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Autore: vero511    12/07/2017    0 recensioni
Ellie Wilson 24 anni, appena arrivata a New York insieme alla sua gioia più grande: il figlio Alex. Lo scopo della giovane è quello di ricominciare da zero, per dare la possibilità ad Alex di avere un futuro diverso dal passato tumultuoso che lei ha vissuto fino al momento del suo trasferimento. Quale occasione migliore, se non un prestigioso incarico alla Evans Enterprise per riscattarsi da vecchi errori? Ma Ellie, nei suoi progetti, avrà preso in considerazione il dispotico quanto affascinante capo e tutte le insidie che si celano tra le mura di una delle aziende più influenti d’America?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Alex dorme sul sedile posteriore accanto a me, Hamilton è alla guida e Zack è accanto a lui. “Per qualsiasi cosa, non esitate a chiamare, chiaro?” Afferma il più anziano. Annuiamo tutti in risposta e manteniamo il silenzio. Gli sono grata per non aver fatto domande sul perché stessimo partendo insieme, anche se dopo aver passato due settimane a fare avanti e indietro dall’ospedale, nel momento in cui ho annunciato che sarei partita con Zack, nessuno sembrava essere troppo colpito. Prima della dipartita non ci siamo visti, doveva fare gli ultimi esami e Matt voleva vederlo prima che se ne andasse per un po’; Jen era più eccitata di me all’idea di questo viaggio e io mi domando sinceramente cosa pensa che accadrà.
Come era già successo, Hamilton ci lascia a poco più di metà strada, dove ad attenderci c’è un auto nera dall’aria molto costosa: ne scende un autista che sale con il socio e se ne va, lasciandoci la vettura. “Guido io.” Affermo subito. “Cosa? Non se ne parla.” Sostiene Zack. “Sei ferito, non guiderai.” “E tu non metterai le mani sulla mia bambina.” “Notizia dell’ultima ora: l’ho già fatto e comunque, tu prendi addirittura in braccio il mio bambino” detto questo, monto al posto del conducente e aspetto che Alex sia sistemato sul seggiolino per partire. “Sai la strada?” “Ovviamente.” “Hai intenzione di essere così fredda per sempre?” Sbuffa irritato. “Potrei considerare l’idea” “e tutte quelle smancerie con Hamilton?” “Hamilton è un gentiluomo, non un ragazzino viziato come te”. “Chissà perché accidenti ho deciso di portarti con me” con la coda degli occhi lo vedo alzare lo sguardo al cielo. “Già, quello che mi domando anche io”.

Quando arriviamo in città, è ormai calata la sera e i profili delle case sembrano solo ombre scure e minacciose, ma forse è meglio così, questo luogo mi riporta alla mente troppe cose negative. In effetti non ho pensato che l’ultima volta  in cui sono stata qui, ero segregata nell’appartamento. Ora invece dovrò uscire, andare a fare la spesa, portare Alex al parco. Sospetto già che questo sarà un viaggio disastroso.
“Metti pure Alex sul letto, io dormo sul divano” afferma Zack. “Non se ne parla, sei ancora ferito, non ti farò dormire su un divano. Dormo io lì” spiego sbrigativa. “Sicura  di voler lasciare che io dorma con Alex?” Sembra…spaventato. “Oh andiamo, non lo schiaccerai e lui ormai è grande, di notte non si sveglia, non ti darà alcun fastidio e tu non ne darai a lui”. “Ellie…” “Non ora, sono stanca, lo siamo tutti.” In mia discolpa posso dire che le mie parole non si discostano troppo dalla realtà: è stato un viaggio piuttosto lungo e i numerosi pensieri che affollano la mia testa non hanno aiutato.

Un pungente profumo di caffè mi pizzica le narici mentre un caldo tepore mi avvolge. Ho avuto una notte piuttosto agitata nonostante la stanchezza e mi sono addormentata profondamente solo alle prime luci dell’alba. Schiudo piano gli occhi e guardo il mio corpo: non ricordavo di aver messo questa coperta così pesante. “Accetti un caffè in segno di pace?” Zack compare con una tuta grigia e una semplice maglietta bianca con due tazze fumanti in mano. Mi metto seduta per lasciargli posto e prendo con piacere la colazione. “Alex dorme ancora?” “Sì, stanotte ha avuto un incubo, ma si è riaddormentato quasi subito” mi spiega. “Oh…mi dispiace ti abbia svegliato” lo guardo con la coda dell’occhio. “Ero già sveglio in realtà…c’è stato un forte temporale e le temperature si sono abbassate parecchio…temevo avessi freddo” ora si spiega la magica apparizione della coperta. “Grazie” gli dico stringendo il plaid in una mano. “Scusa per ieri…io…” “Non fa niente, è colpa mia. Ti ho trattata male di punto in bianco ti ho costretta a venire qui e a trascinare anche tuo figlio”. “Perché?” Gli domando improvvisamente; “Perché noi?” Mi osserva senza dire nulla per un tempo che sembra infinito. “Avevo bisogno di compagnia…quando hai portato Alex in ospedale, la settimana scorsa, ero felice di vederlo. Mi ha fatto stare bene…non so spiegarlo nemmeno io, ma mi infonde serenità e ultimamente credo di averne davvero bisogno. Non potevo chiederti di portarlo via da solo, naturalmente, quindi ho pensato di far venire entrambi”. Mi ha praticamente appena detto che la mia presenza qui è dovuta solamente al fatto che non potesse portare via solo mio figlio, il che dovrebbe infastidirmi; ma la realtà è che sono felice poiché è bello sapere che il tuo bambino, con la sua semplice presenza, riesce a fare qualcosa in cui tu non hai avuto successo per mesi, è come una sorta di riscatto verso te stessa. “Lo capisco, anche a me fa questo effetto”. Restiamo ancora un po’ seduti, poi decido che è ora di controllare Alex, così mi dirigo nella stanza dove lo trovo seduto sul letto a grattarsi un occhio. “Ma buongiorno!” Mi avvicino. “Mamma!” Allunga le braccia e lo prendo subito in braccio. “Lo sai quanta nanna hai fatto? Tantissima!” “Fame!” “Adesso andiamo da Zack che ha preparato la colazione” lo porto in cucina e lo faccio sedere sull’isola al centro della stanza. “Ma guarda chi  si è svegliato!” Zack si gira e gli lascia un buffetto sulla guancia mentre io osservo la scena sorridendo. Quando il capo è con Alex, sembra completamente un’altra persona: è dolce, responsabile, scherzoso. È bello vederlo così, se in giacca e cravatta seduto nel suo ufficio è affascinante, nei panni di casalingo e papà lo è ancora di più. Questa attraente semplicità accomuna i due accanto a me e li rende unici. Zack mi ha spiegato come mio figlio riesca a infondergli pace, senza sapere che anche lui ha un effetto benefico sul bambino e senza sapere che vederli insieme, rende me la persona più felice del mondo.

In questo momento sembra che vada tutto bene, che la Evans Enterprise non sia andata a fuoco e che Zack non sia ferito; siamo come una normale famiglia che fa colazione ed è bello avere un po’ di tranquillità. Nonostante questo, la mia mente è sempre allerta: Ross è ancora in ospedale, Allen e Kim dispersi chissà dove. Finché non saranno tutti in prigione non potrò darmi pace davvero. “Ehi, tutto okay?” Mi domanda Zack vedendomi assorta nei miei pensieri. “Sì, certamente” rispondo sbrigativa, “ho solo bisogno di farmi una doccia” annuisce e fortunatamente non mi chiede più nulla.
Non voglio diventare scostante proprio adesso che lui sta iniziando ad aprirsi, ma questo posto mi mette di cattivo umore. Forse dovrei parlargliene, o forse potrei cercare di affrontare il mio passato una buona volta. Opto per la seconda ipotesi pur di non rivelargli tutta la storia, così, con la scusa  di voler fare la spesa, esco da sola. “Non scappare un’altra volta, eh” mi dice scherzosamente prima che io possa chiudere la porta alle mie spalle. La sua era una battuta, ma nella mia mente è suonata come un’idea allettante.

Tutto è terribilmente famigliare e ogni strada sembra riconoscermi, ringrazio il cielo per essere così grigio e minaccioso da spaventare le persone che dubito usciranno numerose dalle loro case. Temo qualcuno possa riconoscermi e iniziare a farmi domande a cui non ho nessuna voglia di rispondere.
Passo dinnanzi alla mia vecchia casa, ma non mi fermo, al contrario cammino ancora più velocemente. Con la coda dell’occhio ho notato tutte le tapparelle chiuse, chissà se Garrett è più entrato da quando me ne sono andata. Il supermercato è vicino, così decido che il mio tour è finito e mi affretto a comprare ciò che serve, con l’intenzione di tornare subito all’appartamento.

“Ellie? Ellie Wilson?” Merda. “Ehm…si?” Mi giro lentamente e trovo una delle cassiere che mi guarda in attesa di qualcosa. “Oh cara, sono felice che tu sia tornata! Sai, ho portato dei fiori sulla tomba di tua madre l’altro giorno, dovresti passare a vedere se ti piacciono”. Credo di aver sentito la parola fiori e che qualcuno mi abbia chiesto un parere a riguardo, ma ormai sono lontana, corro veloce verso l’appartamento senza spesa, senza ritegno, senza attenzione , con il cuore che palpita e il panico che si diffonde.
Quando apro la porta e la chiudo sbattendola alle mie spalle ho il respiro affannato e le mie gambe non sorreggono più il mio corpo da tanto che tremano. Sento le lacrime iniziare a bagnarmi le guance e poco dopo due braccia mi stringono forte, poi il buio.
 
  
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