loro.

Il capomeccanico spalancò gli occhi, provando la medesima confusione dei compagni. “Il Flauros? Ne sei certo?”
Il ragazzo annuì. “Ho sentito le voci dei ragazzi, Eugene ha confermato che si tratta proprio del Flauros!”
Kassapa avvertì un brivido gelido lungo la schiena. “Ma com’è possibile? Era andato disperso nello spaz-” S’interruppe, pensando che quelli che si erano dati alla fuga erano stati loro, mentre la flotta nemica aveva di certo avuto tutto il tempo di recuperare il loro mobile suit. “Che stiano sfruttando ragazzi dotati del sistema Alaya Vijnana? Proprio Gjallarhorn che ne aveva vietato l’uso?” L’uomo si passò una mano in viso, faticando a mantenersi lucido. “Non mi stupirebbe nemmeno se con la loro tecnologia fossero riusciti a modificare il sistema di utilizzo del Flauros…”

“Ryusei-go!”

Una voce dura alle sue spalle lo fece sussultare.

“Ryusei-go.” Ripetè Yamagi, pugni stretti e uno sguardo ostile che Kassapa non gli aveva mai visto. “Ryusei-go. Non avete alcun rispetto per Shino?” Il giovane meccanico stava tremando. Mai aveva provato una sensazione simile. Mai, neppure alla morte di Shino. Si era disperato, è vero, ancora cercava di nascondere quella disperazione. Si era sentito impotente, si era sentito in colpa, arrabbiato anche, ma non aveva avvertito un odio simile a quello nutrito in quel momento.  

“Ce lo hanno strappato via…” sibilò fra i denti. “Non abbiamo nemmeno avuto la possibilità di recuperarlo, mentre loro se ne sono impossessati impunemente, usandolo contro di noi. Infangando Shino… non posso perdonarli.”

“Yamagi, calmati…” Lo esortò Kassapa, preoccupato per il ragazzo. Il suo tono aspro non gli stava piacendo e nemmeno la luce che aveva negli occhi. Lo sguardo così accecato dall’odio, quasi omicida, non s’addiceva per nulla al suo piccolo aiutante. Ma, prima che la propria mano potesse raggiungerlo, Yamagi era già corso via e nell’inseguirlo nell’hangar, l’uomo ebbe conferma dei suoi timori. “Non fare pazzie, Yamagi!” Gridò, vedendolo salire su uno degli Shiden rimasti vuoti. Proprio uno di quelli appartenenti alla squadra Ryusei di Shino. “Ti farai ammazzare inutilmente!” Insisté, senza successo.  

Il cockpit si chiuse davanti ai suoi occhi allarmati.  

“Hanno osato mettere le mani sul Ryusei-go…” Yamagi parlava a voce alta, in preda a una cieca rabbia. Si levò con decisione la giacca, abbassando poi la zip della tuta per scoprire la parte superiore del corpo. Azionò i comandi, spingendosi all’indietro. Il cavo del sistema Alaya Vijnana s’innestò facilmente nella sua schiena, provocandogli un moto di nausea e una fitta alla testa. I nervi cervicali erano stati collegati. Dopo il discorso di Mikazuki si era fissato sulla schiena l’apparecchio per il collegamento, vagliando la possibilità di dover prima o poi scendere in campo.

L’aveva addirittura sperato.

Non era un pilota, è vero, non era mai stato portato per guidare mobile suit. Gli orfani come lui, alla CGS, subivano l’operazione senza distinzioni, per poi venir testati in battaglie simulate per verificarne le abilità. Lui era stato scartato sin da subito, mentre altri, anche più piccoli, erano stati selezionati per pilotare i mobile worker. All’inizio si era sentito parecchio frustrato e inutile, poi, invece, scoprendo le proprie abilità come meccanico, aveva deciso di affinarle per dedicarsi a rendere sicure le macchine sulle quali sarebbero saliti i suoi compagni.

Quando poi aveva conosciuto Shino, si era ripromesso di avere cura di quelle che avrebbe utilizzato lui. Quello era l’unico modo in cui poteva proteggerlo. E se ancora sentiva forte il senso di colpa per avergli montato il dainsleif, non poteva perdonare la condotta di Arianrhod.

“Quello è il mobile suit al quale ho lavorato con tutte le mie forze. Per Shino. Solo per lui…” Mentre lo Shiden si attivava, Yamagi notò le proprie mani tremare, ma cercò di soffocare la paura alimentando la propria rabbia.

Quando marcò il suolo brullo di Marte, la luce del sole e la nube di polvere sollevata dalla battaglia in corso gli ostruirono la visuale, tanto che faticò nell’immediato a riconoscere i mobile suit in campo. In poco tempo, però, distinse i suoi compagni, i nemici e individuò quello che un tempo era stato un alleato.

La vista del Flauros impegnato in una battaglia contro lo Shiden bianco pilotato da Eugene fu come una zannata dritta sul cuore. Il suo cuore, che era già stato lacerato dalla morte di Shino e che ora Arianrhod si stava divertendo a ridurre a brandelli.

“Se proprio dovevate usarlo…” nemmeno lui si riconosceva in quel tono basso e grave “almeno dovevate cambiargli il colore!” Gridò poi con profondo disprezzo, lanciandosi contro quello che riteneva un affronto alla persona che amava, una violenza ai suoi sentimenti.

“Ma cosa…” Eugene riconobbe lo Shiden che si scagliò con tutto il corpo sul Flauros come uno dei loro, ma non capì chi potesse aver avuto la folle idea di gettarsi in quel modo su un avversario, soprattutto un Gundam frame. Nella frenesia della battaglia, la sua mente trovò comunque la lucidità per dare un volto al pilota sconsiderato. “È un suicidio! Torna indietro, Yamagi!”

Il giovane meccanico non ascoltava le parole del vicecapo che continuava a pregarlo di ritirarsi, mentre si difendeva a sua volta, ma lui non le sentiva neanche, preso com’era dal colpire in continuazione il Flauros con l’ascia del suo mobile suit.
Si rendeva conto di stare agendo senza criterio, forse i suoi movimenti risultavano prevedibili e impacciati, ma non gli importava. Il Gundam frame indietreggiava sotto i suoi affondi, difendendosi con le sole braccia. Fuori di sé, Yamagi continuava a colpire alla cieca e nel frattempo apriva le comunicazioni con quel mobile suit.

“Mi senti, pilota?” Chiamò, la voce che traboccava di rancore. Ma dall’altra parte non ci fu alcuna risposta. Yamagi sentì solo un breve respiro, senza accorgersi del sussulto all’interno dalla cabina di pilotaggio. “Lo so che mi senti.” Incalzò. “Come hai potuto sederti là dentro. Tu non sei degno…” Afferrò l’ascia con entrambe le mani e la sollevò con tutta la forza che aveva. “Non sei degno di pilotare il Ryusei-go!” Affondò sul fianco del mobile suit e il sistema Alaya Vijnana gli rispose con una scarica elettrica che avvertì fino alla testa e che gli fece inarcare la schiena e colare il sangue dal naso.

Il Flauros incassò ancora, tuttavia i colpi di Yamagi erano troppo deboli per potergli causare danni ingenti. Ma al ragazzo non importava, continuava a infierire, senza chiedersi perché l’altro non reagisse. “Quello è il mobile suit di un nostro compagno, un membro della nostra famiglia!” Yamagi sentiva di non avere più fiato nei polmoni, il sistema impiantato sulla sua schiena lo stava sfinendo, ma non si sarebbe comunque fermato. Aveva ancora tutta l’adrenalina a scorrergli nelle vene. “Shino… Shino ha dato la vita per la causa di Tekkadan! Voi ce l’avete strappato… lui, che era così importante per tutti noi…” La voce improvvisamente gli venne meno, ma non era colpa dell’Alaya Vijnana.

Il pilota taceva ancora, ma le dita della sua mano destra si stringevano a pugno, così come quelle di Yamagi che continuava: “… era importante per me…” Un solo singulto, prima di venir afferrato per un braccio e sentirsi improvvisamente scagliare lontano, come se fosse stato più leggero di una piuma. Sgranò gli occhi, di fronte a un raggio che colpiva a vuoto il suolo marziano e che era appena riuscito a evitare.

No, si rese conto che il Flauros lo aveva appena salvato. Fissò stordito lo schermo che gli mostrava il Ryusei-go in tutta la sua imponenza. L’aveva visto così tante volte da vicino. Ma ora lui era in terra, mentre quello gli stava davanti, immobile, facendolo sentire impotente e confuso.

“Allontanati dalla battaglia, Yamagi. Tu non sei capace di combattere!”

Il pilota a bordo del Flauros aveva appena parlato e quella frase lo fece tremare come un bambino. Il proprio nome pronunciato da quella voce era sempre stato impresso nella sua testa. Negli ultimi tempi l’aveva rievocato così tanto, nella paura che quel ricordo si potesse affievolire. Era incredulo. Gli avevano detto che si era gettato sulla flotta nemica con una manovra suicida, che i dainsleif dei mobile suit di Arianrhod lo avevano devastato, che la cabina di pilotaggio era saltata in aria. E loro non avevano potuto fare niente per salvarlo. Per questo non aveva lontanamente pensato che potesse trattarsi di…

“Shino…?” Chiamò sconvolto, incredulo. “Sei vivo…” Tese la mano e il suo Shiden rispose allo stesso modo. Anelò quel contatto che si era convinto non avrebbe mai più potuto avvertire: la presa salda di Shino che l’aveva fatto emozionare molto tempo prima, quando ancora i suoi sentimenti erano acerbi.

Il Flauros si mosse a sua volta, ma a tendersi furono i cannoni sulle spalle che Yamagi si vide all’improvviso puntati contro. “Ritirati Yamagi, non sarò così indulgente una seconda volta.”

In un primo momento, il meccanico pensò di essersi sbagliato, che il pilota non fosse realmente Shino ma, un attimo dopo, realizzò che a chiamarlo in quel modo poteva essere soltanto lui.

“Che… che dici?” Balbettò scioccato, senza riuscire a realizzare ciò che stava accadendo. Shino gli era proprio davanti, all’interno del mobile suit al quale aveva lavorato con impegno per mesi, rendendola la macchina perfetta per lui. Innumerevoli volte il Flauros l’aveva guardato dall’alto in basso, ma Yamagi non ne aveva mai avuto alcun timore, perché quello non era solo un Gundam Frame, bensì il Ryusei-go, l’anima di Norba Shino. Mai l’avrebbe immaginato ostile. “Tu sei un nostro compagno, no?” Domandò con voce spezzata dall’emozione, cercando di sottolineare quello che doveva essere qualcosa di naturale.  Credevamo di averti perso per sempre… io mi sono sentito pers-”

“Noi non siamo più compagni.” Lo interruppe l’altro. “Quindi ritirati, ora!”

Sconvolto, Yamagi provò a parlare ancora, ma l’improvviso “per favore” sussurrato con timbro nervoso da quello che sembrava davvero essere Shino, lo fece indietreggiare. D’un tratto, fu di nuovo capace di sentire i colpi e le esplosioni della battaglia in corso. Oltre che la voce di Eugene che gli ordinava di tornare alla base. Nonostante i sentimenti che lo stavano travolgendo come un fiume in piena, il giovane meccanico chinò la testa e obbedì all’intimazione di colui che era ancora la persona più importante della sua vita.

Tremò, nell’abbandonare il campo di battaglia. E Kassapa lo trovò così, quando aprì dall’esterno il portellone del cockpit: il corpo che ancora tremava, le mani strette sui comandi come quelle di un bambino che non sa come manovrarli e lo sguardo fisso nel vuoto.

“Yamagi, stai bene? Sei ferito?” Il capo meccanico lo afferrò per le spalle, preoccupato che il sistema Alaya Vijnana potesse avergli causato dei seri danni. Aveva un rivolo di sangue che colava dal naso.

Di colpo il ragazzo si scosse, guardandolo negli occhi con i propri che erano tornati espressivi, come se vedessero per la prima volta. “Era davvero Shino. È vivo. Ed è nostro nemico.” E solo in quel momento le lacrime ebbero la forza di rigargli il viso.


FINE III capitolo
   
 
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