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Autore: Chainblack    14/07/2017    1 recensioni
In fuga dalla disperazione dilagante della Hope's Peak Academy, sedici talentuosi studenti vengono rapiti e rinchiusi in una località sconosciuta, costretti a partecipare ad un nuova edizione del Gioco al Massacro senza conoscerne il motivo.
Ciò che sanno è che, per scappare da lì, dovranno uccidere un compagno senza farsi scoprire.
Guardandosi le spalle e facendo di tutto per sopravvivere, i sedici ragazzi tenteranno di scoprire la verità sul loro imprigionamento sapendo che non tutti potrebbero giungere illesi fino alla fine.
Ambientata nell'universo narrativo di Danganronpa, questa storia si svolge tra i primi due capitoli della saga.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Alla fine, nonostante l'atmosfera generale avesse riacquistato una parvenza di tranquillità, ognuno decise di proseguire le investigazioni per conto proprio:  alcuni semplicemente preferivano lavorare da soli, altri erano ancora incapaci di fidarsi completamente dei membri di un eventuale team.
Altri ancora avevano detto addirittura che non se la sentivano di adottare delle misure ideate da Alvin, per quanto sicure esse fossero; il ricordo era ancora troppo vivido.
Le indagini di Xavier lo condussero lungo i corridoi del secondo piano, più precisamente verso l'infermeria.
Si trattava di una stanza abbastanza larga con un paio di lettini ospedalieri sistemati lungo la parete destra.
La maggior parte dello spazio era occupato da mobili stracolmi di medicinali, alcuni armadi adibiti a portare documenti, e apparecchi di diverso tipo e dalle più svariate funzioni.
L'idea di Xavier era di passare in rassegna le aree ancora meno esplorate della scuola, ed appartenevano quasi tutte al secondo piano.
L'infermeria poteva contenere diversi strumenti interessanti, e il ragazzo decise che valeva la pena andare a vedere.
Fu con sua enorme sorpresa che scoprì che la stanza non era vuota, bensì vi era qualcuno che non si sarebbe mai aspettato di trovare lì.
Michael Schwarz aveva la testa immersa nel cassetto metallico di uno degli armadi, e le sue mani sembravano scorrere rapidamente una folta pila di documenti.
Xavier lo stette ad osservare per alcuni istanti, incerto sul da farsi. Optò per la soluzione più semplice: bussò sulla porta, già aperta, un paio di volte per annunciarsi.
Michael sussultò, voltandosi di scatto. I suoi occhi erano quelli di una preda impaurita.
- Xavier!? - si agitò.
- E' permesso...? - fece l'altro, con tranquillità.
Michael fece un rapido giro della stanza con lo sguardo. Andò ancora più in fermento.
- Sei... sei da solo? -
- Sono da solo, Michael - rispose - Ma se hai paura di una trappola, puoi anche restare lì dove sei -
- NON PRENDERMI IN GIRO! - gli urlò contro, adirato - Se siamo davvero soli, allora è un'ottima occasione per uccidermi! Credi che sia tanto idiota da non rendermene conto!? -
Xavier sospirò.
- Lo so benissimo. Ma non sono qui per ucciderti... -
Provò a muovere un passo in avanti, ma il chimico gli intimò di fermarsi.
- Stai indietro! INDIETRO! Non avvicinarti! - lo ammonì - Se proprio vuoi entrare, fallo percorrendo il muro di destra! Io uscirò da sinistra... -
Xavier tentò in tutti i modi di non cedere al nervosismo, riuscendo a non perdere compostezza. 
- Va bene, Michael, rispetto il tuo timore... - si arrese - Ma prima, dimmi. Cosa stai facendo qui? -
L'altro gli lanciò un'occhiata di sdegno.
- Sono qui per il tuo stesso motivo, immagino... - sbottò - Sto indagando -
- Trovato nulla di utile? -
L'altro scosse la testa.
- No, solo roba pericolosa! - il suo tono era sempre più rabbioso - Ci sono tantissimi medicinali, ma anche un idiota saprebbe ricavarne del veleno! Intendo confiscare tutto! -
Xavier notò solo in quel momento che Michael si era portato dietro una borsa piuttosto capiente ottenuta chissà dove. Dal contenitore sporgevano scatole ed etichette varie appartenenti ai prodotti di cui il compagno aveva fatto razzia.
- Sei davvero metodico... -
- Sono scrupoloso e previdente! E' l'unico modo per non farsi ammazzare! -
- Sarò onesto, Michael - gli disse Xavier con estrema franchezza - Dubito che, oltre a te, ci sia qualcuno in grado di ricavare delle tossine da quei farmaci -
- Oh? E ne puoi essere così certo!? Conosci gli altri così a menadito!? -
- Va bene, punto a tuo favore - ammise Xavier - Ma se del veleno dovesse sbucare all'improvviso, immagino saprò a chi dare la colpa. Non fare sciocchezze, chiaro? -
Michael digrignò i denti.
- Non devo certo farmelo dire da te... -
- Meglio così - continuò - Altro di interessante? -
Il chimico gettò l'occhio sull'armadio alle proprie spalle. Si scostò di lato in modo da permettere a Xavier di vedere ciò che c'era.
Vi erano sedici piccole celle in alluminio rinforzato, ognuna numerata e con una serratura. Di facile intuizione era capire a chi appartenesse ognuna, ma il contenuto ancora sfuggiva alla sua logica.
- Di che si tratta? -
- Sono le nostre cartelle cliniche... e sono piuttosto dettagliate, a mio modesto parere - spiegò Michael.
Xavier parve sorpreso.
- Cartelle cliniche? Mi aspettavo qualcosa di più - ammise - Come mai le serrature? -
- Ognuno può accedere solo al proprio fascicolo. Non chiedermi perché... - rispose Schwarz, con uno sbuffo - Ma c'è un'altra peculiarità -
- Sentiamo, dunque -
- Due di loro sono aperte. Voglio dire: non sono chiuse a chiave. "12" e "13" - Michael si aggiustò gli occhiali - Non devo aggiungere altro, immagino -
Xavier Jefferson deglutì. Due volti familiari gli tornarono in mente; scacciò via con forza le visioni dei corpi insanguinati di Refia ed Alvin dalla mente.
- In parole povere, possiamo controllare le nostre e quelle di chi è morto... -
- Mettiamola in questi termini, sì... - sospirò Michael.
- Le hai già controllate? -
L'Ultimate Chemist sventolò due piccoli fascicoli; sul suo volto comparve un minuscolo sorriso come per indicare un responso di infinita ovvietà.
- La cartella di Refia è praticamente immacolata. La sua salute era perfetta; come sorprendersene? -
- Inutile porsi dubbi. Era l'Ultimate Cyclist -
- Pare che Alvin soffrisse di un leggero male alla schiena, ma niente di grave - concluse Michael - I dati vagamente utili finiscono qui -
A quelle parole, Michael fece cenno a Xavier di spostarsi.
- Adesso, se non ti dispiace, io me ne vado! -
- Ai tuoi ordini, comandante... - ironizzò l'altro, piazzandosi dalla parte opposta della stanza.
Michael Schwarz si caricò il borsone sulle spalle e si fece strada verso l'uscita.
La voce di Xavier lo richiamò appena un attimo prima di dileguarsi per il corridoio.
- Tutta questa paranoia dove ti porterà? - gli chiese - Se esageri, rischi di crearti dei nemici -
Di tutta risposta, gli venne rivolto uno sguardo sprezzante e acido.
- Non esistono "certezze matematiche" quando si tratta della propria salvaguardia! Alvin doveva essere un guardiano, e guardalo adesso! Lui e Refia, morti e sepolti! -
- Intendi portare avanti la tua crociata completamente da solo? -
- Sì, se lo riterrò necessario! - gli rispose - Prenderò ogni precauzione, curerò ogni dettaglio! Non permetterò a nessuno di cogliermi alla sprovvista... non permetterò a nessuno di uccidermi! Io sopravvivrò, Xavier! Mettitelo bene in testa: IO SOPRAVVIVRO'! -
Con quelle parole, l'Ultimate Chemist sparì definitivamente dalla portata visiva di Xavier, rimasto con un'intera infermeria da controllare e molti più grattacapi da dover gestire.



Vivian Left camminava distrattamente lungo il primo piano con una busta di plastica sigillata tra le braccia.
Il suo cestino dei rifiuti aveva accumulato troppe scartoffie, e la pittrice aveva sentito la necessità di uno smaltimento dei rifiuti.
Il sacchetto era pieno di fogli e cartoncini accartocciati; quasi non vi era altro all'interno.
Un gran numero di pensieri le attorniava la mente; lo sguardo di Vivian era completamente perso nelle proprie considerazioni.
Aprì la porta della sala di imballaggio rifiuti.
Un tonfo dalla rumorosità esorbitante la sorprese a tal punto che quasi perse l'equilibrio. Il sacchetto le scivolò di mano e finì a terra.
Ansimò per alcuni secondi e si guardò attorno. Davanti a lei vi era June Harrier.
Quest'ultima pareva spaventata quanto lei; ai suoi piedi vi era uno scatolone pieno di ciarpame e rifiuti, apparentemente molto pesante e chiaro colpevole del rumore di poco prima.
Vivian si ricompose.
- June...? - sussurrò - Va tutto bene? -
L'arciera annuì debolmente.
- Sì... scusami - gemette l'altra - Ero sovrappensiero. Quando hai aperto la porta mi sono spaventata e... mi è caduto tutto -
Indicò con dito lo scatolone di rifiuti che stava trascinando verso l'imballatrice. La maggior parte sembrava provenire dalla palestra: probabilmente strumenti troppo vecchi e usurati, di nessuna utilità. Il rumore che avevano fatto cadendo era rimbombato lungo tutta la zona.
- Devi fare attenzione - la rimproverò Vivian - Se un tale peso ti fosse caduto sul piede ti saresti ferita... -
Fece per avvicinarsi, ma June mosse immediatamente un passo indietro. Vivian Left osservò quella movenza senza comprenderne il significato.
- June...? -
- P-perdonami... - si ricompose - E' che ho i nervi a fior di pelle... ultimamente la notte dormo a stento... -
- E' per via di Refia? -
June annuì con tristezza.
- Non vorrei dubitare di nessuno, ma non ci riesco... -
- E' comprensibile - la rincuorò Vivian - Ciò che è successo è... terrificante. Ma mi sforzo di pensare che nel nostro gruppo alberghino buone intenzioni -
June si sedette a terra di fianco allo scatolone, esausta. Esalò un lungo sospiro.
- Vorrei poter avere la tua calma, Vivian... -
- Sono tranquilla solo in apparenza, amica mia - rispose tentando di forzarsi un sorriso di circostanza - La verità è che ho molta paura, ma so che gli altri sono ancora più spaventati di me -
A June scappò improvvisamente da ridere.
- Quindi devi essere forte anche per gli altri? - le chiese.
- Credo sia un progetto ambizioso, ma sì - rispose Vivian - Sto cercando di dare coraggio a chi ne ha bisogno. Come Hillary. Come te -
- Dovrei essere io a farlo... -
La pittrice assunse un'espressione impensierita.
- Ti senti in dovere di essere forte? -
- In genere mi viene naturale... - sospirò June - Sono la prima di quattro fratelli. Sono abituata ad essere un simbolo di forza -
La biondina mostrò un sorriso raggiante.
- Ne ero certa! -
- Come, scusa? -
- Hai davvero l'aria della sorella maggiore - le confidò Vivian - Il modo in cui rimproveravi Refia ed Hayley, la tua cura nei loro riguardi. Anche la tua profonda empatia per i morti... ti fa sembrare una persona che ha a cuore i propri cari -
June Harrier si grattò il capo con imbarazzo.
- Tu invece emetti istinti materni da ogni poro -
- Me lo dicono spesso - Vivian si sistemò il fiocco sulla chioma bionda - Anche se il mio aspetto minuto mi rende poco autorevole, le mie parole fanno un ottimo lavoro -
Le due rimasero sedute a fissare il vuoto per alcuni minuti.
Vivian avvertiva che la compagna volesse guidare il discorso in una specifica direzione, ma qualcosa la bloccava.
Le diede altro tempo per metterla a suo agio, convinta che pressarla sull'argomento non avrebbe portato a nulla di buono.
Dopo poco, June parlò.
- Vivian? -
- Dimmi, cara - il suo tono tradiva che se lo stava aspettando.
- Io non credo che tu sia la traditrice -
L'improvviso cambio di intenzione la lasciò momentaneamente basita.
- Ah... davvero? - chiese lei, un po' a disagio.
- E' solo una sensazione, ma ne sono convinta - asserì lei - Quindi te lo chiedo: chi credi che sia? -
Vivian scosse il capo.
- Non volevo che arrivassimo a questo punto... -
- Non possiamo ignorare che c'è una minaccia, tra noi - perseverò June - E trovarla è l'unico modo di portare tutti a casa sani e salvi -
- Perdonami, June - sospirò - Ma non intendo cominciare a dubitare di tutti solo perché Monokuma ci ha detto di farlo. Per quel che ne sappiamo potrebbe non esserci alcun traditore -
- Potrebbe essere... - ammise June - Ma così svanirebbe l'unica opportunità che abbiamo per uscirne illesi, tutti noi... o ciò che ne rimane... -
- Anche in questo caso, voglio ancora dare fiducia ai miei compagni - decretò Vivian Left - Vorrei dare una mano a Karol e Judith col loro progetto -
June Harrier appoggiò il mento tra le ginocchia. Il suo sguardo era pregno di sconforto.
- Mi chiedo da dove tiri fuori tutta questa forza e determinazione... -
- Non fraintendere - la rassicurò serenamente - Sono forte perché ho a mia volta chi mi dà forza -
- Lo hai? -
Vivian arrossì vagamente.
- Lo ho - annuì - Vedrai che le cose andranno bene, June. Abbi fede -
- Lo spero davvero... -
Vivian si alzò in piedi e porse la mano all'amica.
- Ti aiuto a mettere i rifiuti a posto - le disse - Sembrano pesanti -
- Grazie... - le afferrò la mano e si rimise in posizione eretta - Tutta robaccia dalla palestra. Mettere in ordine mi rilassa... -
- Non potrei trovarmi più d'accordo - le rispose.
Le due trascorsero il resto del tempo nella stanza dei rifiuti senza pronunciare una singola parola, ammassando la spazzatura nell'imballatrice.
June sentiva di aver già detto tutto ciò che aveva da proferire; la sua sensazione di disagio era ben lungi dall'essere svanita, ma il sorriso materno di Vivian provvedeva a rischiarare quella tetra atmosfera almeno in parte.



Si era oramai fatta quasi ora di pranzo, e la maggior parte degli studenti si era riunita al ristorante.
Erano arrivati tutti un po' alla volta e ognuno aveva preso posto ad un tavolo, servendosi del cibo trovato nella dispensa.
I presenti erano poco meno di una decina.
Pierce e Karol sembravano star parlando di qualcosa a bassa voce, mangiando alcuni tramezzini.
Hayley e June si erano entrambe versate delle tazze di tè, mentre Kevin sorseggiava placidamente una spremuta d'arancia.
Xavier osservò come il pranzo proseguiva con un sostanziale silenzio, che di certo non favoriva il miglioramento dell'atmosfera.
Si guardò attorno: Michael non c'era, come era ovvio aspettarsi. 
Ricordò di come aveva sentito dire da Karol che il chimico era stato avvistato dalle parti dei dormitori con del cibo trafugato dalla mensa.
Era fin troppo ovvio che non volesse correre nemmeno il benché minimo rischio, soprattutto in faccende di cibo.
Xavier proseguì il proprio pranzo in religioso silenzio.
La quiete fu improvvisamente rotta da Judith Flourish, che entrò nel ristorante con un'espressione palesemente stizzita.
Impossibile da non notare, fu subito oggetto di attenzioni da parte di Vivian.
- Judith, qualcosa non va? -
Lei scosse la testa.
- Ero nel bel mezzo della doccia, quando l'acqua calda è venuta meno... - rispose, brontolando.
Lawrence ebbe i brividi al solo sentirlo.
- Odio quando succede...! - asserì il musicista, con la pelle accapponata.
- Ho provato ad attendere che tornasse, ma ho solo perso tempo - sospirò Judith - Forse c'è un guasto alla caldaia -
- In effetti l'acqua del rubinetto usciva solo fredda, poco fa... - constatò June - Per far bollire il tè c'è voluto parecchio -
Rickard incrociò le braccia.
- Un bel grattacapo! - esclamò l'Ultimate Voice Actor - Vado a dare un'occhiata al contatore -
Fece per alzarsi, ma Karol lo bloccò seduta stante.
- Aspetta! - lo avvertì - Non andare da solo. Porta qualcuno con te -
Gli sguardi di tutti si concentrarono sull'insegnante; questi era cosciente di aver proposto un qualcosa che andava contro il suo credo di fiducia reciproca, e il suo volto imbarazzato ne era una prova sufficiente.
Nessuno, però, ebbe da ridire.
- Mi sembra sensato - annuì Xavier - Vengo con te -
Karol abbozzò un sorriso e lo ringraziò con un cenno.
- Oh, mi unisco anche io! - Lawrence si associò al gruppo - Qualche passo mi farà smaltire il pranzo -
In un punto che nessuno vedeva, Hillary Dedalus tirò un sospiro di sollievo. Troppi ricordi spiacevoli e funesti erano legati alla zona della caldaia, e non amava il pensiero di recarsi nuovamente lì.
- Siete molto gentili, ragazzi - il volto pieno di giubilo di Judith li colse alla sprovvista.
- F-figurati! - arrossì Rickard - In marcia, compari! -
I tre abbandonarono il ristorante e si incamminarono lungo il primo piano.
Rickard sbadigliò sonoramente, probabilmente a causa della sazietà.
Xavier passò il tempo stando zitto ad ascoltare una melodia fischiettata allegramente dall'Ultimate Musician.
Il motivetto era diverso da quello che Lawrence era solito canticchiare nei momenti di noia. La canzone, pur senza testo, sembrava strutturata comunque molto bene.
Xavier notò con un certo stupore come Lawrence fosse in grado di trasformare qualsiasi nota, anche messe un po' a casaccio, in qualcosa di concretamente orecchiabile.
I tre proseguirono in quel modo fino a che non arrivarono a destinazione. La sala caldaie era davanti a loro.
- Eccoci qui - disse Lawrence - Vediamo cosa c'è che non va -
Xavier appoggiò la mano sulla maniglia, ma si bloccò per un istante. Diede una rapida occhiata alla propria destra, all'intersezione con il corridoio perpendicolare. Il punto in cui, circa una settimana prima, aveva ritrovato con Pierce il corpo di Refia.
L'immagine indelebile comparve nella sua mente come prova che non se ne sarebbe mai andata.
Scosse la testa, ed entrò.
Non appena furono dentro, la differenza di temperatura fu evidente. Il calore accumulatosi nella caldaia era asfissiante, ma ancora perfettamente sostenibile.
Rickard si sventolò con la mano, mentre Lawrence rimosse una delle sue magliette.
La sala era alquanto spaziosa, e vi erano macchinari e tubature un po' ovunque. 
Qualunque fosse la causa dal problema, non era evidente.
- Ok, cerchiamo un po' - disse Rickard, muovendosi in avanti con Lawrence.
Xavier ebbe come l'istinto di richiudere la porta alle proprie spalle.
Si voltò di lato per afferrare la maniglia.
E, in un attimo, tutto il calore eccessivo della stanza svanì.
Scomparve di botto, tutto in una volta. Xavier avvertì freddo, un gelo innaturale.
Si domandò come mai avvertisse una sensazione talmente assurda in un luogo così dannatamente torrido; conosceva la risposta, ma il suo cervello si stava rifiutando di elaborarla.
Voleva chiudere la porta, ma semplicemente non ci riuscì. Ogni muscolo del corpo gli si era contratto.
I suoi occhi erano fissi su di un unico punto, in fondo alla sala della caldaia.
Un punto in cui un piccolo fiume di sangue si era riversato sul pavimento.
"No... no..."
Mosse un passo in avanti.
"No... cazzo, no..."
Senza neanche pensarci o accorgersene, stava correndo.
La distinta sagoma di un cadavere si stava delineando davanti a lui.
- CAZZO, NO! -
Aveva cessato di pensare, e aveva semplicemente urlato.
Lawrence e Rickard si voltarono di scatto, rapiti da quel grido repentino.
Nessuno dei due osò muovere un passo.
Rickard era sbiancato e aveva quasi perso l'equilibrio.
Lawrence aveva assunto un'espressione neutra, incapace di darsi una risposta riguardo a cosa stava accadendo.
- E... E... lise... - fu tutto ciò che riuscì a pronunciare.
Xavier si gettò a controllare il corpo della vittima: la lunga chioma di lucidi capelli si era mescolata con il sangue, creando dei grossi grumi e poltiglia.
Le mani del ragazzo la scrollarono con forza.
- ELISE! RISPONDIMI! - le gridò contro - ELISE! -
L'Ultimate Camerawoman non diede alcun responso. Un grosso squarcio sul collo le aveva fatto cessare ogni impulso vitale.
Xavier si rese conto di star disperatamente cercando una risposta da un cadavere con una profonda lacerazione.
Un suono catturò la sua attenzione; rumore di viscere e rigetto.
Lawrence aveva appena vomitato il pranzo sul pavimento della caldaia, e annaspava a fatica.
- Rickard! - urlò Xavier - Va a chiamare tutti! SUBITO! -
Rickard Falls si trovò a fare i conti con più di un impulso: seguire gli ordini di Xavier, aiutare Lawrence a rimettersi in sesto e, più di ogni altra cosa, mettersi a piangere in un angolino.
Scattò fuori dalla porta, cercando di sgombrare la mente da qualsiasi pensiero. 
Lawrence si accasciò contro il muro tenendosi la testa tra le braccia e mormorando qualche frase incomprensibile.
- Il ritrovamento di un cadavere è stato confermato - fece l'annuncio - Avete un'ora di tempo prima dell'inizio del processo. Allo scadere, riunitevi al piazzale dei dormitori! Usate saggiamente il vostro tempo! -
Xavier strinse i pugni, fissando il corpo senza vita di Elise.
Il suo sguardo era ancora terrorizzato, come se chiunque le avesse fatto tutto ciò fosse ancora lì a torturarla. I suoi occhi erano spalancati e colmi di spavento e angoscia. Ai suoi piedi, poco distante, giaceva una videocamera distrutta.
La mano di Xavier si mosse lungo il volto di Elise, chiudendole le palpebre e accompagnandola verso un riposo più sereno.
Le appoggiò la testa sul pavimento.
Ora sembrava davvero lei, appisolata sul pavimento, probabilmente per stanchezza e distrazione. Un pisolino improvviso degno di una svampita come Elise Mirondo.
Xavier Jefferson tentò di immaginarsi quel falso idillio, mentre la sua mente già tentava di elaborare una via verso la verità.
"Ancora una volta, ci siamo illusi..."  

 
   
 
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