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Autore: AThousandSuns    11/07/2017    2 recensioni
Raccolta di flashfic su Steve/Sharon, perché questa coppia merita di essere apprezzata un po' di più. Basate su prompt lasciati sul gruppo Facebook We are out for prompt. Il rating non supera l'arancione.
Genere: Azione, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sharon Carter, Steve Rogers
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Steve/Bucky/Sharon: Soulmate!AU in cui la prima e l'ultima frase della tua soulmate compaiono si tatuano sulla pelle. Eppure con Steve i conti non tornavano: su di lui non c'erano 2 frasi, ma 4.
 
Da qualche parte sulle Alpi, 1945
Steve butta giù l’ennesimo bicchiere di quel liquore scadente mentre per la prima volta maledice il siero che gli impedisce di prendersi una sbronza epocale. Non avverte il vento freddo che cerca di scuoterlo né la stanchezza che fa tremare i suoi muscoli: c’è spazio solo per il lutto quella notte nel suo cuore.
Guarda per l’ennesima volta le frasi impresse sul suo polso: In piedi amico, non abbiamo finito qui. Ricorda ancora quella mattina, quella in cui Bucky è intervenuto per evitare che dei ragazzini irlandesi continuassero a pestarlo. Le prime parole che gli ha rivolto.
E poi guarda la seconda frase e l’unica cosa che pensa è che sia sbagliata: Bucky ha urlato il suo nome mentre cadeva, è sicuro di non averlo immaginato, perciò la frase dovrebbe essere quell’unica parola.
Però non lo è.
Forse una parte di sé cerca di negare ciò che è successo, o forse sta solo impazzendo.
Sì, non c’è altra spiegazione, il siero gli sta consumando il cervello: spera solo che uno dei Commandos gli pianti una pallottola in testa prima che finisca per dare di matto come il Teschio Rosso.
 
Russia, 1996
Non sa che anno sia quando lo svegliano, non lo chiede. Non chiede mai nulla perché ha imparato che ad ogni domanda corrisponde ad una manganellata, un pugno, un calcio.
Non sa che anno sia, ma sa che è passata almeno una decade dall’ultimo risveglio: lo sente nei muscoli contratti, in ogni scricchiolìo delle ossa, nel freddo che ancora penetra in ogni sua cellula e rifiuta di lasciare il suo corpo dissipando il poco calore che gli rimane.
Ha difficoltà a muoversi e come da routine i camici bianchi che lo circondano controllano i suoi parametri vitali; lo ignorano così come lui ignora loro, almeno finché uno non si lascia scappare un’imprecazione. O almeno crede. Non capisce molto di russo: i suoi proprietari si sono limitati ad insegnargli un lessico militare, ma il tono è concitato.
Quello non è mai un buon segno, pensa il Soldato, e si chiede distrattamente cos’abbia fatto questa volta, come lo puniranno. Dopotutto, cos’altro possono fargli?
Un paio di medici sghignazza mentre l’uomo indica il suo torace, a destra, in corrispondenza dell’ultima costola e il Soldato abbassa lo sguardo: c’è un tatuaggio sulla pelle martoriata dalle cicatrici. Un tatuaggio che prima non c’era: se devi uccidermi, fallo in fretta.
Il Soldato è confuso, sente il cuore accelerare nel petto per qualche misteriosa ragione: non ricorda bene… Non aveva forse un'altra scritta? Una frase che gli sfugge, ma è passato così tanto tempo e lui non deve ricordare, non deve provare nulla o lo puniranno di nuovo. No, non vuole essere punito, obbedirà, ma deve star fermo altrimenti lo capiranno…
Serra la mano di metallo con un gesto istintivo, il fantasma di quell’arto che ha lasciato sulle Alpi decenni prima. In un’altra vita.
Sì, su quel braccio c’era una frase ma non la ricorda, non vuole, non vuole soffrire ancora.
Il suo supervisore è stato chiamato; sputa con rabbia alcune parole in direzione di uno dei camici e il Soldato capisce che verrà punito, si arrende a quella consapevolezza: è stanco di combattere se stesso.
Quella frase è chiara e loro vogliono assicurarsi che non lasci in vita il proprio obiettivo, chiunque sia; che rimanga fedele ai suoi proprietari ed obbedisca.
Mentre sente la scarica che gli attraversa il cervello, calda e impietosa, lui si dimena inutilmente ed un ultimo pensiero si affaccia nella sua mente: non ho bisogno del tuo aiuto, li ho in pugno.
 
Washington DC, 2014
Ha insistito con Fury ma lui è stato irremovibile: non ha intenzione di rimuoverla dall’incarico, non si fida di nessun altro se non di una Carter per quel lavoro. Poco importa che Steve Rogers sia la sua anima gemella. Esatto: Steve Grant Rogers, l’uomo senza tempo, la leggenda vivente, quel Steve Rogers che si getta dagli aerei senza paracadute e ascolta vecchi vinili nel buio e nella solitudine del suo appartamento. L’uomo che Fury le ha chiesto di tener d’occhio e di proteggere, se necessario.
Un giorno ha semplicemente bussato alla porta del suo finto appartamento per presentarsi, cosa che a DC nessuno fa più dagli anni Cinquanta, ma a lei ha fatto piacere. Finché non ha parlato.
«Ciao, sono il tuo nuovo vicino, Steve» la stessa identica frase che Sharon ha tatuata sulla schiena, appena sotto la scapola. Non poteva essere lo stesso Steve, non poteva.
Però quella possibilità esisteva, così ha dato la risposta più generica possibile: «Piacere di conoscerti, Steve».
Dopo quell’incontro ha sfogliato i file di Steve allo Shield ed ha scoperto che lui ha un tatuaggio con quelle parole, appena sotto la scapola sinistra: un tatuaggio che è comparso mentre era ancora sepolto nel ghiaccio dell’Antartico. E così ha capito di essere sul serio la sua anima gemella.
Beh, una delle due: probabilmente sono parte di una triade dato che lei possiede un altro tatuaggio sul torace. Un bel casino, Sharon.
«Questo non cambia nulla» le ha detto Nick quando l’ha scoperto.
E invece cambia tutto, avrebbe voluto rispondergli.
Si sente di tradirlo ogni giorno che passa, anche se il suo lavoro è importante per lei; anche se il suo lavoro è assicurarsi che lui stia bene, che si integri nel mondo moderno, che non sia troppo solo.
Vorrebbe solo confessargli la verità: sa che si arrabbierebbe, ma non le importa, perlomeno smetterebbe di vivere in una menzogna. È stanca di mentire a se stessa.
È sul punto di raccontargli tutto la sera che lui le offre di uscire, ma lei declina e rinuncia alla verità in nome di una responsabilità più grande, prima di rientrare in casa.
Allora si accorge di lui: il Soldato d’Inverno. Lo riconosce perché Natasha le ha raccontato di quel fantasma dal braccio di metallo che le ha sparato ad Odessa.
Ma lei non è la Vedova Nera, sa che non uscirà viva da quell’appartamento: l’unica cosa che può fare è guadagnare un po' di tempo ed allertare la squadra appostata al piano inferiore. Lei è soltanto una pedina: quell’uomo è lì per Steve e se proprio Sharon deve morire che muoia per salvarlo.
La sua voce è triste ma decisa quando gli dice: «Se devi uccidermi, fallo in fretta» preme un bottone e la squadra è avvisata. Steve se la caverà, pensa sollevata. E poi accade l’impossibile: l’assassino che ha di fronte tentenna, c’è una strana luce nei suoi occhi per un attimo ma svanisce appena prima che lui la colpisca.
Sharon cade a terra con un tonfo: le ci vuole un minuto per riprendersi, il pavimento freddo contro il fianco e la guancia la scuotono da quel torpore.
Quando sfonda la porta dell’appartamento di Steve trova Nick riverso in una pozza di sangue e si concentra nel tenerlo in vita: avrà tempo per chiedersi perché il Soldato l’ha lasciata in vita.
 
Londra, 2016
Steve la accompagna al suo albergo e tra loro aleggia il peso di mille parole non dette. Sono passati due anni da quando si è svegliato in una finta stanza anni Quaranta allestita per lui dallo Shield e per la prima volta desidera qualcosa di più di un’amicizia da una donna. Se Natasha potesse sentirlo riderebbe di lui, ma non gli importerebbe: è stanco di ingannare se stesso.
Certo, ha un tempismo pessimo.
Il fatto è che si è svegliato con un nuovo tatuaggio e una nuova speranza: avere quattro tatuaggi anziché due è un evento rarissimo e suo malgrado spesso si ritrova a pensare a come sarebbe stato formare una triade con Bucky e il suo cuore si riempie di dolore ed affetto, come se il tempo non fosse mai passato. Come se Bucky non fosse una macchina di morte dagli occhi freddi e un braccio di metallo.
Eppure la possibilità di essere felice è racchiusa in quella frase sulla sua spalla, così generica che spesso Steve si lascia andare alla frustrazione.
Forse si sbaglia: forse la possibilità di essere felice è ad un passo da lui, davanti ai suoi occhi. Ha due anime gemelle e forse non è destinato a vivere con nessuna di loro.
Vorrebbe baciare Sharon e dimenticare anche solo per un secondo il destino, le sue responsabilità, gli Accordi e i cocci della squadra che avrebbe dovuto guidare. Vorrebbe gettare via lo scudo ed essere Steve Rogers, fare qualcosa perché vuole e non perché deve.
Legge negli occhi nocciola di Sharon lo stesso desiderio, ma Sam li interrompe preoccupato e basta un attimo perché il suo mondo venga stravolto ancora.
 
Lipsia, 2016
L’auto che Steve ha scelto è ridicola e Sharon non perde l’occasione di farglielo notare. Sembra sorpreso di vedere lo scudo e le ali di Sam nel suo bagagliaio; si è procurata anche dei vestiti per Bucky: non può mandarlo a combattere Ironman con quella maglietta.
Non si ricorda di lei: l’ha messa KO senza esitare il giorno prima ed ora a malapena ne intravede la sagoma attraverso il parabrezza, ma è sicura che se sapesse la verità non rimarrebbe dentro l’auto. Così se ne sta zitta: quella missione è più importante di qualunque cosa quel destino beffardo abbia in serbo per loro.
Mente di nuovo, ad entrambi, ma quale altra scelta ha? Nel momento in cui ha sottratto lo scudo è divenuta una fuggitiva; Steve e Bucky invece devono volare dall’altra parte del globo e salvare il mondo.
E poi Steve la bacia: è cauto e gentile nei movimenti, quasi temesse di romperla; è un bacio che la lascia più affamata di prima, insoddisfatta. Forse perché manca ancora un pezzo di quello strambo puzzle.
Sale in auto mentre cerca di zittire la voce nella sua testa che sta tentando di farla tornare sui suoi passi: se davvero c’è un futuro per loro ci penserà il destino, si dice mentre mette in moto l’auto e lancia un ultimo sguardo in direzione degli uomini che il fat continua ad allontanare da lei.
 
Wakanda, 2016
Ora che Wanda ha messo le mani sul suo cervello – letteralmente – è libero dai condizionamenti dell’Hydra. Ma non è emozionato per quello.
Lui e Steve aspettano un Quinjet dall’Europa: spera che Sharon sia riuscita a seminare i jet dell’Air Force.
«Arriverà, sta’ tranquillo» gli sussurra Steve quasi gli avesse letto il pensiero. Bucky si limita a sospirare pesantemente e a muoversi un po' più vicino all’altro, abbastanza perché le loro braccia si sfiorino. Un contatto semplice ma che ha il potere di riequilibrarlo, come la gravità.
Finalmente ricorda la notte in cui ha incontrato Sharon ed è rimasto spiazzato quando ha capito che Steve era all’oscuro di tutta la faccenda.
Sharon ha delle spiegazioni da dare, ma in quel momento non c’è spazio per la rabbia in nessuno di loro: vogliono solo che arrivi sana e salva.
Il Quinjet atterra con qualche difficoltà: è danneggiato e Bucky capisce che i bastardi hanno cercato di abbatterlo.
Però non ci sono riusciti e Bucky si prepara per il momento che aspettava da anni.
Nota subito che Sharon è abbronzata e dimagrita, i capelli sono tinti di scuro, probabilmente nel tentativo di camuffarsi meglio.
Lei si ferma ad un paio di passi da loro e capisce che sanno tutto: stringe le labbra preoccupata ed aspetta che uno di loro dica qualcosa.
È Bucky a rompere quel silenzio: «Era ora che ci conoscessimo, Sharon» le dice gentile; non sa bene come comportarsi così tende una mano per stringere la sua.
Sharon sorride e chiude la distanza tra loro abbracciandolo stretto: è la prima frase che le abbia mai detto. Le sfugge un singhiozzo e il modo in cui lo stringe vale più di mille parole.
Bucky si perde nel suo profumo e sente le braccia di Steve avvolgere entrambi: per la prima volta dopo anni pensa che per una volta il destino ha combinato qualcosa di buono con loro.
   
 
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