IX
L’Andromeda
scivolava
dolcemente attraverso lo strapiombo, abbracciata da due imponenti
pareti di
roccia scabra e scura che scendevano a picco, incombendo sulla nave.
L’imbarcazione, per quanto fosse possente, sembrava minuscola
in confronto ai
giganti di roccia massiccia che la circondavano, squadrandoli con
cipiglio
scuro, irto di sporgenze aguzze e lucide.
L’intera
ciurma era
stata rapita dall’incredibile paesaggio che le Kal Schelas
offrivano: una
catena montuosa maestosa e solenne, che svettava con altera fierezza,
sfidando
l’azzurrità del cielo, scevra dai fumi vomitati
dalle fabbriche, che
ammorbavano i cieli sopra le città. Il luogo era rimasto
incontaminato, e nulla
ne scalfiva la bellezza selvaggia e mozzafiato: non una costruzione ne
deturpava la scabrosità, né una strada ne
incideva il profilo; nemmeno la
vegetazione aveva osato deturparla. Quella zona era
nient’altro che pietra e
cielo, il trionfo della natura che sbocciava nella sua più
rude e disadorna
bellezza.
Il
silenzio che
dominava il paesaggio era assoluto e solenne, sembrava di penetrare in
un
sacrario, e gli uomini avevano timore persino di emettere un respiro
più
profondo. L’Andromeda sembrava uno spettro che si aggirava
sgomento per quel
luogo silenzioso e suggestivo, con le vele nere gonfiate dal vento, che
si
infiltrava nel crepaccio che si snodava tra i massicci.
Il
peso della
bellezza indescrivibile di quel luogo gravava sulla ciurma e nessuno
osava
proferire parola, completamente in balia della potenza e della forza
che quelle
montagne parevano trasmettere.
«Kal
Schelas, nella
Lingua Morta, significa Muraglia Impenetrabile» ruppe il
silenzio Adam. Anche
lui si stava godendo la vista, abbandonato indolente contro il
parapetto
d’osso, «Nessuno si è mai spinto ad
esplorare queste terre: le montagne
incutono troppa paura e soggezione. Le popolazioni che abitarono prima
di noi
questa terra erano convinti che questa catena dividesse il mondo dei
mortali da
quello degli dei e degli spiriti che adoravano. Per loro era un luogo
sacro e
pertanto intoccabile.»
«Siamo
dei
profanatori» commentò Krugar.
«Per
loro lo saremmo
stati» scrollò le spalle l’altro, con
disinteresse. Non aveva mai creduto in alcuna
divinità, ed era fermamente convinto che la religione fosse
l’oppio che la
casta sacerdotale propinava al popolo superstizioso per mascherare loro
la
realtà, intorpidendoli con sermoni e inni. Krugar pareva del
medesimo parere:
non sembrava troppo dispiaciuto di aver messo piede in quei luoghi e,
anzi,
studiava con vivo interesse le pareti di roccia alla ricerca di qualche
vena di
minerali preziosi.
«Gli
Ardrir hanno
scelto appositamente questo luogo per nidificare: è
praticamente disabitato e
le loro uova e i loro cuccioli sono al sicuro.»
«Fino
ad ora» ghignò
Krugar. Adam ricambiò il sorriso e tornò a
osservare il panorama che si
stendeva davanti ai suoi occhi, come una tela in perenne movimento.
Più
l’Andromeda si addentrava nelle Kal Schelas, più i
fianchi delle montagne
diventavano stretti e irti di spuntoni di roccia scura, fino a
congiungersi e
diventare un’unica catena infinita nei pressi del Varco, il
confine ultimo tra
il mondo dei mortali e quello delle divinità.
Adam li
fece
arrestare poco prima: i nidi di Ardrir erano più numerosi
nei pressi della
congiunzione e avrebbero avuto maggiori probabilità di
scovarne uno.
Durante
il tragitto
non vi era stata alcuna traccia dell’ombra sinuosa dei
draghi: nessuno si era
mai spinto fino a quei recessi e avevano abbandonato con sicurezza i
propri
nidi per andare a caccia, sebbene alcuni potessero essere rimasti di
guardia,
rintanati negli anfratti della roccia. Ciò che
più Adam temeva, infatti, era
un’imboscata da parte di quelle creature: proprio mentre
erano in procinto di
avvicinarsi ad un nido, un Ardrir sarebbe potuto spuntare
all’improvviso dal
suo nascondiglio e attaccarli.
«Qual
è il tuo
piano?» domandò Krugar. Lo stesso pensiero aveva
attraversato la sua mente, e
aveva iniziato a scrutare con attenzione -e apprensione- le pareti di
roccia,
questa volta alla ricerca di possibili nascondigli.
«Farai
avvicinare la
nave alla parete di roccia il più possibile, poi mi
legherò con una corda che
verrà assicurata al parapetto o alla poppa o dove
preferisci, basta che sia
abbastanza resistente; mi calerò dall’alto sopra
un nido di Ardrir e prenderò
un cucciolo. È grande come un gatto e assolutamente innocuo.
Voi mi trainerete
indietro e lo stesso farete nel caso in cui debba spuntare un drago
adulto, il
più in fretta possibile, grazie»
«Tutto
qui?» domandò
Krugar inarcando un sopracciglio cespuglioso, «Tu farai il
funambolo mentre noi
staremo a guardare e a trainarti come una Waahl?»
«Credo
di essere
l’unico in grado di poter affrontare un Ardir» gli
fece notare Adam. Krugar
scoppiò a ridere: una risata sguaiata, sgraziata che sparse
gocce di saliva
tutt’intorno e mise in mostra la chiostra di piccoli denti
appuntiti e bianchi,
tra i quali scintillava un dente d’oro.
«Credi
che questo
tatuaggio serva solo a nascondere il marchio?»
domandò, «Non ti sei chiesto
perché abbia scelto proprio un Ardir e non un qualsiasi
altro drago o animale?»
«Sinceramente,
non
me lo sto chiedendo nemmeno ora» sbuffò il
Dragoron.
«Ne
ho affrontata
una, di quelle bestiacce. Non qui, ma più a sud, verso
Arsenia e le piane di
Condanar. Lì ci sono le Rovine di Davanster, la Tomba del Re
di Sabbia, con
tutti i suoi tesori. Non immaginavamo che quell’Ardrir
infernale ne fosse il
custode e avesse deciso che le rovine erano il suo territorio di
caccia. Ci
attaccò all’improvviso, fulmineo: era veloce,
scattante, letale. Provava a
ferirci con le sue ali ma riuscì solo a lacerare le vele.
Dovevamo abbatterlo
se volevano avere una qualche possibilità di raggiungere la
Tomba. Ma i miei
uomini sono tutti dei cacasotto ed è toccato a me
l’ingrato compito. Brandendo
il mio spadone a due mani, mi sono gettato sulla bestia, e cercando di
evitare
le sue ali velenifere e sperando di non cadere, ho piantato la lama
nelle sue
cervella, fino all’elsa. Un combattimento mozzafiato, peccato
che, tornato
vittorioso sulla nave, mi sia accorto di un graffio
all’altezza del cuore,
inferto dalle sue ali malefiche. Un graffio da nulla, in
realtà, per uno dalla
scorza dura e spessa come un orco, ma il suo veleno poteva
già essere entrato
in circolo. Fece più male spurgarmi dal veleno che la ferita
che mi aveva
procurato il drago.»
«Ora
si spiega la
scelta appariscente» commentò Adam, privo di reale
interesse, «Spero che tu
sappia ancora usare quel tuo spadone.»
«Fernecar
è la mia
fida compagna e l’unica cosa che mi sia rimasta del mio
passato.»
«Vedi
di usarla come
si vede quando dovrai decapitare qualche Ardrir» si
raccomandò Adam. Voleva
evitare di essere infettato da uno di quei draghi. Era per questo che
avrebbe
pagato profumatamente l’orco.
Krugar
fece cenno ad
Ariel di salire di quota e l’abile timoniere
obbedì.
«Come
riesci a
vedere quei fottutissimi nidi?» domandò, aguzzando
la vista per cercare di
distinguerli in quell’intrico di spuntoni e sporgenze.
«Basta
saper dove
guardare» rispose evasivo l’altro. Ne
individuò uno proprio sotto di loro,
rintanato nel mezzo di due sporgenze divergenti; sondò con
lo sguardo l’area
circostante, alla ricerca di un possibile Ardrir, ma non ne scorse
nessuno e
chiese a Krugar di procurargli una corda.
«Dunabar»
tuonò,
«renditi utile e va a prendermi una corda. La più
resistente che abbiamo, ma
non troppo spessa, non ho alcuna intenzione di scorticarmi le mani per
questo
damerino pretenzioso di merda.»
Adam
ignorò
elegantemente l’offesa e osservò il nano
affrettarsi sottocoperta con un
ridicolo passo claudicante.
«Adoro
farlo correre
da una parte all’altra della nave»
ridacchiò Krugar, «È uno spasso vederlo
caracollare con quelle gambette storte. E non può nemmeno
lamentarsi: gli è
stata tagliata la lingua.»
Adam
trovò piuttosto
grottesco l’umorismo dell’orco, ma non poteva
nemmeno aspettarsi qualcosa di
diverso da uno della sua razza.
Dunabar
arrivò tutto
trafelato e completamente ricoperto da una corda robusta che sfuggiva
dalla
presa delle sue braccia, quasi si fosse trattato di un serpente;
all’ultimo si
inciampò in un lembo e finì lungo e disteso ai
piedi di Krugar, che scoppiò
nuovamente a ridere.
«Se
non fosse un
meccanico straordinario, l’avrei lasciato a qualche circo:
è esilarante!»
Il
nano lanciò
un’occhiata carica di odio al capitano, tutto ciò
che poteva fare nelle sue
condizioni.
L’orco
lo rimise in
piedi con malagrazia e gli strappò la corda dalle mani; ne
lanciò un capo ad
Adam e mentre il Dragoron se l’avvolgeva strettamente attorno
alla vita, Krugar
l’assicurava al parapetto della nave.
Il
cavaliere si
premurò di controllare la resistenza del nodo, sotto lo
sguardo visibilmente
offeso dell’altro.
«Dieci
anni e passa
che sto su una nave e crede che non sia ancora capace di fare i
nodi» borbottò.
Ariel
assestò la
nave e Adam si arrampicò sul bordo della balaustra, sotto di
lui si apriva il
nido di Ardrir: un nugolo di paglia e sterpaglia per tenere i piccoli
al caldo,
circondato da frammenti della roccia scura che costituiva le montagne.
I
piccoli erano quattro: tre femmine e un maschio, più piccolo
e snello delle
sorelle. Adam aveva puntato a quello: sarebbe stato più
semplice da prelevare,
le femmine tendevano ad essere più scorbutiche e cattive,
mentre i maschi si
animavano solo nel periodo dell’accoppiamento.
Il
Dragoron prese un
respiro profondo, allargò le braccia e si gettò
nel vuoto.
Krugar
e i suoi
uomini più forzuti e muscolosi trattenevano la corda: al
salto del cavaliere
uno strattone li proiettò in avanti, ma riuscirono a frenare
la caduta di Adam
un paio di metri sopra il nido.
«Fatemi
avvicinare
lentamente» urlò.
«Che
pretese!» si
lamentò Krugar, facendo attentamente scivolare un tratto di
corda per volta.
«Basta
così» giunse
la voce ovattata di Adam, «Ora cercate di non farmi
sfracellare sulle rocce.»
«Giuro
che quando
riemerge lo getto giù dalla nave, ma senza corda»
borbottò l’orco. Detestava
prendere ordini, soprattutto da un fighetto del cazzo come Adam, ma la
prospettiva della ricompensa bastava a fargli ignorare
l’atteggiamento
presuntuoso e indisponente dell’umano.
Il
Dragoron si
allungò verso il nido, i draghi avevano iniziato a soffiare
e ad agitarsi, ma
non potevano fare molto altro: non producevano ancora il veleno e non
avevano
denti.
Si
protese verso il maschietto,
mentre le femmine tentavano di proteggere il fratello uggiolando e
mordendo le
braccia di Adam con le sole gengive. L’operazione si stava
rivelando più
difficile del previsto: non riusciva ad afferrare i draghi che
continuavano a
muoversi, e se avessero proseguito a emettere quei versi, avrebbero
attirato
qualche drago adulto nei paraggi. Prima di essere catturati andavano
sedati.
«Tiratemi
su»
sbraitò Adam e per tutta risposta ricevette uno strattone
che gli strappò
l’aria dai polmoni e per poco non lo fece rimettere. La
delicatezza non era
esattamente il forte di quei pirati.
Lentamente
venne
trascinato di nuovo sulla nave e sotto lo sguardo confuso e sorpreso
dell’orco
e di due umani nerboruti, si sedette cavalcioni sulla balaustra.
«Dobbiamo
sedarli»
li informò, «Si agitano troppo e non riesco a
prenderli.»
«E
me lo dici ora?»
sbottò Krugar alterato.
«Non
pensavo che
sarebbe stato così complicato» si difese Adam.
«Sei
tu che avresti
dovuto pensarci prima, porca puttana! È tua questa
idea!» iniziò a sbraitare
l’orco, «Per chi cazzo mi hai preso? Credi che
abbia un arsenale di sedativi
nella stiva? E poi con cosa cazzo si seda un Ardrir?»
«Penso
che un
sedativo qualsiasi possa andar bene, la loro pelle è molto
fragile e sottile»
rispose l’altro con noncuranza.
«Tu
mi stai
pigliando per il culo» replicò Krugar, furibondo,
«Credi che collezioni
sedativi e veleni nel tempo libero? Non ho un cazzo di sedativo!
Avresti potuto
pensarci prima e l’avremmo preso a Valamer!»
«Dovremmo
trovare un
altro modo, allora» rispose Adam, imperturbabile.
«Ma
non mi dire»
esalò l’orco, le pretese di quel damerino stavano
iniziando ad innervosirlo:
nessuno aveva mai osato trattarlo in quel modo, come uno schiavo o un
servitore, non da quando era diventato un capitano rispettato e temuto.
Solo
perché aveva accettato di lavorare per lui, quel cavaliere
si era arrogato il
diritto di poterlo comandare a bacchetta, come se si fosse trattato di
un suo
sottoposto. Krugar aveva ormai raggiunto il livello di sopportazione,
ma con quell’ultima,
improbabile richiesta era stato irrimediabilmente superato.
«Non
immaginavo che
sarebbero stati così combattivi» si
scaldò Adam, «Sono degli stramaledetti
cuccioli: innocenti e assolutamente privi di difese»
«I
lividi sulle tue
braccia sembrano dire il contrario» commentò
caustico l’altro.
«Capitano»
li
interruppe uno dei pirati, «Temo che ci sia un Ardrir in
avvicinamento.»
Krugar
spostò lo
sguardo fiammeggiante dal Dragoron allo spicchio di cielo di fronte a
lui,
contro cui si stagliava un’inconfondibile forma sinuosa che
serpeggiava veloce
attraverso l’aria, tagliandola con le sue molteplici ali
membranose, striate di
vermiglio. Il muso era lungo e appuntito e anch’esso aveva
l’estremità rossa,
così come i corni che si diramavano dalla testa, facendola
distinguere dal
corpo serpentiforme che si contraeva e distendeva, spingendo il drago
verso la
nave. I piccoli occhi gialli emanavano malvagità e sete di
vendetta.
Quell’Ardrir era più grosso di quello che aveva
affrontato l’orco,
probabilmente si trattava di una femmina, richiamata dai lamenti dei
cuccioli, che aveva tutta l’intenzione di speronare
l’imbarcazione.
«Merda»
fu tutto
quello che Krugar riuscì a dire, prima che il mostro
impattasse contro la nave.
Avviso
ai naviganti:
Volevo avvisare tutti coloro che stanno leggendo/seguendo/spulciando la
storia che la
pubblicazione verrà sospesa per due settimane e
ripresa come di conseuto il 31
luglio. Ci scusiamo per il disagio.