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Autore: Stray_Ashes    10/07/2017    0 recensioni
Ambientata nella Londra Vittoriana, tra fantasy, soprannaturale, thriller e rosa, questa "storia" è un esperimento con cui partecipo a un piccolo concorso su Wattpad.
Si tratterà di tre storie apparentemente diverse e una storia conclusiva che collegherà tutte le altre. Non sono sicura di essere riuscita a rispettare quei parametri, ma ci ho provato.
Buona lettura!
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. L'Avidità dei Demoni



"Mi serve un altro prestito".

Vince strinse le mani attorno ai poggioli della sedia su cui era seduto, cercando di ignorare i tremori nei muscoli. Sentiva le tempie pulsare ed avvertiva un rivolo di sangue che dal sopracciglio sinistro gli arrivava fino al lato della bocca, là dove gli uomini di Brooke l'avevano pestato.

Quando sapevano che eri in cerca di un prestito, i gorilla di Brooke ti prendevano e ti picchiavano, così, senza una vera e propria ragione, e solo poi avevi il permesso di incontrare il loro capo. Ribellarsi era ovviamente inutile.

Era come un monito, crudele ma sensato: essere pestato senza non aver ancora fatto nulla ti toglieva dalla mente ogni proposito di fregare il signor Brooke. O le botte sarebbero state molto peggiori.

Vince era stato in questo posto più di una volta a chiedere un prestito, ma non sembrava fare molta differenza: gli uomini di Brooke ripetevano il rito lo stesso, e lo pestavano finché non cadeva in ginocchio. Ogni volta, per ciascuno degli ultimi mesi. Ma Vince... non poteva farne a meno. Aveva dovuto venire ancora una volta.

Il signor Brooke era una scura e imponente figura aldilà della scrivania e fissava Vince con fredda sufficienza, mentre i suoi gorilla se ne stavano contro i muri della stanza, un po' come mobili d'arredamento, o forse come grosse armi appese alle pareti. Brooke sollevò una mano e si lisciò i bassi, per poi grattarsi il mento. "Un altro prestito, Vince? Non hai nemmeno finito di pagarmi l'ultimo debito..." commentò, con quella voce ruvida ma paterna da cui Vince non si lasciava più abbindolare. Anzi. Il battito del suo cuore accelerò e lui deglutì, sentendo sudore freddo scivolargli sulla schiena e sulla tempia, mescolandosi al sangue e facendogli bruciare le ferite.

"L-lo so. Ma pagherò. Ho... ho solo bisogno di un altro prestito. Ne ho bisogno"

Lo sguardo di Brooke si oscurò, e l'uomo barbuto si sporse in avanti. "Ma a me non interessa di cosa hai bisogno, ragazzino. Questi sono affari. E questo mondo è crudele, senza scrupoli."

Vince strinse i denti e chiuse brevemente gli occhi. Un'energia incontrollabile, feroce, arrabbiata si agitava in lui e gli tirava i nervi, impaziente di scatenarsi – e secondo Vince, Brooke era cosciente di questo. Stava giocando con lui. Lo stava testando, istigando. Ma Vince sapeva che se si fosse lasciato andare, gli altri uomini – gli altri lupi – l'avrebbero fatto a pezzi.

Ricordando che era già il venticinque del mese, e che non c'era più tempo, Vince riuscì a calmarsi e tornare in sé.

"Lo so. Ma ho sempre pagato, non è vero? Ti ho sempre restituito tutto. E lo farò anche questa volta, ho – ho solo bisogno di ancora un po' di tempo."

Brooke lo fissò truce qualche istante, poi sospirò e si abbandonò contro lo schienale della poltrona. "E cosa mi assicura che tu tra un mese non sarai di nuovo qui senza i miei soldi, a chiedere un nuovo prestito?"

"Il mio buon senso. So che se tornassi qui a mani vuote... mi uccidereste", mormorò Vince, e piegò il capo, lasciando che ciuffi di capelli neri gli scivolassero davanti agli occhi.

Brooke sorrise, come sorriderebbe un professore allo studente con la risposta corretta. "Bene. Vedo che su questo non hai dubbi. E ricorda che ti uccideremmo anche se scappassi." Brooke fece una pausa, poi si grattò di nuovo la barba e sorrise: Vince vide uno scintillio aguzzo tra le sue labbra. "Sei fortunato che mi stai simpatico, Vince. Così giovane e già incastrato in un inferno come questo. Anche io avevo circa la tua età... perciò, ti concederò il prestito. Ma solo questa volta". Vince sentì l'eccitazione e la gioia pervaderlo, ma rimase fermo e rigido al suo posto quando Brooke sollevò una mano per richiamare i suoi scagnozzi, sentendolo borbottare un "Porta qui la valigia".

E la valigia fu portata. Era grossa, dall'aspetto minaccioso, di consumato cuoio nero con uno spesso marchingegno a combinazione che la teneva chiusa. Vince osservò avidamente le dita di Brooke muoversi per comporre i numeri corretti, e poi la valigia fu aperta: all'interno, posate su un panno di velluto rosso, c'erano varie boccette dal colore argenteo; Brooke non si fermò a pensarci, ne afferrò una con decisione e compì il movimento per porla a Vince.

Per un istante, il ragazzo vide il mondo al rallentatore – e poi, subito dopo, lo vide andare incredibilmente veloce. Successe tutto in un istante: arrivarono le urla, il rumore degli spari, il suono di chi correva. I gorilla di Brooke si staccarono dai muri e misero mano alle armi proprio mentre la porta dello studio si spalancava, rivelando un uomo con un lungo cappotto beige e un a bandana a coprirgli il volto, ma nello stesso istante una pallottola si stava già conficcando con precisione impeccabile nella fronte di Brooke.

La boccetta scivolò dalle mani dell'uomo, rotolando sul tavolo, e Vince, incurante persino dell'assassino che aveva alle spalle, si lanciò per terra e riuscì ad afferrarla al volo, prima che si frantumasse. Se la strinse al petto e cercò di farsi scudo dietro la scrivania del defunto Brooke. Nella stanza, intanto, si era scatenato l'inferno: l'assassino non era venuto da solo, si udivano grida in altri punti dell'edificio, e sangue e schegge di legno volavano ovunque. Nel suo campo visivo vedeva anche del fumo, forse del fuoco.

Vince strinse gli occhi, sentendo il cuore battere come un tamburo nel petto: non voleva morire lì, non adesso e non così. Scattò in piedi e si lanciò alla cieca verso la finestra in fondo alla stanza, ignorando persino il dolore lancinante che una pallottola gli causò sfiorandogli il fianco: fu un momento confuso, guidato dall'istinto, ma Vince non ci pensò due volte quando sfondò di peso il vetro della finestra e precipitò dall'altezza di due piani in un vicolo avvolto dal buio.

Atterrò, e perse coscienza qualche minuto: si risvegliò che aveva male ovunque, i muscoli e le ferite gridavano, il freddo dell'aria gli irrigidiva la pelle e gli congelava le lacrime tra le palpebre.

Eppure, si tirò in piedi e strinse tre le dita il suo elisir, cominciando a muoversi a tentoni nelle strade buie della città: dopotutto, la notte gli apparteneva, e non c'era ostacolo in grado di impedirgli di tornare a casa – ovunque casa si trovasse adesso.

 

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