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Autore: Stella Dark Star    12/07/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo trentacinque
Troppo tardi
 
Piero allungò lo sguardo e la vide là al Molo. Il sole stava sorgendo e nei dintorni non vi era praticamente nessuno ad eccezion fatta per i pescatori e poche altre persone. Attraversò Piazza San Marco con la sola compagnia dei piccioni che beccavano e zampettavano indisturbati sul selciato. Il suo sguardo era puntato in avanti verso Lucrezia. Anche da quella distanza, la sua figura appariva snella e leggiadra, i capelli ondeggiavano alla brezza mattutina e così anche la gonna dell’abito. Giunto a lei, le si affiancò senza essere notato, così poté ammirare il suo sguardo sognante rivolto ala Laguna e all’orizzonte. Che creatura divina aveva sposato! Le prese una mano, dolcemente, e solo allora Lucrezia si voltò a guardarlo, lo sguardo leggermente sorpreso e le labbra sorridenti: “Oh Piero! E’ ora della partenza?”
Lui accennò un sorriso: “Sì.” Quindi scostò lo sguardo: “Sapevo che ti avrei trovata qui. Ami questo luogo più di altri.”
Lucrezia sospirò tristemente, tornando a guardare la Laguna: “Amo veder sorgere il sole da qui. E il tramonto dal Rialto. Mi mancherà tutto questo…”
Piero sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Ancora non capiva perché sua moglie fosse così innamorata di quella città. In principio credeva fosse solo per le feste e la chiassosa compagnia, ma in quelle ultime settimane non aveva partecipato a nessun evento ed aveva trascorso le giornate a passeggiare per la città da sola. Almeno a quanto gli aveva detto.
Resosi conto di essersi perso in pensieri, schiarì la voce e disse: “Forse un giorno tornerai, se lo desideri. Ma ora…” Estrasse qualcosa da sotto il mantello e glielo porse: “Vorrei solo che tu fossi felice di tornare a casa.”
Lucrezia prese il velo con entrambe le mani e lo spiegò. Da quanto tempo non lo indossava. Da quanto tempo non pensava più ad Andrea. La città e le sue meraviglie avevano funzionato, avevano alleviato il suo dolore per un po’, se solo Jacopo non gliene avesse causato dell’altro.
Piero incalzò: “Allora, sei felice?”
Lei sorrise e sollevò lo sguardo su di lui: “Sì, lo sono! Ti ringrazio di avermi portato il mio velo prediletto per affrontare il viaggio.”
“Ho pensato che ti avrebbe aiutata a non guardarti indietro.” Le lanciò un’occhiata complice: “Se capisci cosa intendo.”
Lei rispose con un mugolio affermativo, quindi si sistemò il velo sul capo, fermandolo con delle forcine che aveva già tra i capelli. Sollevò lo sguardo sul marito e disse: “Andiamo.”
Piero le riprese la mano nella propria e s’incamminarono. Mentre attraversavano la piazza, Lucrezia passò lo sguardo su ogni cosa per imprimere nella mente ogni dettaglio, per mantenere vividi i ricordi più belli di quel luogo. Ma poi sentì davvero il bisogno di voltarsi indietro, di dare un ultimo sguardo alla Laguna e alle sue acque lucenti. Forse non era pronta ad andarsene. Per darsi coraggio volse lo sguardo al Campanile, percorrendolo dalla base alla cima. Avrebbe dato qualunque cosa per trovarsi lassù, adesso, poiché la paura dell’addio aveva superato quella per l’altezza. Sarebbe mai tornata?
Se il suo sguardo avesse concesso un po’ di attenzione anche a Palazzo Ducale, forse si sarebbe accorta della figura che la stava osservando da una delle finestre. Jacopo. Il suo sguardo era colmo di sofferenza e rimpianto nel vederla andarsene. Non si erano nemmeno salutati, non si erano più rivolti la parola dopo… Strinse le labbra. Si sentiva in colpa per essersi comportato in modo tanto vergognoso con lei. E’ vero che inizialmente bramava solo il suo corpo, ma poi le cose erano cambiate. Si era affezionato a lei e non avrebbe mai voluto farle del male. Ma quella sera, quella maledetta sera, era più ubriaco del solito. Non aveva apprezzato la notizia che suo padre avesse preso accordi per fargli sposare Isabella[9] Contarini. Non era pronto a sposarsi e a farsi carico di grandi responsabilità. Per questo aveva ricercato conforto in Lucrezia, ma aimè l’aveva fatto nel modo sbagliato. E l’aveva persa per sempre.
“Jacopo, perdonatemi.”
Lentamente distolse lo sguardo dalla finestra e si voltò verso chi aveva parlato. Non provò nemmeno a simulare un sorriso, tanto non sarebbe servito a niente. Isabella era all’ingresso della sala, il volto serio. Da quando era giunta a Venezia non l’aveva vista sorridere una sola volta.
“Vostro padre vorrebbe che lo raggiungessimo nelle sue stanze. Ha detto di avere delle cose importanti da comunicarci prima della celebrazione del matrimonio.” Aveva pronunciato quella frase con un tono lugubre, neanche avesse detto ‘prima di andare alla forca’. Non era entusiasta dell’idea del matrimonio, proprio come lui.
Jacopo sospirò rassegnato: “Sì, vengo subito. Precedetemi.”  Aveva la sensazione che non sarebbe mai stato felice. O meglio, che la sua felicità se ne stesse andando per sempre. A Firenze, per la precisione.
*
Rinaldo non riuscì a trattenere una risata, seppur amara, nel vedere chi era venuto a fargli visita in cella. Esaminò il suo ospite dalla testa ai piedi, quasi volesse accertarsi che si trattasse proprio dell’uomo che era stato suo amico ed alleato. Solo quando incontrò il suo sguardo tagliente smise di ridere.
“Non credevo avreste trovato il coraggio di farvi vedere dopo ciò che mi avete fatto.” Fece una smorfia e il suo tono si fece più cupo: “Traditore codardo, dovrei strangolarvi con le mie stesse mani.”
Se per tutto il tempo Pazzi si era limitato ad ascoltare, a quell’insulto la sua apparente calma si frantumò. Si gettò addosso a Rinaldo, lo afferrò per la giacca con entrambe le mani e lo spinse fino alla parete: “Ascoltatemi bene, perché non ve lo chiederò due volte. Avete fatto avvelenare Lucrezia?”
Già turbato per quell’inaspettata reazione, Rinaldo rimase ammutolito anche per via della domanda. Era passato tanto tempo, nemmeno ci pensava più a quel fatto. Ma ecco che nella mente gli balzò una domanda che poi trovò la strada per uscire dalle labbra: “Come lo avete scoperto?”
Andrea spalancò gli occhi sui suoi: “Dunque non negate? Siete davvero voi R. A. del Registro.” Quindi gli gridò in pieno volto: “Io l’amavo, schifoso bastardo!”
Nonostante la posizione di svantaggio, non che la superficie irregolare delle pietre della parete che gli stava graffiando il collo e la schiena sotto i vestiti, Rinaldo lo sfidò apertamente: “Il mio unico rimpianto è che lo speziale sia morto prima di completare l’opera.”
“Lei era gravida. Portava mio figlio in grembo.” Disse Andrea tra i denti.
Rinaldo non poteva credere alle proprie orecchie! Aveva agito appena in tempo, allora. Ma la buona notizia non migliorava la sua situazione, anzi ora era davvero nei guai. Sapeva quanto quell’argomento fosse delicato per lui. L’unica cosa che poteva fare era mettersi sulla difensiva: “Io non potevo saperlo.”
Gli occhi di Andrea ora erano umidi e la voce gli uscì incerta: “Ha perso il bambino poco tempo dopo. E adesso credo di sapere il perché. Lei è guarita ma il bambino deve aver assorbito il veleno. E così è morto lentamente dentro di lei.” Deglutì, le mani gli tremavano: “Miserabile che non siete altro, avete ucciso mio figlio.” Lasciò la presa e retrocedette di qualche passo.
Rinaldo non aveva altra scelta, doveva approfittare di quel suo momento di debolezza per ingraziarselo. Se non fosse tornato dalla sua parte, non aveva speranze di salvarsi dalla forca, visto che tutti lo volevano morto. Si concesse qualche istante per calarsi nella parte e trovare le parole da dire, quindi gli mise una mano sulla spalla e parlò con tono amichevole: “Andrea, amico mio. Voi mi conoscete. Se avessi saputo, non avrei mai fatto ciò che ho fatto. Soprattutto perché ricordo il vostro dolore per la perdita di Guglielmo, anni fa.”
Non doveva nominarlo. Non doveva. Nel sentire quel nome, Andrea percepì come un fulmine attraversargli il cranio, subito seguito da una sensazione di gelo nel profondo del cuore. Un uomo così meschino e spietato non doveva permettersi di nominare suo figlio e ricordargli così il tradimento di Caterina e tutti gli errori commessi in quegli anni. Risollevò lo sguardo che aveva tenuto abbassato e incontrò gli occhi di Rinaldo. Il momento della pietà era finito. Si sporse su di lui e gli sussurrò: “Vi faccio una promessa, amico mio. Questa volta non ne uscirete vivo. Pagherete per tutto il male che avete fatto a questa città. Pagherete per il male inferto a me e alla donna che amo. E pagherete per aver strappato la vita a nostro figlio prima ancora della nascita.”
Quell’avvertimento lasciò Rinaldo pietrificato, il braccio gli ricadde a peso morto quando Pazzi si allontanò. Era dunque la fine ? Aveva perso proprio tutto?
Prima di lasciare la cella, Andrea si voltò un’ultima volta, sfoggiando un sorriso perfido: “Quasi dimenticavo. Ho convinto la Signoria ad infliggervi una punizione. Accettatelo come un dono da parte mia. Spero che ad ogni colpo di frusta vi ricorderete tutto il male che mi avete fatto.”
Rinaldo prese respiro e riuscì a rispondere: “Non temo la frusta.”
Andrea sogghignò: “Meglio così! Ma non temete, la punizione vi sarà inferta in serata. Ora potete godervi il ritorno del vostro peggior nemico. Pare che sarà in città entro un’ora.” Fece un inchino per beffeggiarlo e se ne andò.
Mentre il carceriere richiudeva la cella, Rinaldo, spinto da uno slancio di disperazione, corse alle sbarre e tentò di richiamarlo indietro: “Andrea, aspettate. Tornate qui.” Ma vedendo che lui non tornava, in lui subentrò una tempestiva rabbia. Stringendo le sbarre tra i pugni, gridò a squarciagola: “Il giorno in cui la vostra puttana saprà la verità su di voi, io guarderò tutto dal cielo. E riderò nel vedere la sua espressione sofferente.”
*
Lasciata la Torre, Andrea rimase nei dintorni di Piazza della Signoria a camminare senza meta. I suoi sentimenti stavano impazzendo assieme a lui, tra la rabbia verso Rinaldo, la tristezza per la verità emersa riguardo l’aborto e l’agitazione per il ritorno di Lucrezia. Era impaziente di rivedere i suoi occhi, di riassaporare le sue labbra, di stringerla a sé e sentire il suo calore. Avevano così tante cose da dirsi e da chiarire. Ora più che mai sentiva la tortura dell’attesa, come se quell’ultima ora fosse più lunga dei mesi che li avevano tenuti separati. Dopo aver camminato attorno alla piazza più e più volte, gli giunse all’orecchio che finalmente i Medici erano entrati in città, allora si avviò per andar incontro al corteo, facendosi spazio tra la folla che aumentava ad ogni minuto. Si fermò solo quando avvistò il corteo capeggiato da Cosimo e Lorenzo a cavallo, seguiti da alcune guardie e una donna incappucciata e poi in ultimo da una carrozza. Anche se da quella distanza non poteva vedere chi vi era all’interno della carrozza, le grida che chiamavano Piero e Lucrezia non lasciarono spazio a dubbi. Ora non gli restava che trovare un modo per farle sapere che lui era lì solo per vedere lei. Ma come fare? Se si fosse messo in prima fila, sarebbe stato troppo esposto e di certo non era sua intenzione far credere a qualcuno che fosse lieto del ritorno di quella famiglia. No, sarebbe stato un fatto inammissibile. Si guardò attorno e notò che vi erano fiori praticamente ovunque. Questo gli diede un’idea, se solo fosse riuscito a… Si accorse che vicino a lui c’era una bambina paffutella e dai riccioli biondi che teneva tra le mani un giaggiolo bianco. Era forse un segno divino? Passò velocemente due persone per giungere a lei, quindi si chinò su un ginocchio e sfoggiò il sorriso più cordiale che poté: “Buondì, piccola! E’ davvero una giornata gioiosa, non trovi?”
La bimba sorrise, rivelando così una dentatura non proprio perfetta: “Sì, signore! La mia mamma dice che grazie ai Medici da oggi saremo tutti più felici!”
“Ah dice così?” Chiese con tono irritato, ma poi si schiarì la voce e lasciò perdere il risentimento. Non era il momento di pensare alla politica. Mise mano alla scarsella e ne estrasse una moneta d’oro: “La vedi questa? Sarà tua se mi aiuterai.”
La bimba spalancò gli occhi e la bocca per la meraviglia: “Oooh! Cosa devo fare?”
Andrea puntò il dito verso la carrozza: “Solo andare là e consegnare il tuo giaggiolo alla donna che è dentro la carrozza. Puoi farlo?”
Lei fece degli esagerati cenni col capo per confermare ed espose il palmo della mano per ricevere la ricompensa. La piccola aveva occhio per gli affari!
“Brava bambina.” Le disse Andrea, dandole la moneta, quindi si rialzò in piedi e andò a prendere posto contro la parete di una casa.
La bimba riuscì facilmente a sgusciare tra la folla e raggiungere la carrozza. Andrea vide la mano di Lucrezia prendere il fiore e subito dopo la bambina puntare il dito…be', non proprio verso di lui, ma comunque nella sua direzione. Ancora pochi istanti ed ecco che la carrozza fu abbastanza vicina da permettergli di vedere il suo volto angelico. Era bella proprio come ricordava. E indossava il velo che lui le aveva regalato. Dunque non lo aveva dimenticato, o si stava solo illudendo? Dopo aver cercato tra la folla, lo sguardo di Lucrezia incontrò il suo. Il cuore gli mancò un battito. Mentre la carrozza passava lenta, i loro sguardi rimasero incollati. Lui aveva bisogno di qualcosa di più, di un segno che gli confermasse che tra loro non era finita. Ed ecco che la sua amata esaudì la sua richiesta, sfiorandosi le labbra con i petali del fiore. Ora Andrea sapeva che il suo cuore gli apparteneva ancora.

[9]: Nella serie tv è stata chiamata Isabella ma la ragazza che andò in sposa a Jacopo Foscari in realtà si chiamava Lucrezia Contarini. 
  
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