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Autore: in rotta per il paradiso    14/07/2017    2 recensioni
Cecco e Max sono due ragazzi figli della strada. Sono cresciuti tra risse e droga e ne sono diventati campioni. L'unica cosa che può salvare Max è la piccola Benedetta, la sorellina del suo migliore amico. E quando tutto sembrava​ andare bene, qualcosa li travolge.
Dedicato a coloro che hanno qualcosa per cui vivere e talvolta anche per morire...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dopo la visita di Benedetta, l’infermiera si affacciò nella stanza per controllare le condizioni del ragazzo. Non era molto convinta che la ragazzina avesse trovato il coraggio di aprirgli il proprio cuore, tuttavia sapeva che il destino giocasse sempre tutte le sue carte nel momento più propizio. Il viso di Massimiliano era più disteso, più colorito e le sue labbra sembravano accennare ad un debole sorriso.
«Furbetto, avresti potuto darle un segno che la stessi ascoltando, no?». Un sussurro sfuggì dalla bocca del paziente, il quale lasciò la donna interdetta che corse fuori dalla camera con l’intenzione di avvisare il medico. Non lo aveva immaginato, Massimiliano si stava svegliando! Quel ragazzo era una forza della natura: molti dottori dell’ospedale, che avevano assistito alle sue visite, erano dell'opinione che non avesse scampo e che la sua ripresa sarebbe stata degna di un miracolo.
«Dottore! Dottore, un miracolo!» urlò, facendo voltare tutto il personale presente nel corridoio.
Il medico, abile primario con quasi trent'anni di carriera, la guardò confuso senza capire il motivo del suo entusiasmo.
«Cosa intendi?»
«Il ragazzo della camera 61! Presto, venite!».
Il primario la seguì attraverso i corridoi continuando a non comprendere, ma non appena spalancò la porta, riconobbe il ragazzo investito. Una sensazione positiva s'impadronì di lui, forse provocata da una diversa sistemazione del braccio sinistro di Max, dalla mano depositata sul petto, dalla testa leggermente girata verso l'unica finestra chiusa. Percependo dei passi sul pavimento Massimiliano spalancò le palpebre, tuttavia le richiuse istantaneamente per via dell’eccessiva luce.
«Chiama immediatamente i suoi genitori. Questo è davvero un miracolo!»
«Si sbaglia…»
«Cosa intendi?»
«Dottore, questo non è un miracolo: questo è l'amore!».
L’infermiera lasciò la stanza con gli occhi lucidi, camminando a passo svelto per avvisare i suoi familiari. L'uomo quasi non voleva credere a ciò che i suoi occhi gli facevano vedere, temendo fosse solo uno scherzo, tuttavia il ragazzo sbatteva le palpebre molte volte nel tentativo di abituarsi alla luce.
«Come ti senti?»
Il ragazzo cercò di rispondere, però la voce non accennava ad uscire, quindi tentò di rispondere con le movenze della bocca e dello sguardo.
«Devo visitarti per attestare le tue condizioni».
Max acconsentì e richiuse gli occhi.

Quando Cecco aveva ricevuto la chiamata dal padre del suo migliore amico, non riusciva a riporre fede nella verità che gli era stata detta e gli era balzato in testa che fosse solo uno scherzo di pessimo gusto di qualche idiota. Per soffocare il suo dubbio, aveva distanziato il cellulare dall’orecchio per verificare che fosse proprio il suo numero. Solo dopo essersi accertato di ciò, udì la voce incrinata dall'emozione, i ripetuti singhiozzi e la voce gioiosa, particolari che qualche secondo prima non era stato in grado di captare. Una goccia gli cadde sul polso con il quale reggeva il telefono e, abbassando lo sguardo, si rese conto che fosse una lacrima e tante altre gli stavano rigando le guance. Chiuse gli occhi mentre mentalmente ripeteva “grazie” innumerevoli volte, ciononostante sapeva che neanche un milione di parole sarebbero potute bastare per sdebitarsi con un Dio che, per una volta, aveva avuto cura di loro.
«Vengo subito!»
Nonostante suo padre fosse rincasato da soli venti minuti dal lavoro, Cecco lo pregò affinché lo accompagnasse. L'uomo rimase sbigottito dall'euforia di quel figlio che sembrava essersi svegliato da una morte interiore, un sonno brutto che sembrava non avesse via d’uscita.
«Che succede?»
«Papà, Max s'è svegliato!» urlò il ragazzo.
L’espressione confusa dell'uomo si tramutò in una colma di felicità, tanto che anche i suoi occhi si inumidirono. Sentendo le urla arrivare dal salotto, la madre pensò che padre e figlio stessero discutendo, quindi andò da loro chiedendo spiegazioni.
«Cara, prendi le chiavi della macchina che ho lasciato in cucina. Massimiliano si è svegliato!»
Mentre la donna eseguiva ciò che le aveva chiesto il marito, Cecco avvertì Benedetta di non tornare a casa bensì di aspettarli alla fermata dell'autobus. Non le accennò niente, poiché voleva rimediare ai suoi errori e quello sarebbe stato il primo passo. Confidò il piano ai suoi genitori e salirono in macchina. Quando la ragazzina salì a bordo della vecchia Stilo, tempestò di domande tutta la famiglia, soprattutto Cecco, tuttavia nessuno le annunciò nulla; il fratello maggiore, pur di farla stare zitta anche soli cinque minuti, le rivelò che si stavano dirigendo all'ospedale. «Ci sono stata meno di due ore fa e Max è sempre lo stesso!»
Già, perché la visione che aveva ora di lui era in quel letto che neanche gli apparteneva… Non voleva ammetterlo, però si stava arrendendo al fatto di non vedere più il suo sorriso. A quel pensiero, si voltò verso il finestrino per non far vedere ai famigliari i suoi occhi riempirsi di lacrime. Pensò che si stavano recando alla clinica perché c’erano state delle variazioni sulle sue condizioni, niente di più. I loro genitori avevano volti troppo seri per sperare in qualcosa di meglio. Probabilmente Cecco si stava illudendo di qualcosa che esisteva solo nella sua testa e dopo le sarebbe toccato anche l'arduo compito di doverlo confortare, però chi avrebbe confortato lei?
   
 
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